Il trapianto (Ciao “Io”)


Il trapianto (Ciao “Io”)

Aveva un bel rapporto di amicizia con la figlia Sara, che ormai era adulta e viveva con la sua famiglia in una cittadina vicina.
Madre e figlia si scrivevano spesso o parlavano per telefono.
Quando la chiamava, Sara diceva sempre:

“Ciao mamma, sono io!”, e lei rispondeva:

“Ciao “Io”, come va oggi?”
Spesso lei firmava le sue lettere semplicemente: “Io”.
Talvolta, per scherzo, la chiamava “Io”.
Poi Sara morì di colpo, senza preavviso, per un’emorragia celebrale.

La madre ne fu annientata!

Non ci può essere dolore peggiore per un genitore che perdere un figlio adorato.
Ci volle tutta la sua notevole fede per riuscire ad andare avanti.
D’accordo con il marito, decise di donare gli organi della figlia, in modo che da una situazione così tragica potesse per lo meno derivare un po’ di bene.
A tempo debito fu contattata dall’agenzia dei trapianti, che le disse a chi erano andati gli organi di Sara, anche se naturalmente non vennero fatti i nomi.
Circa un anno dopo ricevette una bella lettera da un giovane che da Sara aveva ricevuto il pancreas e un polmone.

Raccontava come era cambiata la sua vita.

E dato che non poteva usare il suo nome, indovinate come firmò la lettera?
“Io.”

Brano tratto dal libro “È di notte che si vedono le stelle.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Gli insegnanti innamorati

Gli insegnanti innamorati

In una scuola primaria vicina al mio paese, tanti anni fa, arrivarono ad insegnare un maestro ed una maestra, freschi di nomina.
Il maestro era molto basso di statura e vistosamente tarchiato, mentre la maestra era esageratamente alta e magra, e ciò evidenziava un grande contrasto fisico tra di loro.

La bidella, appassionata di storia risorgimentale e con una vena satirica che gli era propria,

diede ad entrambi un soprannome, rispettivamente Curtatone e Montanara, evocando i luoghi della battaglia del 1848 vinta dalle truppe sabaude su quelle austriache in terra lombarda.
I soprannomi circolarono in maniera rapida, divertendo tutti, sia dentro che fuori dalla scuola e, in modo altrettanto rapido, i due insegnanti si innamorarono.
Il maestro era diventato per tutti Curtatone perché corto di statura e la maestra Montanara perché sembrava una guglia alpina.

Vederli passeggiare per le vie del paese a braccetto era uno spettacolo che nessuno voleva perdersi.

Con il tempo divennero coscienti di essere soggetti di commenti, molto, sarcastici e chiesero, ottenendo, di essere trasferiti per l’anno successivo.
Ci fu l’esame di quinta e, ad uno sprovveduto alunno, fu chiesto di parlare di Curtatone e Montanara.

La domanda era chiaramente riferita all’epica battaglia risorgimentale ma questi travisò e,

imbarazzato, rispose che il maestro Curtatone e la maestra Montanara lui sapeva fossero solo innamorati, come Romeo e Giulietta, e che l’amore livella le differenze fisiche, anche se a scuola non gli avevano ancora spiegato come mai questo accade.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Tre brani brevi di Bruno Ferrero

Tre brani brevi
di Bruno Ferrero
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I ragnetti

L’avviso

Consolare

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“I ragnetti”

Appena arrivati nella casa di montagna, la mamma di Marco, 4 anni, comincia a dar la caccia ai ragni che hanno fatto ragnatele dappertutto.
Marco allora interviene:
“I ragnetti piccoli non ucciderli!”
E la mamma:
“Ma non vedi come sono brutti?”
E lui:
“Ma per le loro mamme sono tanto carini”

Brano tratto dal libro “365 piccole storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
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“L’avviso”

La strada che portava alla chiesa attraversava il paese.
La vecchietta la percorreva ad occhi bassi biascicando qualche preghiera mentre di sottecchi guardava la gente, come tutti i giorni.
“Giovinastri… Ubriaconi… Svergognata… Sporcizia… Fannullone…” pensava tra se e se.
Affrettava il passo per trovare la pace della preghiera.
Quel giorno arrivò alla porta della chiesa e la trovò chiusa.
Bussò.
Niente da fare.
Vide un biglietto attaccato con del nastro adesivo.
Lo lesse.
Diceva: “Io sono lì fuori!”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
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“Consolare”

Una bambina rincasò dopo essere stata a casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico, la figlioletta di otto anni.
“Perché sei andata?” le domandò il padre.
“Per consolare la mamma.” rispose la bambina.
“E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla?” chiese allora il padre.
“Le sono salita in grembo e ho pianto con lei.” concluse la bambina.

Brano tratto dal libro “40 (Quaranta) Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Babbo Natale anche a Pasqua

Babbo Natale anche a Pasqua

Ero un bambino di 4 o 5 anni, quando, una sera di dicembre di diversi anni fa, mia madre invito me ed i miei fratelli a recitare una preghiera speciale, prima di andare a dormire, affinché nevicasse.
In quegli anni mio padre si adattava a qualsiasi lavoretto per non farci mancare il necessario, siccome i pochi campi di cui eravamo proprietari non bastavano a sostenere la nostra famiglia.

Qualora avesse nevicato,

per un paio di giorni avrebbe avuto il lavoro assicurato.
Era chiamato a spalare la neve nella vicina stazione ferroviaria, dove veniva retribuito molto bene.
Il ricavato veniva riservato da nostra madre per trascorrere in modo speciale l’imminente Natale, periodo che coincideva anche con il compleanno di nostro padre.
Pregammo con molta devozione, con la fede pura dei bambini e, come per incanto, caddero subito i primi fiocchi di neve.
Ci addormentammo felici dato che il nostro desiderio era stato esaudito e, nei nostri sogni, il manto cresceva a dismisura.

Al mattino, invece,

restammo molto delusi, visto che non vedemmo la neve per strada.
Una abbondante pioggia durante la notte la fece sparire.
Il Natale che seguì fu comunque bello ed indimenticabile poiché il capostazione assegnò lo stesso due giornate di lavoro a mio padre, in cambio della pulitura della strada e di alcuni piccoli lavoretti all’interno della stazione.
Da quel momento in poi associai sempre la figura del nostro capostazione di allora al ruolo di Babbo Natale.
Nella mia immaginazione di bambino, il capostazione in questione, gli assomigliava anche un po’.

Infatti aveva una folta barba bianca,

possedeva pure lui un berretto, anche se di colore e forma diversi, ed il rosso lo si poteva trovare nella sua paletta.
Pensai fosse Babbo Natale anche nel periodo di Pasqua, perché, casualmente, chiamò mio padre perfino qualche giorno prima di questa festività, per fare manutenzione al piccolo giardino ed ai grandi vasi di fiori della stazione.
Il ricavato si tramutò per noi bambini nell’ennesimo inaspettato regalo; ricevemmo infatti quaderni e colori.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Quello che va in giro torna

Quello che va in giro torna
(Alexander Fleming e Winston Churchill)

Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina.
Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude.
Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il fattore Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.

Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese;

ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato.
“Vorrei ripagarvi.” gli disse il gentiluomo, “avete salvato la vita di mio figlio!”
“Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto!” replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
“È vostro figlio?” chiese il gentiluomo.
“Si!” rispose il padre orgoglioso.

“Vi propongo un patto:

lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio.
Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambi saremo orgogliosi!”
E così accadde.
Il figlio del fattore Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St.Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite.

Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.

Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
Qualcuno una volta ha detto:
quello che va in giro torna.
Lavorate come se non aveste bisogno di danaro, amate come se non foste mai stati feriti, danzate come se nessuno stesse a guardare, cantate come se nessuno stesse a sentire, vivete come se in terra ci fosse il paradiso.

Leggenda Inglese.
Brano senza Autore.

Informazione, prego!

Informazione, prego!

Quando ero bambino, mio padre ebbe il primo telefono del paesino dove vivevamo.
Mi ricordo bene la vecchia scatola di legno, bella lucida, fissata al muro e il bel ricevitore nero, bello lucido, appeso al suo fianco.
Ero troppo piccolo per giungere fino al telefono, ma ero abituato ad ascoltare estasiato mia madre parlargli.
Più tardi, ho scoperto che da qualche parte, dentro quel meraviglioso apparecchio, viveva una persona fantastica…
Il suo nome era “Informazione, prego!” e non c’era nulla che non sapesse
“Informazione, prego!” poteva fornire il numero di chiunque in più dell’ora esatta.
La mia prima esperienza personale con quel “genio della lampada” accadde un giorno quando mia madre si era recata da una vicina:

“Stavo giocando in cantina e diedi un forte colpo di martello su un dito.

Il dolore era tremendo, ma non mi sembrava utile che mi mettessi ad urlare.
Ero da solo e non c’era nessuno per potermi sentire e consolare.
Andavo avanti e indietro intorno a casa, succhiando il mio dito.
Giunsi per caso ai piedi della scalinata.
Il telefono!
Di fretta, corsi in cucina, presi il piccolo sgabello e lo trascinai fin sotto il telefono.
Dopo essere salito, sganciai il ricevitore e lo avvicinai all’orecchio.
“Informazione, prego!” dissi nel microfono, lì, un po’ sopra la mia testa.
Un clic, o forse due… e sentii una vocina chiara dirmi:

“Informazione!”

“Mi sono fatto male al dito!” dissi quindi, “Mi sono fatto male al dito!”
“Stai sanguinando?” mi chiese la voce.
Gli risposi:
“No, mi sono colpito un dito con un martello e mi fa tanto male!”
Mi chiese:
“Puoi aprire lo scomparto del ghiaccio!”
Ho riposto che, certo, potevo farlo.
“Allora, prendi un cubetto di ghiaccio e mettilo sul tuo dito!” mi disse.”
Dopo quell’esperienza ho chiamato “Informazione, prego!” per qualsiasi cosa:
“Gli chiesi di aiutarmi per la geografia, e mi ha detto dove si trovava Montréal.
Mi ha aiutato anche per i compiti di matematica.
Mi ha detto che il piccolo scoiattolo, che avevo trovato nel parco il giorno prima, doveva mangiare della frutta e delle noccioline.

Un brutto giorno, il mio canarino è morto

Ho chiamato “Informazione, prego!” e gli ho raccontato la mia triste storia.
Mi ha ascoltato attentamente e mi ha detto le solite cose che dice un adulto per confortare un bambino, ma ero inconsolabile.
Allora, gli chiesi con un nodo alla gola:
“Perché gli uccelli cantano così melodiosamente e recano tanta gioia alle famiglie, solo per finire miseramente come un mucchietto di piume in fondo ad una gabbia?”
Probabilmente ha percepito la mia profonda disperazione e mi ha detto, con voce molto rassicurante:
“Paul, ricordati che c’è un altro mondo dove si può cantare!”
In un certo senso mi sono sentito meglio.”
Un’altra volta chiamai di nuovo: “Informazione, prego!”
“Informazione!” mi rispose la voce, ormai diventata così familiare.
Gli chiesi:
“Come si scrive la parola riparazione!” ”
Tutto questo si svolse nella citta di Québec, in quel tempo avevo 9 anni.
Poi, traslocammo nell’altra parte della provincia, a Baie-Comeau.

La mia amica mi mancava da morire.

“Informazione, prego!” apparteneva a quella cassetta di legno del casolare di famiglia, e, stranamente, non ho mai pensato di utilizzare il nuovo telefono, appoggiato su un tavolo nel corridoio dell’ingresso!
Giunto nell’adolescenza, i ricordi di quelle conversazioni nella mia infanzia non mi hanno mai lasciato.
Spesso, nei momenti di dubbi e di difficoltà, mi sono ricordato di quelle sensazioni rassicuranti che avevo all’epoca.
Apprezzavo ora la pazienza, la comprensione e la gentilezza che ha avuto, per dedicare il suo tempo ad un ragazzino!
Alcuni anni dopo, mentre mi recavo al collegio, a Montréal, il mio aereo doveva fare scalo in Québec.
Avevo mezzora d’attesa prima di prendere l’altro aereo.
Ho trascorso 15 minuti al telefono con mio fratello, che vive sempre in Québec.
Poi, senza pensare veramente a quello che stavo facendo, ho pigiato su “0” e ho detto “Informazione, prego!”
Come per incanto, ho udito quella stessa vocina chiara che conoscevo benissimo:

“Informazione!”

Non avevo per niente previsto questo, ma mi è scapato di dirgli:
“Come si scrive la parola riparazione?”
Ci fu un attimo di silenzio…
Poi, udii quella voce tanto dolce rispondermi:
“Immagino che il tuo dito è guarito ormai!”
Con un misto tra la gioia e l’emozione gli ho detto:
“E quindi sempre lei! Mi chiedo se ha la minima idea di quanto è stata importante per me in tutti quegli anni trascorsi!”
“Io mi chiedo,” dice lei, “se tu sai quanto erano importanti per me le tue chiamate.
Non ho mai avuto figli ed ero sempre impaziente di ricevere le tue telefonate!”
Gli ho detto quanto spesso, ho pensato a lei nel corso degli ultimi anni e le ho chiesto se potevo richiamarla, quando tornavo a trovare mio fratello.

“Ben volentieri, puoi chiedere di Sally!” mi rispose.

Tre mesi dopo, quando mi recai di nuovo a Québec, un’altra voce mi rispose a “Informazione!” chiesi di parlare a Sally.
“Lei è un amico?” mi chiese quella voce sconosciuta.
Gli risposi:
“Sì, un vecchio amico!”
Sentii allora quella voce dirmi:
“Sono dispiaciuta di doverle dire questo, Sally lavorava solo Part-Time in questi ultimi anni perché era molto ammalata.
Ed è deceduta, ormai da cinque settimane!”
Fui molto sconcertato!
Ma prima che potessi riagganciare, mi disse ancora:
“Aspetti un instante!
Ha detto che si chiama Paul?”
Risposi di si.

“Allora, Sally a lasciato un messaggio per lei.
Lo ha scritto, nel caso che chiamasse.
Me lo lasci leggere!
Quel messaggio diceva:
“Gli dica che credo sempre che c’è un altro mondo dove si può cantare.
Saprà quello che voglio dire!”
La ho ringraziata e ho riagganciato.
Certo, sapevo quello che Sally voleva dire!”
Non sottovalutare mai l’effetto positivo che puoi avere sugli altri!

Brano senza Autore, tratto dal Web

La vecchietta che aspettava Dio

La vecchietta che aspettava Dio

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese.
Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo.
Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo ‘stato’ fondamentale nella vita del cristiano:
il tempo dell’Avvento.
La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente… è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.
C’era una volta un’anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata.
Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva:
“Oggi verrò a farti visita!”
Figuratevi la gioia e l’orgoglio della vecchietta.

Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci.

Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l’arrivo di Dio.
Dopo un po’, qualcuno bussò alla porta.
La vecchietta corse ad aprire.
Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale.
La vecchietta la spinse via:
“Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini!
Sto aspettando Dio, nella mia casa!
Vai via!” e sbatté la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo.

La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire.

Ma chi c’era?
Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi.
La vecchietta sbottò:
“Io sto aspettando il buon Dio.
Non ho proprio tempo.
Torna un’altra volta!”
E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta.
La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese.
“Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo…
E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa…” implorò il povero.

“Ah, no!

Lasciatemi in pace!
Io sto aspettando Dio!
E stia lontano dai miei scalini!” disse la vecchietta stizzita.
Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora.
Venne la sera e Dio non si era fatto vedere.
La vecchietta era profondamente delusa.
Alla fine si decise ad andare a letto.
Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare.
Le apparve in sogno il buon Dio che le disse:
“Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto!”

Brano di Bruno Ferrero