Immagina che esista una banca che ogni mattina accredita la somma di 86.400 euro sul tuo conto, non conservando, però, il tuo saldo giornaliero rimanente.
Questa banca, infatti, ogni notte cancella qualsiasi quantità di denaro che non sia stata usata durante il giorno.
Che faresti?
Ritireresti e spenderesti tutto fino all’ultimo centesimo ogni giorno, ovviamente.
Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa banca…
Il suo nome?
Tempo.
Ogni mattina essa ti accredita 86.400 secondi; ogni notte questa banca cancella e da, come persa, qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito.
Questa banca non conserva saldi né permette trasferimenti.
Ogni giorno ti apre un nuovo conto.
Ogni notte elimina il saldo del giorno.
Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua.
Non si può fare marcia indietro, non esistono accrediti sul deposito di domani.
Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.
Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, felicità e successo:
l’orologio continua il suo cammino!
Ottieni il massimo da ogni giorno.
Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che è stato bocciato.
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito prematuramente.
Per capire il valore di una settimana, chiedi ad una ragazza che ha un ritardo.
Per capire il valore di un’ora, chiedi a due innamorati che aspettano di incontrarsi.
Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perso il treno.
Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato un incidente.
Per capire il valore di un milionesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha vinto la medaglia di argento alle Olimpiadi.
Dai valore ad ogni momento che vivi e dagli ancor più valore se lo potrai condividere con una persona speciale, tanto speciale, da dedicarle il tuo tempo…
E ricorda che il tempo non aspetta nessuno!
Ieri? Storia.
Domani? Mistero.
È per questo che esiste il presente.
La donna era ricoverata da qualche mese nella clinica per malati gravi.
Il suo sguardo stremato indugiava sul grande acero, che poteva vedere dall’ampia finestra della sua camera al secondo piano.
L’autunno si era sbizzarrito a colorare di arancione le foglie, una dopo l’altra.
Poi, giorno dopo giorno, le foglie cominciarono a cadere.
L’albero alzava verso il cielo i rami scuri e spogli come invocazioni.
“L’ultima foglia,”
disse la donna, “quando cadrà l’ultima foglia io morirò!”
La paziente era diventata così debole che riusciva a malapena a sollevare la testa per guardare dalla finestra.
Osservava l’albero dalla mattina alla sera.
Lo faceva avidamente, come se anche lei succhiasse la linfa restante.
Alla fine sull’albero rimase una sola foglia.
La donna la vedeva nitidamente dalla finestra della clinica.
Una notte una forte tempesta spazzò la città, strappando e sconvolgendo alberi, tronchi, rami, semafori e cartelli pubblicitari.
All’alba la donna sentì che il suo ultimo giorno era arrivato.
Si voltò verso la finestra cercando con lo sguardo la foglia.
Era avvenuto un miracolo:
la foglia, quell’ultima foglia era ancora là!
Aveva sfidato la tempesta e aveva vinto!
Un’ondata di speranza travolse la donna.
Fu pervasa da una forza ribelle e selvaggia:
se la fragile foglia era riuscita a resistere alla violenza della bufera, anche lei avrebbe potuto sconfiggere la sua malattia!
Solo dopo che si fu ripresa e dopo che i medici stupiti la dichiararono guarita, la donna seppe che in quella notte tempestosa suo marito aveva dipinto la foglia sul vetro della finestra.
Un giorno un discepolo si macchiò di una grave colpa.
Tutti si aspettavano che il maestro lo punisse in modo esemplare.
Ma passò un anno e il maestro non diede segno di reazione.
Allora un altro discepolo protestò:
“Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto, Dio ci ha dato gli occhi!”
Il maestro replicò:
“È vero, ma anche le palpebre!”
Lo aveva scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un tesoro.
Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità.
Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli il podere.
Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato,
ma gli aveva chiesto una somma altissima.
Per mettere insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo.
Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato.
Passò altro tempo.
L’uomo investiva, trafficava, dirigeva, viaggiava.
Si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.
Due giovani cervi, bellissimi esemplari, si incontrarono nel bosco.
Entrambi gelosi del proprio territorio, decisero di affrontarsi.
Il combattimento durò a lungo:
nessuno dei due voleva cedere.
Alla fine, il più forte, con un ultimo movimento della testa, ebbe la meglio sull’avversario.
Ma i palchi dell’ucciso rimasero incastrati in quelli dell’uccisore, lucidi e possenti.
Impossibili da districare.
Il vincitore tentò in ogni modo di sbarazzarsi del corpo dell’altro cervo, ma non ci riuscì.
Fu costretto a trascinarselo dietro, fino a che, spossato, dovette fermarsi.
All’alba, a liberarlo da quel peso morto fu lo sparo di un cacciatore.
Tutti noi possiamo fare la differenza (La storia di Shay)
Ad una cena di beneficenza per una scuola che cura bambini con problemi di apprendimento, il padre di uno degli studenti fece un discorso che non sarebbe mai più stato dimenticato da nessuno dei presenti.
Dopo aver lodato la scuola ed il suo eccellente staff, egli pose una domanda:
“Quando non viene raggiunta da interferenze esterne, la natura fa il suo lavoro con perfezione.
Purtroppo mio figlio Shay non può imparare le cose nel modo in cui lo fanno gli altri bambini.
Non può comprendere profondamente le cose come gli altri.
Dov’è il naturale ordine delle cose quando si tratta di mio figlio?”
Il pubblico alla domanda si fece silenzioso.
Il padre continuò:
“Penso che quando viene al mondo un bambino come Shay, handicappato fisicamente e mentalmente, si presenta la grande opportunità di realizzare la natura umana e avviene nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino.”
E da quel momento in poi, cominciò a narrare una storia:
“Shay e suo padre passeggiavano nei pressi di un parco dove Shay sapeva che c’erano bambini che giocavano a baseball.
Shay chiese:
“Pensi che quei ragazzi mi faranno giocare?”
Il padre di Shay sapeva che la maggior parte di loro non avrebbe voluto in squadra un giocatore come Shay, ma sapeva anche che se gli fosse stato permesso di giocare, questo avrebbe dato a suo figlio la speranza di poter essere accettato dagli altri a discapito del suo handicap, cosa di cui Shay aveva immensamente bisogno.
Il padre si Shay si avvicinò ad uno dei ragazzi sul campo e chiese (non aspettandosi molto) se suo figlio potesse giocare.
Il ragazzo si guardò intorno in cerca di consenso e disse:
“Stiamo perdendo di sei punti e il gioco è all’ottavo inning.
Penso che possa entrare nella squadra:
lo faremo entrare nel nono!”
Shay entrò nella panchina della squadra e con un sorriso enorme, si mise la maglia del team.
Il padre guardò la scena con le lacrime agli occhi e con un senso di calore nel petto.
I ragazzi videro la gioia del padre all’idea che il figlio fosse accettato dagli altri.
Alla fine dell’ottavo inning, la squadra di Shay prese alcuni punti ma era sempre indietro di tre punti.
All’inizio del nono inning Shay indossò il guanto ed entrò in campo.
Anche se nessun tiro arrivò nella sua direzione, lui era in estasi solo all’idea di giocare in un campo da baseball e con un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio salutava suo padre sugli spalti.
Alla fine del nono inning la squadra di Shay segnò un nuovo punto:
ora, con due out e le basi cariche si poteva anche pensare di vincere e Shay era incaricato di essere il prossimo alla battuta.
A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay anche se significava perdere la partita?
Incredibilmente lo lasciarono battere.
Tutti sapevano che era una cosa impossibile per Shay che non sapeva nemmeno tenere in mano la mazza, tanto meno colpire una palla.
In ogni caso, come Shay si mise alla battuta, il lanciatore, capendo che la squadra stava rinunciando alla vittoria in cambio di quel magico momento per Shay, si avvicinò di qualche passo e tirò la palla così piano e mirando perché Shay potesse prenderla con la mazza.
Il primo tiro arrivò a destinazione e Shay dondolò goffamente mancando la palla.
Di nuovo il tiratore si avvicinò di qualche passo per tirare dolcemente la palla a Shay.
Come il tiro lo raggiunse, Shay dondolò e questa volta colpì la palla che ritornò lentamente verso il tiratore.
Ma il gioco non era ancora finito.
A quel punto il battitore andò a raccogliere la palla:
avrebbe potuto darla all’ uomo in prima base e Shay sarebbe stato eliminato e la partita sarebbe finita.
Invece…
Il tiratore lanciò la palla di molto oltre l’uomo in prima base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.
Tutti dagli spalti e tutti i componenti delle due squadre incominciarono a gridare:
“Shay corri in prima base!
Corri in prima base!”
Mai Shay in tutta la sua vita aveva corso così lontano, ma lo fece e così raggiunse la prima base.
Raggiunse la prima base con occhi spalancati dall’emozione.
A quel punto tutti urlarono:
“Corri fino alla seconda base!”
Prendendo fiato Shay corse fino alla seconda trafelato.
Nel momento in cui Shay arrivò alla seconda base la squadra avversaria aveva ormai recuperato la palla…
Il ragazzo più piccolo di età che aveva ripreso la palla quindi sapeva di poter vincere e diventare l’eroe della partita, avrebbe potuto tirare la palla all’uomo in seconda base ma fece come il tiratore prima di lui, la lanciò intenzionalmente molto oltre l’uomo in terza base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.
Tutti urlavano:
“Bravo Shay, vai così!
Ora corri!”
Shay raggiunse la terza base perché un ragazzo del team avversario lo raggiunse e lo aiutò girandolo nella direzione giusta.
Nel momento in cui Shay raggiunse la terza base tutti urlavano di gioia.
A quel punto tutti gridarono:
“Corri in prima, torna in base!”
E così fece:
da solo tornò in prima base, dove tutti lo sollevarono in aria e ne fecero l’eroe della partita.”
“Quel giorno,” disse il padre piangendo, “i ragazzi di entrambe le squadre hanno aiutato a portare in questo mondo un grande dono di vero amore ed umanità!
Shay non è vissuto fino all’estate successiva.
È morto l’inverno dopo ma non si è mai più dimenticato di essere l’eroe della partita e di aver reso orgoglioso e felice suo padre.
Non dimenticò mai l’abbraccio di sua madre quando tornato a casa le raccontò di aver giocato e vinto.”
Ed ora una piccola nota al fondo di questa storia:
“Tutti noi possiamo fare la differenza!”
Tutti noi abbiamo migliaia di opportunità, ogni giorno, di aiutare il “naturale corso delle cose” a realizzarsi.
Ogni interazione tra persone, anche la più inaspettata, ci offre una opportunità:
passiamo una calda scintilla di amore e umanità o rinunciamo a questa opportunità e lasciamo il mondo.
Un uomo saggio una volta disse che ogni società è giudicata in base a come tratta soprattutto i meno fortunati:
“Ora a te fare la differenza!”
Molti fra noi hanno pensato fino ad oggi che la prova di coraggio più grande, fosse restare fedeli a se stessi, essere capaci di andare controcorrente, parlare con integrità:
ma fin qui siamo stati solo fortunati, perché non ci è stato chiesto nulla di più.
Ma ora ci vuole niente a capire che i tempi sono cambiati e impegnarsi in una battaglia politica in questo momento significa essere chiamati ad assumere impegni ben diversi.
In un mondo dove conta solo il successo, in una società dove tutto si compra e tutto si vende, ritengo che ci sia bisogno di persone desiderose di impegnarsi per gli altri con coraggio e con sacrificio.
Perché il coraggio è dote del cuore e solo chi non ha cuore ha paura.
Ed io non ho paura:
lavoro con pazienza ad un grande progetto, lavoro da anni alla tutela e per il rispetto per ogni uomo dei diritti civili fondamentali!
Un giorno il vento e il sole cominciarono a litigare.
Il vento sosteneva di essere il più forte e a sua volta il sole diceva di essere la forza più grande della terra.
Alla fine decisero di fare una prova.
Videro un viandante che stava camminando lungo un sentiero e decisero che il più forte di loro sarebbe stato colui che sarebbe riuscito a togliergli i vestiti.
Il vento, così, si mise all’opera: cominciò a soffiare, e soffiare, ma il risultato fu che il viandante si avvolgeva sempre più nel mantello.
Il vento allora soffiò con più forza, e l’uomo chinando la testa si avvolse un sciarpa intorno al collo.
Fu quindi la volta del sole, che cacciando via le nubi,
cominciò a splendere tiepidamente.
L’uomo che era arrivato nelle prossimità di un ponte, cominciò pian piano a togliersi il mantello.
Il sole molto soddisfatto intensificò il calore dei suoi raggi, fino a farli diventare incandescenti.
L’uomo rosso per il gran caldo, guardò le acque del fiume e senza esitare si tuffò.
Il sole alto nel cielo rideva e rideva!
Il vento deluso e vinto si nascose in un luogo lontano.
Il fiordo era immerso nella profonda tranquillità della notte artica.
L’acqua sciabordava leggera sulla spiaggia.
Avvolto dal profumato tepore della sua casa di legno, Hans il pescatore tesseva la rete della sua prossima stagione di pesca.
Era solo nell’angolo del camino.
La sua dolce sposa Ingrid riposava nel piccolo cimitero di fianco alla chiesa.
Improvvisamente però risuonarono fresche risate gioiose.
La porta si aprì per lasciar passare la bionda Guendalina, la sua carissima figlia, che teneva per mano il fratellino Eric.
“Guendalina, ora sei in vacanza.
Vuoi prendere il mio posto a intrecciare la rete da pesca nuova mentre io vado a riparare la barca?” chiese il padre.
“Oh sì, papà!” rispose allegramente la bambina.
Le ore passavano.
Guendalina lavorava di buona lena, maglia dopo maglia, nodo dopo nodo.
Ma i giorni si aggiungevano ai giorni.
La corda era scabra.
L’appretto per impermeabilizzarla era ruvido e le mani facevano male.
Le sue piccole amiche si sporgevano dalla porta:
“Guendalina, vieni a giocare con noi!”
E le maglie si allentavano sempre di più, i nodi erano sempre meno stretti, la corda sempre meno impermeabilizzata.
Arrivò la primavera.
Il fiordo s’illuminò ai primi raggi del sole.
La pesca riprese.
Tutto fiero del lavoro della sua figlia carissima, Hans il pescatore imbarcò la sua rete da pesca nuova sul suo fidato vecchio battello.
“Vieni con me, piccolo Eric, per la nostra prima uscita!”
Pieno di gioia il ragazzino saltò a bordo.
La barca scivolò nell’acqua.
La rete affondò nelle onde verdazzurre.
Eric batteva le mani vedendo i pesci argentati saltare e guizzare nella rete ben piena.
“Una pesca fantastica!
Aiutami a tirare su la rete, figliolo!”
Ed Eric tirava, tirava con tutte le sue forze.
Ma vinto dal peso, pluf! piombò in acqua, proprio in mezzo alla rete.
“Non è niente!” pensò papà Hans, issando velocemente la rete a bordo.
“La mia rete è solida!
E la mia Guendalina che l’ha tessuta con le sue mani:
Eric verrà su con i pesci!”
La rete uscì dall’acqua leggera.
Ahimé, al fondo aveva solo un grande squarcio…
I nodi stretti male si erano allentati.
Le maglie mal fissate si erano aperte.
E il piccolo Eric riposava ormai in fondo al fiordo.
“Ah, se avessi intrecciato ogni maglia con amore!” piangeva Guendalina.
Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.
Diversi anni fa, un uomo di mezza età, dopo le continue insistenze da parte dei propri famigliari, si rivolse al medico di famiglia per accertamenti, dato che spesso era affaticato senza motivo.
Accettò di buon grado, anche perché il dottore era il suo compagno per lo scopone al caffè del paese.
La visita fu accurata e minuziosa.
Accertata la non presenza di alcuna patologia in atto, il dottore non ordinò nessun farmaco riscontando che l’unico problema dell’uomo fosse l’essere in sovrappeso.
Gli ordinò di astenersi da cibi troppo grassi e, scandendo le parole, gli disse:
“Amico mio, mangia regolato, mi raccomando!
Per amor di Dio!
Torna fra due, tre mesi, sperando che tutto si sia risolto.”
Passato il periodo, l’uomo ritornò dal medico lamentandosi per il perdurare dei sintomi di stanchezza ed eccessiva sudorazione, a cui si univano la difficoltà nel respirare e qualche kilo in più.
Il medico gli rispose perplesso:
“Ti avevo caldamente raccomandato di mangiare regolato!”
La risposta del paziente fu:
“Io Regolato lo ho mangiato tutto, sapendo che la carne equina fa molto bene per le sue proprietà!
Mi è dispiaciuto molto perché era il mio unico mulo e mi ero anche affezionato a lui, per la sua indole docile.
Valeva pure un capitale per la sua mole; ci ho pure pianto e vinto un tabù, ma per la salute…”
Un anziano signore in una piccola piazzetta di un paese di montagna vendeva delle uova fresche.
Una signora, passando la vicino, gli chiese:
“Quanto costano le uova?”
L’anziano signore le rispose:
“30 centesimi ad uovo, signora.”
Lei gli disse:
“Prendo 6 uova per 1,50 euro altrimenti me ne vado e te li tieni!”
Il signore replicò:
“Va bene signora, prenda le uova e mi paghi quanto ha detto, speriamo solo che sia di buon auspicio, visto che oggi non sono riuscito a vendere neanche un uovo!”
Prese le uova, la signora si sentì soddisfatta, come se avesse vinto qualcosa,
aveva pagato le uova quanto aveva detto lei.
Poi salì sulla sua nuova auto ed andò in un elegante ristorante con una sua amica.
Ordinarono parecchie cose, lasciando infine molto cibo, e quando chiesero il conto, il totale fu di 170,00 euro.
Pagando, la signora lasciò 200,00 euro al proprietario del ristorante dicendogli di tenere il resto come mancia.
La domanda che ci dobbiamo porre è:
“Perché ci mostriamo maleducati e taccagni con i bisognosi mentre ci mostriamo educati e generosi con chi non ne ha bisogno?”
Quando trovi qualcuno che vende qualcosa che puoi pagare senza problemi, aiutalo, alla fine non ti cambia nulla, magari vogliono solo sentirsi utili, dimostrare che possono ancora andare avanti da soli.
In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano.
A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.
Una sera d’estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare.
Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.
Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la “prova di forza” che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.
Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo.
I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò:
“Domani all’alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l’altra riva del lago e cercherete la penna d’aquila dorata che è nascosta in un posto segreto.”
Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago.
Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand’ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall’altra parte del lago.
Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro:
“Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull’altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei tutta la notte.
Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”
Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice:
“Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!”
E tutti gli altri dissero:
“No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre.”
“Eh, sì!” pensò Nuvola Rossa “Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d’aquila.
Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago.
E come sarà triste se gli diremo tutti di no!”
Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso:
“Vieni, Falco Stanco; ti porto io!”
Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono:
“Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!”
In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci.
Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato.
Poi guardava Falco Stanco, vedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva:
“Hai fatto bene, hai fatto bene!”
I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa.
Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore.
Ma, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora trovato la penna d’aquila.
Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca.
Ma il vecchio indiano lo chiamò:
“Aspetta, vieni qui!
Ti devo dare una cosa!”
Un po’ a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco.
“Ieri sera,” proseguì l’anziano “il grande capo del tuo villaggio mi ha detto:
domani all’alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull’altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa.”
E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d’aquila dorata!
Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia.
Gli altri accorsero pieni di stupore.
Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse:
“Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell’amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi.
Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!”
I piccoli indiani si guardarono l’un l’altro, poi dissero:
“E’ vero, la forza più grande è l’amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!”
Falco Stanco li salutò con la mano e pensò:
“Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c’è qualcosa nella vita che vale più dell’ arrivare primi.”