Il sentiero di rose (Ave Maria)

Il sentiero di rose (Ave Maria)

Una bambina viveva felice con il suo papà e la sua mamma.
Ma per una meschina vendetta, alcuni uomini perfidi la rapirono.
Arrivarono un giorno nei loro grandi mantelli e, sulla strada che portava alla scuola,

s’impadronirono della bambina.

Galoppando di gran carriera su cavalli neri si allontanarono ben presto dal villaggio e presero la strada della foresta.
La buia e tenebrosa foresta che ingoiava per sempre gli incauti che vi si avventuravano senza guida.
Quegli uomini dal cuore di pietra portarono la bambina nel cuore della foresta.
Volevano che si perdesse per sempre nella foresta.
La bambina piangeva terrorizzata.
E ripeteva, quasi gridava, la preghiera che la mamma le aveva insegnato:
“Ave Maria, piena di grazia…”
Giunsero dove la foresta era più intricata e impenetrabile.

Là abbandonarono la bambina.

La poverina si accucciò ai piedi di un grande albero, continuando a ripetere tra i singhiozzi:
“Ave Maria, piena di grazia…
Ave Maria, piena di grazia…”
Improvvisamente, fra le lacrime, proprio ai suoi piedi scorse una rosa.
Una rosa dai petali teneri come una carezza.
Poco più avanti, ben visibile, tra l’erba e le foglie, c’era un’altra rosa, poi un’altra, un’altra ancora… formavano un sentiero che si snodava tra gli alberi.
La bambina cominciò a camminare da una rosa all’altra, prima esitante, poi quasi di corsa.
Dopo un po’ arrivò al margine della foresta e si trovò nelle braccia della mamma e del papà.

Anche loro avevano visto il sentiero di rose ed erano partiti alla sua ricerca.

Perché anche la mamma e il papà avevano continuato a dire l’Ave Maria.
E tutte quelle Ave Maria, quelle dei genitori e quelle della figlia, erano diventate un sentiero di rose che li aveva riportati tutti insieme.

Anche le nostre Ave Maria formano il sentiero che ci aiuta a non perderci nelle foreste di questo mondo.
E che ci riporta al sicuro nelle braccia del Padre dei Cieli.

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La pace verrà… se…

La pace verrà… se…
La pace verrà… se…

… tu credi che un sorriso è più forte di un’arma.
… tu credi alla forza di una mano tesa.
… tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide.
… tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo.
… tu sai scegliere tra la speranza o il timore.
… tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora …

La pace verrà… se…

… lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore.
… tu sai gioire della gioia del tuo vicino.
… l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu.
… per te lo straniero che incontri è un fratello.
… tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore.
… tu sai accettare che un altro ti renda un servizio.
… tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora …

La pace verrà… se…

… tu credi che il perdono ha più valore della vendetta.
… tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria.
… tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza.
… tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo.
… tu credi che la pace è possibile, allora …

La pace verrà!

Poesia di Charles de Foucauld

Il dottore e l’avvocato

Il dottore e l’avvocato

Finalmente laureato, un giovane dottore desidera lavorare in ospedale, ma non riesce a trovare lavoro, quindi con un po’ di fatica decide di aprire un suo studio medico privato.
Alla porta di ingresso mette un grande cartello arrecante la seguente scritta:
“La cura costa 25 euro, se non dovesse funzionare, vi saranno restituiti 100 euro.”
Un avvocato vede il cartello, e pensa subito che sia una buona occasione per intascare 100 euro facilmente, e dice:
“Dottore, ho perso il senso del gusto…”

Il dottore si rivolge alla sua infermiera:

“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’infermiera esegue e l’avvocato comincia a tossire per espellere quanto ha ingerito:
“Sput, sput, sput, ma è benzina!”
Dottore:
“Esatto, complimenti!
Ha funzionato, ha riacquistato il gusto, sono 25 euro, grazie.”
Irritatissimo l’avvocato paga e se ne va meditando vendetta…

Infatti il giorno dopo si ripresenta allo studio medico.

Avvocato:
“Dottore, ho perso la memoria, non mi ricordo più nulla…”
Di nuovo, il dottore si rivolge alla sua infermiera:
“Prendi la medicina della scatola 12 e somministrane 3 gocce sulla lingua.”
L’avvocato, più irritato che mai:
“No! Lì c’è la benzina, me l’avete data ieri!”
Dottore:
“Complimenti! La sua memoria è tornata, sono 25 euro, grazie.”
L’avvocato è furioso, ma paga tramando sempre più una vendetta esemplare.

Il giorno dopo quindi si ripresenta.

Avvocato:
“Dottore, la mia vista è debole e annebbiata, non riesco a distinguere le cose…”
Dottore:
“Mi dispiace, sono desolato ma per questo non ho una cura da darle.
La prego, accetti i 100 euro.”
Gli occhi dell’avvocato iniziano a brillare, finalmente ce l’ha fatta, ma mentre allunga la mano per prendere la banconota che gli sta porgendo il dottore esclama:
“Ma questi non sono 100 euro, sono 20 euro!”
E il dottore:
“Complimenti, la sua vista non ha più problemi! Sono 25 euro, grazie!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’uccello con due teste

L’uccello con due teste

Sulle sponde d’un lago nell’India del Nord, c’era una volta uno strano uccello che aveva due teste, una a destra e una a sinistra.
Due teste ma un corpo solo.
Un giorno, mentre gironzolava in cerca di cibo, con gli occhi della testa di destra vide un favo di miele selvatico, e subito vi si buttò sopra.

La testa di sinistra disse:

“Danne anche a me!”
Ma la testa di destra non diede ascolto, e se lo beccò tutto in pochi istanti.

Allora la testa di sinistra giurò vendetta;

e mentre l’uccello vagava per un bosco, ecco a sinistra certe bacche amarissime.
La testa di sinistra le scorse per prima e, pur sapendo che non erano buone e avrebbero fatto male allo stomaco, ne beccò quante potè.

E nel frattempo pensava:

“Poi avremo mal di pancia; ma gli sta bene, a quell’egoista dell’altra parte; così impara la solidarietà!”
Poco dopo, l’uccello si sentì colto da atroci dolori: le bacche erano velenose, e in breve tempo gli causarono la morte.
Morirono ugualmente le due teste, quella di destra e quella di sinistra, perchè nessuna delle due aveva avuto cervello.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il fuoco


Il fuoco

Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano.
Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile.
Il freddo si faceva sempre più insopportabile.
La prima persona era una donna, ma un guizzo della fiamma illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura.

La donna se ne accorse.

Strinse il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del suo partito.
Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno.

Il suo vicino era certamente ricco.

Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca.
Le batterie del suo telefonino erano scariche, doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai spento.
Stringeva forte il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano.
Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco.

Era arrivato il momento della vendetta.

L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente.
Non faceva nulla se non per profitto.
Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito.
Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensava.
Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento.
Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Un invito ad un Matrimonio


Un invito ad un Matrimonio

Ore 10:00 di una domenica di Agosto, la città è deserta, le onde di calore distorcono la vista, l’asfalto fuma e ribolle.
Il rumore dei ventilatori, unico sollievo di chi è dovuto rimanere è un rombo basso e cupo e fa pensare a zanzare giganti pronte a succhiarti come un brik al gusto papaia ed rh negativo.
Solo un manipoli di eroi sfida la calura, solo pochi arditi escono a sfidare l’afa: gli invitati ai matrimoni.
Esseri rubizzi e sbuffanti, grondanti sudore come fontane, vestiti di tutto punto.
Tutto comincia mesi prima, quando la parente, l’amico o collega ti recapita la fatidica lettera infiocchettata con il sorriso di chi pensa di farti cosa gradita.

Tu guardi con gli occhi sbarrati la ricca busta perlata,

magari impreziosita con deliziosi fiocchetti e già sai che la sventura ha bussato alla tua porta.
Apri il plico con la diffidenza che useresti per una missiva all’Antrace e la condanna ti appare in tutto lo splendore dei caratteri d’oro:
“I genitori degli sposi Mary Jane Caciottari e Alberico Spartaco Borone sono lieti d’invitarvi alla cerimonia che si svolgerà il giorno 19 Agosto presso la chiesa Santa Maria dei Calori alle ore 10:00.”
Seguito dal non meno famigerato:
“Dopo la cerimonia, Mary Jane ed Alberico Spartaco saranno lieti di salutare parenti ed amici da Ciccio Le Bujaccarò.”
Comincia così un calvario che poco ha di religioso e gioioso e molto di bilioso.

La compagna:

Appena ricevuta la ferale notizia, comincerà a dare in escandescenze:
“Non ho nulla da mettermi!!!”
Il vestito del matrimonio di tua sorella???
Sei pazzo!
È fuori moda!
Vuoi che faccia la figura della stracciona?
E poi sono ingrassata di 350 grammi netti!
Non mi entrerà mai in ogni caso!”

La lista di nozze:

La scelta del regalo è uno dei punti più dolenti, migliaia di coppie si sono, infatti, sciolte per colpa del matrimonio degli altri.
Gli sposi, per evitare di ricevere 102 copie della stessa cornice in Silver Plated, usano l’espediente della lista di nozze.
Si recano presso un negozio di casalinghi (solitamente il più costoso disponibile) e scelgono quello che gli piace.
Gli invitati, potranno quindi recarsi in tutta tranquillità e contribuire alla felicità degli sposi secondo le loro possibilità in forma anonima ovvero, nessuno dovrebbe sapere chi ha regalato cosa.
I parametri che gli invitati tengono in considerazione sono spendere il meno possibile e non fare la figura dei pulciari (cifrato Romano, dialettale, “avari”) e com’è del tutto evidente sono palesemente in antitesi.
Ovviamente chi prima arriva meglio alloggia perché sono disponibili più oggetti.
Se arrivi dopo un paio di giorni, trovi solamente la grolla d’oro tempestata di zaffiri oppure il servizio di piatti in fine porcellana Ming del XIII secolo dal costo di un pozziglione di euro cadauno.
Per questo gli invitati fanno seguire i futuri sposi da spie assoldate appositamente e non appena terminata la scelta, piantonano il negozio organizzando vere e proprie tendopoli per assicurarsi l’oggetto più appariscente ed a buon mercato.

Caccia al vestito:

Parte la ricerca spasmodica del vestito da indossare per la cerimonia e mentre gli uomini tendenzialmente riciclerebbero volentieri il vestito della prima comunione, per le donne indossare in pubblico lo stesso capo per due volte appare veramente insopportabile.
Così approfittando magari dei saldi parte la ricerca del Graal a forma di scarpa, cinta, borsa o vestito.
La donna in cerca di abito da cerimonia è un animale capace di tutto.
Costringerà il coniuge a viaggi di outlet in outlet fino a fargli spendere l’equivalente di un Armani in carburante ed, alla fine, riuscirà a convincerlo a comprare un nuovo vestito persino a lui che avrebbe preferito farsi amputare un arto piuttosto che spendere tutti quei soldi.

La vestizione:

Lui:  Cominci a vestirti a casa e già sudi copiosamente, dopo appena mezz’ora sei già al cambio della sesta camicia.
Cominci a lottare con la cravatta che s’imbizzarrisce e ti strangola con le sue spire di seta, fin quando non decidi di allungare 50 euro ad un cugino necroforo affinché te la faccia lui.
Ti senti un Frankenstein, una pentola a pressione umana sul punto di scoppiare.
Lei: Coiffer, manicure, pedicure, scrub, nails, lampada e trucco sono la base per la costruzione di un’invitata modello.
A leggerli così possono sembrare bizzarre torture medievali ed, infatti, lo sono.
La signora, dopo aver passato la notte dormendo in piedi per non rovinare la capigliatura, comincerà la fase di trucco che si conclude normalmente quando guardandosi allo specchio potrà cantare obiettivamente “ridi pagliaccio!”
Si passa quindi alla vestizione vera e propria che potrebbe sembrare banale visto che ha comprato un vestito appositamente grazie ai buoni uffici di Franchino er cravattaro (unica persona veramente felice per queste cerimonie), ma così non è.
Dopo aver sistemato il vestito, le scarpe, la cinta, borsa, il foulard, la collana ed il cappello sul letto noterà come poco bene s’intonino con il suo incarnato e quindi presa dal panico, svuoterà l’intero armadio provando combinazioni random del suo guardaroba e trasformando casa in un atelier, interdicendo l’uso dell’appartamento ad uomini ed animali per almeno cinque ore.
Alla fine indosserà poco convinta l’abito acquistato e quell’espressione che dice “non sono figa ma farò credere a tutti che lo sia.”

La chiesa:

Non a caso questo è anche il titolo di un noto horror del passato, una chiesa in città a mezzogiorno di Agosto, appare come un Golgota in scala.
Si arriva con discreto anticipo alla ricerca di un parcheggio all’ombra che esiste quanto un elfo dei boschi per poi abbandonare la vettura sotto il sole cocente per disperazione.
Si arriva davanti al sagrato sudando copiosamente per i 15 mt fatti e finalmente s’incontrano gli altri invitati.
Scatta il confronto delle mise che ovviamente ci farà sentire sciatti, e le urla disperate di donne vestite uguale.
Dopo essere stati lasciati ad essiccare per un’oretta, si accede alla chiesa, addobbata come una bomboniera con quelle deliziose decorazioni “girasole e gamberetti” che vanno tanto di moda quest’anno.

Arriva la sposa,

su un traino a 6 cavalli bianchi mesciati di biondo e carrozza Rococò color panna acida.
Scende dalla principesca vettura nel suo splendido abito bianco tempestato di Swarovski, l’effetto della rifrazione del sole attirerà in sito orme di discotecari convinti che abbiano organizzato un after-hours a sorpresa.
Il marito l’attende all’altare, inguainato nel vestito con l’espressione da travestito tipica di chi si è fatto convincere a ritoccare le sopracciglia da un barbiere pazzo, circondato da paggetti e damine uscite da un quadro di Ruben.
Finalmente i due convolano tra gli urrà della folla ed i flash dei telefonini che arricchiranno innumerevoli pagine Facebook ed Instagram.

Il rinfresco:

Finita la cerimonia, ci si dirige verso il ristorante scelto per il rinfresco.
Si prende la macchina che ormai ha raggiunto la temperatura di un altoforno, e si parte tutti in fila strombazzando a più non posso per annunciare il lieto evento.
Secondo il rispetto di antiche regole non scritte, esso non può essere più vicino di 150 km dal luogo della funzione e possibilmente non nella stessa provincia, in una località segreta protetta dalla CIA e non segnata sulle cartine.
Immancabilmente, si segue uno dei parenti che annuncia “So io dov’è!” che vi farà fare uno splendido tour della penisola, allietato dalla colonna sonora delle vostre bestemmie.
Si arriva nell’ampio parcheggio e si accede al buffet di benvenuto.
Gli sposi sono andati a scattare le foto ricordo in Papua Nuova Guinea, quindi il pasto vero e proprio non comincerà prima di cinque ore.
Gli ospiti si avventano su rustici e pizzette come piranha, a stento i camerieri riescono a salvare dita e stoviglie.

Il Prosecco è il Re incontrastato dei buffet,

in poco tempo gli accaldati ed assetati ospiti riescono a scolarsi mezza Valdobbiadene abitanti inclusi scatenando una serie di rutti percepibili fin da Marte.
Arrivano gli sposi dopo il tour de force delle foto, già distrutti dalle emozioni, il sorriso forzato di chi preferirebbe essere in prigione.
Si svolge così un banchetto degno di Apicio servito da camerieri dotati della stessa cortesia di Tremonti mentre discute di economia con Brunetta.
Anche se tenterete di spiegargli che non gli avete rigato voi l’automobile, continueranno a tirarvi i piatti sul tavolo ed a portare i rifornimenti di bibite dopo ore.
Il pranzo dei matrimoni è pura leggenda, si narra di interi parentadi entrati nei ristoranti durante il Rinascimento ed usciti durante il primo governo Andreotti.
I piatti arrivano con la stessa flemma e precisione di un interregionale, dopo l’antipasto e l’immancabile cocktail di gamberetti, arriva il primo primo, il secondo primo, il primo secondo, il secondo secondo, il terzo secondo, la frutta, la seconda frutta, la terza frutta che è di un’altra stagione perché nel frattempo è cambiata.
Il vino scorre a fiumi e con il caldo l’effetto è devastante.
Nonni che ballano sui tavoli, giovani che fanno altro a coppie miste sotto ai tavoli, canti sguaiati, cori di curva e karaoke, scontri fra ultras della sposa e dello sposo.
Il dolce normalmente è una torta tutta panna alta come il Monte Bianco, con le statue equestri degli sposi a grandezza naturale.
Ormai ridotti a due stracci i festeggiati tagliano la prima fetta di torta e subito dopo la corda, andando a dormire la loro prima notte di nozze.
Il resto della banda, continua a festeggiare tra amari, grappe e balli di gruppo le cui vergognose immagini funesteranno i social network nei secoli dei secoli.

Il rientro:

Spinti amorevolmente fuori dal locale dai camerieri del ristorante, i nostri eroi risalgono in macchina stanchi ed ubriachi.
Normalmente uno su cinque riesce a raggiungere il proprio domicilio mentre gli altri saranno ritrovati mesi dopo nelle campagne vicine.
Si sveglieranno con un mal di testa che non durerà meno di un anno e lo stomaco talmente imbarazzato da essere costretti a nutrirsi per flebo per almeno un mese.
Pochi arditi riescono a sopravvivere a più di un matrimonio l’anno, l’ONU stessa ha inserito i matrimoni tra le violazioni dei diritti umani.
Resta ancora un mistero il perché, coppie che abbiano vissuto tutto ciò, siano disposte a condannare a questo supplizio gli altri, decidendo di sposarsi se non per desiderio di vendetta…

Brano senza Autore, tratto dal Web