Focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici…


Focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici…

Un uomo di 92 anni, piccolo, molto fiero, vestito e ben rasato, una mattina alle 8.00, con i suoi capelli perfettamente pettinati, trasloca in una casa per persone anziane.
Sua moglie di 70 anni è recentemente deceduta, cosa che lo obbliga a lasciare la sua casa.
Dopo parecchie ore di attesa nella hall della casa per anziani, ci sorride gentilmente quando gli diciamo che la sua camera è pronta.
Mentre si reca fino all’ascensore con il suo deambulatore, gli faccio una descrizione della sua piccola camera, includendo il drappo sospeso alla sua finestra come tenda.

“Mi piace molto!”

dice con l’entusiasmo di un ragazzino di 8 anni che ha appena ricevuto un nuovo cucciolo.
“Signor Vito, lei non ha ancora visto la camera, aspetti un attimo.”
“Questo non c’entra niente!” dice “La felicità è qualcosa che scelgo a priori.
Che mi piaccia la mia camera o no, non dipende dai mobili o dalle decorazioni, dipende piuttosto dal modo in cui la percepisco.

Nella mia testa è già deciso che la mia camera mi piace.

E’ una decisione che prendo ogni mattina al mio risveglio.”
Posso scegliere, posso passare la giornata a letto contando le difficoltà che ho con le parti del mio corpo che non funzionano, oppure alzarmi e ringraziare il cielo per quelle che funzionano ancora.

Ogni giorno è un regalo e finché potrò aprire i miei occhi,

focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici che ho raccolto durante tutta la mia vita.
La vecchiaia è come un conto in banca: prelevi da ciò che hai accumulato.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Desiderio per domani…


Desiderio per domani…

C’erano una volta tre anziani compagni di scuola che si ritrovarono dopo molto tempo.
Ognuno cominciò a raccontare la propria vita.
Uno era diventato un importante uomo d’affari ed un politico, un altro era un eminente studioso e il terzo un giardiniere.
Conversando intorno ad un bicchiere di buon vino, i tre uomini si scambiavano le impressioni sulla vita, che scorreva sempre più rapida.
Arrivarono alla conclusione che ogni giorno era un dono prezioso che ricevevano.

Giunsero così ad una bizzarra decisione:

“Impegniamoci a realizzare domani il desiderio più intenso che ci portiamo dentro.”
Ognuno confidò il proprio desiderio per l’indomani:
Il politico disse:
“lo voglio usare il mio prezioso servizio da tè di porcellana cinese e il mio magnifico cavallo per galoppare nella mia tenuta.”
Lo studioso disse:
“Io mi procurerò una tazza di cioccolata profumata e un libro antico pregiato da leggere seduto nella mia biblioteca.”

Il giardiniere disse:

“Io domani vorrei godermi una bella giornata di sole, ascoltando un ruscello di acqua gorgogliante, degli uccelli che cantino in cielo e sugli alberi.
Questi ultimi colmi di frutti maturi.”
Proprio quella notte un forte terremoto scosse la regione.
Quando il politico cercò la sua porcellana la trovò in frantumi; il suo prezioso cavallo era morto sotto il muro della scuderia, che a causa del terremoto era crollato.

Lo studioso non riuscì a bere la cioccolata né a leggere,

perché nella sua casa non c’era più una tazza rimasta intatta; la sua biblioteca aveva preso fuoco e tutti i suoi libri erano ormai perduti.
Il giardiniere invece poté godersi il sole che scaldava il suo giardino, bere l’acqua fresca del ruscello e, anche se il deposito degli attrezzi era stato distrutto dal terremoto, gli alberi erano rimasti in piedi, colmi di frutti; anche gli uccelli cantavano come tutti gli altri giorni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il mercante e il pappagallo


Il mercante e il pappagallo

C’era una volta un mercante che teneva un pappagallo in gabbia.
Il suo lavoro lo indusse a partire per l’India, e allora chiese al suo pappagallo se avesse un qualche messaggio per i suoi simili di quel continente.

Il pappagallo si limitò a rispondere:

“Dì a loro che me ne sto chiuso in una gabbia.”
Il mercante diede la sua parola di messaggero, e trasmise il messaggio al primo gruppo di pappagalli che incontrò sul suolo indiano.

Udite quelle parole, uno di loro cadde a terra e ne morì immediatamente.

Tornato in patria, il mercante accusò il pappagallo di averlo reso latore di un messaggio mortifero, ma appena ebbe ascoltato questo rimprovero anche il pappagallo del mercante cadde a terra morto, proprio come il suo simile indiano.

A quel punto il mercante tolse il cadavere del pappagallo dalla gabbia e fece il gesto di gettarlo via,

quand’esso riprese invece vita e fuggì volando, spiegandogli però che il pappagallo indiano si era limitato ad indicargli la morte come via di fuga dalla gabbia.

Brano di Gialal al-Din Rumi

Il pappagallo riconoscente


Il pappagallo riconoscente

Il povero pappagallo non ne poteva proprio più.
Era nato per la quiete: e intorno a lui, dalla mattina alla sera, venti, cinquanta, cento pappagalline irrequiete, sventate, pettegole, andavano, venivano, svolazzavano, cicalavano, strillavano senza concedere un istante di pace.
Il pappagallo dovette finalmente risolversi e prese il volo per andar a cercare un cantuccio tranquillo in terra straniera.
Fu proprio fortunato.
Dove capitò, tutti gli animali erano pacifici e tutti gli fecero grande accoglienza, specialmente gli uccelli.
Il pappagallo era beato: quanta quiete!

Quanto silenzio!

Ci si sarebbe fermato tutta la vita; ma non voleva abusare dell’ospitalità, e un giorno a malincuore si congedò:
“Devo ritornare tra i miei.”
Fece i suoi addii e se ne partì.
Era già abbastanza alto e lontano, quando scorse levarsi un denso fumo proprio sui cari luoghi che aveva da poco lasciato.
Tornò subito indietro.

Un grande incendio era scoppiato.

Le fiamme correvano la pianura, risalivano i fianchi dei monti, divoravano foreste, villaggi, campagne.
Il pappagallo, angosciato, vide un laghetto non lontano.
Vi si tuffò, si inzuppò più che poté di acqua, poi volò sul luogo dell’incendio e, scuotendo ali e piume, fece piovere sulle fiamme le gocce d’acqua che lo imperlavano; quindi volò via ancora al laghetto, tornò a tuffarsi, rivolò sulle fiamme e lasciò ricadere le sue scarse gocciole.
E cosi fece non so quante volte.

Lo scorse una scimmia e lo ammonì:

“O pappagallo, come sei sciocco!
Pensi forse di spegnere un incendio che si stende mille miglia, solo con le goccioline d’acqua che puoi raccogliere nel cavo delle tue alucce?”
“Oh,” rispose il pappagallo, “so benissimo che non spegnerò l’immenso incendio!
Ma il buon popolo di questi luoghi mi ha accolto e trattato come un fratello e cerco di dimostrargli per quanto posso tutta la mia gratitudine e la mia pietà.
Non saprei vederlo soffrire tanto, senza portargli il mio soccorso, anche sapendolo inutile.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Una vita in crociera


Una vita in crociera

C’era una volta una donna anziana che viaggiava felice su una nave da crociera.
Un uomo aveva notato che nonostante fosse sola, la donna era in grande confidenza con tutto lo staff della nave.
Un giorno l’uomo chiese a un cameriere informazioni su di lei, immaginando che l’anziana signora potesse essere la proprietaria della nave.
Il cameriere rispose all’uomo che non sapeva molto di lei.
L’aveva solamente vista nelle ultime quattro crociere.
Una sera, lasciando la sala ristorante, la vide di nuovo e decise di fermarsi a salutarla.
Chiacchierarono amabilmente quando lui le disse:
“So che ha partecipato alle ultime quattro crociere!”

“Sì, è vero.” rispose lei.

“Ma perché?”
“Perché è più economico di una casa di riposo!
Io non voglio andare in una casa di riposo.
Rimarrò su questa nave da crociera.
Una casa di riposo costa circa duecento euro al giorno.
Qui ho uno sconto fedeltà e uno sconto senior.
In tutto pago centotrentacinque euro al giorno.
Gli altri sessantacinque euro li destino agli extra e alle mance per questi giovani così gentili.

Qui posso avere fino a dieci pasti al giorno, e la qualità è ottima.

Posso anche chiedere il servizio in camera.
A volte faccio colazione a letto.
La piscina è gratis.
C’è la palestra.
Anche la lavanderia è gratis.
Ogni sera ci sono degli spettacoli.
Anche dentifricio, rasoi, shampoo e sapone sono gratis.

Mi trattano come una cliente VIP, non come una paziente d’ospedale.

Ogni sette o quattordici giorni poi incontro gente nuova e interessante con cui faccio piacevoli chiacchierate.
Lenzuola e asciugamani sono sempre puliti.
A bordo c’è sempre un medico.
E’ così che voglio vivere il resto dei miei giorni.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il ramo che volle staccarsi dall’albero!


Il ramo che volle staccarsi dall’albero!

Il castagno allargava la sua chioma su un angolo del giardinetto pubblico ed era profondamente felice.
Ma non tutti, da quelle parti, condividevano la felicità dell’albero.
Se qualcuno avesse avuto un orecchio particolarmente fine, avrebbe udito, quando qualcuno lodava l’albero, una voce, che protestava, stizzita:
“Basta! È un’ingiustizia! Non ne posso più! A lui tutto, e a me niente!”
Chi brontolava così era un ramo.
Un magnifico ramo, in alto, a destra, che scuoteva, con rabbia, le foglie.
“L’albero, sempre l’albero! Ma sono io, che faccio tutto!
Io porto le foglie, porto i ricci che oltretutto pungono, e faccio maturare le castagne!
Quando potrei riposare un po’, le foglie cadono, e resto qui, spogliato, a prendermi tutto il freddo e il gelo dell’inverno, i colpi di vento, la pioggia, e la neve…”
Il ramo era veramente furibondo!
L’albero cercava, invano, di farlo ragionare: lo invitava alla pazienza, alla comprensione.

“Tu sei importantissimo, per me, figliolo!

Sei un magnifico ramo, robusto, e pieno di vita.
Mi sei caro, come tutti gli altri rami!
Le lodi fatte a me, sono dirette anche a te e per tutti i tuoi fratelli!
Che sarei io, senza di voi?”
Ma il ramo scricchiolava cocciuto e inveiva con parole che per buon gusto è meglio non ripetere.
Il povero albero era preoccupato. E con ragione!
Il ramo ribelle, infatti, aveva escogitato un piano di fuga:
se ne sarebbe andato, si sarebbe staccato dall’albero e si sarebbe messo a vivere per conto suo.
Un giorno di Marzo, un vento burlone e irruente si divertiva a mulinare intorno all’albero.
Il ramo decise che era venuto il suo momento!
“Vento, ho bisogno di un favore.” chiese, con una punta di umiltà, che non gli era propria.
“Staccami, dall’albero!”

“Come vuoi…” sibilò il vento.

Il vento prese a girare, sempre più vorticosamente, intorno al ramo, e a scuoterlo, con una furia irresistibile, finché, con uno schianto terribile, il ramo si staccò dal tronco.
“Evviva! Volo!” gridò il ramo, strappato dal vento e sollevato sopra il recinto del giardino.
“Finalmente, sono libero! La mia vita comincia, adesso!”
Il ramo rideva, ed esultava:
neanche le lacrime che scendevano silenziose dalla ferita dell’albero lo commossero!
Portato dal vento, che soffiava violento, con tutte le forze che aveva, volò, oltre il fiume, e atterrò, su un pendio erboso.
“Ora, decido io!” pensò, mentre si sdraiava, dolcemente, nell’erba.
“Dormirò finché voglio e farò quel che mi pare e piace!
Non dovrò più stare sempre appiccicato a quel tronco brutto e rugoso!”
Una formica gli fece il solletico e cercò di cacciarla, come faceva lassù, quando era attaccato all’albero, ma non ci riuscì!
Uno strano torpore, si impadronì di lui: non riusciva più a respirare!

Dopo qualche ora, le sue foglie cominciarono ad appassire.

La linfa, che era la sua vita, e che l’albero, generoso, aveva sempre fatto scorrere in lui, cominciò a mancargli.
Con infinita paura si accorse di essere già incominciato a seccare.
Gli venne in mente l’albero, e capì che, senza di lui, sarebbe morto! Ma era troppo tardi.
Avrebbe voluto piangere, ma non poteva perché, ormai, era solo un inutile ramo secco.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.

L’occhio del falegname


L’occhio del falegname

C’era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname.
Un giorno, durante l’assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.
La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente.
Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.
Uno prese la parola:
“Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti.
Ha il carattere più mordace della terra.”

Un altro intervenne:

“Non possiamo tenere fra noi nostra sorella Pialla:
ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca.”
“Fratel Martello,” protestò un altro “ha un caratteraccio pesante e violento.
Lo definirei un picchiatore.
E’ urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti.
Escludiamolo!”
“E i Chiodi?
Si può vivere con gente così pungente?
Che se ne vadano!
E anche Lima e Raspa.

A vivere con loro è un attrito continuo.

E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d’essere sembra quella di graffiare il prossimo!”
Così discutevano, sempre più animosamente gli attrezzi del falegname.
Parlavano tutti insieme.
Il martello voleva espellere la lima e la pialla questi volevano a loro volta l’espulsione di chiodi e martello, e così via.
Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.
La riunione fu bruscamente interrotta dall’arrivo del falegname.
Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro.

L’uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace.

Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca.
Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.
Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.
Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla.
Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere.
Per accogliere la Vita.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Elledici edizioni.

Il valore del figlio


Il valore del figlio

Un uomo benestante americano e suo figlio, amavano collezionare rare opere d’arte, possedevano di tutto nella loro collezione, da Picasso a Raffaello.
Spesso si sedevano insieme ad ammirare le grandi opere che possedevano, finché arrivò la guerra del Vietnam ed il figlio dovette partire.
Fu un soldato molto coraggioso e morì in battaglia mentre salvava uno dei suoi compagni.
Il padre fu informato della sua morte e una profonda tristezza lo colse, poiché era l’unico figlio che aveva.
Circa un mese più tardi, qualcuno bussò alla porta….
Un giovane, in piedi all’entrata con un gran pacco tra le mani, disse:
“Signore, voi non mi conosce ma io son il soldato per cui vostro figlio ha dato la vita.
Spesso mi parlava di voi e del vostro comune amore per l’arte.”
Il giovane uomo mostrò il pacco:
“So che non è molto, non sono un grande artista, ma penso che vostro figlio avrebbe voluto averlo.”
Il padre aprì il pacco, era un ritratto di suo figlio, che il ragazzo aveva fatto.
Il padre ringraziò il giovane e si offrì di pagare il quadro.

“Oh no, Signore!

Non potrò mai ripagare quello che vostro figlio ha fatto per me.
Questo è un dono.”
L’anziano signore abbracciò il ritratto.
Ogni volta che i visitatori venivano a casa sua, prima di mostrare loro qualsiasi altra opera d’arte della sua collezione, li portava a vedere il ritratto di suo figlio.
L’uomo morì pochi mesi dopo.
Ci fu una grande asta per i suoi dipinti.
Vennero molte persone influenti, entusiaste di vedere i grandi quadri ed avere l’opportunità di possederne qualcuno per le loro collezioni.
Sulla piattaforma fu messo il ritratto del figlio.
Il banditore batté il martelletto:
“Cominceremo le offerte con questo dipinto del figlio.
Qualcuno offre per questo quadro?”

Ci fu silenzio.

Poi una voce dal fondo della sala gridò:
“Vogliamo vedere i famosi dipinti… quello saltalo!”
Ma il banditore insistette:
“Qualcuno vorrebbe offrire per questo dipinto?”
Chi comincerà le offerte?
Cento dollari?
Duecento dollari”
Il banditore continuò:
“Il figlio! Il figlio!

Chi prende il figlio?”

Finalmente, giunse una voce dalla parte più lontana della sala; era il vecchio giardiniere che da sempre aveva lavorato per l’uomo e per il figlio.
“Io offro dieci dollari per il quadro!”
Essendo povero, era tutto ciò che poteva offrire.
“Abbiamo dieci dollari, chi offre di più?”
La folla si arrabbiò veramente, non voleva il dipinto del figlio.
Il banditore batté il suo martelletto:
“Dieci dollari e uno, dieci dollari e due, dieci dollari e tre…

Aggiudicato per dieci dollari!”

Un uomo seduto nella seconda fila gridò:
“Ah, adesso proseguiamo con la collezione!”
Il banditore poggiò il martelletto:
“Mi dispiace, l’asta è conclusa!”
“Cosa ne è del resto dei quadri?” chiese un altro.
“Mi dispiace, ma quando fui chiamato per condurre l’asta, mi fu parlato di una stipulazione segreta riguardante il testamento e non mi è stato permesso di rivelarla fino a questo momento.
Solo il dipinto del figlio sarebbe stato messo all’asta; chiunque l’avesse comprato, avrebbe ereditato l’intero patrimonio, incluso i dipinti.
L’uomo che ha preso il figlio, ha preso tutto!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La conquista della penna d’aquila


La conquista della penna d’aquila

In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano.
A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.
Una sera d’estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare.
Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.
Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la “prova di forza” che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.

Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo.

I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò:
“Domani all’alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l’altra riva del lago e cercherete la penna d’aquila dorata che è nascosta in un posto segreto.”
Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago.
Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand’ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall’altra parte del lago.
Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro:
“Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull’altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei tutta la notte.
Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”
Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice:
“Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!”

E tutti gli altri dissero:

“No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre.”
“Eh, sì!” pensò Nuvola Rossa “Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d’aquila.
Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago.
E come sarà triste se gli diremo tutti di no!”
Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso:
“Vieni, Falco Stanco; ti porto io!”
Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono:
“Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!”
In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci.
Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato.
Poi guardava Falco Stanco, vedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva:

“Hai fatto bene, hai fatto bene!”

I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa.
Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore.
Ma, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora trovato la penna d’aquila.
Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca.
Ma il vecchio indiano lo chiamò:
“Aspetta, vieni qui!
Ti devo dare una cosa!”
Un po’ a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco.
“Ieri sera,” proseguì l’anziano “il grande capo del tuo villaggio mi ha detto:
domani all’alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull’altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa.”
E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d’aquila dorata!
Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia.

Gli altri accorsero pieni di stupore.

Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse:
“Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell’amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi.
Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!”
I piccoli indiani si guardarono l’un l’altro, poi dissero:
“E’ vero, la forza più grande è l’amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!”
Falco Stanco li salutò con la mano e pensò:
“Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c’è qualcosa nella vita che vale più dell’ arrivare primi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

È importane osservare la natura


È importane osservare la natura

Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse quale fosse il significato di essere povero, gli fece passare alcune giornate con una famiglia di contadini.
Il bambino trascorse tre giorni e tre notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
“Cosa mi dici della tua esperienza?”

“Bella!” rispose il bambino.

“Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
Il bimbo in quel momento iniziò a parlare:
Noi abbiamo un cane, loro ne hanno quattro.
Noi abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
Noi abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

Il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.

Noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
Noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali… tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
Noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
Noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme… Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
Noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio concluse:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”

Ogni giorno, diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura!

Brano senza Autore