La ragazza ed il barbone

La ragazza ed il barbone

Un giorno, mentre passeggiava per strada, una ragazza notò un barbone che cantava in cambio di qualche monetina.
Non ci fece troppo caso ed entrò in una caffetteria.
Qualche minuto dopo aver presto posto ed aver ordinato, vide entrare il barbone.
Questi iniziò a contare le monetine, vicino a lei, ma con le offerte ricevute aveva raccolto solo poco più di un euro.

Titubante e deluso si avviò verso l’uscita,

ma la ragazza, avendo assistito a tutta la scena, impulsivamente, decise di offrigli un caffè ed un bel panino.
Il barbone indeciso se accettare o meno si convinse solamente quando la stessa ragazza lo invitò al suo tavolo.
Nonostante fosse rimasto sorpreso e combattuto dalla proposta si sedersi con lei, alla fine la raggiunse.
Iniziarono a parlare ed il barbone le fece diverse confidenze.
Le raccontò che la maggior parte delle volte le persone erano cattive nei suoi confronti,

solo per il fatto che vivesse per strada.

Le ammise anche che furono le droghe a farlo finire per la strada e che per questo si odiava.
Lui continuava a sognare di essere il figlio del quale la propria madre possa essere orgogliosa, nonostante la donna fosse morta per un tumore diversi anni prima.
I due parlarono per più di un’ora, ma ad un certo punto la ragazza si rese conto che il tempo era trascorso in fretta e che si era fatto molto tardi.
Nel momento in cui la ragazza stava per alzarsi, il barbone le chiese di aspettare solo un momento e si mise a scrivere qualcosa su un foglietto tutto spiegazzato.
Le diede il foglio di carta in mano e le chiese scusa per la sua brutta lettera, poi si salutarono.
Quando la ragazza aprì il biglietto capì di aver fatto qualcosa di molto più importante che offrire un semplice pasto ad un mendicante.

Sul foglietto c’era scritto:

“Mi sarei voluto suicidare oggi, ma grazie a te non lo voglio più fare.
Grazie bella persona.”
A volte un gesto generoso o solamente un sorriso possono fare la differenza, più di quanto possiamo immaginare.

Storia vera, liberamente ispirata al racconto autobiografico di Casey Fisher

Il cappellino

Il cappellino

“Se non me lo lasci fare non potrò andare a scuola!
Mi vergognerei troppo…
È terribilmente importante, mamma!”
Elena scoppiò a piangere.
Era la sua arma più efficace.
“Uffa, fa’ come vuoi…” brontolò la madre, sbattendo il cucchiaino nel lavello, “Sembrerai un mostro. Peggio per te!”
In altre 23 famiglie stava avvenendo una scenetta più o meno simile.
Erano i ragazzi della Seconda B della Scuola Media “Carlo Alberto di Savoia.”
Per quel giorno avevano preso una decisione importante.

Ma gli allievi della Seconda B erano 25.

In effetti, solo nella venticinquesima famiglia, le cose stavano andando in un modo diverso. Elisabetta era un concentrato di apprensione, la mamma e il papà cercavano di incoraggiarla.
Era la quindicesima volta che la ragazzina correva a guardarsi allo specchio.
“Mi prenderanno in giro, lo so.
Pensa a Marisa che non mi sopporta o a Paolo che mi chiama canna da pesca!
Non aspetteranno altro!”
Grossi lacrimoni salati ricominciarono a scorrere sulle guance della ragazzina.
Cercò di sistemarsi il cappellino sportivo che le stava un po’ largo.
Il papà la guardò con la sua aria tranquilla:
“Coraggio Elisabetta.

Ti ricresceranno presto.

Stai reagendo molto bene alla cura e fra qualche mese starai benissimo!”
“Sì, ma guarda!” Elisabetta indicò con aria affranta la sua testa che si rifletteva nello specchio, lucida e rosea.
La cura contro il tumore che l’aveva colpita due mesi prima le aveva fatto cadere tutti i capelli.
La mamma la abbracciò:
“Forza Elisabetta!
Si abitueranno presto, vedrai…”
Elisabetta tirò su con il naso, si infilò il cappellino, prese lo zainetto e si avviò.
Davanti alla porta della Seconda B, il cuore le martellava forte.

Chiuse gli occhi ed entrò.

Quando riaprì gli occhi per cercare il suo banco, vide qualcosa di strano.
Tutti, ma proprio tutti, i suoi compagni avevano un cappellino in testa!
Si voltarono verso di lei e sorridendo si tolsero il cappello esclamando:
“Bentornata Elisabetta!”
Erano tutti rasati a zero, anche Marisa così fiera dei suoi riccioli, anche Paolo, anche Elena e Giangi e Francesca…
Tutti!
Ma proprio tutti!
Si alzarono e abbracciarono Elisabetta che non sapeva se piangere o ridere e mormorava soltanto: “Grazie…”
Dalla cattedra, sorrideva anche il professor Donati, che non si era rasato i capelli, semplicemente perché era pelato di suo e aveva la testa come una palla da biliardo.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero