Il cagnolino senza biglietto

Il cagnolino senza biglietto

C’era una volta una signora che voleva far viaggiare senza biglietto il suo cagnolino, ma arrivò il controllore e le disse:
“Cara signora, deve pagare anche l’altro biglietto!”
E lei di rimando:

“Ma è così piccolo, io non pago!”

Dopo una animata discussione nella quale la signora e il controllore portavano le loro ragioni, per forza contrastanti, il controllore approfittò del fatto che il treno stava rallentando per afferrare il cagnolino per la collottola e sporgerlo fuori dal finestrino, lasciandolo lentamente cadere nel vuoto.
La signora era disperata e chiedeva conforto agli altri passeggeri.

C’era chi le dava ragione e chi le suggeriva di rivolgersi alla “Protezione degli animali.”

Il controllore era ormai pentito di quello che aveva fatto e si stava allontanando dallo scompartimento quando la signora, molto infuriata, gli strappò dalle mani la pipa e la scaraventò fuori del treno.
Alla stazione successiva scesero tutti i due inferociti:
lui per l’affronto fatto alla pipa, lei per l’offesa al cane.
Non ebbero il tempo di scambiarsi altre parole perché cominciò un battimani dei compagni di viaggio:

stava arrivando il cagnolino con la pipa del controllore in bocca.

Poco mancò che i due contendenti si abbracciassero.
E tutto finì per il meglio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Lo smeraldo in regalo

Lo smeraldo in regalo

Una donna saggia che viaggiava attraverso le montagne trovò una pietra preziosa di colore verde in un ruscello.
Capii immediatamente che si trattava di un bellissimo smeraldo.

Il giorno dopo trovò un altro viaggiatore che stava morendo di fame,

e la donna saggia aprì la borsa per condividere il suo pasto.
L’affamato viaggiatore vide la pietra preziosa e chiese alla donna di donargli lo smeraldo.
La donna lo fece senza esitare.

Il viaggiatore partì, compiacendosi della sua buona fortuna.

Sapeva che la pietra valeva sufficientemente per dargli sicurezza per tutta la vita.
Ma qualche giorno più tardi tornò a restituire lo smeraldo alla donna saggia.
“Ho riflettuto,” disse, “sul valore della pietra preziosa, ma te la restituisco con la speranza che tu mi possa dare qualcosa di ancora più prezioso.”

Ed aggiunse:

“Dammi quello che hai dentro di te che ti ha permesso di regalarmi la pietra.”

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il re e la montagna di rose

Il re e la montagna di rose

C’era una volta un re che abitava una montagna dove migliaia di rose di tutti i colori crescevano rigogliose per tutto l’anno.
In quel regno uomini, donne e bambini vivevano in pace tra loro e con i paesi confinanti.

Un giorno arrivarono nel Regno delle rose dei messaggeri che portarono cattive notizie.

Il re di un paese lontano aveva cominciato un lungo e terrificante viaggio con i suoi eserciti, alla conquista di tutti i regni che incontravano sul loro cammino.
Gli uomini dell’imperatore conquistatore proposero al re delle rose di arrendersi.
“Mai,” rispose lui, “il mio regno dovrà restare libero da ogni schiavitù o imperialismo!”
Purtroppo dopo pochi giorni arrivarono i cavalieri stranieri che iniziarono a distruggere i roseti e le case che incontravano sulla via per la fortezza.
Il re che voleva difendere il suo regno, fu fatto prigioniero e portato in una terra lontana.

Riuscito a fuggire, tornò al suo regno.

Sulla strada del ritorno, da lontano, riusciva a vedere la montagna, ma niente altro.
Infatti l’imperatore aveva distrutto tutte le piante di rose.
Per vendicarsi, il re decise che avrebbe ricostruito tutto come era prima.
Ora che aveva sconfitto il potente imperatore e aveva scatenato contro di lui i popoli conquistati, non rimaneva che ricominciare.
Il re ripensò allo splendore del suo giardino di rose sotto il sole e comprese che cosa aveva attirato gli stranieri sulla sua montagna.

Erano state la serenità e la gioia di un paese bello e semplice come un fiore.

Ma invece di arrendersi al grigio di una natura nascosta, il re volle accrescere l’abbondanza di colori e di vita del suo giardino.
All’arrivo della bella stagione, la montagna era tornata la patria della felicità.
Ormai i roseti arrivavano fino ai piedi dell’altura, non si fermavano come prima della guerra, intorno al castello.
Da tutti i popoli confinanti, quella era conosciuta come la “Montagna di rose!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La persona ideale

La persona ideale

Mulla Nasrudin era seduto nel negozio del tè quando arrivò un vicino per parlare con lui.
“Sto per sposarmi, Mulla,” gli disse l’amico, “e sono molto eccitato.
Tu non hai mai pensato di sposarti?”

Nasrudin rispose:

“Sì, ci ho pensato.
Quand’ero giovane lo desideravo molto.
Volevo trovare la moglie perfetta.
Mi sono messo in viaggio per cercarla e sono andato a Damasco.
Là ho incontrato una bella donna piena di grazia, gentile e molto spirituale, ma che non conosceva il mondo.

Allora mi sono rimesso in viaggio e sono andato a Isphahan.

Là ho incontrato una donna che era sia spirituale che mondana, bella sotto molti punti di vista, ma non riuscivamo a comunicare.
Alla fine sono andato al Cairo e dopo molte ricerche l’ho trovata.
Era profonda di spirito, piena di grazia, bella sotto tutti i punti di vista, a suo agio sia nel mondo che nei regni che lo trascendono.
Sentivo di aver trovato la moglie ideale!”

L’amico gli fece un’altra domanda:

“Allora perché non l’hai sposata, Mulla?
“Ahimè,” disse Nasrudin scuotendo la testa, “anche lei stava cercando il marito ideale!”

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero

Vivere, non sopravvivere. Uccidete quella mucca.

Vivere, non sopravvivere.
Uccidete quella mucca.

Un monaco durante il suo pellegrinaggio venne ospitato da una famiglia di contadini.
Gli offrirono un pezzo di formaggio e un po’ di latte, ma rimase in forte imbarazzo nel vedere che queste brave persone erano davvero poverissime.
Il monaco chiese come facessero a tirare avanti in quella capanna isolata e senza risorse di alcun genere.
La moglie del contadino rispose che, grazie ad una mucca che mungono ogni mattina, vendevano il latte alle famiglie che abitavano nelle vicinanze e sopravvivevano risparmiando i pochi soldi ricavati dalla vendita e mangiando un po’ di formaggio preparato con il siero.

La mattina dopo il monaco disse al contadino e sua moglie:

“Ho pensato tutta la notte a cosa posso fare per voi e… vi dico di uccidere la vostra mucca subito!”
Il contadino e la moglie sorpresi dalle parole del monaco si disperarono e si misero a piangere.
Erano molto affezionati all’animale, ma sapevano in cuor loro che il monaco aveva ragione e, pur con la morte nel cuore, condussero la mucca al precipizio dietro la casa e la buttarono giù uccidendola,

mentre il monaco riprese il suo viaggio.

Dopo due anni il monaco tornò a far visita alla famiglia di contadini e quello che vide una situazione completamente diversa:
al posto di una fattoria diroccata c’era una bellissima villa con giardino, allevamenti di animali, frutteti, orti e un bellissimo lago dove nuotavano pesci di ogni genere.
Quando il capofamiglia vide il monaco lo abbracciò in lacrime ringraziandolo del suo consiglio che gli aveva cambiato la vita!
Venne accolto dai padroni di casa e gli fu offerto ogni ben di Dio.
Sorpreso e felice che questi contadini avessero stravolto fino a quel punto il loro tenore di vita chiese di raccontargli come avessero fatto.

