Leggendo un libro

Leggendo un libro

Il calcio è stato definito il gioco più bello del mondo ed annovera milioni di appassionati e di tifosi.
Inoltre, in questo sport, vengono investiti milioni di euro.
Anni fa toccai questo entusiasmo con mano mentre lavoravo in una fabbrica di scarponi da sci che sponsorizzava

una squadra del nostro massimo campionato.

Un giorno trovammo nella bacheca la data in cui questa squadra avrebbe fatto visita alla nostra fabbrica per l’annuale fornitura di scarponi.
Tutti andarono in fibrillazione, soprattutto le donne, che si fecero belle con trucco e parrucco.
Arrivato il fatidico giorno, i colleghi si munirono di bandiere, sciarpe, magliette, oltre che di carta e penna per l’ambito autografo.

I reparti sembravano la curva di uno stadio.

Io, contrariamente agli altri, non fui molto coinvolto da questo incontro dato che ero immerso nella lettura di un libro sui miti greci.
Andai perfino a mangiare da solo alla mensa aziendale quando fu il momento della pausa pranzo, mentre in tutta l’azienda si respirava un clima surreale.
I giocatori arrivarono in fabbrica, salutarono gli operai dalla vetrata ma non fecero il giro dei reparti.
Insieme con i dirigenti della fabbrica raggiunsero la mensa per un brindisi e, vedendomi da solo, mi invitarono ad aggregarmi a loro.
Mi improvvisai super tifoso chiedendo come stesse il loro capitano infortunato.

Visto il mio interesse, mi regalarono due biglietti per il derby di Milano.

Tornato al lavoro, tra i musi duri dei colleghi delusi, sbandierai i biglietti, tra l’invidia generale e lo stupore.
Tutti mi chiesero come avessi potuto averli così facilmente ed io risposi:
“Leggendo un libro.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Gli occhi di mio padre

Gli occhi di mio padre

Era un ragazzino che amava tantissimo il calcio e aveva un padre molto affettuoso che condivideva la sua passione.
Era piccolo e mingherlino e il più delle volte doveva fare la riserva.
Anche se il figlio era sempre in panchina, il padre era sempre tra gli spettatori a fare il tifo e non mancava mai a una partita.
Il ragazzo era ancora il più piccolo della classe anche al liceo, ma suo padre continuava a incoraggiarlo.
Il ragazzo riuscì a entrare nella squadra giovanile della città.
Non perdeva mai un allenamento e si impegnava con tutte le sue forze, ma l’allenatore continuava a confinarlo in panchina durante le partite.
Suo padre era sempre in tribuna e tutte le volte trovava le parole giuste per incoraggiarlo.
Il ragazzo era quasi sicuro di non essere ammesso nella squadra maggiore e invece l’allenatore, colpito dall’impegno che spendeva negli allenamenti, lo volle con sé.

Pieno di entusiasmo chiamò subito suo padre al telefono.

Suo padre condivise il suo entusiasmo e si abbonò a tutte le partite.
Il ragazzo si impegnava e si allenava.
Ma durante le partite restava in panchina.
Arrivò l’ultima settimana del campionato.
Con una vittoria, la squadra poteva essere promossa nella serie superiore.
All’inizio della settimana, il giovane si avvicinò all’allenatore.
Aveva gli occhi rossi ed era molto pallido.
“Mio padre è morto questa mattina.
Posso saltare l’allenamento oggi?” borbottò.

L’allenatore gli mise gentilmente un braccio sulla spalla e disse:

“Prenditi anche il resto della settimana, figliolo!”
Arrivò la domenica e lo stadio era affollato come non mai.
Era la partita più importante dell’anno e tutta la città sentiva l’avvenimento in modo particolare.
La squadra scese in campo per il riscaldamento un po’ prima dell’orario d’inizio della partita.
Con autentico stupore, videro il ragazzo con la tuta sulla divisa di gioco che correva con loro.
La partita ebbe inizio.
Si capì subito che gli avversari erano meglio organizzati e costrinsero la squadra a barricarsi in difesa.
All’inizio del secondo tempo, il ragazzo si avvicinò all’allenatore e disse:
“Mister, fatemi giocare, per favore!”
I suoi occhi erano pieni di fiduciosa aspettativa.

Dolente per il ragazzo, l’allenatore acconsentì:

“Va bene.” Disse, “Vai dentro.”
Dopo pochi minuti, l’allenatore, i giocatori e gli spettatori non potevano credere ai loro occhi.
Quel piccolo, sconosciuto ragazzino che non aveva mai giocato prima, aveva preso in mano il centrocampo e fatto salire la squadra.
Gli avversari non riuscivano a fermarlo.
I compagni di squadra cominciarono a passargli il pallone sempre più spesso.
A pochi minuti dal fischio finale, con un tiro forte e angolato, segnò il goal della vittoria.
I compagni lo portarono in trionfo, gli spettatori, in piedi, lo applaudirono a lungo.
Quando tutti ebbero lasciato gli spogliatoi, l’allenatore si accorse che il ragazzo era seduto in silenzio in un angolo, tutto solo.
“Ragazzo, sei stato fantastico!
Come hai fatto?”
Il giovane guardò l’allenatore, con le lacrime agli occhi, e disse:
“Le ho detto che mio padre è morto, ma lei sapeva che mio padre era cieco?”
Il giovane deglutì e si sforzò di sorridere:
“Papà è venuto a tutte le mie partite, ma oggi era la prima volta che poteva vedermi giocare, e volevo dimostrargli che potevo farlo!”

Brano tratto dal libro “L’iceberg e la duna.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Alle Paralimpiadi di Seattle

Alle Paralimpiadi di Seattle

Qualche anno fa, alle Paralimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente o fisicamente disabili erano pronti sulla linea di partenza dei 100 metri.
Allo sparo della pistola, iniziarono la gara, non tutti correndo, ma con la voglia di arrivare e vincere.
In tre correvano, un piccolo ragazzino cadde sull’asfalto, fece un paio di capriole e cominciò a piangere.

Gli altri otto sentirono il ragazzino piangere.

Rallentarono e guardarono indietro.
Si fermano e tornarono indietro… Tutti.
Una ragazza con la sindrome di Down si sedette accanto a lui e cominciò a baciarlo e a gli disse:

“Adesso stai meglio?”

Allora, tutti e nove si abbracciarono e camminarono verso la linea del traguardo.
Tutti nello stadio si alzarono, e gli applausi andarono avanti per parecchi minuti.
Persone che erano presenti raccontarono ancora la storia.

Perché?

Perché dentro di noi sappiamo che la cosa importante nella vita va oltre il vincere per se stessi.
La cosa importante nella vita è aiutare gli altri a vincere, anche se comporta rallentare e cambiare la nostra corsa.
Una candela non perde nulla ad accendere un’altra candela.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Regalare la speranza (Regalare Luce)

Regalare la speranza
(Regalare Luce)

Centomila persone sono radunate nel Coliseum di Los Angeles, in California.
All’improvviso Padre Keller, che parlava a quell’immensa assemblea, si interruppe:

“Non abbiate timore; adesso si spegneranno le luci!”

Piombò l’oscurità sullo stadio; ma attraverso gli altoparlanti, la voce di Padre Keller continuò:
“Io accenderò un fiammifero.
Tutti quelli che lo vedono brillare, dicano semplicemente “sì.”
Appena quel puntino di fuoco si accese nel buio, tutta la folla gridò: “Sì.”

Padre Keller seguitò a spiegare:

“Ecco: una qualsiasi azione di bontà può brillare in un cuore di tenebre.
Per quanto piccola, non passa mai nascosta agli occhi di Dio.

Ma voi potete fare di più.

Tutti quelli che hanno un fiammifero, l’accendano!”
Di colpo l’oscurità venne rotta da uno sconfinato tremolio di piccoli fuochi.
Se molti uomini di poco conto, in molti posti di poco conto, facessero cose di poco conto, la faccia della terra potrebbe cambiare.

Brano tratto dal libro “Parlar per simboli.” di Pino Pellegrino