Il perdono

Il perdono

Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessava di solito dal parroco.
Le sue confessioni sembravano però un disco rotto:
sempre le stesse mancanze, e soprattutto sempre lo stesso grosso peccato.
“Basta!” gli disse, un giorno, in tono severo il parroco,

“Non devi prendere in giro il Signore.

È l’ultima volta che ti assolvo per questo peccato.
Ricordatelo!”
Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo là a confessare il suo solito peccato.
Il confessore perse davvero la pazienza:

“Ti avevo avvertito:

non ti do l’assoluzione.
Così impari!”
Avvilito e colmo di vergogna, il pover’uomo si alzò.
Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso.

L’uomo lo guardò.

In quell’istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell’assoluzione:
“Io ti assolvo dai tuoi peccati.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Un vigile mitico

Un vigile mitico

Tanti anni fa chi ritornava in pianura dalle Dolomiti, soprattutto di domenica sul far della sera, si trovava incolonnato in una lunga coda di macchine.
Questo accadeva prima che venisse costruita una super strada di svincolo, ad un incrocio con semaforo, proprio al centro abitato del noto comune trevigiano di Cornuda.
Il super traffico era smistato da un vigile noto e stimato per essere ligio e inflessibile nel svolgere il suo lavoro,

tanto da aver multato sua moglie per avere troppe borse della spesa sul manubrio della bicicletta.

Ad ogni infrazione amava sciorinare i vari articoli con i comma del codice della strada che per lui rappresentavano la Bibbia.
Una domenica sera, in cui vi era tantissimo traffico con andamento a passo d’uomo, una macchina blu targata Roma, sorpassando altre vetture, ignorò volutamente il semaforo rosso.
Il nostro vigile con uno scatto si mise davanti all’auto e, con fischietto e paletta, fermò la vettura.
Il conducente era un noto politico locale che, abbassando il finestrino, disse seccato:

“Lei non sa chi sono io!

Vuole che le dica i miei incarichi e le mie onorificenze?
La consiglio di lasciarmi andare se non vuole grane!”
Il vigile pronto, e per niente intimorito, rispose:
“Io so chi è lei, visto che ho anche votato (per lei), ma in questo caso quando soffio io (disse in verità “subio” in dialetto Veneto) fischia la legge ed è meglio che con patente e libretto accosti e paghi l’infrazione.

I presenti, che stupiti assistettero alla scena,

applaudirono fragorosamente il vigile e gridarono “Bravo!”
Il suo gesto divenne leggendario e fu ricordato soprattutto quando scoppiò Tangentopoli!
Prima dei giudici di Mani Pulite, l’onorevole in questione fu fermato e sanzionato da un vigile che era imparziale con tutti in nome della democratica legge.
Il vigile si chiamava Nazareno Botega e non deve essere come l’Innominato del Manzoni ma bensì citato e ricordato con il suo nome a futura memoria.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Mangia Regolato

Mangia Regolato

Diversi anni fa, un uomo di mezza età, dopo le continue insistenze da parte dei propri famigliari, si rivolse al medico di famiglia per accertamenti, dato che spesso era affaticato senza motivo.
Accettò di buon grado, anche perché il dottore era il suo compagno per lo scopone al caffè del paese.

La visita fu accurata e minuziosa.

Accertata la non presenza di alcuna patologia in atto, il dottore non ordinò nessun farmaco riscontando che l’unico problema dell’uomo fosse l’essere in sovrappeso.
Gli ordinò di astenersi da cibi troppo grassi e, scandendo le parole, gli disse:
“Amico mio, mangia regolato, mi raccomando!
Per amor di Dio!

Torna fra due, tre mesi, sperando che tutto si sia risolto.”

Passato il periodo, l’uomo ritornò dal medico lamentandosi per il perdurare dei sintomi di stanchezza ed eccessiva sudorazione, a cui si univano la difficoltà nel respirare e qualche kilo in più.
Il medico gli rispose perplesso:
“Ti avevo caldamente raccomandato di mangiare regolato!”

La risposta del paziente fu:

“Io Regolato lo ho mangiato tutto, sapendo che la carne equina fa molto bene per le sue proprietà!
Mi è dispiaciuto molto perché era il mio unico mulo e mi ero anche affezionato a lui, per la sua indole docile.
Valeva pure un capitale per la sua mole; ci ho pure pianto e vinto un tabù, ma per la salute…”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il mendicante ed il prete

Il mendicante ed il prete

Un uomo mendicava da 25 anni davanti ad una chiesa.
Si era fatto amico anche del prete che celebrava lì.
Il sacerdote sapeva che cosa significa “sofferenza”:
era rimasto senza famiglia a 10 anni; i suoi genitori e familiari erano stati tutti trucidati durante la guerra.

Ma da qualche giorno il mendicante era sparito.

Il sacerdote lo andò a cercare; lo trovò morente in una catapecchia abbandonata.
Fu allora che il povero mendicante supplicò:
“Padre, ho un peso da confessare prima di morire:
tanti anni fa ero a servizio da un’ottima famiglia.
Marito, moglie, la figlia e, soprattutto il figlio ancor fanciullo, mi volevano molto bene.
Io ero povero; attratto dal desiderio di venire in possesso di tutti i beni di quella famiglia, dissi che erano partigiani:

furono uccisi.

Solo il figlio piccolo riuscì a fuggire.
Con l’ingiusta eredità divenni ricco, mi diedi a tutti i piaceri, sperperai tutto, ma non riuscii a dimenticare l’enorme delitto…
Ora sono pentito.
Ma è tardi per ricevere il perdono di Dio!”
Mentre il povero penitente si confessava, a poco a poco, ritornava alla mente del sacerdote confessore la storia della sua famiglia.

Alla fine fu colpito al cuore da una lucida conclusione:

quell’uomo era l’assassino dei suoi e il dilapidatore dei beni della sua famiglia!
Scoppiò allora una furiosa battaglia nel suo cuore tra il perdono e il desiderio di giustizia.
Dopo alcuni istanti d’una tremenda lotta, che gli rigò il viso di sudore e di lacrime, alzò la mano sacerdotale e disse:
“In nome di Dio e mio ti perdono tutto!”

Brano senza Autore.

Il cavallo e l’asino

Il cavallo e l’asino

C’era una volta un uomo che possedeva un asino ed un cavallo.
Un giorno, mentre stavano viaggiando, l’asino si lamentò con il cavallo:

“Non ce la faccio più!

Prendi un po’ del mio carico, se non vuoi vedermi morto!”
Ma il cavallo non ne volle sapere.
E così l’asino stramazzò e morì.
Allora il padrone passò sul dorso del cavallo tutto il carico ed in più anche la pelle dell’asino!

Il cavallo non osò rivoltarsi, ma tra sé pensò e disse:

“Povero disgraziato!
Per aver rifiutato di portare un po’ del peso dell’asino, adesso sono costretto a portarlo tutto e, in più, anche la pelle del somaro!”

Brano tratto dal libro “Lo shopping dell’anima: Racconti per catechisti avanzati, sacerdoti sprint, genitori connessi.” di Pino Pellegrino

L’uomo con la falce

L’uomo con la falce

Diversi anni fa, in una calda giornata di primavera, due comari stavano camminando lungo un alberato viottolo di campagna, raccontandosi, tra sonore risate, gli avventurosi tradimenti fatti ai rispettivi mariti, vantandosi a vicenda.
Arrivate vicino ad una radura, scorsero da lontano un uomo mai visto prima,

molto magro, tanto alto quanto pallido.

Portava un grande cappello di una foggia strana e falciava a grandi bracciate l’erba, nella zona in cui predominavano i papaveri.
La lama della falce, colpita dai raggi del sole, diventava sempre più luccicante.
Lo sconosciuto falciava con così tanta lena che la falce, quando sfiorava la terra, nel tagliare l’erba impregnata di rugiada emetteva un incerto sibilio, che sembrava dicesse:

“Duecento! Trecento!”

Vedendo questa scena ed udendo questo sibilio, le due signore scapparono via spaventate, tornando di corsa al villaggio.
Non appena ebbero ripreso fiato dissero ai propri compaesani:
“Abbiamo appena visto l’uomo della morte con la falce.

Ci ha avvisato che se non cambiamo vita farà duecento, trecento morti!”

Il villaggio, memore di una antica pestilenza che aveva decimato il borgo, credette alle due donne e tutti si misero in riga, dato che erano in tanti, ed in vario modo, a violare le leggi del Signore e della comunità.
Il falciatore altro non era che un povero bracciante venuto da fuori regione, testimone della vita che mai si arrende.
Il suo lavoro era un inno alla vita.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il guardiano

Il guardiano

Un uomo era profondamente legato al suo maestro.
Su lui vegliava affinché non gli si avvicinasse nessun pericolo.
Il maestro viveva sotto una tenda, circondata da una siepe.
La siepe era circondata da un recinto di bambù, il recinto di bambù da un muro di pietra.
Il guardiano dormiva accanto alla porta del muro di pietra.
Da lì teneva d’occhio la strada e poteva sentire la voce del maestro se lo chiamava da dentro la tenda.
Ma, invecchiando, il suo udito peggiorò.

Così decise di avvicinarsi al recinto di bambù.

Quando anche da lì divenne difficile sentire la voce del maestro, il guardiano si spostò di nuovo, a lato della siepe.
Dopo un po’ di tempo iniziò comunque a svegliarsi la notte in preda alla paura di non aver udito il richiamo del maestro nel momento del bisogno.
Allora si mise a far la guardia proprio davanti alla tenda.
Nel silenzio, riconosceva il respiro del maestro ed era felice di vegliare su di lui.

Ma un giorno si svegliò e non udì più niente.

Preoccupato, si precipitò nella tenda.
Era vuota…
Come aveva potuto distrarsi?
Non se lo sarebbe mai perdonato…

Iniziò a cercare il maestro.

Dalla tenda arrivò alla siepe, dalla siepe al recinto di bambù, dal recinto di bambù al muro di pietra.
Là, sulla porta, stava seduto il maestro, che gli disse tranquillo:
“Vai a riposarti nella tenda adesso.
D’ora in poi sarò io il tuo guardiano!”

Brano senza Autore.

I fiori della riconciliazione

I fiori della riconciliazione

Molto tempo fa c’era un paese conosciuto in tutto il mondo per le sue terre fertili ed i suoi raccolti incredibilmente abbondanti.
Un giorno vi arrivò da lontano un uomo assai povero con la sua famiglia.
Si stabilì in una casetta abbandonata, che cadeva a pezzi, con un piccolo orto; il comune pretese comunque un affitto mensile.
Lo straniero aveva portato dal suo paese semi di piante sconosciute e iniziò a coltivare il piccolo orto seminando proprio quelle piante.

La gente del posto fu presa subito da mille paure:

e se quei semi avessero appestato la loro bella terra?
E se quelle piante sconosciute avessero inaridito i loro fertili campi?
Fu così che un mattino la famigliola si svegliò e trovò la propria casa circondata dal filo spinato.
Qualcuno, quella stessa notte, si era dato da fare per evitare che i sospetti e le paure si tramutassero in realtà.
Successe poi qualcosa di molto strano:
la terra fertile di quel paese smise di dare i soliti abbondanti frutti, iniziò a produrre erbacce e piante infestanti.
La gente del paese viveva giorni terribili di disperazione, presto sarebbe caduta nella miseria.
Stranamente, l’unica terra che continuava a dare buoni frutti era quella del piccolo orto della famiglia straniera.