Da quando non c’era più la mucca,

ogni mattina, si alzavano con la forte motivazione di doversi trovare un modo per guadagnarsi da vivere, e questo gli permise di conoscere gente nuova e affrontare situazioni che furono il motivo della loro fortuna.
Il capofamiglia non si era infatti mai reso conto che la mucca non gli permetteva di vivere ma solo di sopravvivere

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda della danza della luna

La leggenda della danza della luna

Molti anni or sono Luna era alta nel cielo.
Il suo cuore triste lacrimava.
Cosi decise di abbandonare il cielo e andare a vivere sulla terra.
Chiese ad una stella di donarle due piccole ali per raggiungere la terra.
La stella subito esaudì il suo desiderio.
Luna viaggiò molto.
Finalmente dopo molti mesi toccò terra.
La sua anima era ancora triste, iniziò a correre veloce nel bosco scuro.

I suoi occhi non volevano vedere e le sue orecchie non volevano sentire.

La strada era faticosa, salite discese, torrenti da attraversare, alberi sui quali camminare, ponti traballanti con grandi burroni, funi pericolanti, molti sassi grandi e piccoli sui quali camminare…
Inciampava tante volte, ma proseguì.
Iniziò a piovere molto forte.
Si creò molto fango, ma lei era coraggiosa.
Cadde e si rialzò più volte.
Capi di lasciarsi andare a quel percorso senza timore.
Cosi iniziò a strisciare, era molto forte, strisciò come un serpente.
Sapeva che sarebbe stata l’unica strada per salvarsi…
Continuando a strisciare entrò in un tunnel scuro dove incontrò molti animali in viaggio come lei.
Civette, Orsi, Lupi, Pipistrelli, Ragni, Lontre.
Tutti incitavano Luna a proseguire il suo Viaggio.

Luna gridava, piangeva.

Era disperata voleva andare via di lì, voleva la Luce più di ogni altra cosa.
E nuovamente si lasciò trasportare.
Mille emozioni attraversavano la sua forte anima.
Uscì dal tunnel, corse ancora disperata.
Poi all’improvviso si fermò.
Si guardò intorno.
Respirò profondamente.
Chiuse gli occhi.
Iniziò a danzare.
Una magica Danza.
Mai vista neppure dagli spiriti.

Si udivano in lontananza molti tamburi.

Gli spiriti del luogo videro Luna.
Si radunarono tutti e copiarono la danza.
Tutto il bosco era invaso da spiriti danzanti.
Luna danzava come il vento senza fermarsi neppure per prendere fiato, gridava, piangeva e rideva.
Venne risucchiata completamente dalla Danza, formando intorno a se una gigantesca sfera argentata che scoppiò creando una miriade di piccole luci che invasero l’Universo intero, formando tantissime stelle e giochi di colori infiniti.
Nessuno sa se la sua Danza fosse di dolore o di gioia.
Luna vive profondamente senza usare parole.
La leggenda vuole che da quel giorno molte popolazioni si riuniscono per donare alla Luna la loro Danza.
Si dice che qualcuno si trasformi ancora in Stella e che porti ovunque nell’Universo questa Danza…

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’utilità di un sasso


L’utilità di un sasso

C’era una volta, in un inverno freddissimo, un uccellino che volava su un campo innevato.
Avendo le zampette piene di neve cercava un posto su cui appoggiarsi.

Dall’alto sembrava che tutto fosse ricoperto di neve.

Scendendo più in basso, però, si accorse che c’era una pietra che ne era priva.
Allora l’uccellino si avvicinò e chiese al sasso:
“Scusami, sono infreddolito e ho le zampette piene di neve, posso poggiarmi su di te per qualche istante?”

Il sasso lo guardò e subito disse “Ma certo!”

L’uccellino si posò, si asciugò le zampette e dopo qualche minuto riprese il viaggio.
Nel ripartire disse alla pietra:
“Grazie, sei stato veramente gentile, eri l’unico su cui potevo poggiarmi.

