Il furto (La lezione di un padre al figlio)


Il furto
(La lezione di un padre al figlio)

C’era una volta un ragazzo che aveva rubato.
La cosa si era risaputa e il ragazzo temeva la reazione del padre, uomo onesto e stimato da tutti.

Quella sera in casa l’aria era pesante.

Dopo la cena rimasero soltanto padre e figlio.
Il ragazzo aveva paura e aspettava.
Il padre non aveva parlato per tutta la sera.

Improvvisamente il padre si alzò e andò presso il camino.

Impugnò decisamente uno dei ferri che servivano per attizzare il fuoco.
Il ferro era acuminato e rovente.
Senza dire una parola si diresse verso il tavolo.
Spaventato, il ragazzo lo guardava con gli occhi dilatati.

Il padre arrivò davanti al figlio,

posò la propria mano sinistra sul tavolo e poi la trapassò con il ferro.
Senza dire una parola.
Per tutta la vita, quel ragazzo non rubò mai più.

Brano senza Autore

Guarda Pin-hua sull’albero

Guarda Pin-hua sull’albero

C’era una volta un uomo che non sapeva far nulla.
A qualunque lavoro si dedicasse, non combinava che disastri.
C’erano da raccogliere i fichi?
Il cesto di Pin-hua (era questo il suo nome) si rovesciava, quando non era lui stesso a cadere dall’albero.
C’era da andare per legna?
I rami che raccattava Pin-hua erano o marci o ancor verdi, quando non si trattava di qualche insonnolito serpente.

Da intagliare il tek?

Alla larga da Pin-hua, poiché lo scalpello gli s’imbizzarriva in mano e non si sapeva dove andasse a colpire.
Pin-hua, insomma, con la sua inettitudine, era un pericolo non solo per sé ma per tutti; ed egli, che non era uno stupido, era il primo a soffrire di questa situazione.
Stava un giorno seduto sotto l’albero sacro del villaggio, quando gli si avvicinò un monaco:
“A che stai pensando?” gli chiese.
“Al fatto che non so far nulla!” rispose.
“Perché ti preoccupi?” gli disse il monaco, “Se non sai far nulla, fallo bene!”
Allora Pin-hua prese una canna e andò a pescare sul molo.
Naturalmente non prese un sol pesce, perché ruppe subito l’amo.
In compenso, meditò a fondo le parole del monaco e prese la sua decisione.

La notte, si arrampicò sull’albero sacro.

Non ne sarebbe mai più disceso.
La gente, un po’ lo compianse, un po’ ne rise, un po’ si preoccupò:
e se si fosse messo a pregare, che guai avrebbe combinato?
Ma Pin-hua non combinò più alcun guaio:
si limitò ad esserci, nel villaggio.
E poco alla volta la gente cominciò a sentire il beneficio di quella presenza.
“Perché te la prendi tanto?” si diceva a chi si affannava oltre misura, “Guarda Pin-hua sull’albero:
non fa nulla eppure trova sempre chi gli offre una ciotola di riso.”
“Perché litigate tra voi?” si diceva a chi si odiava per un palmo di terra, “Guardate Pin-hua sull’albero:

non ha nulla eppure canta dal mattino alla sera.”

“Perché ti arrabbi coi figli?” diceva la moglie al marito, “Guarda Pin-hua sull’albero:
le formiche lo tormentano persino nel sonno, eppure l’hai mai sentito lagnarsi?”
Ma, soprattutto, quando qualcuno faceva male qualcosa, gli si diceva:
“Perché tanta negligenza?
Guarda Pin-hua sull’albero:
non fa niente, ma lo fa bene.”

Brano senza autore

Tonto Zuccone, gli inizi

Tonto Zuccone, gli inizi
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Difetto di conio

I fiammiferi

La cesta

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“Difetto di conio”

 

Diversi anni fa, quando era ancora un ragazzino, Tonto Zuccone tornò a casa da sua mamma piangendo.
I suoi compagni lo avevano escluso dai giochi poiché non riusciva a capire le regole.
La mamma lo prese in braccio e, dopo avergli dato una carezza, gli disse:
“Tonto, figlio mio caro, tu sei come una moneta con un difetto di conio, quelle che i collezionisti cercano e pagano molto, oltre che per il suo valore nominale per la rarità.
Tu sei, per questo, motivo di grande ed inestimabile valore per i tuoi genitori e per i tuoi veri amici.
Voglia il cielo che un giorno, con grande sforzo e fortuna, anche tu riesca a capire tutto ciò e non ti senta inferiore a nessuno.”

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“I fiammiferi”

 

Qualche mese dopo le rassicurazioni della mamma, Tonto era stato mandato da lei a comperare, nel vicino negozio, i fiammiferi, con la raccomandazione che fossero buoni.
Tonto una volta comprati, strada facendo li accese tutti, uno alla volta, per accertarsi che fossero tutti buoni, come da raccomandazione della mamma.
Alla madre, stupefatta, Tonto consegnò la scatola vuota dicendole:
“Sono contento perché i fiammiferi che ho comprato per te erano tutti buoni e si sono accesi al primo strofinamento!”

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“La cesta”

 

Tonto Zuccone non voleva più andare al pozzo a prendere l’acqua per le esigenze di casa poiché, ogni volta, tornava sudato ed affaticato.
I suoi genitori gli dissero che questo accadeva poiché prendeva sempre il secchio più grande e pesante, mentre in casa abbondavano anche contenitori più leggeri.
Tonto ritornò al pozzo facendo tesoro del suggerimento dei famigliari e si servì del contenitore che gli parve più leggero.
Al ritorno a casa, però, con il nuovo contenitore di acqua non riuscì a portarne a destinazione nemmeno una goccia siccome quella che aveva preso era una cesta di vimini che, ovviamente, non tratteneva l’acqua.
Tonto non smentì se stesso chiedendo ai genitori, meravigliato, il motivo del perché strada facendo il peso e la fatica diventassero più leggeri, contrariamente a ciò che accadeva in passato.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Il monaco ed il topolino

Il monaco ed il topolino

Tanti anni fa, in una piccola città scoppiò una grave carestia.
Non si trovava più cibo da nessuna parte.
Tutti gli abitanti, da i ricchi signori ai poveri contadini, erano stremati, deboli ed affamati.
Un giorno, un monaco di nome Cadog arrivò a visitare la città.
Cadog era buono, gentile e cordiale.
Amava sinceramente Dio e tutte le sue creature.
Gli piaceva molto leggere, studiare, scrivere e imparare.
E ogni giorno aveva un visitatore, un minuscolo visitatore, con dei magnifici baffi grigi, il naso a punta e una lunga coda rosa.
Saliva sul tavolo di Cadog, scorrazzava in mezzo ai suoi libri, si infilava tra le penne d’oca che gli servivano per scrivere.

Ma Cadog non se ne preoccupava.

Neanche un pò.
Gli piaceva il topolino e non lo cacciava via come facevano tutti gli altri in città, che davano la caccia ai topi e li uccidevano ritenendoli la causa della carestia.
E forse fu per questo che, un giorno, il topolino arrivò con un regalo.
Sette chicchi dorati
Si arrampicò sul tavolo di Cadog, si infilò tra le sue penne d’oca e, nel bel mezzo dei libri del monaco, lasciò cadere un chicco di grano!
“Grazie, amico mio.” disse Cadog al topolino.
Il topo si sedette, fece un grazioso inchino e squittì, come per dire:
“Non si va mai da un amico a mani vuote.”
Mezz’ora dopo, il topolino ritornò con un altro chicco di grano e di nuovo gentilmente Cadog lo ringraziò.

Il topolino ritornò una terza volta.

Poi una quarta.
E una quinta.
E una sesta volta.
Quando alla fine ci furono sette chicchi di grano sul suo libro, Cadog ebbe un’idea.
Prese un filo di seta rossa e con molta attenzione ne legò l’estremità a una zampa del topolino.
“Non ti disturberà più di tanto,” promise il buon monaco, “e potrà fare un mondo di bene.”
Lasciò andare il topolino, guardando bene da che parte andava.
Il topolino correva molto più velocemente di Cadog, ma il monaco poteva seguire il filo di seta che si srotolava attraverso muri, giardini, boschi, fino a un imponente ammasso di terra.
Il topolino si infilò in una stretta apertura.
Un’enorme quantità di grano.
Cadog corse a chiamare il suo maestro e insieme cominciarono a scavare.
Sepolte sotto la terra e detriti c’erano le rovine di un antico palazzo.
E sepolto nei capaci magazzini del palazzo c’era un’enorme quantità di grano!

Cadog e il maestro corsero ad annunciare la notizia ai loro amici.

E ben presto per tutta la città si sparse il fragrante profumo del pane appena sfornato.
Ora c’era nuovamente cibo per tutti, in attesa della nuova stagione!
Il giorno dopo, il topolino venne a trovare il suo amico, come sempre.
Si arrampicò sul tavolo di Cadog e si infilò tra le sue penne d’oca.
Appena si sedette nel bel mezzo del libro di Cadog, con garbo il monaco gli slegò il filo di seta dalla zampa.
“Grazie, amico mio!” disse, “Dio ti ha mandato da me per un motivo, che solo adesso capisco.
Il tuo acuto naso e le tue zampette hanno salvato l’intera città.”
Poi prese una pagnotta di pane fresco e croccante e lo mise davanti alla piccola creatura.
E il topolino e il monaco condivisero il cibo.
Mangiare insieme è un gesto di riconciliazione

Brano tratto dal libro “L’Eucaristia raccontata ai bambini.” di Bruno Ferrero e Anna Peiretti. Edizione ElleDiCi.

Il sogno (Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!)

Il sogno
(Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!)

Un uomo aveva l’abitudine di dire ogni domenica mattina a sua moglie:
“Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!”

Agli amici diceva:

“Non c’è bisogno che io vada in chiesa:
c’è mia moglie che va per tutti e due!”
Una notte quell’uomo fece un sogno.
Si trovava con sua moglie davanti alla porta del Paradiso e

aspettava per entrare.

Lentamente la porta si aprì e udì una voce che diceva alla moglie:
“Tu puoi entrare per tutti e due!”
La donna entrò e la porta si richiuse.

L’uomo ci rimase così male che si svegliò.

La più sorpresa fu sua moglie, la domenica dopo, quando all’ora della Messa si trovò accanto il marito che le disse:
“Oggi vengo in chiesa con te.”

Brano di Bruno Ferrero

Domani potrebbe essere troppo tardi!

Domani potrebbe essere troppo tardi!

Una volta, un discepolo domandò al suo maestro:
“Maestro, nella vita non hai mai avuto momenti in cui sei stato scontento di te?”

Il maestro rispose:

“Sette volte ho disprezzato la mia anima:
la prima volta quando, incontrando uno zoppo, si è messa, pure lei, a zoppicare;
la seconda volta quando, potendo scegliere tra la via difficile e quella facile, ha scelto la facile, credendo che fosse quella giusta;
la terza volta quando mentì e si scusò dicendo:

“Fan tutti così!”;

la quarta volta quando rifiutò di giocare, per paura di perdere;
la quinta volta quando, invece di avere il coraggio della propria opinione, ebbe il coraggio delle opinioni altrui;
la sesta volta quando scelse la muffa invece dell’avventura;

la settima volta quando

l’ho vista paurosa di raggiungere la vera felicità accontentandosi di una vita anonima!”

Domani potrebbe essere troppo tardi!
Il momento di agire è ora.

Storia Zen
Brano senza Autore

Avere gli occhi scuri

Avere gli occhi scuri

Emy era una bella bimba di tre anni…
Viveva in una cittadina americana sulla costa atlantica!
Amava la sua famiglia e ammirava gli occhi azzurri di suo padre, di sua madre e dei suoi fratelli.
Tutti in casa di Emy avevano occhi azzurri!
Tutti tranne Emy!
Il sogno di Emy era avere occhi azzurri come il mare, e li desiderava più di ogni altra cosa…
Un giorno udì la maestra dire:
“Dio risponde a tutte le preghiere!”
Emy trascorse tutto il giorno a pensarci…

A sera, andando a letto, s’inginocchiò e pregò:

“Papà del Cielo, grazie per aver creato il mare, che è bellissimo!
Grazie per la mia famiglia…
Grazie per la mia vita!
Mi piacciono moltissimo tutte le cose che hai fatto e quelle che stai facendo ma, vorrei chiederti, per favore, quando domattina mi sveglierò, potrei avere degli occhi azzurri come quelli di mamma?
Nel nome di Gesù, Amen!”
Appena sveglia, il giorno dopo, corse allo specchio!
Guardò…
Ma, i suoi occhi erano castano scuro, come sempre!

Perché Dio non l’aveva ascoltata?

Forse per rendere più forte la sua fede?
Quel giorno Emy si rese conto che anche un “No” era una risposta!
Nonostante tutto, la bambina conservò intatta la sua fiducia in Dio…
Diversi anni dopo, Emy partì come missionaria volontaria in India!
Il suo compito era “riscattare” i bambini che le famiglie più povere vendevano ai mercanti come “pezzi di ricambio” per i trapianti…
Però, per entrare nei “giri” del traffico senza essere riconosciuta come straniera, doveva travestirsi da indiana!
Passava polvere di caffè sulla pelle, tingeva i capelli, si vestiva con il “sari”, ed entrava, liberamente, nei luoghi di vendita dei bambini…
Poteva camminare, tranquilla, per tutto il “mercato infantile”, poiché sembrava, in tutto e per tutto, un’indiana!

Un giorno, una sua amica missionaria la guardò travestita e le disse:

“Oh, Emy!
Hai mai pensato a come avresti fatto a travestirti se avessi avuto gli occhi chiari come tutti quelli della tua famiglia?
Siamo proprio al servizio di un Dio intelligente!
Ti ha dato occhi molto scuri perché sapeva che sarebbero stati essenziali per la missione che ti avrebbe affidato nella vita!”

Brano senza Autore

La ragazza ed il mastelletto (Mastellina)

La ragazza ed il mastelletto (Mastellina)

Tanti, tanti anni fa, in un piccolo villaggio, vivevano un uomo e una donna.
Prima essi avevano abitato in una città, in un palazzo bello e ricco.
Ora invece vivevano poveramente in una misera capanna.
In tanta sfortuna, la loro unica consolazione era la figlia che avevano.
Sebbene ancor molto giovane, tutti l’ammiravano già per la sua straordinaria bellezza.
Ma, ahimé, prima che la ragazza fosse cresciuta, il padre morì e dopo pochi mesi anche la madre cadde gravemente malata.
“Che sarà di mia figlia, quando anch’io sarò morta?” ripeteva piangendo la donna, “È povera, e la sua bellezza sarà per lei soltanto un castigo.”
Quando la poverina sentì d’esser prossima a morire, chiamò a sé la ragazza, le raccomandò di essere buona e coraggiosa, e le disse di portarle il mastelletto di legno che stava dietro la porta.
La ragazza ubbidì e si inginocchiò accanto al letto della madre morente.
La donna alzò il mastelletto e lo mise in testa alla figlia in modo da nasconderle quasi completamente la faccia.
“Ora, figlia mia,” disse la donna, “promettimi di non toglierti mai di testa questo mastelletto.
Altrimenti, sarai molto infelice.”

La ragazza promise.

Morta che fu la madre, la ragazza campò come meglio poteva.
Lavorava sodo aiutando i contadini nei campi, e mai nessuno udì da lei una parola di lamento per quel che doveva fare.
La gente che la vedeva sempre col mastelletto in testa cominciò a chiamarla Mastellina.
A poco a poco tutti dimenticarono che sotto quella strana maschera si nascondeva il più bel volto del paese.
Un ricco possidente nei cui campi la ragazza lavorava, finì per accorgersi di lei, ammirato dalla sua modestia e diligenza.
Un giorno la chiamò, e le offrì di andare a servizio nella sua casa a curare la moglie ch’era molto malata.
La ragazza accettò l’incarico e svolse così bene il suo compito da meritarsi la fiducia di tutti.
Un giorno, il maggiore dei figli del padrone tornò a casa dalla città dove studiava.
Conobbe Mastellina, prese ad ammirare il suo carattere tranquillo e la sua indole buona, e andava chiedendo alla gente del villaggio notizie su di lei.
Seppe così che era un povera orfanella, da tutti chiamata Mastellina a causa appunto del mastelletto che portava in testa per nascondere, si diceva, i brutti lineamenti del suo viso.
Ma una sera, il giovanotto si avvicinò a Mastellina che portava un pesante secchio pieno d’acqua e vide il volto della ragazza riflesso nell’acqua del secchio.

Era di una bellezza eccezionale.

Egli decise subito di sposare la giovane serva.
I suoi genitori non approvarono la sua scelta, ma il giovane fu irremovibile e tanto disse e tanto fece che riuscì a fissare la data delle nozze.
Mastellina rimase molto male quando seppe che i suoi padroni non l’accettavano volentieri come nuora in casa loro.
Essa piangeva giorno e notte, e pregò il suo fidanzato di sposare una donna che potesse portargli una ricca dote.
Ma una notte essa vide in sogno sua madre, la quale le disse:
“Non temere, figlia mia.
Sposa pure il figlio del tuo padrone.”
La ragazza ne fu felice, si alzò tutta allegra e cominciò a prepararsi per le nozze.
Prima della cerimonia nuziale, tutti volevano togliere dal capo della sposa quello strano casco, ma nessuno ci riuscì.

Lo sposo però disse:

“Io le voglio tanto bene, e la sposerò così com’è!”
Le nozze furono celebrate.
Dopo la cerimonia ci fu uno splendido banchetto:
tutti erano intorno alla sposa a brindare alla sua salute, quando, all’improvviso, il mastelletto si spaccò in due cadendo per terra a pezzi con gran fracasso.
Oh meraviglia!
I pezzi erano tutti d’oro, d’argento e di pietre preziose.
Così la povera ragazza poté vantare una dote più bella e più ricca di quella di una principessa.
Ma quel che più stupì gli invitati fu la straordinaria bellezza della sposa.
I brindisi in onore della coppia felice non si contarono più; grida, canti e risate andarono avanti fino al mattino.

Brano di Bruno Ferrero

Tutti noi possiamo fare la differenza (La storia di Shay)

Tutti noi possiamo fare la differenza (La storia di Shay)

Ad una cena di beneficenza per una scuola che cura bambini con problemi di apprendimento, il padre di uno degli studenti fece un discorso che non sarebbe mai più stato dimenticato da nessuno dei presenti.
Dopo aver lodato la scuola ed il suo eccellente staff, egli pose una domanda:
“Quando non viene raggiunta da interferenze esterne, la natura fa il suo lavoro con perfezione.
Purtroppo mio figlio Shay non può imparare le cose nel modo in cui lo fanno gli altri bambini.
Non può comprendere profondamente le cose come gli altri.
Dov’è il naturale ordine delle cose quando si tratta di mio figlio?”
Il pubblico alla domanda si fece silenzioso.

Il padre continuò:

“Penso che quando viene al mondo un bambino come Shay, handicappato fisicamente e mentalmente, si presenta la grande opportunità di realizzare la natura umana e avviene nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino.”
E da quel momento in poi, cominciò a narrare una storia:
“Shay e suo padre passeggiavano nei pressi di un parco dove Shay sapeva che c’erano bambini che giocavano a baseball.
Shay chiese:
“Pensi che quei ragazzi mi faranno giocare?”
Il padre di Shay sapeva che la maggior parte di loro non avrebbe voluto in squadra un giocatore come Shay, ma sapeva anche che se gli fosse stato permesso di giocare, questo avrebbe dato a suo figlio la speranza di poter essere accettato dagli altri a discapito del suo handicap, cosa di cui Shay aveva immensamente bisogno.
Il padre si Shay si avvicinò ad uno dei ragazzi sul campo e chiese (non aspettandosi molto) se suo figlio potesse giocare.
Il ragazzo si guardò intorno in cerca di consenso e disse:
“Stiamo perdendo di sei punti e il gioco è all’ottavo inning.

Penso che possa entrare nella squadra:

lo faremo entrare nel nono!”
Shay entrò nella panchina della squadra e con un sorriso enorme, si mise la maglia del team.
Il padre guardò la scena con le lacrime agli occhi e con un senso di calore nel petto.
I ragazzi videro la gioia del padre all’idea che il figlio fosse accettato dagli altri.
Alla fine dell’ottavo inning, la squadra di Shay prese alcuni punti ma era sempre indietro di tre punti.
All’inizio del nono inning Shay indossò il guanto ed entrò in campo.
Anche se nessun tiro arrivò nella sua direzione, lui era in estasi solo all’idea di giocare in un campo da baseball e con un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio salutava suo padre sugli spalti.

Alla fine del nono inning la squadra di Shay segnò un nuovo punto:

ora, con due out e le basi cariche si poteva anche pensare di vincere e Shay era incaricato di essere il prossimo alla battuta.
A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay anche se significava perdere la partita?
Incredibilmente lo lasciarono battere.
Tutti sapevano che era una cosa impossibile per Shay che non sapeva nemmeno tenere in mano la mazza, tanto meno colpire una palla.
In ogni caso, come Shay si mise alla battuta, il lanciatore, capendo che la squadra stava rinunciando alla vittoria in cambio di quel magico momento per Shay, si avvicinò di qualche passo e tirò la palla così piano e mirando perché Shay potesse prenderla con la mazza.
Il primo tiro arrivò a destinazione e Shay dondolò goffamente mancando la palla.
Di nuovo il tiratore si avvicinò di qualche passo per tirare dolcemente la palla a Shay.
Come il tiro lo raggiunse, Shay dondolò e questa volta colpì la palla che ritornò lentamente verso il tiratore.
Ma il gioco non era ancora finito.
A quel punto il battitore andò a raccogliere la palla:
avrebbe potuto darla all’ uomo in prima base e Shay sarebbe stato eliminato e la partita sarebbe finita.
Invece…
Il tiratore lanciò la palla di molto oltre l’uomo in prima base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.

Tutti dagli spalti e tutti i componenti delle due squadre incominciarono a gridare:

“Shay corri in prima base!
Corri in prima base!”
Mai Shay in tutta la sua vita aveva corso così lontano, ma lo fece e così raggiunse la prima base.
Raggiunse la prima base con occhi spalancati dall’emozione.
A quel punto tutti urlarono:
“Corri fino alla seconda base!”
Prendendo fiato Shay corse fino alla seconda trafelato.
Nel momento in cui Shay arrivò alla seconda base la squadra avversaria aveva ormai recuperato la palla…
Il ragazzo più piccolo di età che aveva ripreso la palla quindi sapeva di poter vincere e diventare l’eroe della partita, avrebbe potuto tirare la palla all’uomo in seconda base ma fece come il tiratore prima di lui, la lanciò intenzionalmente molto oltre l’uomo in terza base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.
Tutti urlavano:
“Bravo Shay, vai così!
Ora corri!”
Shay raggiunse la terza base perché un ragazzo del team avversario lo raggiunse e lo aiutò girandolo nella direzione giusta.
Nel momento in cui Shay raggiunse la terza base tutti urlavano di gioia.

A quel punto tutti gridarono:

“Corri in prima, torna in base!”
E così fece:
da solo tornò in prima base, dove tutti lo sollevarono in aria e ne fecero l’eroe della partita.”
“Quel giorno,” disse il padre piangendo, “i ragazzi di entrambe le squadre hanno aiutato a portare in questo mondo un grande dono di vero amore ed umanità!
Shay non è vissuto fino all’estate successiva.
È morto l’inverno dopo ma non si è mai più dimenticato di essere l’eroe della partita e di aver reso orgoglioso e felice suo padre.
Non dimenticò mai l’abbraccio di sua madre quando tornato a casa le raccontò di aver giocato e vinto.”

Ed ora una piccola nota al fondo di questa storia:

“Tutti noi possiamo fare la differenza!”
Tutti noi abbiamo migliaia di opportunità, ogni giorno, di aiutare il “naturale corso delle cose” a realizzarsi.
Ogni interazione tra persone, anche la più inaspettata, ci offre una opportunità:
passiamo una calda scintilla di amore e umanità o rinunciamo a questa opportunità e lasciamo il mondo.
Un uomo saggio una volta disse che ogni società è giudicata in base a come tratta soprattutto i meno fortunati:
“Ora a te fare la differenza!”
Molti fra noi hanno pensato fino ad oggi che la prova di coraggio più grande, fosse restare fedeli a se stessi, essere capaci di andare controcorrente, parlare con integrità:
ma fin qui siamo stati solo fortunati, perché non ci è stato chiesto nulla di più.
Ma ora ci vuole niente a capire che i tempi sono cambiati e impegnarsi in una battaglia politica in questo momento significa essere chiamati ad assumere impegni ben diversi.
In un mondo dove conta solo il successo, in una società dove tutto si compra e tutto si vende, ritengo che ci sia bisogno di persone desiderose di impegnarsi per gli altri con coraggio e con sacrificio.
Perché il coraggio è dote del cuore e solo chi non ha cuore ha paura.
Ed io non ho paura:
lavoro con pazienza ad un grande progetto, lavoro da anni alla tutela e per il rispetto per ogni uomo dei diritti civili fondamentali!

Brano senza Autore.

Figlio, anche io, come te…

Figlio, anche io, come te…

Amore mio, prima di essere mamma sono stata figlia…
Anche io, come te, ho avuto i miei momenti belli, ma anche quelli brutti.

Anche a me, come a te, molte cose non piacevano.

Anche io, come te, ero ribelle e sempre contro tutti.
Anche io, come te, facevo arrabbiare la mia mamma.
Anche io, come te, avevo i miei sogni… per me irrealizzabili.
Anche io, come te, odiavo la scuola…

ma solo oggi mi rendo conto di quanto sbagliavo!

Dico questo per farti capire che tutti abbiamo i nostri sogni da realizzare.
Da figlia ti capisco e ti comprendo perché ci sono passata come te, ma da mamma non posso restare a guardare mentre tu vuoi buttare via il tuo futuro!
Io ti sarò vicina in qualsiasi momento tu ne abbia bisogno e

ti aiuterò finché avrò forza a raggiungere i tuoi obbiettivi.

Uno tra tutti la tua istruzione amore mio!
È difficile passare da figlia a mamma, ma la gioia di un figlio non te la dà nessuno.

Brano senza Autore.