Un mattino accadde però qualcosa di strano:

appeso alla porta di ogni casa, vi era un sacchetto di semi, erano semi nuovi, particolari, sconosciuti.
Un contadino tra i più anziani, senza porsi troppe domande, li seminò nel suo campo, ormai non c’era più nulla da perdere, quindi per curiosità volle vedere di che cosa si trattava.
In poco tempo quei semi germogliarono e spuntarono meravigliosi fiori blu.
Tutti ridevano, certo erano belli ma il problema serio era la miseria che sopraggiungeva e quei fiori non davano certo da mangiare!
Ma la cosa straordinaria doveva ancora avvenire:
man mano che spuntavano i fiori, sparivano le erbe infestanti e la terra tornava fertile e ricominciava a produrre frutti abbondanti.
Soltanto allora la gente cominciò a domandarsi da dove provenissero quei semi.
A dare la risposta furono i bambini, perché soltanto loro si erano accorti che quei fiori da tempo abbellivano l’orto della nuova famiglia straniera.
Compresero tutti il gesto buono e generoso di quell’uomo che aveva trovato tanta inospitalità e si era visto separato dal resto del paese da un filo spinato,

eppure aveva teso la sua mano e cercato la pace donando l’unica cosa che possedeva:

semi di fiori blu.
Quella stessa notte il filo spinato scomparve, il giorno successivo la nuova famiglia ricevette molte visite e altrettanti doni da parte della gente del paese.
E furono i bambini a voler dare il nome a quei meravigliosi fiori blu, furono chiamati:
i fiori della riconciliazione!
I fiori in questione erano delle meravigliose ortensie blu.

Brano senza Autore.

Un sorriso per Dio

Un sorriso per Dio

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno:
gli sembrò d’esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio.

Era quasi disperato perché

aveva grosse marachelle sulla coscienza.
Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva:
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto…

Vieni a godere nel mio regno!”

L’uomo tremava tutto, perché non si ricordava d’aver fatto nessuna opera buona.
Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
“Che cosa mai avrò fatto di bene?” si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò:

“Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato:
entra nella gioia del mio paradiso!”

Brano tratto dal libro “Racconti per il volo dell’anima.” di Pino Pellegrino

Il più forte

Il più forte

Un giorno, la pietra disse:
“Sono la più forte!”
Udendo ciò, il ferro disse:
“Sono più forte di te!
Vuoi vedere?”
Subito, i due lottarono, fino a quando la pietra fu ridotta in polvere.

Il ferro disse a sua volta:

“lo sono il più forte!
Udendolo, il fuoco disse:
“lo sono più forte te!
Lo vuoi vedere?”
Allora i due lottarono finché il ferro fu fuso.
Il fuoco disse a sua volta:
“lo sì che sono forte!”
Udendo ciò, l’acqua disse:
“lo sono più forte di te!
Se vuoi te lo dimostro.”
Allora, lottarono fin quando il fuoco fu spento.
L’acqua disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Udendola il sole disse:
“Io sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché il sole fece evaporare l’acqua.

Il sole disse a sua volta:

“Sono io il più forte!”
Udendolo, la nube disse:
“lo sono più forte ancora!
Guarda!”
I due lottarono finché la nube nascose il sole.
La nube disse a sua volta:
“Sono io la più forte!”
Ma il vento disse:
“Io sono più forte di te!
Te lo dimostro!”
Allora i due lottarono fin quando il vento soffiò via la nube ed essa sparì.
Il vento disse a sua volta:
“Io sì che sono forte!”
I monti dissero:
“Noi siamo più forti di te!
Guarda!”
Subito i due lottarono fino a che il vento restò preso tra le catene dei monti.

I monti, a loro volta, dissero:

“Siamo i più forti!”
Ma sentendoli, l’uomo disse:
“Io sono più forte di voi!
E, se lo volete vedere…”
L’uomo, dotato di grande intelligenza, perforò i monti, impedendo che bloccassero il vento.
Dominando il potere dei monti, l’uomo proclamò:
“Io sono la creatura più forte che esista!”
Ma poi venne la morte, e l’uomo che si credeva intelligente e tanto forte, con un ultimo respiro, morì.
La morte a sua volta disse:
“Sono io la più forte!
Perché prima o poi tutto muore e finisce nel nulla!”
La morte già festeggiava quando, inatteso, venne un uomo e, dopo soli tre giorni dalla morte, risuscitò, vincendo la morte. (Pasqua)
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo…

Brano senza Autore.