La bambola viaggiatrice

La bambola viaggiatrice

Un anno prima della sua morte, Franz Kafka visse un’esperienza insolita.
Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata:

aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida.

Kafka si offrì di aiutarla a cercare e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso giardino.
Non essendo riuscito a trovare la bambola, Kafka scrisse una lettera, fingendo che fosse per Elsi da parte di Brigida.
“Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.

Per molti giorni, Kafka e la bambina si incontrarono:

egli le leggeva queste lettere attentamente descrittive di avventure immaginarie della bambola amata.
La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine Kafka le regalò una bambola.
Era ovviamente diversa dalla bambola perduta; in un biglietto accluso spiegò:
“I miei viaggi mi hanno cambiata”.
Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono.

Diceva:

“Ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore si muterà in una forma diversa!”

Kafka, attraverso questa lettera immaginaria, riuscì a far capire ad Elsi che il vero amore rende liberi e vuole la felicità dell’altro, la paura, al contrario, limita la libertà ed è un sentimento insano e pericoloso.

Brano tratto dal libro “Kafka e la bambola viaggiatrice.” di Jordi Sierra i Fabra

Gesù e gli apostoli (La pietra)

Gesù e gli apostoli (La pietra)

Una volta Gesù e gli apostoli, nei loro continui viaggi, si trovarono a dover superare le asperità di un monte.
Gesù disse:
“Ciascuno prenda una pietra sulle spalle e la porti su!”

Volle provare il loro spirito di sacrificio.

San Pietro osò chiedere:
“Di quale grandezza?”
Rispose Gesù:

“La grandezza non interessa!”

Mentre tutti si caricarono di grosse pietre, Pietro prese con sé un sasso, tanto piccolo da stare, diremmo noi, in una tasca.
La salita e il carico facevano sudare e ansimare gli apostoli; Pietro invece camminava spedito e rideva, sotto, sotto, dell’ingenuità degli amici.
Arrivati su, si fermarono presso una fontana per riposarsi e mangiare un boccone.
Mancava il pane.

Gesù allora con una benedizione cambiò le pietre in pane.

Qui la sorpresa, l’umiliazione, la vergogna di Pietro, costretto a domandare, per favore, agli altri apostoli, che presero a guardarlo con un sorriso di compassione.
Gli apostoli ne ebbero d’avanzo:
Pietro ebbe, sì e no, il necessario.

Brano senza Autore

Il gigante buono

Il gigante buono

Il paese dove i bambini rimanevano bambini era diviso a metà da un fiume.
Là c’era un gigante buono che si caricava i piccoli sulle spalle per portarli da una parte all’altra.
Ma i bambini erano tanti e il gigante uno solo.

Un giorno, un merlo disse al gigante buono:

“Perché, invece di fare tanti viaggi, non aspetti che ci siano almeno tre bambini su una sponda?
Tu ti riposeresti un po’ e loro potrebbero conoscersi meglio.”
Ma il gigante pensò che sarebbe stato egoistico da parte sua.
Dopo qualche mese, lo stesso merlo gli disse:
“Tu conosci il fiume molto bene.
Perché non gli chiedi di darti una mano abbassando le sue acque, solo per qualche settimana?”
Ma il gigante pensò che sarebbe stata una mancanza di tatto.
Dopo un anno, il merlo si fece vivo di nuovo:
“Guarda quanti alberi ci sono!

Per te sarebbe un gioco da ragazzi farci una zattera.

Potresti insegnare ai bambini…”
Il gigante, sorridendo, lo interruppe:
“Grazie, grazie davvero.
Ma non ti devi preoccupare per me!
E poi dove lo trovo il tempo?
Con tutti i piccoli che devo traghettare…”
Il merlo non tornò più.
Ma una sera, il gigante buono, stremato da tutte le sue traversate, cadde disteso sul letto del fiume.
Grosso come era, non riusciva più ad alzarsi.

Allora i bambini si dissero:

“Non possiamo lasciarlo lì!”
Piano piano, dandosi la mano, entrarono nel fiume.
Con loro grande stupore (e con grande stupore dello stesso gigante) si accorsero che l’acqua non arrivava loro più in su della vita.
“Uno, due, tre… issa!” gridarono tutti insieme.
Con gentilezza, sollevarono il gigante buono e lo portarono sull’altra sponda.

Brano senza Autore.

Il sogno di Rodolfo

Il sogno di Rodolfo

Anticamente, quando i genitori volevano inculcare nei figli l’idea che l’uomo, fin dall’infanzia, deve battere le vie della santità, senza lasciare le questioni della religione per la vecchiaia, erano soliti raccontare loro delle storie, come questa.
Il giovane Rodolfo, uomo forte e sano, di bell’aspetto, non immaginava che sarebbe un giorno morto o, per lo meno, pensava questo gli sarebbe accaduto dopo molti e molti anni.
In un freddo pomeriggio di ottobre del 1321, egli si inoltrò in una folta foresta, durante una passeggiata.
Ormai all’imbrunire, avvistò tra gli alberi qualcosa che gli sembrava una parete.
Stanco, si avvicinò e vide che era un’antica cappella abbandonata.
Entrò.

Tutto era in rovina:

vetrate rotte, banchi capovolti, polvere accumulata, pipistrelli, ecc.
Per lo meno, pensò, ci sono le pareti ed un tetto, è meglio che niente.
Unendo alcuni banchi, improvvisò dunque un letto e, esausto com’era, si addormentò in un baleno.
A notte fonda fu svegliato da un suono di campane.
Estremamente sorpreso, si sfregò bene gli occhi, non riuscendo a credere a quello che vedeva:
la piccola cappella era illuminata e piena di fedeli.
Sull’altare, un sacerdote stava celebrando la Messa.
Vicino al presbiterio, c’era una bara.
Era dunque una Messa funebre, concluse.
“Mi scusi, signora, ma in memoria di chi è celebrata questa Messa?” chiese.
“Allora non sa chi è morto?
È uno che si è perso in questa foresta, mentre faceva una passeggiata ed è stato trovato morto oggi…

Rodolfo ebbe un sussulto.

Con uno strano presentimento, volle sapere chi fosse quel giovane.
Si avvicinò alla bara, sollevò il velo che copriva il volto del defunto e… sentì un terribile brivido lungo la schiena.
Il morto era lui!
Era ormai invecchiato, certamente, ma non c’era alcun dubbio che era proprio lui quello che si trovava nella bara.
Lanciò un grido di spavento e… si svegliò.
Comprese allora che quel terribile sogno era un avvertimento del cielo: egli sarebbe morto esattamente di lì a 50 anni.
Uscì dalla chiesa e ritornò nella bella casa della sua agiata famiglia, dove era in corso una magnifica festa.
In mezzo all’allegria e ai divertimenti, pensò:
“50 anni è molto tempo.
Vuoi sapere una cosa?

Farò una ripartizione intelligente:

nei primi 25 anni, mi godrò la vita e nei 25 seguenti mi preparerò seriamente alla morte.
Trascorse così 25 anni in divertimenti, viaggi, feste, gite e continua allegria.
Ma… passarono molto rapidamente!
Allora, il Conte decise:
“Guarda, guarda, 25 anni è troppo tempo per prepararsi alla morte, così, i prossimi 15 anni saranno un prolungamento dei 25 anni che sono già passati.
Quando ne mancheranno solo 10, allora sì, mi preparerò seriamente!”
E così accadde… furono altri 15 anni di piaceri, che trascorsero più rapidamente dei 25 anni precedenti.
Ad ogni scadenza, il Conte faceva una nuova “ripartizione intelligente” del tempo restante, giungendo in questo modo, al suo ultimo mese di vita.
Un mese soltanto!
Era, dunque, necessario congedarsi da parenti e amici.
Mandò una lettera a tutti gli amici, invitandoli ad una grande festa.
Dopo 25 giorni, erano tutti riuniti nella sua villa.
Furono tre giorni d’intensa commemorazione.

Gli restavano ora soltanto due giorni!

“Non posso lasciar partire i miei ospiti senza un banchetto di commiato!” pensò il Conte fissando un monumentale pranzo per il 25 ottobre, suo ultimo giorno di vita!
Dopo la festicciola, sentì la necessità di riposare un poco, per poter allora fare una buona confessione.
Mentre era a letto, sentì le prime avvisaglie della morte imminente, chiamò un domestico e, con voce da oltre tomba, lo mandò a chiamare in gran fretta un prete.
Il fedele servitore corse al villaggio vicino, alla ricerca del Parroco.
Nel frattempo Rodolfo, che aveva sprecato i 50 anni di tempo che aveva per prepararsi, cominciò a vedere figure che si muovevano intorno al suo letto, come fossero in attesa del momento di condurlo all’aldilà.
Ansimante, osservava l’ampollina del tempo che stava ormai esaurendosi.
Mancavano appena cinque minuti alla mezzanotte, ed egli udì il rumore del carro che si approssimava, con il prete.

Troppo tardi!

Prima che entrasse il sacerdote, scoccò il primo rintocco delle campane, che annunciavano il nuovo giorno!
Disperato, Rodolfo emise un terribile urlo e… si svegliò veramente.
Con grande sollievo, si rese conto di trovarsi davanti al crocifisso arrugginito della cappella in rovina nel mezzo della foresta, dov’era entrato a riposare poche ore prima.
Non si era trattato che di un sogno.
Ma non di un semplice sogno, no!
Perché il giovane Rodolfo prese sul serio il misericordioso avvertimento.
Da quel momento in poi, seguì con determinazione il cammino della virtù.
Facendo un esame di coscienza quotidiano e la confessione frequente, si mantenne sempre preparato per l’ultimo e più importante giorno della sua vita:
quello del suo incontro con Dio.

Brano senza Autore.

La vita è un racconto, ascoltalo

La vita è un racconto, ascoltalo

Prima di lasciare il suo corpo, mio nonno mi chiamò accanto a sé e mi volle svelare il “segreto della vita.”
Mi disse proprio così:
“Ora ti confiderò un segreto, il segreto della vita!”
A quel tempo ero un ragazzino e non capivo perché un uomo come mio nonno dovesse morire.
Proprio non lo capivo.
Era un uomo eccezionale mio nonno.
Un uomo di grande cultura; severo; onesto con sé e con il mondo in cui credeva; ironico.
Ed insomma in quel giorno che a me sembrava una tragedia, mi chiamò vicino a sé, mi prese la mano e mi disse:

“Io me ne sto per andare.

Ma non devi essere triste.
Me ne vado per un po’, perché questo mio corpo è un po’ stanco.
Poi ci rivedremo.
Ma ora voglio confidarti un segreto.
Il segreto della vita.
Oggi viviamo in un mondo dove sembra che non esista altro che il denaro e la violenza.
Ma non è così.
C’è solo una grande confusione.
Per vivere bene devi fare una semplice cosa.
Che ora ti dirò.
Intanto portami un bicchiere d’acqua che ho la bocca secca.”
Beh, come ho già detto, a me sembrava già una tragedia che dovesse morire lui.
Figuriamoci cosa mi importava delle violenze o del denaro!
Però quel discorso lo ricorderò per sempre perché mio nonno stava per svelarmi un segreto.
Ero col bicchiere d’acqua in mano e glielo poggiai sulle labbra.

Bevve un sorso.

Aveva le labbra quasi blu.
“Ecco cosa devi fare!” mi disse, “Oggi c’è gente che è andata sulla Luna e ci sono pure un sacco di medicine nuove.
Però come vedi alla televisione, la gente continua a morire.
Una volta tutte queste cose non si sapevano perché non c’era la televisione.
E con tua nonna la sera si andava a letto presto.
O magari si stava davanti alla finestra a guardare la neve e la gente che passava.
Poi quando le tue zie erano piccole stavamo a raccontare storie di fantasmi o di principesse.
Ed allora magari le tue zie si impaurivano o si innamoravano e poi si andava tutti a letto.
Ora le storie te le raccontano in televisione o magari le leggi sulle riviste dal barbiere.
E così le storie di fantasmi e di principesse non le raccontiamo più perché le raccontano meglio in televisione.
Non ti devi immaginare più nulla:
vedi le immagini e ti impaurisci o sogni come facevano le tue zie ascoltando le nostre favole.
Non è sbagliato tutto questo.

Mi dai un altro po’ d’acqua?”

