La bicicletta gialla

La bicicletta gialla

Andrea aveva un solo grande desiderio:
una bicicletta.
Una bicicletta gialla super-accessoriata che aveva visto in una vetrina della città.

Non se la poteva più togliere dalla mente.

Vedeva la bicicletta gialla nei sogni, nel caffelatte, nella figura di Carlo Magno che c’era sul libro di scuola.
Ma la mamma di Andrea aveva tante cose da pagare ancora e le spese aumentavano ogni giorno.
Non poteva certo comprare una bicicletta costosa come quella sognata da Andrea.
Andrea conosceva le difficoltà della mamma e così decise di chiedere la bicicletta direttamente a Dio.
Per Natale.
Tutte le sere Andrea cominciò ad aggiungere una frase alle sue preghiere:
“Ricordati di farmi avere la bicicletta gialla per Natale. Amen.”
Ogni sera la mamma sentiva Andrea pregare per ottenere la bicicletta gialla e

ogni sera scuoteva tristemente la testa.

La mamma sapeva che Natale sarebbe stato un giorno ben doloroso per Andrea.
Non ci sarebbe stata la bicicletta e il bambino ne sarebbe stato mortalmente deluso.
Venne il giorno di Natale e naturalmente Andrea non ricevette nessuna bicicletta.
Alla sera, il bambino si inginocchiò come al solito accanto al lettino per dire le preghiere.
“Andrea,” gli disse dolcemente la mamma, “penso che sarai scontento, perché non hai ricevuto la bicicletta per Natale.
Spero che tu non sia arrabbiato con Dio, perché non ha risposto alle tue preghiere!”

Andrea guardò la mamma:

“Oh no, mamma.
Io non sono arrabbiato con Dio.
Ha risposto alle mie preghiere.”
Dio ha detto: “No!”

Brano tratto dal libro “Cerchi dell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il gelso, il bruco e la farfalla

Il gelso, il bruco e la farfalla

C’era una volta un gelso centenario, pieno di rughe e di saggezza, che ospitava una colonia di piccoli bruchi.
Erano bruchi onesti, laboriosi, di poche pretese.
Mangiavano, dormivano e, salvo qualche capatina al bar del penultimo ramo a destra, non facevano chiasso.
La vita scorreva monotona, ma serena e tranquilla.
Faceva eccezione il periodo delle elezioni, durante il quale i bruchi si scaldavano un po’ per le insanabili divergenze tra la destra, la sinistra e il centro.
I bruchi di destra sostenevano che si comincia a mangiare la foglia da destra, i bruchi di sinistra sostenevano il contrario, quelli di centro cominciano a mangiare dove capita.
Alle foglie naturalmente nessuno chiedeva mai un parere.
Tutti trovavano naturale che fossero fatte per essere rosicchiate.
Il buon vecchio gelso nutriva tutti e passava il tempo sonnecchiando, cullato dal rumore delle instancabili mandibole dei suoi ospiti.
Bruco Giovanni era tra tutti il più curioso, quello che con maggiore frequenza si fermava a parlare con il vecchio e saggio gelso.
“Sei veramente fortunato, vecchio mio!” diceva Giovanni al gelso, “Te ne stai tranquillo in ogni caso.
Sai che dopo l’estate verrà l’autunno, poi l’inverno, poi tutto ricomincerà.

Per noi la vita è così breve.

Un lampo, un rapido schioccar di mandibole e tutto è finito!”
Il gelso rideva e rideva, tossicchiando un po’:
“Giovanni, Giovanni, ti ho spiegato mille volte che non finirà così!
Diventerai una creatura stupenda, invidiata da tutti, ammirata…”
Giovanni agitava il testone e brontolava:
“Non la smetti mai di prendermi in giro.
Lo so bene che noi bruchi siamo detestati da tutti.
Facciamo ribrezzo.
Nessun poeta ci ha mai dedicato una poesia.
Tutto quello che dobbiamo fare è mangiare e ingrassare.
E basta!”
“Ma Giovanni,” chiese una volta il gelso, “tu non sogni mai?”
Il bruco arrossì.
“Qualche volta.” rispose timidamente.
“E che cosa sogni?” domandò il vecchio gelso.
“Gli angeli,” disse il bruco, “creature che volano, in un mondo stupendo.”
“E nel sogno sei uno di quelli?” continuò il saggio gelso.
“…Sì.” mormorò con un fil di voce il bruco Giovanni, arrossendo di nuovo.

Ancora una volta, il gelso scoppiò a ridere.

“Giovanni, voi bruchi siete le uniche creature i cui sogni si avverano e non ci credete!” esclamò il vecchio albero.
Qualche volta, il bruco Giovanni ne parlava con gli amici.
“Chi ti mette queste idee in testa?” brontolava Pierbruco, “Il tempo vola, non c’è niente dopo!
Niente di niente.
Si vive una volta sola:
mangia, bevi e divertiti più che puoi!”
“Ma il gelso dice che ci trasformeremo in bellissimi esseri alati…” replicò Giovanni.
“Stupidaggini.
Inventano di tutto per farci stare buoni!” rispondeva l’amico.
Giovanni scrollava la testa e ricominciava a mangiare:
“Presto tutto finirà… scrunch… Non c’è niente dopo… scrunch… Certo, io mangio… scrunch … bevo e mi diverto più che posso… scrunch … ma … scrunch … non sono felice… scrunch…
I sogni resteranno sempre sogni.
Non diventeranno mai realtà.
Sono solo illusioni!” bofonchiava, lavorando di mandibole.
Ben presto i tiepidi raggi del sole autunnale cominciarono ad illuminare tanti piccoli bozzoli bianchi tondeggianti sparsi qua e là sulle foglie del vecchio gelso.
Un mattino, anche Giovanni, spostandosi con estrema lentezza, come in preda ad un invincibile torpore, si rivolse al gelso:
“Sono venuto a salutarti.

È la fine.

Guarda sono l’ultimo.
Ci sono solo tombe in giro.
E ora devo costruirmi la mia!”
“Finalmente!
Potrò far ricrescere un po’ di foglie!
Ho già incominciato a godermi il silenzio!
Mi avete praticamente spogliato!
Arrivederci, Giovanni!” sorrise il gelso.
“Ti sbagli gelso.
Questo… sigh … è… è un addio, amico!” disse il bruco con il cuore gonfio di tristezza, “Un vero addio.
I sogni non si avverano mai, resteranno sempre e solo sogni. Sigh!”
Lentamente, Giovanni cominciò a farsi un bozzolo.
“Oh!” ribatté il gelso, “Vedrai!”
E cominciò a cullare i bianchi bozzoli appesi ai suoi rami.
A primavera, una bellissima farfalla dalle ali rosse e gialle volava leggera intorno al gelso:
“Ehi, gelso, cosa fai di bello?
Non sei felice per questo sole di primavera?”

“Ciao Giovanni!

Hai visto, che avevo ragione io?” sorrise il vecchio albero, “O ti sei già dimenticato di come eri poco tempo fa?”

Parlare di risurrezione agli uomini è proprio come parlare di farfalle ai bruchi.
Molti uomini del nostro tempo pensano e vivono come i bruchi.
Mangiano, bevono e si divertono più che possono: dopotutto non si vive una volta sola?
Nulla di male, sia ben chiaro.
Ma la loro vita è tutta qui.
Per loro, la parola risurrezione non significa nulla.
Eppure non sono felici!

Brano di Bruno Ferrero

L’aureola le sta troppo stretta

L’aureola le sta troppo stretta

Un uomo andò dal medico e gli disse:
“Dottore, ho un terribile mal di testa che non mi abbandona un istante.
Mi potrebbe dare qualche cosa per farmelo passare?”
“Certamente,” rispose il dottore, “ma prima ho bisogno di sapere da lei alcune cose!

Mi dica, beve molti liquori?”

“Liquori?” esclamò l’uomo indignato, “Non bevo mai quelle schifezze!”
“E fuma?” domandò il dottore.
“Trovo il fumo disgustoso!” replicò l’uomo, “Non ho mai toccato il tabacco in vita mia!”
“Sono un po’ imbarazzato nel farle questa domanda, ma… sa come sono certi uomini… le capita di avere qualche avventura notturna?” chiese ancora il dottore.

“Naturalmente no.

Per chi mi prende?
Vado a dormire tutte le sere alle dieci al massimo!” rispose l’uomo.
“Mi dica,” proseguì il dottore, “questo dolore che sente alla testa è come una fitta acuta e lancinante?”
“Sì!” esclamò l’uomo, “È proprio così, una fitta acuta e lancinante!”

“Molto semplice, mio caro signore!”

spiegò allora il dottore, “Il suo problema è che l’aureola le sta troppo stretta.
Non c’è che da allentarla un po’!”

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

Il ritorno della memoria

Il ritorno della memoria

Un contadino facendo grandi sacrifici riuscì a mandare il suo unico figlio a studiare in una lontana città.
Il ragazzo, dopo alcuni anni, tornò con fare e modi fin troppo urbani, ignorando volutamente usi, costumi e termini agricoli.
Un giorno il padre lo invitò a collaborare all’orto di casa, ma alla richiesta di prendere zappa e vanga si sentì rispondere cosa fossero,

esasperando così il padre.

Lo studente, mentre stava aiutando il padre, calpestò in maniera maldestra il rastrello e questo in automatico si alzò.
Il ragazzo venne colpito dal manico del rastrello sulla fronte, provocandosi un evidente ematoma che gli fece imprecare:

“Maledetto rastrello!”

Il padre replicò felice:
“Mi dispiace molto per la botta in testa, ma mi rallegro perché in questo modo ti è tornata la memoria!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Per tutte le volte che…

Per tutte le volte che…

… indossi un sorriso che vero sorriso non è.
… ti addormenti sentendo la mancanza di qualcuno/a.
… perdoni e sai che non dovresti.

… chiedi scusa e non è neanche colpa tua.

… hai bagnato il cuscino di lacrime.
… con un nodo in gola vai avanti a testa alta.
… che hai fatto finta di niente ma dentro morivi.
… ti guardi allo specchio e vedi una persona stupenda ma non te ne accorgi.

… alla domanda “che hai?” hai risposto il solito “niente” quando in realtà stavi per scoppiare.

… ti senti fragile e ti dici che non riesci ad andare avanti ma poi ti trovi sempre un nuovo giorno davanti.
… rimani te stessa/o quando tutti ti criticano.
… ti senti una nullità ma subito dopo trovi un fottuto motivo per cambiare idea.
… hai detto “adesso basta” e basta non era mai.

… rimani quando tutti se ne vanno.

Per tutte le volte, quelle volte in cui avresti voluto andartene, scappare lontano da tutto e tutti e cancellare il passato.
Apri gli occhi, non lo vedi quanto sei forte?
Non vedi quanta meraviglia sei?

Brano senza Autore, tratto dal Web

La ricerca della Pace

La ricerca della Pace

C’era una volta un tale che si mise in viaggio per trovare cosa fosse la pace.
Ogni giorno faceva chilometri e chilometri, domandando a tutti cosa fosse la pace.
Ma nessuno sapeva dargli una risposta.
Qualcuno diceva:
“La pace?
È non avere pensieri per la testa, non pensare a qualcun’altro!”
“Eh, la pace! È avere la pancia piena!”
“La pace è non avere importuni tra i piedi come te…
e quindi lasciami in pace e prosegui il tuo cammino.”
Nessuno sapeva dirgli proprio cos’era la pace.
Quando camminava di notte gli sembrava che quel silenzio, quell’oscurità, quella luna, quelle stelle, gli parlassero di pace; ma poi si ricordava degli uomini e subito il suo cuore si riempiva di tristezza, e il senso di pace svaniva specialmente quando a qualche fattoria nemmeno poteva avvicinarsi per chiedere ospitalità, perché c’erano a guardia grossi cani che gli mettevano paura.

