Basta dire grazie

Basta dire grazie

Dalla cucina, come al solito, la donna disse:
“È pronto!”
Il marito, che leggeva il giornale, e i due figli, che guardavano la televisione e ascoltavano musica, si misero rumorosamente a tavola e brandirono impazientemente le posate.

La donna arrivò.

Ma invece delle solite, profumate portate, mise in centro tavola un mucchietto di fieno.
“Ma… ma!” dissero i tre uomini, “Ma sei diventata matta?”

La donna li guardò e rispose serafica:

“Be’, come avrei potuto immaginare che ve ne sareste accorti?
Cucino per voi da vent’anni e in tutto questo tempo non ho mai sentito da parte vostra una parola che mi facesse capire che non stavate masticando fieno!”

Brano di Bruno Ferrero

I due fratelli

I due fratelli

Due fratelli, uno scapolo e l’altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che produceva grano in abbondanza.
A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del raccolto.
All’inizio tutto andò bene.
Poi, di tanto in tanto, l’uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto durante la notte e a pensare:

“Non è giusto così.

Mio fratello non è sposato e riceve metà di tutto il raccolto.
Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia.
Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio?
Lui deve mettere da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora.

È logico che ha più bisogno di me!”

E con questo pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli versava un sacco di grano nel granaio.
Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte.
Ogni tanto si svegliava e diceva tra sé:
“Non è affatto giusto così.
Mio fratello ha moglie e cinque figli e riceve metà di quanto la terrà produce.

Io non ho nessuno oltre a me stesso da mantenere.

È giusto allora che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva la stessa parte?”
Quindi si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del fratello.
Un notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un sacco di grano!
Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia.
Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi era un luogo più sacro di quello in tutta la città.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana. Saggezza popolare dell’Oriente. Volume 1” di Anthony De Mello

Per tutte le volte che…

Per tutte le volte che…

… indossi un sorriso che vero sorriso non è.
… ti addormenti sentendo la mancanza di qualcuno/a.
… perdoni e sai che non dovresti.

… chiedi scusa e non è neanche colpa tua.

… hai bagnato il cuscino di lacrime.
… con un nodo in gola vai avanti a testa alta.
… che hai fatto finta di niente ma dentro morivi.
… ti guardi allo specchio e vedi una persona stupenda ma non te ne accorgi.

… alla domanda “che hai?” hai risposto il solito “niente” quando in realtà stavi per scoppiare.

… ti senti fragile e ti dici che non riesci ad andare avanti ma poi ti trovi sempre un nuovo giorno davanti.
… rimani te stessa/o quando tutti ti criticano.
… ti senti una nullità ma subito dopo trovi un fottuto motivo per cambiare idea.
… hai detto “adesso basta” e basta non era mai.

… rimani quando tutti se ne vanno.

Per tutte le volte, quelle volte in cui avresti voluto andartene, scappare lontano da tutto e tutti e cancellare il passato.
Apri gli occhi, non lo vedi quanto sei forte?
Non vedi quanta meraviglia sei?

Brano senza Autore, tratto dal Web

La chiesa illuminata

La chiesa illuminata

Un principe molto ricco decise di costruire una chiesa per tutte le persone che abitavano nel villaggio.
Era un bell’edificio elegante, posto sulla collina e dunque ben visibile a tutti.
Ma aveva una stranezza:

era senza finestre!

Il giorno dell’inaugurazione, prima che il sacerdote cominciasse la celebrazione, il principe fece il suo discorso per consegnare il tempio alla comunità, disse:
“Questa chiesa sarà un luogo d’incontro con il Signore, che ci chiama a pregarlo ed a volerci bene.
Vi chiederete come mai non sono state costruite finestre.
Lo spiego subito.
Quando ci sarà una celebrazione ad ogni persona che entra in chiesa, verrà consegnata una candela.

Ognuno di noi ha un suo posto.

Quando saremo tutti presenti, la chiesa risplenderà ed ogni suo angolo sarà illuminato.
Quando invece mancherà qualcuno, una parte del tempio rimarrà in ombra.”
Gli abitanti di quel villaggio furono molto grati al principe, che oltre ad essere ricco era anche molto saggio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il grillo e la moneta

Il grillo e la moneta

Un saggio indiano aveva un caro amico che abitava a Milano.
Si erano conosciuti in India, dove l’italiano era andato con la famiglia per fare un viaggio turistico.
L’indiano aveva fatto da guida agli italiani, portandoli ad esplorare gli angoli più caratteristici della sua patria.
Riconoscente, l’amico milanese aveva invitato l’indiano a casa sua.

Voleva ricambiare il favore e fargli conoscere la sua città.

L’indiano era molto restio a partire, ma poi cedette all’insistenza dell’amico italiano e un bel giorno sbarcò da un aereo a Malpensa.
Il giorno dopo, il milanese e l’indiano passeggiavano per il centro della città.
L’indiano, con il suo viso color cioccolato, la barba nera e il turbante giallo attirava gli sguardi dei passanti e il milanese camminava tutto fiero d’avere un amico così esotico.
Ad un tratto, in piazza San Babila, l’indiano si fermò e disse:
“Senti anche tu quel che sento io?”
Il milanese, un po’ sconcertato, tese le orecchie più che poteva, ma ammise di non sentire nient’altro che il gran rumore del traffico cittadino.

“Qui vicino c’è un grillo che canta.” continuò, sicuro di sé, l’indiano.

“Ti sbagli,” replicò il milanese, “io sento solo il chiasso della città.
E poi, figurati se ci sono grilli da queste parti.”
“Non mi sbaglio.
Sento il canto di un grillo!” ribatté l’indiano e decisamente si mise a cercare tra le foglie di alcuni alberelli striminziti.
Dopo un po’ indicò all’amico che lo osservava scettico un piccolo insetto, uno splendido grillo canterino che si rintanava brontolando contro i disturbatori del suo concerto.

“Hai visto che c’era un grillo?” disse l’indiano.

“È vero!” ammise il milanese, “Voi indiani avete l’udito molto più acuto di noi bianchi!”
“Questa volta ti sbagli tu!” sorrise il saggio indiano, “Stai attento…”
L’indiano tirò fuori dalla tasca una monetina e facendo finta di niente la lasciò cadere sul marciapiede.
Immediatamente quattro o cinque persone si voltarono a guardare.
“Hai visto?” spiegò l’indiano, “Questa monetina ha fatto un tintinnio più esile e fievole del trillare del grillo.
Eppure hai notato quanti bianchi lo hanno udito?”

Brano tratto dal libro “Il canto del Grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Non bere quando devi guidare

Non bere quando devi guidare

Mamma… sono uscita con amici.
Sono andata ad una festa e mi sono ricordata quello che mi avevi detto:
di non bere alcolici.
Mi hai chiesto di non bere visto che dovevo guidare, cosi ho bevuto una Sprite.
Mi sono sentita orgogliosa di me stessa, anche per aver ascoltato il modo in cui, dolcemente, mi hai suggerito di non bere se dovevo guidare, al contrario di quello che mi dicono alcuni amici.
Ho fatto una scelta sana ed il tuo consiglio è stato giusto.
Quando la festa è finita, la gente ha iniziato a guidare senza essere in condizioni di farlo.
Io ho preso la mia macchina con la certezza che ero sobria.

Non potevo immaginare, mamma, ciò che mi aspettava…

Qualcosa di inaspettato!
Ora sono qui sdraiata sull’asfalto e sento un poliziotto che dice:
“Il ragazzo che ha provocato l’incidente era ubriaco!”
Mamma, la sua voce sembra così lontana…
Il mio sangue è sparso dappertutto e sto cercando, con tutte le mie forze, di non piangere.
Posso sentire i medici che dicono:

“Questa ragazza non ce la farà!”

Sono certa che il ragazzo alla guida dell’altra macchina non se lo immaginava neanche, mentre andava a tutta velocità.
Alla fine lui ha deciso di bere ed io adesso devo morire…
Perché le persone fanno tutto questo, mamma?
Sapendo che distruggeranno delle vite?
Il dolore è come se mi pugnalasse con un centinaio di coltelli contemporaneamente.
Dì a mia sorella di non spaventarsi, mamma, dì a papà di essere forte.
Qualcuno doveva dire a quel ragazzo che non si deve bere e guidare…

Forse, se i suoi glielo avessero detto, io adesso sarei viva…

La mia respirazione si fa sempre più debole e incomincio ad avere veramente paura…
Questi sono i miei ultimi momenti, e mi sento cosi disperata…
Mi piacerebbe poterti abbracciare mamma, mentre sono sdraiata, qui, morente.
Mi piacerebbe dirti che ti voglio bene per questo…
Ti voglio bene e…. addio”

Queste parole sono state scritte da un giornalista che era presente su una scena di un incidente.
La ragazza, mentre moriva, sussurrava queste parole ed il giornalista scriveva… scioccato.
Questo giornalista ha iniziato subito dopo una campagna contro la guida in stato di ebbrezza.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Lettera di un anziano padre al figlio

Lettera di un anziano padre al figlio

Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza con me:
ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnarti queste cose.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere.

Ascoltami.

Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare.
Ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico.
Ho speso molta pazienza per insegnarti l’ABC e le prime addizioni.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non ti innervosire:

la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere lì con te ed averti davanti a me mentre mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso.
Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti.
Un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo.

Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.
Aiutami a camminare, aiutami ad arrivare alla fine dei miei giorni con amore, affetto e pazienza.
In cambio io ti darò sorrisi e l’immenso amore che ho sempre avuto per te.
Ti amo, figlio mio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Segui Gesù come Maria

Segui Gesù come Maria

Una notte ho fatto un sogno splendido.
Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell’aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo.
Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro.
La gente camminava su quella strada a piedi scalzi.
I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti.

Le persone però non desistevano:

volevano arrivare in cielo.
Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso.
Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù ché avanzava.
Era anche lui a piedi scalzi.
Camminava lentamente, ma in modo risoluto.

E neppure una volta si ferì i piedi.

Gesù saliva e saliva.
Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato.
Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire.
Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava.
Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma.
Maria camminava ancora più veloce di Gesù.

Sapete perché?

Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù.
Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra.
Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei.
Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo.
Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il cigno e la rana vanitosa

Il cigno e la rana vanitosa

C’era una volta, in un verde stagno, una verde ranocchia convinta di essere l’animale più bello tra tutti gli animali.
Tutto il giorno stava a pavoneggiarsi e gonfiava il petto orgogliosa del suo aspetto.
Un giorno nello stagno le si avvicinò un cigno, dal collo lungo e dalle piume candide come la neve.

La rana impertinente gli disse:

“Spostati! Che mi fai ombra e non riesco a vedere la mia suprema bellezza riflessa nello stagno!”
Il cigno, un po’ perplesso si spostò un po’ più in là e si mise ad osservare cosa faceva la ranocchia.
Questa stava tutto il tempo a rimirare la sua immagine riflessa nell’acqua e a dire:
“Sono bella, sono bellissima, sono la più bella creatura del creato, e sono verde, verdissima, la più verde delle creature e guarda come si gonfia il mio petto!”

Il cigno davvero incredulo le si avvicinò un’altra volta e le chiese con molta cortesia:

“Scusami rana, ma credo che tu stia un pochino esagerando; certo sei bella tra le rane, ma di sicuro non sei la più bella tra le creature del creato.”
La rana indispettita sfidò il cigno:
“Credi questo?
Pensi di essere più bello di me?
Allora faremo una gara di bellezza e vedremo chi è il più bello tra noi due!”
Il cigno cercò in ogni modo di rifiutare, persino chiese scusa alla rana, certo non intendeva offenderla, ma tanto insistette la creatura vanitosa che al fine il cigno cedette.
Così chiamarono a raccolta tutti gli animali dello stagno e d iniziarono ad interrogarli:

“Chi è il più bello tra noi due?”

Naturalmente tutti dicevano che più bello era il cigno, ma la rana non potendo accettare la sconfitta continuava a gonfiare il petto, credendo di apparire più bella.
Si gonfiò tanto, ma tanto che alla fine esplose!
Il cigno che era buono e che mai avrebbe voluto concludere a quel modo la gara decise allora di seppellire il povero animale straziato e sulla sua tomba scrisse:
“Qui giace la rana più bella che io abbia mai visto.”

Brano tratto dal libro “40 Racconti di Animali.” Edizione Rusconi Libri.

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna una volta erano buone amiche, spesso passavano insieme del tempo.
Un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo,

le servì della minestra in una scodella poco profonda:

la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era più affamata di prima.
“Mi dispiace,” disse la volpe ghignando tra i denti, “la minestra non è di tuo gradimento?”

“Oh, non ti preoccupare:

spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me.” rispose la cicogna.
Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna.
Sedettero a tavola, mai i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso:

tutto ciò che poté fare fu leccare l’esterno del vaso,

mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e mangiava con gran gusto:
“Non ti piace, cara, ciò che ho preparato?”
Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.

Favola di Esopo