Il contadino avido

Il contadino avido

Un contadino possedeva un misero campicello, nel quale produceva un raccolto magro e stentato!
Non c’era giorno che, moglie e figli, non gli rinfacciassero la sua pochezza.
Un giorno, finalmente, ebbe un insperato colpo di fortuna.
Mentre era intento a sgobbare nel suo campicello, vide sulla strada un cavallo imbizzarrito che stava per rovesciare il calesse di un gran possidente della zona e, coraggiosamente, lo bloccò.

Il ricco proprietario terriero, per sdebitarsi, gli disse:

“Ti regalerò tutta la terra che riuscirai a contornare camminando dall’alba al tramonto!
L’unica condizione è che ti dovrai trovare al tramonto nel punto esatto da cui eri partito al mattino!”
Il contadino fu sopraffatto della gioia:
“Ho chiuso con i giorni degli stenti e della miseria!
Avrò tanta terra e sarò ricco!”
Il mattino dopo fissò il punto di partenza sull’alto di una collinetta verde e cominciò a camminare allegramente, senza fretta, con un passo tranquillo.

“Qui costruirò la mia fattoria.

Quello è il posto adatto ad una stalla.
In questa bella piana coltiverò frumento e laggiù seminerò legumi e patate!”
Camminando però, gli venne in mente che quella era la sua unica occasione e cominciò a correre.
Il sole stava rapidamente percorrendo il suo cammino in cielo.
Più terra avrebbe inglobato nel suo possedimento più sarebbe stato ricco.
Era al limite della resistenza ma c’erano ancora un laghetto, un prato verde e un bosco folto.
Il sole declinava sull’orizzonte.
Accelerò il ritmo della corsa.
Sudato, ansante e allo stremo delle forze giunse al traguardo.

Crollò esausto!

Il suo cuore cessò di battere per lo sforzo eccessivo nell’istante in cui il sole tramontava.
Ora possiede tutto il terreno che gli serve:
il piccolo lembo di terra in cui è sepolto!

Brano senza Autore

La bambola di pezza

La bambola di pezza

Durante il periodo della seconda guerra mondiale la vita era diventata difficilissima, con stenti e privazioni.
A soffrirne di più erano gli anziani e i bambini, che con le loro aspettative, chiedevano alla vita di poter sognare e giocare, desideri propri di tutti i bambini.

Fiorella desiderava tanto avere una bambola tutta sua con cui giocare,

ma la sua mamma gli ripeteva che erano poveri contadini dal pane con sette croste e che non potevano permettersi l’acquisto.
A tanto insistere la genitrice ne fece una con i ritagli di stoffa colorata, copiandola da una rivista, mettendo a frutto la sua abilità di sarta, e la imbottì di morbida crusca per renderla più piacevole al tatto.

Grande fu la gioia della bambina che la portava sempre con sé per giocarci, sia in casa che in cortile.

In questo, però, scorrazzavano libere delle galline dall’occhio sempre curioso che, in un momento in cui la bambola fu abbandonata, notarono la fuoriuscita da una cucitura di un po’ di crusca e fecero a gara per divorarla, tanto che la svuotarono in un baleno.
Fiorella, nello scoprire la distruzione della sua bambola, si mise a piangere a dirotto.
La sua mamma cercò di consolarla promettendole di rifare l’imbottitura in tempi brevi dicendole, inoltre, che a cena avrebbe mangiato un uovo intero invece del solito mezzo,

poiché le galline si erano nutrite della crusca della sua bambola.

La promessa di un uovo intero riservato, solitamente, ai grandi, le fece tornare un inaspettato sorriso, perché la fame era una brutta bestia che andava domata.
Galeotta fu una bambola di pezza svuotata della crusca da galline altrettanto affamate da una inutile guerra.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il libro del tesoro in regalo

Il libro del tesoro in regalo

In una piccola città della Persia, ai tempi del grande scià Selciuk, viveva una vedova che aveva un solo figlio.
Quando si sentì giunta alla fine della vita terrena, la vedova chiamò il figlio e gli disse:
“Abbiamo vissuto di stenti, perché siamo poveri; ma ti affido una grande ricchezza:
questo libro.
Mi venne donato da mio padre e contiene tutte le indicazioni necessarie per giungere a un tesoro immenso.
Io non avevo né la forza, né il tempo per leggerlo, ma ora lo affido a te.

