L’arazzo

L’arazzo

Un giovane monaco fu inviato per alcuni mesi in un monastero delle Fiandre a tessere un importante arazzo insieme ad altri monaci.
Un giorno si alzò indignato dal suo scranno:

“Basta!

Non posso andare avanti!
Le istruzioni che mi hanno dato sono insensate!” esclamò, “Sto lavorando con un filo d’oro e tutto ad un tratto devo annodarlo e tagliarlo senza ragione. Che spreco!”
“Figliolo,” replicò un monaco più anziano, “tu non vedi questo arazzo come va visto.

Sei seduto dalla parte del rovescio e lavori soltanto in un punto!”

Lo condusse davanti all’arazzo che pendeva ben teso nel vasto laboratorio, e il giovane monaco rimase senza fiato.
Aveva lavorato alla tessitura di una bellissima immagine della Pasqua e il suo filo d’oro faceva parte dei luminosi raggi attorno al Signore Risorto.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il pastore e la gabbia arrugginita

Il pastore e la gabbia arrugginita

C’era una volta un uomo di nome George Thomas, che fu un pastore protestante e visse in un piccolo paese.
La mattina di una Domenica di Pasqua si recò in Chiesa, portando con sé una gabbia arrugginita.
La sistemò vicino al pulpito.
La gente rimase alquanto scioccata.
Il pastore se ne accorse e cominciò a parlare:
“Ieri stavo passeggiando quando vidi un ragazzo con questa gabbia.
Nella gabbia c’erano tre uccellini, tremavano dal freddo e per lo spavento.

Fermai il ragazzo e gli chiesi:

“Cos’hai lì, figliolo?”
“Tre vecchi uccelli!” fu la risposta.
“Cosa farai di loro?” chiesi
“Li porto a casa e mi divertirò con loro!” rispose il ragazzo che continuò a parlare, “Li stuzzicherò, strapperò le piume, cosi litigheranno.
Mi divertirò tantissimo!”
“Ma presto o tardi ti stancherai di loro.

Allora che cosa ne farai?”

chiese nuovamente il pastore.
“Oh, ho dei gatti…” disse il ragazzo, “A loro piacciono gli uccelli, li darò a loro.”
Il pastore rimase in silenzio per un momento…
Poi domandò:
“Quanto vuoi per questi uccelli, figliolo?”
“Cosa? Perché li vuoi, signore, sono uccelli di campo, niente di speciale.
Non cantano.
Non sono nemmeno belli!” replicò il ragazzo.
“Quanto?” chiese di nuovo il pastore.

Pensando fosse pazzo, il ragazzo disse:

“Dieci dollari!”
Presi allora dieci dollari dalla mia tasca e li misi in mano al ragazzo.
Come un fulmine il ragazzo sparì.
Dopo aver recuperato la gabbia con delicatezza andai in un campo dove c’erano alberi ed erba.
Aprii la gabbia e con gentilezza lasciai liberi gli uccellini.”
Non appena il pastore finì di parlare, tutti capirono il motivo della gabbia vuota accanto al pulpito.

Brano senza Autore.

Il più forte

Il più forte

Un giorno, la pietra disse:
“Sono la più forte!”
Udendo ciò, il ferro disse:
“Sono più forte di te!
Vuoi vedere?”
Subito, i due lottarono, fino a quando la pietra fu ridotta in polvere.

Il ferro disse a sua volta:

“lo sono il più forte!
Udendolo, il fuoco disse:
“lo sono più forte te!
Lo vuoi vedere?”
Allora i due lottarono finché il ferro fu fuso.
Il fuoco disse a sua volta:
“lo sì che sono forte!”
Udendo ciò, l’acqua disse:
“lo sono più forte di te!
Se vuoi te lo dimostro.”
Allora, lottarono fin quando il fuoco fu spento.
L’acqua disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Udendola il sole disse:
“Io sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché il sole fece evaporare l’acqua.

Il sole disse a sua volta:

“Sono io il più forte!”
Udendolo, la nube disse:
“lo sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché la nube nascose il sole.
La nube disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Ma il vento disse:
“Io sono più forte di te!
Te lo dimostro!”
Allora i due lottarono fin quando il vento soffiò via la nube ed essa sparì.
Il vento disse a sua volta:
“Io sì che sono forte!”
I monti dissero:
“Noi siamo più forti di te!
Guarda!”
Subito i due lottarono fino a che il vento restò preso tra le catene dei monti.