“Certamente!” dissi.
Era in ospedale mio nonno.
Aveva approfittato dell’assenza di altri parenti per parlarmi.
Per svelarmi questo segreto.
Non l’aveva detto a nessuno.
Lo disse solo a me.
“Come ti dicevo:
la televisione, le medicine, i viaggi sulla Luna… non sono cose sbagliate.
Perché ti possono fare impaurire o sognare.
E provare certi sentimenti non è sbagliato perché noi siamo uomini!
E dobbiamo provarle certe sensazioni perché questa è la vita.””
Mentre mi parlava era come se non avesse paura di morire.
Mi era sempre più chiaro che non stava morendo ma stava solo intraprendendo un nuovo viaggio per portare questo messaggio (che mi stava comunicando) anche ad altre persone e ad altri mondi.

“Queste cose,” continuò, “non sono sbagliate.

Ma la cosa che le può rendere “cattive” è che le tue zie che si impaurivano o che si innamoravano sapevano bene che ciò di cui parlavamo io e tua nonna erano solo racconti.
Invece oggi se accendi la televisione credi che sia tutto vero; se prendi una pillola credi che non lascerai mai questo corpo; se vai sulla Luna credi che sei a un passo da Dio.
C’è una cosa bella in tutto.
Se ora ti affacci alla finestra per esempio c’è il sole.
Ed è una cosa bella perché fa vivere le piante con i suoi raccolti ma se non piove potrebbe farle anche morire.
Sono racconti diversi.
Uno ti fa sognare e gioire, l’altro ti fa impaurire.
Ma sono solo racconti.
Vedi ora io so che tu sei triste perché non capisci perché io me ne debba andare.
E te la prenderai con qualcuno:
magari con Dio, con te stesso, con il mondo che è ingiusto o crudele, con i medici che non mi hanno salvato.
Ma questo è solo un racconto.

Che magari ti impaurisce e ti intristisce.

Ed è giusto che sia così perché sei un uomo e devi provare queste cose.
Ma devi anche sapere che è solo un racconto.
Io vado solo da un’altra parte senza questo vestito che chiamiamo corpo.
Vado a vedere altre cose.
Forse vado anche sulla Luna, ma senza un missile.
Vado ad ascoltare altri racconti.
Non con queste mie orecchie, ma con altre orecchie.
Vado a vedere altri luoghi, ma non con questi occhi.
Vado a raccontare le mie storie ad altra gente, ma non con questa bocca.
La vita è un bel racconto:
che ti fa sognare, ti fa piangere, che ti fa gridare, che ti fa arrabbiare.
Perché sei un essere vivente.
Anche le piante si arrabbiano e pure il Sole.
Anche loro sognano e si impauriscono.

Ma il segreto è che è solo un racconto.

E così la paura passa perché era solo un racconto e rimane la gioia di poter vivere ed ascoltare nuovi racconti.
Anche con corpi diversi.
Quindi vivi, ascolta i racconti, anche quelli della televisione, che sono molto belli.
Ma sappi sempre che sono racconti altrimenti crederai di vedere la Verità dove Verità non c’è.
E sarai sempre triste o forse ti capiterà di essere un po’ triste e un po’ felice.
Ed invece devi essere felice per il semplice fatto che riesci ad ascoltare racconti che magari possono sembrare tristi.
Come io che sono sul letto e la gente poi ti dirà che sono morto.
Ma tu non credergli.
È un racconto.
Un racconto per farti paura.
Ma tu sai che non è la Verità.
Perché io non sono questo corpo ma sono molto di più.
Io sarò sulla Luna o magari in India ad ascoltare e raccontare nuove storie.
Non sarò di certo in qualche tomba!
Mi fa pure schifo!

Ecco il segreto:

“Per vivere la vita,” e mi fece un sorriso come quando stava per raccontare una delle sue barzellette, “per vivere bene la tua vita devi chiedere consigli agli altri.
Se non sai cosa fare, se non riesci a fare qualcosa … chiedi consiglio agli altri.
Ascoltali attentamente e poi informati se hai capito bene cosa ti hanno consigliato ripetendogli cosa ti hanno detto.
Per esempio: tu non sai se andare a lavorare a Roma o Milano e loro ti suggeriscono Milano.
Allora tu dopo aver ascoltato approfonditamente tutte le loro motivazioni, gliele ripeti e vedi se hai capito bene.
E poi alla fine gli dici:
bene, allora Milano sembra il posto giusto.
Ecco la cosa importante è soprattutto ascoltare le motivazioni, perché ovviamente se uno ti dà un consiglio a caso non serve a niente.
Mi passi un po’ d’acqua?”
Il nonno mi stava dicendo di ascoltare i consigli degli altri.
Ma soprattutto di vedere se erano ben motivati.

Era quello l’importante.

“Allora… stavo dicendo.
Quando finalmente saprai che gli altri ti hanno consigliato di andare a Milano, quando avrai capito bene le loro motivazioni, allora sarai pronto.
Fai le valigie e vattene di corsa a Roma!”
Forse non avevo capito bene o forse il nonno cominciava a dare i numeri!
E il nonno se ne accorse benissimo, sorrise e mi guardò negli occhi.
I suoi occhi erano stanchi.
E continuò così:
“Hai capito bene!
Ecco il segreto.
Vivi la tua vita ma mai quella di un altro.
Ognuno di noi è speciale ed unico.
È questa la vita: un racconto speciale.
Ed ognuno di noi non ha Verità ma solo racconti da raccontare.
Ma se ci mettiamo a raccontare racconti uguali finiamo per credere all’unico racconto che oggi compare in televisione.

Ed il mondo diventerà tutto uguale.

E tutti correranno dietro lo stesso racconto credendo che sia la vera vita.
Ma ognuno ha la sua vita ed ognuno ha i suoi racconti.
Quindi ridi e divertiti perché non moriamo mai.
Sono solo i racconti che cambiano, ed è giusto che sia così.
Il mio racconto sta per finire ma un altro ne sta per cominciare.
Un altro tutto nuovo, magari appena sono sulla Luna ne ascolterò mille nuovi e poi te li verrò a raccontare attraverso i tuoi figli o magari attraverso il sole.
Dai, ora vai, che ho sonno.
Ma prima dammi un bacio!”
Uscii dalla stanza.
Non rividi più mio nonno nel suo corpo.
Piansi tanto.
Ora quando mi guardo intorno o guardo la TV o ascolto qualcuno, sorrido.
E mi vengono in mente le parole di mio nonno, in quel giorno d’estate, quando il Sole era alto e con i suoi raggi raccontava al mondo un’altra delle sue meravigliose storie.

Brano senza Autore.

Il cuoco generoso

Il cuoco generoso

Un re molto potente volle fare un banchetto per il figlio che arrivava a casa dopo aver girato per le galassie del cielo.
Ma quando il figlio arrivò subito si accorse che c’era qualcosa che non andava bene.
Il giovane era sempre triste, spento, come se tutto quel girovagare per le stelle, i pianeti e i vari satelliti l’avesse sfinito.
Allora il re decise di far curare il suo unico figlio e decise perciò di chiamare i tre medici più bravi e famosi della terra.

Arrivò il primo medico che visitò il giovane e disse:

“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di oro, di tanto oro, perché dopo aver visto tutte le stelle del cielo sicuramente adesso sente la mancanza del loro luccichio…e quindi è triste per questo!”
Così il re fece portare tutto l’oro del mondo e riempì una stanza.
Sì, per un po’ di tempo, qualche giorno, il giovane sembrò un po’ più contento, però dopo un po’ ritornò ad essere triste.
Allora il re chiamò un altro dottore, il quale disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di una bella giostra, perché dopo aver girato tutti i cieli con la sua navicella spaziale, sicuramente sente la mancanza del movimento e di tutta l’ebrezza che ha provato!”
Il re gli fece avere la giostra più bella e grande che si fosse mai vista ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu un po’ più contento.

Ma poi si stufò anche della giostra e divenne più triste di prima.

Allora il re fece chiamare il terzo medico che visitò il ragazzo e disse:
“Ho capito… questo ragazzo ha bisogno di stare in spazi aperti.
È molto triste, perché dopo aver vissuto nei cieli sconfinati adesso si trova a vivere in un castello che, per grande che sia, per lui è un posto molto piccolo ed angusto!”
Allora il re portò il figlio in un posto meraviglioso con prati, cascate, ruscelli, fiumi…
Ed effettivamente per qualche giorno il giovane fu contento, ma dopo un po’ divenne ancora più triste di prima.

Il re, disperato e piangente, non sapeva più cosa fare.

Aveva chiamato i dottori più bravi della terra, ma senza alcun risultato.
Intanto un cuoco di corte che aveva sentito della malattia del giovane principe ed era molto dispiaciuto si avvicinò al re e gli fece una proposta:
“Forse, mio sire, il giovane principe ha solo bisogno di un buon pranzetto…
Ormai i dottori hanno fatto tutto il possibile, perché non lasciate fare a me che so cucinare piatti prelibati?”
Allora il re decise di provare quest’ultima possibilità.
Tutti i giorni il giovane cuoco si recava dal principe e gli faceva assaggiare un po’ per volta, perché il giovane aveva anche perso l’appetito, i piatti preparati da lui e si intratteneva con il principe, gli raccontava quello che succedeva al castello e ascoltava volentieri i meravigliosi viaggi nelle galassie che il principe aveva compiuto in quegli anni… e un po’ per volta il principe guarì completamente dalla sua malattia.

Brano di Maria Macrì

Lentamente muore



Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare;

chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Brano di Martha Medeiros, attribuito a Neruda.

L’uccellino incantato e la bambina


L’uccellino incantato e la bambina

Tra una bambina e un uccellino incantato, che possedeva penne variopinte dai colori dei luoghi che visitava, era nata una splendida amicizia.
Purtroppo l’uccellino ogni tanto doveva partire per nuovi lidi.
La piccola lo pregava di non lasciarla sola, ma lui doveva farlo, poiché la sua bellezza dipendeva dai viaggi che lui intraprendeva e dalla nostalgia che lei provava durante la sua assenza.

La bimba decise che quando sarebbe tornato lo avrebbe chiuso in una gabbia.

Dopo qualche tempo l’amico tornò e mentre dormiva la piccola lo catturò.
All’improvviso fu svegliata da un urlo terribile di disperazione.
Il prigioniero le fece notare di aver commesso un gravissimo errore.

Chiuso in gabbia si sarebbe rattristato, le sue piume avrebbero perso i colori e lei avrebbe smesso di amarlo.

La bimba capì di essersi comportata da stupida, così, aprì la porta della gabbia e lo lasciò libero.
Mentre esso si allontanava, l’avvertì che questa volta la sua assenza si sarebbe protratta più a lungo per riacquistare i colori e la rassicurò che sarebbe tornato, bello e interessante come prima.

La piccina da quel giorno cominciò a vivere il suo mondo incantato nell’attesa.

Indossava vestiti sgargianti, deponeva fiori colorati nei vasi.
Aveva compreso che anche la nostalgia era necessaria per rendere più forte la loro amicizia.

Brano di Rubem Azevedo Alves

La finestra sul muro


La finestra sul muro

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d’ospedale.
Ad uno dei due uomini era permesso mettersi seduto per un’ora ogni pomeriggio in modo da permettere il drenaggio dei fluidi dal suo corpo ed il suo letto era vicino all’unica finestra della stanza.
L’altro uomo invece doveva restare sempre sdraiato.
Col passare dei giorni i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore.
Parlarono delle loro mogli, delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l’uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere e l’altro paziente cominciò a vivere per quelle ore in cui la sua sofferenza veniva lenita dai colori del mondo esterno.

La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto dove le anatre e i cigni giocavano nell’acqua,

mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo.
Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c’era una bella vista della città in lontananza.
Mentre l’uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l’uomo dall’altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.
In un caldo pomeriggio l’uomo della finestra descrisse una parata che stava passando.
Sebbene l’altro uomo non potesse vedere la banda, poteva sentirla e vederla con gli occhi della sua mente, così come l’uomo dalla finestra gliela descriveva.

Passavano i giorni e le settimane.

Un mattino l’infermiera del turno di giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell’uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno.
L’infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l’altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra.
L’infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l’uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno, voltandosi per guardare fuori.

Essa si affacciava su un muro bianco…

L’uomo, allora, chiese all’infermiera che cosa potesse avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra.
Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione.
Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata!
Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare.
L’oggi è un dono, e per questo motivo che si chiama ‘presente’.

Brano senza Autore, tratto dal Web