Il cucchiaino

Il cucchiaino

Una vecchietta serena, sul letto d’ospedale, parlava con il parroco che era andato a visitarla:
“Il Signore mi ha donato una vita bellissima.
Sono pronta a partire!”

“Lo so.” mormorò il parroco.

“C’è una cosa che desidero.
Quando mi seppelliranno voglio avere un cucchiaino in mano!”
“Un cucchiaino?” chiese il buon parroco che si mostrò autenticamente sorpreso, “Perché vuoi essere sepolta con un cucchiaino in mano?”
“Mi è sempre piaciuto partecipare ai pranzi e alla cene delle feste in parrocchia.
Quando arrivavo al mio posto guardavo subito se c’era il cucchiaino vicino al piatto.

Sa che cosa voleva dire?

Che alla fine sarebbero arrivati il dolce o il gelato!” disse la donna.
“Ed allora?” domandò il parroco.
“Questo per me significava che il meglio arrivava alla fine!”
E proprio questo che voglio dire al mio funerale.
Quando passeranno vicino alla mia bara si chiederanno:

“Perché quel cucchiaino?”

Voglio che lei risponda:
“Il cucchiaino, che ha in mano, vuol far capire che sta arrivando il meglio!”

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’ago perduto

L’ago perduto

In Veneto, fino alla fine degli anni 60, era usanza comune fare una veglia serale, chiamata filò.
Il filò era un vero e proprio rito comunitario, ed il nome, probabilmente, era derivato dal filare la lana o dal tenere il filo del discorso.
Una sera d’estate, la stalla in cui si svolgeva questo evento era particolarmente affollata.

Le ragazze erano affaccendate a ricamare corredi mentre le signore più anziane erano intente a rammendare capi di vestiario.

Gli uomini, invece, mentre confabulavano tra loro del più e del meno, riparavano piccoli attrezzi.
Durante la serata, una giovane di nome Teresa, notando l’arrivo del fidanzatino, si distrasse e non ritrovò più l’ago da ricamo, scatenando il panico tra i partecipanti.
Perdere l’ago, secondo la credenza popolare, portava sfortuna e perderlo in una stalla portava ancora più sfortuna, poiché una mucca avrebbe potuto ingoiarlo provocandone, con la perforazione, una peritonite con esito fatale.

Fu accesa un’altra lampada a petrolio e tutti iniziarono a cercare il benedetto ago.

Il vecchio padrone di casa si mise a imprecare contro Teresa come se fosse cascato il mondo, facendola vergognare.
In questo clima surreale, le donne presenti decisero di creare ancor più tensione, iniziando a recitare i sequeri (forma di preghiera popolare cristiana, che la tradizione consiglia per recuperare le cose perdute) in latino.
Giulia, la mia meravigliosa nonna, vista la situazione, interpretò i sequeri a modo suo e, facendo finta di raccoglierlo per terra, mostrò il suo ago ai presenti esclamando:

“Ecco l’ago perso!”

Questo fu sufficiente per far tornare l’armonia in quell’assemblea e, le ombre da molto mosse si chetarono, per far sì che nell’angolo più buio della stalla, i fidanzatini potessero darsi un bacio rubato.
Solo qualche istante dopo Teresa si accorse che il suo l’ago lo aveva avuto, da sempre, appuntato al petto.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Un pomeriggio con il nonno

Un pomeriggio con il nonno

Da ragazzino andai ad aiutare il nonno materno per la fienagione (tecnica di raccolta delle piante foraggere finalizzata alla conservazione del foraggio sotto forma di fieno).
Ma, più che lavorare, dovevo solo fargli compagnia, a causa di un leggero problema al cuore.
Verso metà pomeriggio facemmo una lunga pausa per permettere al sole di essiccare l’erba ed il nonno, stanco, ne approfittò per fare merenda e schiacciare un riposino all’ombra di un grande gelso.
Gli chiesi il permesso di andare in esplorazione alla ricerca di nidi di uccelli, siccome ne ero affascinato, promettendogli di rimanere nei paraggi.

Il patto non fu rispettato e mi allontanai molto.

Trascorse un paio di ore, mi parve di sentire una voce insistente che mi chiamava da lontano.
Ne percepivo solo l’eco dato che ci trovavamo in una valle, ma non ci feci troppo caso e continuai a camminare, coinvolto dalla mia avventura.
Al ritorno trovai il nonno intento a riposare, così, dopo averlo chiamato, lo scossi con insistenza per svegliarlo, ma questo non mi diede segni di vita tenendo, inoltre, gli occhi chiusi.

Allora provai ad alzargli un braccio che però ricadde di colpo.

Continuai a chiamarlo insistentemente, senza avere risposte e, preso dalla paura e dal panico, iniziai a pensare che fosse morto, singhiozzando senza tregua.
Il nonno allora si alzò di scatto e cercò di tranquillizzarmi.
Mi disse che lo avevo fatto spaventare moltissimo poiché non sapeva dove fossi finito, non rispondendo neanche ai suoi insistenti richiami.
Con voce autorevole mi disse anche che, volendomi un gran bene e vedendomi pentito, era resuscitato.
Nei mesi seguenti andai al catechismo ed il sacerdote parlò del pianto di Gesù per la morte dell’amico Lazzaro e della sua resurrezione.

Vedendomi particolarmente attento e rosso in volto,

il parroco mi chiese se credessi al miracolo di Gesù.
Risposi di sì, raccontando anche l’avventura avuta qualche tempo prima, dove, anche il mio pianto sincero aveva fatto resuscitare l’amato nonno.
Alle ultime parole del racconto seguì una grande risata collettiva.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il negozio della verità

Il negozio della verità

Non potevo credere ai miei occhi quando lessi l’insegna del negozio:
il “Negozio della Verità”:
lì vendevano la verità.

La commessa fu molto cortese:

“Che tipo di verità desidera acquistare:
la verità parziale o la verità totale?”
“La verità totale, ovviamente!” fu la mia risposta.
Niente falsità per me, nessuna difesa, nessuna razionalizzazione.

Volevo la mia verità pura e semplice e tutta quanta.

Il commesso che era là mi guardò con una certa aria di commiserazione e indicò il cartello del prezzo:
“Il prezzo è molto alto, signore!” disse.
“Quant’è?” chiesi io, deciso ad ottenere la verità totale a tutti i costi.
“Se lei prende questa,” disse,

“dovrà pagarla perdendo il riposo per il resto della sua vita.”

Uscii tristemente dal negozio.
Avevo creduto di poter avere tutta la verità per un prezzo modesto.

Brano tratto dal libro “Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni.” di Anthony De Mello

I due frati e la porta

I due frati e la porta

Sulle pagine di un vecchio libro della biblioteca del monastero, due monaci avevano letto che esiste un luogo, ai confini del mondo, dove cielo e terra si toccano.
Decisero di partire per cercarlo e promisero a se stessi di non tornare indietro finché non lo avessero trovato.
Attraversarono il mondo intero, scamparono a innumerevoli pericoli, sopportarono tutte le terribili privazioni e sacrifici che comporta un pellegrinaggio in tutti gli angoli dell’immensa terra.
Non mancarono neppure le mille seducenti tentazioni che possono distogliere un uomo dal raggiungere la sua meta.

Le superarono tutte.

Sapevano che nel luogo che cercavano avrebbero trovato una porta:
bastava bussare e si sarebbero trovati faccia a faccia con Dio.
Trovarono la porta.
Senza perdere tempo, con il cuore in gola, bussarono.
Lentamente la porta si spalancò.

Trepidanti i due monaci entrarono e…

si trovarono nella loro cella, nel loro monastero.

Un giorno che ricevette degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo:
“Dove abita Dio?”
Quelli risero di lui:
“Ma che ti prende?
Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”.

Il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda:

“Dio abita dove lo si lascia entrare!”
Ecco ciò che conta più di tutto:
lasciar entrare Dio.
Ma lo si può lasciar entrare solo la dove ci si trova, e dove ci si trova realmente, dove si vive, e dove si vive una vita autentica.
“Io sto alla porta e busso.” dice Dio nella Bibbia.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Tre barche in soccorso (La provvidenza)

Tre barche in soccorso
(La provvidenza)

Un prete stava preparando una predica sulla provvidenza, quando sentì un gran boato.
Si affacciò alla finestra e vide della gente che correva avanti ed indietro in preda al panico.
Scoprì che aveva ceduto una diga, il fiume era in piena e stavano evacuando le persone.