I monti, a loro volta, dissero:

“Siamo i più forti!”
Ma sentendoli, l’uomo disse:
“Io sono più forte di voi!
E, se lo volete vedere…”
L’uomo, dotato di grande intelligenza, perforò i monti, impedendo che bloccassero il vento.
Dominando il potere dei monti, l’uomo proclamò:
“Io sono la creatura più forte che esista!”
Ma poi venne la morte, e l’uomo che si credeva intelligente e tanto forte, con un ultimo respiro, morì.
La morte a sua volta disse:
“Sono io la più forte!
Perché prima o poi tutto muore e finisce nel nulla!”
La morte già festeggiava quando, inatteso, venne un uomo e, dopo soli tre giorni dalla morte, risuscitò, vincendo la morte. (Pasqua)
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo…

Brano senza Autore.

Il tesoro nel gelso

Il tesoro nel gelso

Il territorio di Levada è situato lungo il fiume Piave e durante la prima guerra mondiale subì massicci bombardamenti a tappeto da parte dell’artiglieria Austro-Ungarica, che inoltre disseminò il terreno di mine, alcune delle quali rimasero inesplose, e di schegge di granate.

I contadini, nel riprendere i lavori agricoli,

bonificarono i terreni mettendo per comodità i residui bellici dentro i tronchi cavi degli alberi di gelso, utilizzati per l’allevamento del baco da seta, molto in auge in quel periodo.
I gelsi, crescendo, incorporarono il tutto nel loro interno, rendendo il metallo non sempre visibile.
Per la festa della parrocchia era abitudine usare della legna di gelso da ardere.
Questo tipo di legna, per la presenza di nodi e di metalli, era tra le più difficili da tagliare, anche perché, con molta facilità, venivano rotte accette e seghe.
Il parroco, per poter comunque avere questa legna per la festa, faceva affidamento su dei volontari, i quali si arrendevano quasi subito, o per la fatica immane, o lamentando strappi alla schiena, o che,

per giustificarsi del ritiro, rompevano volutamente il manico delle accette.

Dopo diverse ricerche, solamente un parrocchiano accettò di portare a termine il lavoro.
Non a caso era il balordo del paese, che pretese in cambio un fiasco di vino e la deroga di dire in libertà qualche imprecazione non tanto ortodossa, strappando inoltre l’accordo di tenere per se tutto il metallo presente nei tronchi, che avrebbe separato dalla legna, in modo da poterlo vendere.
Questo buon uomo era anche motivato da una leggenda ascoltata in osteria.
Secondo questa leggenda, i gelsi non celavano solo schegge di granate ma anche un tesoro nascosto da un ladro, il quale, dopo la sua rocambolesca fuga, non tornò più a riprenderlo.

La sorte fu benigna con l’intraprendente taglialegna,

infatti trovò all’interno dell’ultimo tronco il tesoro, composto da un bel po’ di sonanti monete d’argento.
Tutto ciò accadde sotto gli occhi stupefatti del parroco, che come da accordi precedentemente presi, confermò allo spaccalegna che tutto il metallo fosse suo, dicendo:
“Con i miei occhi ho visto qualcosa che mi ha fatto ripensare alle Sacre Scritture.
Così come la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo, così il tronco che nessuno voleva spaccare è diventato per te un tesoro meritato!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Babbo Natale anche a Pasqua

Babbo Natale anche a Pasqua

Ero un bambino di 4 o 5 anni, quando, una sera di dicembre di diversi anni fa, mia madre invito me ed i miei fratelli a recitare una preghiera speciale, prima di andare a dormire, affinché nevicasse.
In quegli anni mio padre si adattava a qualsiasi lavoretto per non farci mancare il necessario, siccome i pochi campi di cui eravamo proprietari non bastavano a sostenere la nostra famiglia.

Qualora avesse nevicato,

per un paio di giorni avrebbe avuto il lavoro assicurato.
Era chiamato a spalare la neve nella vicina stazione ferroviaria, dove veniva retribuito molto bene.
Il ricavato veniva riservato da nostra madre per trascorrere in modo speciale l’imminente Natale, periodo che coincideva anche con il compleanno di nostro padre.
Pregammo con molta devozione, con la fede pura dei bambini e, come per incanto, caddero subito i primi fiocchi di neve.
Ci addormentammo felici dato che il nostro desiderio era stato esaudito e, nei nostri sogni, il manto cresceva a dismisura.

