L’utilità di un sasso


L’utilità di un sasso

C’era una volta, in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.

Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.

Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso:
“Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”

Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”

L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra:
“Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi.

Ti sarò sempre debitore!”

Ma il sasso rispose:
“Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’uccellino incantato e la bambina


L’uccellino incantato e la bambina

Tra una bambina e un uccellino incantato, che possedeva penne variopinte dai colori dei luoghi che visitava, era nata una splendida amicizia.
Purtroppo l’uccellino ogni tanto doveva partire per nuovi lidi.
La piccola lo pregava di non lasciarla sola, ma lui doveva farlo, poiché la sua bellezza dipendeva dai viaggi che lui intraprendeva e dalla nostalgia che lei provava durante la sua assenza.

La bimba decise che quando sarebbe tornato lo avrebbe chiuso in una gabbia.

Dopo qualche tempo l’amico tornò e mentre dormiva la piccola lo catturò.
All’improvviso fu svegliata da un urlo terribile di disperazione.
Il prigioniero le fece notare di aver commesso un gravissimo errore.

Chiuso in gabbia si sarebbe rattristato, le sue piume avrebbero perso i colori e lei avrebbe smesso di amarlo.

La bimba capì di essersi comportata da stupida, così, aprì la porta della gabbia e lo lasciò libero.
Mentre esso si allontanava, l’avvertì che questa volta la sua assenza si sarebbe protratta più a lungo per riacquistare i colori e la rassicurò che sarebbe tornato, bello e interessante come prima.

La piccina da quel giorno cominciò a vivere il suo mondo incantato nell’attesa.

Indossava vestiti sgargianti, deponeva fiori colorati nei vasi.
Aveva compreso che anche la nostalgia era necessaria per rendere più forte la loro amicizia.

Brano di Rubem Azevedo Alves

La storia del vicino buono e del vicino cattivo


La storia del vicino buono e del vicino cattivo

C’erano una volta in un villaggio del Tibet due vicini che avevano un carattere completamente diverso.
Uno era molto ricco, ma estremamente avaro, l’altro molto povero, ma sempre pronto a dare e ad aiutare chiunque fosse in difficoltà.
Un giorno, due passeri costruirono il nido sopra la finestra della casa del povero e vi deposero alcune uova.
Dopo alcuni giorni le uova si schiusero e i genitori furono costretti a restare per molto tempo fuori dal nido in cerca di cibo.
Un mattino, un uccellino cadde dal nido e si ruppe una zampa.
Fortunatamente, il povero lo raccolse, gli steccò la zampina e lo rimise nel nido.
Quando si fu rimesso, l’uccellino tornò dal povero con dei chicchi di frumento nel becco per dimostrargli la sua gratitudine, dicendogli di piantare i chicchi nel suo giardino ed aspettare il raccolto.

Quel passero era, in realtà, uno spirito buono con le sembianze di un uccello.

Il povero non poteva saperlo, ma piantò ugualmente i chicchi come gli era stato detto e non ci pensò più.
Immaginatevi la sua sorpresa quando, parecchie settimane dopo, apparvero sugli steli, al posto del frumento, delle pietre preziose!
Così il pover’uomo diventò improvvisamente ricco.
Il suo vicino ne fu estremamente geloso e fu colto dalla curiosità di sapere a cosa fosse dovuto quel colpo di fortuna.
Invitò il brav’uomo a pranzo e gli chiese come mai fosse diventato ricco.
L’ingenuo, senza farsi pregare, gli raccontò l’accaduto.
L’avido vicino decise di diventare ricco anche lui, dal momento che sembrava una cosa tanto facile.

Per caso, una famiglia di passeri aveva costruito un nido anche sulla sua finestra.

Si sporse dalla finestra all’ultimo piano della sua casa, prese un pulcino dal nido e lo fece cadere per terra.
Il piccolo uccellino si ruppe così una zampa.
Poi corse giù, legò con una cinghia la zampa dell’uccellino e lo rimise nel nido, con la speranza di ottenere anche lui una ricompensa.
Come aveva sperato, gli furono dati dei chicchi da piantare nel giardino.
Ma quando crebbero, l’uomo ebbe la spiacevole sorpresa di trovarsi davanti, al posto delle pietre preziose, un brutto ceffo con un fascio di carte sotto il braccio.
Lo strano tipo lo minacciò dicendogli di pagare tutti i debiti che aveva accumulato durante la sua vita, presentandogli i documenti come prova.

Così, l’avido spilorcio perse tutto ciò che possedeva.

Questo fatto aumentò in lui l’odio e l’invidia per il vicino onesto, mentre quest’ultimo aveva ormai dimenticato le loro divergenze.
Un giorno l’uomo onesto chiese al vicino di custodirgli una borsa piena d’oro, mentre lui si assentava per un viaggio.
Il vicino disonesto non seppe resistere e si lasciò sopraffare dall’avidità.
Quando l’uomo onesto ritornò, trovò che l’oro nella borsa era stato sostituito con della sabbia.
L’avaro disse che l’oro che gli era stato lasciato si era sorprendentemente tramutato in sabbia.

Senza discutere, il vicino onesto ritornò a casa.

Trascorsero molti giorni e il brav’uomo manteneva sempre dei buoni rapporti con il vicino.
Un giorno, l’avaro dovette andare per qualche tempo in un altro villaggio e decise di lasciare il suo figlio più piccolo dal vicino, certo che ormai questi avesse dimenticato la faccenda.
In realtà, l’uomo buono voleva dargli una lezione.
Addomesticò una scimmia e le insegnò a dire:
“Padre, padre, sono tuo figlio!”
Quando l’avaro ritornò e chiese del figlio, il buon vicino rispose:

“È in casa.”

Egli guardò dentro e rimase sconvolto nell’udire una scimmia che, da un angolo, gridava:
“Padre, padre, sono tuo figlio!”
L’avaro incollerito chiese che suo figlio gli fosse subito restituito.
Il buon vicino gli disse con calma:
“Ma questo è tuo figlio… si è trasformato in una scimmia.”.
Allora il cattivo vicino di casa si rese conto di essere stato un imbroglione.
Pregò il brav’uomo di restituirgli il figlio, promettendogli di ridargli la borsa d’oro che gli aveva ingiustamente sottratto e giurò che in futuro non avrebbe più ingannato nessuno.

Favola Tibetana.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Un uomo chiese aiuto a Dio…


Un uomo chiese aiuto a Dio…

Un giorno, un uomo, passeggiando nel bosco, sussurrò:
“Dio, parlami!”
Nello stesso momento un uccellino cantò!
Ma l’uomo non lo ascoltò.
Allora, l’uomo gridò:
“Dio parlami!”
E dietro una coltre di nuvole si sentono tuoni e lampi!

Ma l’uomo non li notò.

L’uomo si guardò attorno e disse:
“Dio, lasciami vedere il Signore!”
E una stella si fece brillante nel cielo, più di quanto lo fosse stata fino ad allora!
Ma l’uomo non le percepì.
Allora l’uomo, arrabbiato, gridò con potenza:
“Dio mostrami un miracolo!”
E nacque suo figlio!
Ma l’uomo non si rese conto della nuova e irripetibile vita che cominciava.

Allora l’uomo gridò disperato:

“Toccami, Dio. Fammi vedere se il Signore è qui!”
E una farfalla si posò sulla sua spalla!
Ma l’uomo la spaventò.
Allora l’uomo gridò ancora con disperazione:
“Dio, ho bisogno di aiuto.”
Ed arrivò una e-mail portando buone notizie e parole di incoraggiamento!
Ma l’uomo non la lesse e continuò a piangere…

Brano senza Autore, tratto dal Web

La vecchia zia Ada


La vecchia zia Ada

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero degli anziani, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei.
Si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
“Brava, così verranno le formiche!” dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.
“Ecco,” borbottarono le vecchine “che cosa ci avete guadagnato?
Ha beccato ed è volato via.

Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.”

La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l’uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionato, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l’uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
“Ci sono i vostri uccellini!” dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po’ d’invidia.
E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all’anice e intanto diceva:
“Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.” esclamava la vecchia zia Ada.
“Eh,” mormoravano le altre vecchine “se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli.
E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?”

La vecchia zia Ada non lo sapeva più:

forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro:
“Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.”
E quando avevano finito di beccare il biscotto:
“Su, andate, andate.
Cosa aspettate ancora?
Le ali sono fatte per volare.”
Le vecchine scrollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po’ matta, perché vecchia e povera com’era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po’ di tempo, e non valeva più la pena di mettersi in viaggio per il funerale.
Ma gli uccellini tornarono per tutto l’inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari

Il giovane albero e l’indipendenza


Il giovane albero e l’indipendenza

Gli alberelli ormai si tenevano su da soli e sentivano il naturale desiderio di indipendenza, per questo volevano liberarsi dai sostegni che il contadino gli aveva messo alla base quando erano alberi piccini.
“Vi spostate?” chiese un alberello ai suoi sostegni, “Ora posso stare su da solo.”
I due sostegni lo guardarono dispiaciuti, dicendo:
“E questo è il tuo ringraziamento? Ti sosteniamo da quando eri un verde ramoscello.
Lo so, lo so e ve ne sono grato ma adesso posso andare avanti da solo.” disse l’alberello.

Mai i due sostegni non lo vollero lasciare e continuarono a volerlo strettamente abbracciare.

L’albero crebbe ugualmente ma con la convinzione che ciò che era divenuto dipendeva dal sostegno che aveva ricevuto.
E quando il sostegno non ci fu più, l’alberello non credendo in se stesso, restò basso.
Un altro alberello fece la stessa richiesta ma mentre stava per dire ai suoi sostegni di spostarsi, si accorse che di sostegno in realtà ne aveva uno solo e che si spostava instancabile un po’ di qua e un po’ di la, per dargli sempre la giusta direzione.

L’alberello ne fu commosso, il suo sostegno essendo da solo aveva imparato a camminare e a spostarsi da una parte all’altra, facendosi in due ed a volte in quattro.

Il sostegno lo liberò dal suo abbraccio, sapeva che quello era il momento del balzo verso l’indipendenza e si poteva fare solo con un pizzico di incoscienza, di cui l’età giovanile era l’essenza.
Da lì in poi l’alberello continuò a crescere e divenne alto e proteso al cielo, non ebbe mai dubbi sulle sue capacità ed andò avanti senza alcuna difficoltà.
Il suo sostegno ogni giorno doveva alzare il capo al cielo per scorgerne la cima, ed ogni giorno lo vedeva più grande di prima.
La giovinezza era la culla dell’incoscienza ma questo apparente eccesso madre natura lo aveva volutamente concesso, anche il primo volo degli uccellini era dall’incoscienza contaminato altrimenti per paura nessun uccello avrebbe mai volato.

Brano di Cleonice Parisi

Il pozzo e la pozzanghera


Il pozzo e la pozzanghera

Un giorno una pozzanghera disse al pozzo vicino a sé:
“Che vita insignificante la mia!
Nessuno si accorge di me se non che qualche uccellino ogni tanto, per bere un po’ d’acqua.
Tu invece sei ben conosciuto e vengono a te da lontano, ti hanno dato persino un nome.”

Il pozzo le rispose:

“Cara amica mia, è vero che vengono da lontano e che mi hanno dato un nome, ma non vengono per me, vengono tutti a prendere l’acqua che la terra mi dona e se ne vanno felici per l’acqua che possono prendere.
Ma a me va bene così, perché in ogni caso li vedo andar via contenti.
Ma anche tu non devi lamentarti, perché è vero che non hai un nome ma quando la tua acqua è calma, riflette lo stupendo azzurro del cielo sulla terra, mentre la mia acqua non ha che buio attorno a sé.
Pensaci amica mia, ciò che conta sia per me che per te è permettere all’acqua che ci viene donata di dissetare chi ne ha bisogno.

Tu cara amica, disseti chi non sa più guardare il cielo.”
Brano di Stefano Lovecchio
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.

La leggenda del pettirosso


La leggenda del pettirosso

Gesù era sulla Croce.
Le spine della corona che stringeva la fronte si conficcavano nelle sue bianche carni facendo uscir grosse gocce di sangue.
Un uccellino, che volava poco distante, vedendo la sofferenza di Gesù, sentì tanta pietà per Lui.

Gli si avvicinò bisbigliando.

“Cosa?” esclamò l’uccellino.
Forse rimproverò gli uomini di essere stati cattivi, forse, rivolse a Gesù tenere parole di consolazione.
Poi tentò di portargli aiuto e, col becco tolse alcune di quelle spine che lo torturavano.
Le piume dell’uccellino caritatevole si macchiarono di rosso.
L’uccellino conservò, come prova di amore, quelle gocce di sangue sul suo cuoricino.

Gli uomini vedendolo lo chiamarono “pettirosso.”

Ancora oggi tutti gli uccellini che appartengono alla famiglia dei pettirossi hanno sul petto qualche piuma che ricorda quel sangue.

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web