Segui le istruzioni e diventerai ricchissimo.”

Il figlio, passata la profonda tristezza per la perdita della madre, cominciò a leggere quel grosso libro antico e prezioso che iniziava con queste parole:
“Per giungere al tesoro leggi pagina dopo pagina.
Se salti subito alla conclusione, il libro sparirà per magia e non potrai raggiungere il tesoro.”
Proseguiva poi descrivendo la quantità di ricchezze accumulate in un paese lontano, ben custodite in una vasta caverna.
Senonché dopo le prime pagine il testo persiano si interrompeva continuando in lingua araba.
II giovane che già si vedeva ricco, per non correre il pericolo che, facendo tradurre il testo, degli altri venissero a conoscenza del tesoro e se ne impadronissero dandogli false informazioni, si mise a studiare con passione l’arabo, sino a che fu in grado di leggere a perfezione il testo.
Ma ecco che, dopo altre pagine, questo continuava in cinese, e poi ancora in altre lingue che il giovane, con accanimento e pazienza, studiò tutte.
Nel frattempo, per vivere, mise a frutto la sua perfetta conoscenza di quelle lingue e cominciò ad essere noto anche nella capitale come uno dei migliori interpreti, cosicché anche la sua vita divenne meno precaria.

Dopo le molte pagine in varie lingue,

il libro proseguiva ancora con istruzioni per amministrare il tesoro, dopo averlo raggiunto, e il giovane studiò volentieri economia, contabilità, e anche la valutazione dei metalli pregiati, delle pietre preziose, dei beni mobili e immobili per non essere imbrogliato una volta in possesso del tesoro.
Nel frattempo metteva a frutto le sue nuove conoscenze anche per assicurarsi un miglior tenore di vita, tanto che la sua fama di poliglotta esperto di finanza e abile economista giunse fino alla corte dello scià.
Lo scià ordinò che fosse assunto tra i suoi consiglieri e gli affidò dapprima dei piccoli incarichi, poi, conoscendolo meglio, gli confidò alcune missioni difficili e delicate e, alla fine, lo nominò amministratore generale dell’impero.
Il giovane non tralasciava però di continuare la lettura del suo libro, che finalmente si addentrava nel vivo della questione, indicando come bisognava fare per costruire un grande ponte e degli argani, delle macchine per giungere alla caverna, aprire le porte di pietra scartando grandi massi, riempiendo anfratti e avvallamenti per appianare la strada, e altre cose del genere.
Sempre con l’idea di non confidare a nessuno il suo segreto, e quindi di non farsi aiutare da altri, il figlio della vedova, divenuto ormai un uomo colto e rispettato, studiò anche ingegneria e urbanistica, al punto che lo scià, apprezzandone il valore e la cultura, lo nominò ministro e architetto di corte, e infine primo ministro.
Non c’era nel regno un altro uomo tanto colto, pratico e abile in tutte le scienze, come il lettore del “Libro del tesoro.”
Proprio nel giorno in cui sposava la figlia dello scià, il giovane arrivò all’ultima pagina del libro.
Con un po’ di batticuore, afferrò il lembo dell’ultima pagina:
stava per conoscere la rivelazione definitiva.

Lentamente voltò il foglio e… scoppiò in una risata.

Di sorpresa, gioia e gratitudine.
L’ultima pagina era una lastra di metallo perfettamente levigato che faceva da specchio:
nell’ultima pagina il figlio della vedova vide il proprio volto.
Un volto di uomo maturo, consapevole, saggio e destinato ad una grande carriera.
E tutto questo grazie al libro che sua madre gli aveva donato.
Il grande tesoro era lui stesso e il libro l’aveva aiutato a scoprirlo.

Brano tratto dal libro “Nuove storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.