Al mattino, invece,

restammo molto delusi, visto che non vedemmo la neve per strada.
Una abbondante pioggia durante la notte la fece sparire.
Il Natale che seguì fu comunque bello ed indimenticabile poiché il capostazione assegnò lo stesso due giornate di lavoro a mio padre, in cambio della pulitura della strada e di alcuni piccoli lavoretti all’interno della stazione.
Da quel momento in poi associai sempre la figura del nostro capostazione di allora al ruolo di Babbo Natale.
Nella mia immaginazione di bambino, il capostazione in questione, gli assomigliava anche un po’.

Infatti aveva una folta barba bianca,

possedeva pure lui un berretto, anche se di colore e forma diversi, ed il rosso lo si poteva trovare nella sua paletta.
Pensai fosse Babbo Natale anche nel periodo di Pasqua, perché, casualmente, chiamò mio padre perfino qualche giorno prima di questa festività, per fare manutenzione al piccolo giardino ed ai grandi vasi di fiori della stazione.
Il ricavato si tramutò per noi bambini nell’ennesimo inaspettato regalo; ricevemmo infatti quaderni e colori.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I tre agnellini

I tre agnellini

Lassù sulle montagne del Tirolo, c’era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità.
Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio.
Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli.

Il bambino rispose:

“A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare.”
Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?”
“Là!” rispose il fanciullo indicando vagamente l’alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l’agnellino era pronto, bello da sembrare vivo.
Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l’agnellino protese le braccine e l’afferrò.
Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato.

Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando:

“Tienilo pure.
Intaglierò un altro agnellino.”
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.
“Oh! Che meraviglioso agnellino!” disse, “Posso averlo per piacere?”
“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro” rispose Dritte e ne realizzò un altro.
Ma il bambino dai capelli d’oro non ritornò, e l’agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame.
Prima di Pasqua, in un giorno uggioso, un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare.

Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro:

“Sono alla locanda,” disse il commerciante, “in caso cambiate idea.”
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l’agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega.
Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d’oro.
“Ho tenuto l’agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto.
Ne farò subito un altro!”
“Non ho bisogno di un altro agnellino,” disse il fanciullo scuotendo il capo, “quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me.
Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo.”
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
“Costruirò giocattoli per voi!” disse.
“Allora avete cambiato idea.” sussurrò il mercante.
“No!” rispose Dritte con gli occhi scintillanti, “Ma ho ricevuto un segno da Dio!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Sei tu Gesù? (Il banco di mele)

Sei tu Gesù? (Il banco di mele)

Un gruppo di venditori fu invitato ad un convegno.
Tutti i venditori avevano promesso alle proprie famiglie che sarebbero arrivati in tempo per la cena del venerdì sera.
Il convegno terminò un po’ più tardi del previsto, ed arrivarono in ritardo all’aeroporto.
Entrarono tutti correndo tra i corridoi dell’aeroporto, con i biglietti e i documenti in mano.
All’improvviso, e senza volerlo, uno dei venditori inciampò in un banco su cui c’era un cesto di mele.

Le mele caddero e si sparsero per terra.

Senza aspettare e senza guardare indietro, i venditori, continuando a correre, riuscirono a salire sull’aereo.
Tutti meno uno.
Quest’ultimo si trattenne, respirò a fondo, e sperimentò un sentimento di compassione per la padrona del banco di mele.
Disse ai suoi amici di continuare senza di lui e chiese ad uno di loro di avvertire sua moglie all’arrivo e di spiegarle che sarebbe rientrato con il volo successivo un po’ più tardi, dato che non era sicuro di riuscire ad avvisarla in tempo.
Ritornò al terminal e trovò tutte le mele ancora sparse a terra.
La sorpresa fu enorme quando si rese conto che la padrona delle mele era una bambina cieca.

La vide mentre piangeva, grandi lacrime scorrevano sulle sue guance.

Toccava il pavimento, cercando, invano, di raccogliere le mele, mentre moltitudini di persone le passavano accanto senza fermarsi; senza che a nessuno importasse nulla dell’accaduto.
L’uomo inginocchiatosi con lei, mise le mele nella cesta e l’aiutò a montare di nuovo il banco.
Mentre lo faceva, si rese conto che molte cadendo si erano rovinate.
Le prese e le mise nella cesta.
Quando terminò, tirò fuori il portafoglio e disse alla bambina:
“Prendi, per favore, questi cento euro per il danno che abbiamo fatto.
Tu stai bene?”
Lei, sorridendo, annuì con la testa.
Lui continuò dicendole:
“Spero di non aver rovinato la tua giornata!”
Il venditore cominciò ad allontanarsi e la bambina gridò:

“Signore…”

Lui si fermò e si girò a guardare i suoi occhi ciechi.
Lei continuò: “Sei tu Gesù?”
Lui si fermò immobile, girandosi un po’ di volte, prima di dirigersi per andare a prendere il volo, con questa domanda che gli bruciava e vibrava nell’anima:
“Sei tu Gesù?”

Brano senza Autore.

Racconti di Pasqua

Racconti di Pasqua Sito Racconti con Morale —————————– Babbo Natale anche a Pasqua —————————– Cristo è risorto —————————– Dipende dalle mani in cui si trova…

La P di Pasqua


La P di Pasqua

C’era una volta un bambino che aveva perso la ‘P’ di Pasqua:
gli era caduta dal quaderno e soffiata via dal vento!
Era molto triste per l’accaduto, perché, come si può vivere senza la Pasqua?
Si mise a cercare la ‘P’ in tutte le parti: sotto il tavolo, sotto il letto, tra i libri, in cucina… e non trovandola in casa decise di andarla a cercare fuori per le strade del mondo.
Non lontano incontrò una persona, un anziano alto e robusto, arrogante che fumava una pipa che aveva la forma di ‘P’.
Il ragazzo subito dopo l’esitazione iniziale gli parlò:
“Signore, lei che è tanto potente e ricco, mi potrebbe dare la ‘P’ della sua pipa?”

L’uomo gli rispose seccamente:

“Vattene via, cosa farei senza questa ‘P’ che è il ‘potere’ di acquistare, di comandare?
La mia ‘P’ la voglio per me!”
Il bambino continuò a cercare, e lungo il suo cammino giunse presso un grande albero al cui tronco era appoggiata una scure a forma di ‘P’.
Con tanta fiducia il bambino si rivolse all’albero, che sembrava buono, e chiese:
“Albero maestoso, ho perso la mia ‘P’ di Pasqua, mi potresti dare la tua?”
“Non posso!
La mia ‘P’ è per ‘potare’: potare i rami secchi perché possa continuare a crescere, rinnovarmi, irrobustirmi!”
Più avanti il bambino incontrò due donne che stavano tornando dal mercato, che trascinavano la ‘P’ del peso delle loro borse.

“Gentili signore, mi potreste dare la ‘P’ del vostro peso?” disse il bimbo.

Le donne trafelate risposero:
“No, la nostra ‘P’ è troppo pesante per te:
è la ‘P’ del pulire, del passare lo straccio, dell’impastare il pane… non possiamo cedertela.”
Stanco di camminare il bambino quando giunse ad un grande prato, si sedette e subito si accorse della grande ‘P’ di prato appunto.
E anche il prato, di fronte alla richiesta del piccolo rispose con un rifiuto:
“Mi rincresce, ma non posso darti la ‘P’, sto aspettando che germoglino le piante.”
Deluso e triste il bambino alla fine decise di tornarsene a casa senza aver trovato chi gli offrisse la ‘P’ che cercava per la sua Pasqua.
Ma improvvisamente si vide venire incontro un vecchio ricurvo sotto il peso di un grande pacco.
“Nonno, mi daresti la ‘P’ del tuo pacco?
Ti aiuterò a portarlo!”

Il vecchio si fermò stupito e disse:

“Sei un bravo ragazzo!
Ma voglio dirti una cosa:
vedi questo pacco?
Pesa moltissimo perché è tutto pieno di ‘P’ e io sto andando in un posto dove c’è di bisogno di una sola ‘P’: la ‘P’ di pace.
Tutte le altre ‘P’ te le regalo!”
Allora il bimbo infilò le mani nel pacco e le tirò subito fuori piene di ‘P’ di tutte le forme e di tutti i colori e le lanciò felice in aria.
C’era la ‘P’ del pensare agli altri, quella di pazienza, quella di perdono, quella di preghiera, quella di pace…
Le ‘P’ ricadevano come pioggia attesa dal prato, dal bosco, dalla gente incontrata… e tutto cambiava:
l’egoista distribuiva i beni in carità, le donne lavoravano cantando, l’albero appariva trasformato.
Nel fondo del sacco il bambino trovò la ‘P’ più luminosa di tutte, corse a casa e la mise nel suo quaderno: ora era finalmente Pasqua nel mondo!

Brano senza Autore, tratto dal Web