Ti sarò sempre debitore!”

Ma il sasso rispose:
“Grazie a te! Ora non mi chiederò più che ci sto a fare!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Ho imparato


Ho imparato

Ho imparato che nessuno è perfetto… finché non ti innamori.
Ho imparato che la vita è dura… ma io di più!
Ho imparato che le opportunità non vanno mai perse… quelle che lasci andare tu, le prende qualcun altro.
Ho imparato che quando serbi rancore e amarezza… la felicità va da un’altra parte.

Ho imparato che bisognerebbe usare sempre parole buone… perché domani forse si dovranno rimangiare.

Ho imparato che un sorriso è un modo economico per migliorare il tuo aspetto.
Ho imparato che non posso scegliere come mi sento… ma posso sempre farci qualcosa.
Ho imparato che quando tuo figlio appena nato tiene il tuo dito nel suo piccolo pugno… ti ha agganciato per la vita.
Ho imparato che bisogna godersi il viaggio e non pensare solo alla meta.
Ho imparato che è meglio dare consigli solo in due circostanze: quando sono richiesti e quando è in gioco la vita.
Ho imparato che meno tempo spreco e più cose faccio.

Ho imparato a godermi le cose!

Ho imparato ad accettare le sconfitte, le delusioni.
Ho imparato che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. Per questo bisogna che tu la perdoni.
Ho imparato che ci vogliono anni per costruire la fiducia, e pochi secondi per distruggerla.
Ho imparato che non dobbiamo cambiare amici se comprendiamo che gli amici cambiano.
Ho imparato che le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo sempre responsabili di noi stessi.

Ho imparato che la pazienza richiede molta pratica.

Ho imparato che ci sono persone che ci amano, ma semplicemente non sanno come dimostrarcelo.
Ho imparato che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno ad alzarti.
Ho imparato che solo perché qualcuno non ti ama come vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Ho imparato che non si deve mai dire ad un bambino che i sogni sono sciocchezze, sarebbe una tragedia se lo credesse.
Ho imparato che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno, nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Ho imparato che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si sia spezzato, il mondo non si ferma aspettando che lo ripari.
… E dopo tutto ciò, avrò imparato a vivere?

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il posto di viaggio in aereo


Il posto di viaggio in aereo

Una donna bianca, di circa 50 anni, prese posto in classe economica, di fianco ad un uomo nero, su un aereo di linea.
Visibilmente turbata, chiamò la hostess.
“Che problema ha signora?” chiese l’hostess.
“Ma non lo vede?” rispose la signora “Mi avete messo a fianco di un uomo nero!

Non sopporto di rimanere qui.

Assegnatemi un altro posto.”
“Per favore, si calmi,” disse l’hostess “poiché tutti i posti sono occupati.
Vado a vedere se ce n’è uno disponibile.”
L’hostess si allontanò e ritornò qualche minuto più tardi.
“Signora, come pensavo, non c’è nessun altro posto libero in classe economica, anche il comandante mi ha confermato questa mancanza di posto, neanche in classe executive.

E’ rimasto libero soltanto un posto in prima classe.”

Prima che la donna avesse modo di commentare la cosa, l’hostess continuò:
“Vede, è insolito per la nostra compagnia permettere a una persona con biglietto di classe economica di sedersi in prima classe.
Ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona sgradevole.”

E, rivolgendosi all’uomo nero, l’hostess proseguì:

“Quindi, signore, se lo desidera, prenda il suo bagaglio a mano che la attende un posto in prima classe!”
E tutti i passeggeri vicini che, allibiti, avevano assistito alla scenata della signora, si misero ad applaudire.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le Due Anfore


Le Due Anfore

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione:

“Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone:
“Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia.
Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.

Perdona la mia debolezza e le mie ferite.”

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada.”
“Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora.
“Hai visto? E tutto questo solo grazie a te.” disse il padrone.

“Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.

Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno.”
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero