Il volo di Gea

Il volo di Gea

L’uccellino cinguettava “ciu ciiiiuciu ciu” e i clienti del bar del Signor Antonio entravano volentieri a prendere un caffè nella terrazza per ascoltare il suo canto delicato e trillante come tanti campanellini.
La sua voce argentina sembrava intonare un canto allegro e spensierato per la gioia dei clienti del bar che lo ascoltavano distratti e non vedevano la tristezza e la solitudine nei suoi piccoli occhi di uccellino.
Lui invece cantava ma non di allegria, il suo canto aveva parole tristi e malinconiche che gli ricordavano la sensazione del vento tra le piume delle ali e lo spettacolo magnifico delle chiome degli alberi viste da lassù, volando.

Mentre cantava riusciva a non pensare alle sbarre della gabbietta e alla noia delle giornate che si ripetevano monotone.

Un giorno però successe qualcosa, una bambina entrando nel bar per comprare un gelato ascoltò il suo canto e si sentì improvvisamente triste senza sapere bene il perché.
Allora guardò negli occhi il piccolo uccellino, si accorse che la tristezza veniva proprio da quel canto e si avvicinò alla gabbia.
“Perché sei triste?” sussurrò la bimba.
“Ciu ciiiu ciu!” trillò l’uccellino.
Gea, così si chiamava la bambina, aveva un segreto per capire gli altri anche quando le parole non erano d’aiuto:
si immaginava di essere al loro posto, si metteva nei panni degli altri per capire le loro emozioni.
E così fece, si immaginò di vivere chiusa in una piccola gabbia senza poter correre e giocare con gli amici.
Chiuse gli occhi per concentrarsi e all’improvviso sentì un formicolio alle gambe, come quando stava molto tempo nella stessa posizione:

“Forse è proprio quello che sente quest’uccellino:

di certo gli formicolano le ali per non poterle aprire e forse è triste perché non è libero di volare come gli altri uccelli”, pensò.
Per un momento le sembrò quasi che le fossero spuntate le ali e sentì un forte desiderio di volare in alto nel cielo.
Senza pensarci due volte Gea aprì la piccola gabbia sperando che nessuno la vedesse e l’uccellino la guardò cercando di capire perché quella bambina gli aveva dato la libertà.
Avrebbe voluto dimostrarle la sua gratitudine ma non sapeva come fare, allora fece un ultimo cinguettio di addio e seguì il suo istinto che gli diceva di aprire le ali e volare via.
I clienti del bar senza capire cosa fosse successo si fermarono un istante,

fu una frazione di secondo in cui sembrava che il tempo si fosse fermato.

Nessun cucchiaino suonava contro il bordo della tazza, i ragazzi che scherzavano interruppero le loro risate e persino i cellulari per un attimo smisero di suonare.
In silenzio Gea usci dal bar mangiando il suo gelato e si ritrovò a camminare per strada con lo sguardo rivolto verso il cielo, cercando distrattamente quell’uccellino dallo sguardo triste.
All’improvviso cominciò a sentire il fruscio del vento tra le dita, l’aria fresca le accarezza il viso e il rumore del traffico si sentiva in lontananza, ovattato.
Chiuse gli occhi per assaporare quella sensazione di libertà e, con gli occhi chiusi, vide la città dall’alto, il porto con le barche dei pescatori e le colline alle spalle.
Capi che era il regalo d’addio dell’uccellino, il suo modo di dirle grazie:
stava volando con lui e osservando il mondo con i suoi occhi.

Brano tratto dal libro “Chi ha paura del lupo?” di Viola Mariani

Il nastro bianco

Il nastro bianco

Un giovane era seduto da solo; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino.
Aveva poco più di vent’anni ed era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.
Una donna si sedette accanto a lui.
Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente:
“Sono stato in prigione per due anni.
Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa.”
Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore.

In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro.

Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli.
Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.
Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre.
Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.
Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni.

Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall’autobus.
Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino.
Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.
Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli:

“Cambia posto con me.
Guarderò io fuori del finestrino.”
L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l’albero.
Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò:
“Guarda! Guarda!
Hanno coperto tutto il giardino di nastri bianchi.”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Non bisogna mai giudicare nessuno…


Non bisogna mai giudicare nessuno…

Un medico giunse in ospedale subito dopo essere stato chiamato per un’urgenza dal reparto di chirurgia.
Rispose alla chiamata non appena possibile, si mise il camice e andò direttamente al blocco chirurgico.
Davanti alla sala operatoria trovò il padre del bambino che gli gridò:
“Perché è venuto così tardi, perché tutto questo tempo, non sa che la vita di mio figlio è in pericolo, non hai il senso di responsabilità?”

Il dottore sorrise e disse:

“Mi dispiace, non ero in ospedale e sono arrivato velocemente per come ho potuto, dopo aver ricevuto la chiamata…
Ed ora, vorrei che si calmasse in modo che io possa fare il mio lavoro!”
“Devo stare calmo?
Cosa succederebbe se suo figlio si trovasse in questo momento nei panni del mio bambino, starebbe tranquillo?” disse il padre arrabbiato.
Il dottore sorrise e rispose:
“Le voglio dire quello che ha detto Giobbe nella Bibbia:

“Dalla polvere siamo nati e in polvere ritorneremo, sia benedetto il nome di Dio!”

Noi medici non possiamo fare sempre miracoli!
Stia tranquillo, comunque faremo tutto il possibile per suo figlio!”
“Dare consigli quando non siamo in questione è così facile!” mormorò il padre.
L’intervento durò qualche ora, alla fine uscì dalla sala operatoria felice e disse al padre:
“Grazie a Dio suo figlio è salvo!” e senza attendere la risposta del padre guardò l’orologio e andò via di fretta mentre diceva:

“Se vuole sapere altro chieda all’infermiera!”

“Perché è così arrogante?
Non poteva aspettare qualche minuto e dirmi di più sullo stato di mio figlio?” disse il padre all’infermiera.
L’infermiera con le lacrime al viso gli rispose:
“Il figlio del dottore è morto ieri in un incidente stradale, e il medico era al funerale quando l’abbiamo chiamato per l’urgenza e ora che il suo bambino è fuori pericolo e sta bene, lui è corso a vedere la sepoltura di suo figlio!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza del Tenore di Vita


L’importanza del Tenore di Vita

Un ragazzo di umili origini era follemente innamorato della figlia di un uomo molto ricco e altolocato.
Un giorno il ragazzo fece una proposta di matrimonio alla ragazza che seccamente rispose: “Stai scherzando?
Il tuo stipendio mensile equivale a quello che spendo in un giorno!
Come posso minimamente pensare di essere tua moglie?
Non potrò mai innamorarmi di una persona come te.

Dimenticami e trova una persona del tuo stesso livello.”

Per il povero ragazzo fu un colpo tremendo.
Passarono gli anni, ma quella ferita rimase sempre aperta e lui non dimenticò mai quelle parole.
Circa dieci anni dopo i due si rincontrano casualmente in un centro commerciale.
Quando lei lo vide, subito disse:
“Hey, quanto tempo!
Come stai?
Ora sono felicemente sposata.
Mio marito è un uomo molto intelligente e un esperto uomo d’affari.
Sai quanto prende?

15.000 euro al mese.”

Nel sentire quelle parole, gli occhi dell’uomo diventarono lucidi e qualche lacrima scese sul suo viso.
Nonostante i dieci anni, ancora non aveva del tutto superato quel rifiuto.
Pochi secondi dopo il marito di lei fece ritorno dalla toilette e, prima che la moglie potesse dire una parola, nel vedere l’uomo esclamò:
“Capo, anche tu qui!
Che piacere incontrarti!
Vedo che hai conosciuto mia moglie.”
Poi si girò verso la moglie e disse:

“Lui è il mio capo.

Il progetto da 100 milioni di euro al quale sto lavorando da tanto è suo.
Nonostante le sue doti e il suo talento ha deciso di rimanere single.
Lui tempo fa ha amato follemente una ragazza, ma non è mai riuscito a conquistare il suo cuore perché non rientrava nei suoi “standard economici!”
Pensa che beffa!
Ora lui è uno degli uomini più ricchi della città!”
La donna, in totale stato di shock, non pronunciò neanche una parola.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La quercia e il giunco. (Forza e saggezza)



La quercia e il giunco.
(Forza e saggezza)

La quercia è il simbolo della forza e della saggezza.
Essa si erge maestosa e potente tra il verde dei prati, innalza le fronde verso il cielo con forza e determinazione e domina incontrastata su tutto il paesaggio che la circonda.
Nemmeno l’inverno è in grado di sottometterla:
la quercia a differenza degli altri alberi non si denuda, non cede mai il suo fogliame al signore del gelo, ma conserva sempre la sua dignità, soprattutto di fronte alle intemperie.
Fiera e composta, essa è signora degli alberi e padrona di se medesima, ostello misericordioso per i piccoli roditori e gli uccelli, nido di sapienza e di esperienza, roccaforte inespugnabile e grandiosa, torre imperturbabile e quasi eterna…

Ma, nonostante questo, la quercia talvolta pecca di superbia e il suo orgoglio e la sua fierezza spesso possono rivelarsi fatali.

E, così, nelle giornate in cui infuria la tempesta, la grande quercia si ostina a sfidare il vento violento e brutale.
Non si abbassa, ma conserva il suo fiero comportamento anche di fronte al vento più crudele e impetuoso.
Consapevole e orgogliosa della propria potenza, non si piega e ostenta un’incrollabile fermezza.
Ma, nonostante questo, nonostante la sua esasperata ostinazione, non riesce a resistere alla furia del vento, il quale senza alcuna pietà la spezza.
Così la quercia cade a terra, spezzata in due, distrutta dalla sua stessa arroganza.
In fin di vita si guarda intorno per osservare per l’ultima volta quella che è sempre stata la sua terra, il luogo dove essa stessa ha mostrato a tutti la sua incredibile forza.

Ed è in tale momento che la bellissima quercia scorge un timido e insignificante giunco.

Lo guarda attentamente stupendosi di trovarlo ancora lì, ancorato al suolo, nonostante la brutalità del vento.
In un primo momento non riesce a spiegarsi un fatto tanto assurdo:
il giunco ha ancora le sue radici, mentre lei, la signora degli alberi, si trova in fin di vita e, inoltre, con una buona parte del suo corpo distesa al suolo, spezzata dalla bufera.
Ed è allora che la quercia comprende.
Il giunco è salvo per il semplice, ma pur sempre straordinario fatto, che, a differenza di lei, ha saputo piegarsi alla follia del vento, torcendo l’esile corpicino e avvicinandolo al suolo.
Umile e consapevole dei propri limiti, il giunco ha saputo saggiamente piegarsi e il vento l’ha risparmiato.

Superba e altera, la quercia ha voluto dimostrare la sua forza e il vento l’ha punita.

Fissando il giunco, la quercia prova dolore e il suo viso s’inumidisce.
Che siano lacrime o rugiada la quercia lo sa bene, ma preferisce non pensarci.
Essa si spegne e abbandonando questo mondo comprende finalmente il significato della sua esistenza e il senso del suo patetico destino.
Infine nella sua mente prende consistenza una domanda, di cui la quercia conosce bene la risposta:
nei giorni di tempesta chi è il più forte tra la quercia e il giunco?

Brano di Jean de La Fontaine

Il disegno


Il disegno

Un bambino stava disegnando e l’insegnante gli disse:
“E’ un disegno interessante, cosa rappresenta?”
“E’ un ritratto di Dio!”
“Ma nessuno sa come sia fatto Dio!”

“Quando avrò finito il disegno lo sapranno tutti.”

Poco dopo la nascita di suo fratello, la piccola Sachi cominciò a chiedere ai genitori di lasciarla sola con il neonato.
Si preoccupavano che, come quasi tutti i bambini di quattro anni, potesse sentirsi gelosa e volesse picchiarlo o scuoterlo, per cui dissero di no.
Ma Sachi non mostrava segni di gelosia.
Trattava il bambino con gentilezza e le sue richieste di essere lasciata sola si facevano più pressanti.

I genitori decisero di consentirglielo.

Esultante, Sachi andò nella camera del bambino e chiuse la porta, ma rimase una fessura aperta, abbastanza da consentire ai curiosi genitori di spiare e ascoltare.
Videro la piccola Sachi andare tranquillamente dal fratellino, mettere il viso accanto al suo e dire con calma:
“Bambino, dimmi come è fatto Dio.
Comincio a dimenticarmelo.”

I bambini sanno com’è fatto Dio, ma arrivano in un mondo che fa di tutto per farglielo dimenticare il più in fretta possibile.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno


La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno

Lassù nel cielo c’è un luogo chiamato Ponte dell’Arcobaleno.
Quando muore un amico peloso che è stato amato da qualcuno, questi sale su, fino al Ponte dell’Arcobaleno, dove ci sono prati e colline a disposizione dei nostri amici, i quali possono correre e giocare assieme.
C’è tanto cibo, tanta acqua, c’è tanta luce solare ed i nostri amici sono al calduccio e a proprio agio.
Tutti gli animali che si sono ammalati ritrovano la salute ed il vigore, quelli che sono stati feriti tornano intatti e forti, proprio come ce li ricordiamo quando li sogniamo ricordando i bei giorni passati assieme.

Gli animali sono felici e contenti, salvo per una cosa:

manca loro qualcuno che è stato veramente speciale per loro, dal quale hanno dovuto separarsi.
Tutti loro corrono e giocano insieme, ma per ognuno di loro arriva un giorno in cui si fermano e guardano lontano all’orizzonte.
I loro occhi lucenti sono all’erta, i loro corpi palpitanti.
Allora si staccheranno dal gruppo, volando sull’erba verde, con le zampe che li condurranno sempre più velocemente.

Vi hanno avvistato, vi hanno riconosciuto.

Voi ed il vostro amico del cuore vi ritroverete, per non separarvi mai più.
Una pioggia di baci vi ricoprirà il viso, la vostra mano potrà accarezzare di nuovo l’adorata testolina, e potrete guardare di nuovo negli occhi il vostro amico del cuore, che è stato fisicamente lontano da voi ma non è mai stato lontano dal vostro cuore.
E allora attraverserete insieme il Ponte dell’Arcobaleno…

Leggenda Indiana. Brano senza Autore, tratto dal Web