Il prete vide che l’acqua saliva dalla strada sottostante.

Fece un po’ fatica a soffocare il panico che lo stava attanagliando, ma disse:
“Sono qui a preparare una predica sulla provvidenza ed ecco che mi si presenta l’occasione per mettere in pratica quello che racconto agl’altri:
Non fuggirò, starò qui e confiderò nella salvezza che mi verrà dalla provvidenza Divina!”
Quando l’acqua raggiunse la sua finestra, arrivò una barca carica di persone.

“Salti dentro, padre!” gridarono.

“No, no figli miei.” replicò il sacerdote con calma, “Confido nella provvidenza di Dio che mi salverà!”
Il padre tuttavia salì sul tetto e, quando l’acqua arrivò fino lassù, passò un’altra barca carica di persone, le quali incoraggiarono il prete a salire.
Ma egli rifiutò di nuovo.
Alla fine dovette arrampicarsi in cima al campanile.
Quando l’acqua gli arrivò alle ginocchia e gli mandarono un pompiere a salvarlo con una barca a motore.
“No, grazie, amico!” egli esclamò con un sorriso tranquillo, “Ho fiducia in Dio, capisce?

Lui non mi abbandonerà!”

Quando il prete annegò e andò in Paradiso, la prima cosa che fece fu di lamentarsi con Dio:
“Mi sono fidato di te!
Perché non hai fatto niente per salvarmi?”
“A dire il vero,” rispose Dio, “ti ho mandato ben tre barche!”

Brano senza Autore

Portar troppe croci

Portar troppe croci

Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime.
Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un Crocifisso, se ne lamentò con il Signore così:
“Ah! Signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti… ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci!
Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più la forza di portarle!”
Il Signore però gli disse:
“Vieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco.
Ecco, questa è la più grossa e la più pesante; guarda che cosa c’è scritto sopra!”

Quell’uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.

“Lo vedi?” disse il Signore, “Questa croce non te l’ho data io, ma te la sei fabbricata da solo.
Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, golosità, di divertimenti… e di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi!”
“Purtroppo è vero,” soggiunse l’uomo, “questa croce l’ho fabbricata io!
Ed è giusto che io la porti!”
Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.
Il Signore continuò:
“Guarda quest’altra croce.
C’è scritto sopra: ambizione.
Anche questa l’hai fabbricata tu, non te l’ho data Io.
Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri… e di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni!”
“È vero, è vero!
Anche questa croce l’ho fabbricata io!
È giusto che io la porti!” detto ciò sollevò da terra la seconda croce e se la mise sulle spalle.

Il Signore additò altre croci, e disse:

“Leggi.
Su questa è scritto: gelosia, su quell’altra: avarizia, su quest’altra…”
“Ho capito, ho capito!” esclamò l’uomo, “Signore, è troppo giusto quello che tu dici!”
E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se l’era poste sulle spalle.
Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l’uomo la sollevò per porsela sulle spalle esclamò:
“Oh! Com’è piccola questa!
E pesa poco!”
Guardò quello che c’era scritto sopra e lesse queste parole:
“La croce di Gesù!”
Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò:
“Quanto sei buono!”
Poi baciò quella croce con grande affetto.

E il Signore gli disse:

“Vedi figlio mio, questa piccola croce te l’ho data io, ma te l’ho data con amore di Padre; te l’ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l’ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al Cielo, perché io l’ho detto:
Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Ma ho detto anche:
il mio giogo è soave e il mio peso è leggero!”
L’uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.
Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l’altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.
Questa se la tenne stretta al cuore fino all’ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del Paradiso.

Brano di Giovanni Francile

Il perdono

Il perdono

Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessava di solito dal parroco.
Le sue confessioni sembravano però un disco rotto:
sempre le stesse mancanze, e soprattutto sempre lo stesso grosso peccato.
“Basta!” gli disse, un giorno, in tono severo il parroco,

“Non devi prendere in giro il Signore.