Che strano!

Gli uomini avevano bisogno di grossi cani per stare in pace alla notte.
Un giorno attraversando il giardino di una città, dove c’erano tanti bambini che giocavano, sentì una voce che gli fece venire il batticuore:
“Su, da bravi, fate la pace!”
Era una nonnina che invitava due fratellini, che avevano appena litigato, a perdonarsi.
Andò verso l’anziana per farle la solita domanda.
Ma ella non seppe dirgli altroche la pace, la si fa dopo che si è litigato.
Il viandante ringraziò, ma non rimase soddisfatto:
possibile, che per avere la pace sia necessario prima litigare? (diceva tra sé proseguendo il suo cammino di ricerca)
Un altro giorno passando davanti a una casetta sentì una povera donna gridare:
“Ma qui non c’è un attimo di pace!”
Quella persona, forse sapeva cos’era la pace: bussò ed entrò.
Trovò una mamma con tre bambini, uno più vispo dell’altro.

Le fece la domanda e la donna:

“La pace? Credo ci sarà in questa casa quando questi bambini saranno obbedienti, calmi, ordinati…”
Non aveva ancora terminato le parole che, per incanto i bambini diventarono come delle statuine, calmissimi; se domandavi loro qualcosa correvano ad eseguire la consegna e poi tornavano a sedersi immobili con le braccia conserte.
Il viandante, dai ringraziamenti della donna, credette finalmente trovato cosa fosse la pace.
Chiese di poter alloggiare da loro.
Passò qualche giorno e finì per stancarsi.
Non poteva essere quella la pace.
Tutto a bacchetta!
No, quella non poteva essere la pace.
Bambini come macchine!
Tutto in ordine!
Ma quale tristezza in quella casa.
Una sera se ne andò anche di là, sempre più deluso…
Passarono alcuni giorni.
Era seduto sul ciglio della strada, quando si sentì chiamare:
“Nonno, nonno!” si voltò e vide venire verso di lui un bambino.
“Nonno cosa fai?

Quanti anni hai?

Sei stanco?
Perché sei così sporco?
Vuoi giocare con me?
Perché non vieni a casa mia?”
Il povero viandante sulle prime non rispose, quasi infastidito dalle tante domande…
Poi, piano piano si lasciò coinvolgere, si sciolse di fronte all’insistenza del bambino e cominciò a parlare e persino a tentare anche a giocare con il pallone colorato che il bambino teneva in mano e gli offriva.
I suoi movimenti impacciati facevano ridere, ma il bambino era felice.
“Nonno, nonno!” continuava a ripetere.
Intrattenendosi con quel bambino dimenticò il problema della pace e anche tutti i suoi guai e per un po’ fu “in pace” felice e contento.
Ricordò a lungo quei momenti, le risate del bimbo gli rimasero stampate nell’anima.
“Non occorre essere ricchi o potenti per essere in pace, andava ripetendosi, basterebbe essere come i bambini; invece vogliamo a tutti i costi essere furbi e adulti e non troviamo più pace!”
Non cercò più la pace: da allora incominciò a donarla come un bambino e la vita cominciò a sorridergli come non gli era mai accaduto.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Quando ero ragazzina, mia madre mi chiese quale fosse la parte più importante del corpo.
Mi piaceva moltissimo ascoltare musica, come ai miei amici del resto.
Sul momento pensai che l’udito fosse molto importante per gli esseri umani, così risposi:

“Le orecchie.”

“Alcune persone sono sorde, eppure vivono felicemente!” rispose mia madre.
Dopo qualche tempo, mia madre mi rifece la stessa domanda:
“Qual è la parte più importante del corpo umano?”
Io intanto ci avevo pensato e credevo di avere la risposta giusta:
“Vedere è meraviglioso ed è molto importante per tutti, quindi… gli occhi.”
Lei mi guardò e disse:

“Molti sono ciechi e se la cavano benissimo!”

Pensavo che fosse solo una specie di gioco tra me e mia madre.
Poi però un giorno, tristissimo per me, morì mio nonno.
Era una persona molto importante per me.
L’amavo tantissimo.
Ero distrutta dal dolore.
Quel giorno mia madre mi disse:
“Oggi è il giorno giusto perché tu possa capire la risposta alla domanda.
La parte più importante del corpo sono le spalle!”
Sorpresa, dissi:

“Perché sostengono la testa?”

“No!” rispose mia madre, “Perché su di esse possono appoggiare la testa gli amici o le persone care quando piangono.
Tutti abbiamo bisogno di una spalla su cui piangere in alcuni momenti della nostra vita.”
Quella volta scoprii quale fosse la parte più importante del mio corpo, perché in quel momento, quella che aveva bisogno di una spalla su cui piangere ero io.

Brano senza Autore

Il nibbio e il serpente


Il nibbio e il serpente

In una calda giornata primaverile, un giovane serpente strisciava sereno tra le pietre godendosi i raggi solari.
L’aria era tiepida e carica di un buon profumo floreale, ogni animale si sentiva in pace in quel clima piacevole.
Il piccolo serpente si muoveva piano nel prato quando all’improvviso una spaventosa ombra si proiettò sul suo cammino.

L’animale preoccupato alzò la testa per guardare da dove provenisse la macchia scura e scoprì che un terribile nibbio stava puntando dritto dritto su di lui!

Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco.
Il serpente fu sollevato in cielo da rapace, il quale, senza pietà per le sue grida, volò via il più velocemente possibile.
“Lasciami andare!” implorava lo sfortunato rettile, “Non ti ho fatto niente!”

Ma il nibbio non gli prestò ascoltò.

A quel punto il piccolo serpente si rivoltò su se stesso e con un’abile mossa diede un morso al suo nemico.
Il volatile fu colpito dal veleno della sua preda e fu costretto ad aprire il becco liberando il serpente, che cadde a terra, senza però farsi male.
Il nibbio rimase con la vista annebbiata e, senza più forze a causa del morso velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite.

Il serpente si avvicinò al nibbio, ancora stordito, e gli disse:

“Ben ti sta! Io non volevo farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!”
Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare ma, da allora, si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti.

Brano di Esopo

La sedia vuota


La sedia vuota

Un uomo anziano si era ammalato gravemente.
Il suo parroco andò a visitarlo a casa.
Appena entrò nella stanza del malato, il parroco notò una sedia vuota, sistemata in una strana posizione accanto al letto su cui riposava l’anziano e gli domandò a cosa gli servisse.

L’uomo gli rispose, sorridendo debolmente:

“Immagino che ci sia Gesù seduto su quella sedia, e prima che lei arrivasse gli stavo parlando.
Per anni avevo trovato estremamente difficile la preghiera, finché un amico mi spiegò che la preghiera consiste nel parlare con Gesù.

Così ora immagino Gesù seduto su una sedia di fronte a me e gli parlo e ascolto cosa dice in risposta.

Da allora non ho più avuto difficoltà nel pregare.”
Qualche giorno dopo, la figlia dell’anziano signore si presentò in canonica per informare il parroco che suo padre era morto.

Disse:

“L’ho lasciato solo per un paio d’ore.
Quando sono tornata nella stanza l’ho trovato morto con la testa appoggiata sulla sedia vuota che voleva sempre accanto al suo letto.”

Brano tratto dal libro “Il libro della saggezza interiore. 99 storie intorno all’uomo.” di Piero Gribaudi