È l’ultima volta che ti assolvo per questo peccato.
Ricordatelo!”
Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo là a confessare il suo solito peccato.
Il confessore perse davvero la pazienza:

“Ti avevo avvertito:

non ti do l’assoluzione.
Così impari!”
Avvilito e colmo di vergogna, il pover’uomo si alzò.
Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso.

L’uomo lo guardò.

In quell’istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell’assoluzione:
“Io ti assolvo dai tuoi peccati.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Domenica a Messa senza scuse

Domenica a Messa senza scuse

Una domenica, alla porta della chiesa, fu appeso questo cartello:

“Per consentire a tutti di venire in chiesa domenica prossima, abbiamo organizzato una speciale domenica “senza scuse!”

Saranno sistemati dei letti in sacrestia per tutti quelli che dicono:

“La domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire!”

Sarà allestita una speciale sezione di morbide poltrone per coloro che trovano troppo scomodi i banchi.

Un collirio sarà offerto a quelli che hanno gli occhi troppo affaticati dalla nottata alla tv.

Un elmetto d’acciaio temprato sarà regalato a tutti coloro che dicono:

“Se vado in chiesa potrebbe cadermi il tetto in testa!”

Morbide coperte saranno fornite a quelli che dicono che la chiesa è troppo fredda e ventilatori a quelli che dicono che è troppo calda.

Saranno disponibili cartelle segnapunti per coloro che vogliono fare la classifica delle persone “che vanno sempre in chiesa ma sono peggio degli altri.”

Parenti e amici saranno chiamati in soccorso delle signore che non possono, contemporaneamente, andare in chiesa e preparare il pranzo.

Verranno distribuiti dei distintivi con la scritta:

“Ho già dato!” a tutti coloro che sono preoccupati per la questua.

In una navata saranno piantati alberi e fiori per quelli che cercano Dio solo nella natura.

Dottori e infermieri si dedicheranno alle persone che si ammalano sempre e solo di domenica.

Forniremo apparecchi acustici a quelli che non riescono a sentire la predica e tappi per le orecchie per quelli che ci riescono.

La chiesa sarà addobbata contemporaneamente con le stelle di Natale e i gigli di Pasqua per quelli che l’hanno sempre e solo vista così.”

Sarà bellissimo la domenica, vivere la Messa tutti insieme, vi aspettiamo!

Brano senza Autore

Mamma, ribassa

Mamma, ribassa

Isabella aveva dovuto sostituire suo marito nella gestione della casa e della piccola fattoria.
Il marito era emigrato in Francia a fare il bracciante agricolo stagionale per la raccolta delle barbabietole da zucchero.
Quando non aveva impegni scolastici,

Isabella veniva aiutata da suo figlio maggiore.

Avevano una stalla con diverse mucche da governare, ed Isabella si lamentava con il marito per la carenza di fieno, che doveva comprare a caro prezzo.
Questi acquisti, per lei, stavano diventando davvero onerosi.
Attraverso una fitta corrispondenza attraverso la posta, concordarono di vendere la mucca che avrebbe fruttato più soldi, chiamando il solito commerciante di fiducia.
Isabella aveva più volte assistito alle trattative di suo marito e decise di applicare quanto aveva appreso.

Allo stesso tempo pensò di insegnare al ragazzo come condurre una trattativa vantaggiosa.

Elogiò la salute della mucca, la beltà, la mitezza e l’ottima ed abbondante produzione di latte.
Concordarono un prezzo, che parve equo ad entrambi, e stabilirono la caparra, ma improvvisamente il commerciante ebbe un ripensamento circa la presunta età della bestia.
Isabella ebbe un sussulto di orgoglio e volle mostrare al commerciante che anche lei, sebbene donna, sapesse come si stabilisce l’età di una mucca, dallo stato della dentatura.
Per fermare la testa della bestia, che nel frattempo si era innervosita perché troppo bistrattata, fu costretta ad entrare nella greppia e nel fare questa operazione gli si era alzata, senza che se accorgesse, la gonna.

Il figlio, imbarazzato, disse subito:

“Mamma! Mamma, ribassa!”
Isabella prontamente rispose:
“No che non ribasso, dopo aver guardato e stimato da commerciante del mestiere.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno