Il fiume ed il deserto

Il fiume ed il deserto

Un fiume, durante la sua tranquilla corsa verso il mare, giunse a un deserto e si fermò.
Davanti ora aveva solo rocce disseminate di anfratti e caverne nascoste, dune di sabbia che si perdevano nell’orizzonte.

Il fiume fu attanagliato dalla paura.

“È la mia fine.
Non riuscirò ad attraversare questo deserto.
La sabbia assorbirà la mia acqua ed io sparirò.
Non arriverò mai al mare.
Ho fallito tutto!” si disperò.
Lentamente, le sue acque cominciarono a intorpidirsi.
Il fiume stava diventando una palude e stava morendo.
Ma il vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvargli la vita.
“Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapore acqueo.
Al resto penserò io!” gli suggerì.

Il fiume ebbe ancor più paura:

“Io sono fatto per scorrere fra due rive di terra, liquido, pacifico e maestoso.
Non sono fatto per volare per aria!”
Il vento rispose:

“Non aver paura.

Quando salirai nel cielo sotto forma di vapore acqueo, diventerai una nuvola.
Io ti trasporterò di là del deserto e tu potrai cadere di nuovo sulla terra sotto forma di pioggia, e ritornerai fiume e arriverai al mare!”
Ma il fiume aveva troppa paura e, alla fine, fu divorato dal deserto.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Le due caprette

Le due caprette

Un giorno, su uno stretto ponticello che attraversava un tumultuoso e profondo torrente si trovarono, testa contro testa, due caprette, provenienti dalla riva opposta.
Entrambe volevano attraversare.
“Togliti di mezzo!” gridò la prima.

“Sei diventata matta?” replicò l’altra.

“Sono arrivata prima io sul ponte!” rispose la prima.
“Questa è proprio una stupidaggine.
Non ti accorgi che io sono più anziana di te?

Cedimi il passo!” intimò la seconda.

“Se è solo per questo, io sono molto più forte!” disse con fare minaccioso la prima capretta.
Nessuna delle due intendeva cedere.
Continuarono con insulti sempre più offensivi.
Le corna si sfiorarono minacciose, poi violenta scoppiò la lotta.

Le due caprette arretravano di qualche passo,

prendevano la rincorsa e poi cozzavano una contro l’altra con tutta la forza.
Al terzo irruente scontro le due caprette persero l’equilibrio e precipitarono entrambe nelle schiumose e travolgenti acque del torrente.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il colore dell’orizzonte

Il colore dell’orizzonte

Un bambino che abitava in pianura era affascinato dalla linea delle montagne che si stagliava lontano all’orizzonte.
Azzurrine, leggere, compatte, gli apparivano come un luogo di paradiso.

Così diverso dalla terra aspra e grigia dove viveva.

Un giorno, ormai cresciuto, cedette al richiamo dell’orizzonte e decise di raggiungere quel posto incantato.
Il viaggio durò a lungo, attraverso pianure e colline.
Stremato, arrivò infine sulla vetta delle montagne, ma dovette constatare con profonda delusione che le montagne non erano più azzurrine ma grigie e caotiche, sassose, aride ed aspre.
Proprio come il paese che aveva lasciato.
Ma all’orizzonte, davanti a lui, si delineavano altre montagne, azzurre, violette, alonate di luce dorata.

E ripartì.

Gli ci volle molto tempo per raggiungerle.
Ma anche là, man mano che si avvicinava, l’azzurro e il viola scomparivano per lasciare spazio al grigio delle rocce e al giallo stopposo dell’erba bruciata.
Ma davanti l’orizzonte era azzurro e rosa.
E lui si rimetteva in cammino.

Era sempre una delusione:

al suo arrivo anche le nuove terre si rivelavano ruvide e brulle.
Un giorno, ormai vecchio, vista vana la sua ricerca, decise di tornare indietro.
Ed ecco, tutti i paesi che aveva lasciato erano azzurrini, leggeri, immersi in una incantevole luce dorata.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’invito alla tartaruga

L’invito alla tartaruga
—————————–

Alla fine di questo racconto, troverete

L’ombrello dimenticato
—————————–

Una tartaruga passava in campagna la sua vita tranquilla.
Un giorno le arrivò l’invito di una sua cugina, che abitava in città, perché andasse a trovarla.
Spinta dal desiderio di vedere un po’ di mondo, la tartaruga campagnola accettò l’invito.
La distanza non era molta, non più di un chilometro, ma per la tartaruga era già un bel viaggio.
Si illuse tuttavia di compierlo in breve tempo e solo il mattino dopo si mise in cammino.
“Con il mio passo sicuro e costante,” pensò, “prima di mezzogiorno sarò certamente arrivata.
Giusto in tempo per sedermi a tavola!”
Partì cantarellando.

Cammina, cammina, cammina…

A mezzogiorno la tartaruga aveva percorso appena qualche centinaio di metri.
Quando sentì battere dodici rintocchi ad un campanile, sbottò:
“Che stupido campanile!
Non sarà neppure un’ora che mi sono mossa da casa, e già suona mezzogiorno.
Sono tutti sgangherati questi orologi e i campanari sono ubriaconi!”

Cammina, cammina…

Il sole tramontò e le stelle spuntarono tremolanti, ma la tartaruga non era neanche a metà strada.
Più arrabbiata che mai, si mise ad inveire:
“Il mondo non è più quello di una volta!
Il sole tramonta più presto, le stelle si affacciano fuori orario e le giornate non sono più di ventiquattr’ore!”
E, borbottando, riprese il suo cammino, maledicendo la strada, troppo sassosa e storta.

C’è sempre una buona ragione per pensare male del prossimo…

—————————–
“L’ombrello dimenticato”

“Per caso ho lasciato l’ombrello da lei?” mi domandò una signora che abita nella mia zona e che era venuta a trovarmi poco tempo prima.
“Sì.” risposi.
Mi ringraziò molto, poi aggiunse:
“Lei sì che è onesto!
Ho domandato a un sacco di gente se avevo lasciato il mio ombrello a casa loro, e mi hanno tutti risposto di no!”

Brano di Bruno Ferrero

L’ombrello rosso

L’ombrello rosso

Lui era un giovane studioso e serio, lei una ragazza bella e saggia.
E si amavano.
Prima di partire per il servizio militare, lui volle farle un regalo.

Un regalo che le ricordasse il suo amore.

Doveva però fare il conto con le finanze, già messe a dura prova dai libri dell’Università.
Girò per negozi e grandi magazzini.
Dopo mille “prendi e posa” si decise.
Acquistò un enorme ombrello di un bel rosso vivo.
Sotto quel grande ombrello rosso i due ragazzi si diedero il primo addio, si scambiarono la promessa di amore eterno e decisero di sposarsi.

Nella nuova casa, l’ombrello finì in uno sgabuzzino.

Passarono gli anni, arrivarono due figli, le preoccupazioni, qualche tensione di troppo, la noia, i silenzi troppo lunghi.
Una sera, seduti sul divano, lui e lei sbadigliavano davanti alla tv.
Improvvisamente lei si alzò, corse nello sgabuzzino e dopo un po’ tornò con l’ombrello rosso.
Lo spalancò ed una nuvoletta di polvere si sparse nell’aria.

Poi si sedette sul divano con l’ombrello rosso spalancato.

Dopo un lungo istante, lui si accoccolò accanto a lei sotto il grande ombrello.
Si abbracciarono teneramente.
E ritrovarono tutti i sogni smarriti sotto la polvere dei giorni.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il volto di Cristo

Il volto di Cristo

In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore:
sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro:
voleva ritrarre il volto di Cristo.
Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?

Epifanio non si dette più pace:

si mise in viaggio; percorse l’Europa scrutando ogni volto.
Nulla.
Il volto adatto per rappresentare Cristo non c’era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo:
“Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto!”

Fece un sogno:

un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo:
la gioia di una giovane sposa, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso.

Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.

Dopo un anno l’icona di Cristo era pronta e la presentò all’abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio.
Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell’intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello.
Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

Brano tratto dal libro “A volte basta un Raggio di Sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il saggio sulla nave

Il saggio sulla nave

Un saggio sufi si imbarcò su una nave per recarsi dall’altra parte del mare.
A metà della traversata si scatenò una tempesta di tale violenza che le onde altissime scagliavano la nave in su e in giù come se fosse un fuscello.
Tutti avevano una paura tremenda, e c’era chi pregava, chi si rotolava gridando, chi gettava tutti i suoi beni in mare.

Solo il saggio rimaneva imperturbabile.

Quando la tempesta si calmò, e a poco a poco il colore tornò sulle gote dei naviganti, alcuni di loro si rivolsero al saggio e gli chiesero:
“Ma come mai tu non hai avuto paura?
Non ti sei accorto che tra noi e la morte c’era soltanto una tavola di legno?”
“Certo, ma nel corso della vita mi sono accorto che spesso c’è ancor meno!” replicò il saggio.

Quanto ci separa dalla morte?

E davvero così sottile il confine tra la vita e la morte.
Negli ultimi mesi di vita, Don Bosco camminava a fatica.
Chi lo vedeva attraversare i cortili spesso gli chiedeva:
“Dove va, Don Bosco?”

La risposta era sempre la stessa:

“In Paradiso!”
Lo potremmo dire tutti, ad ogni passo della nostra vita:
“Sto arrivando, Signore!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il narratore (E tu, quale storia vorresti ascoltare?)

Il narratore
(E tu, quale storia vorresti ascoltare?)

C’era una volta un narratore.
Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni.
Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d’anima.
E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un’idea:
“E se raccontassi loro delle storie?
Potrei raccontare il sapore della bontà e dell’amore, li porterei sicuramente alla felicità!”

Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce.

Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò.
Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore.
Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima.
Qualcuno rise di lui.
Qualche altro lo trattò da pazzo.
Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d’amore e di meraviglie.
Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena.

Ma non rinunciò.

Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno.
Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato.
La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni.
Una sera d’inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica.
Aprì gli occhi e vide un ragazzo.
Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
“Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai?
Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?”
“Amo i miei simili!” rispose il narratore, “Per questo mi è venuta voglia di renderli felici!”

Il ragazzo ghignò:

“Povero pazzo, lo sono diventati?”
“No!” rispose il narratore, scuotendo la testa.
“Perché ti ostini allora?” domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
“Continuo a raccontare.
E racconterò fino alla morte.
Un tempo era per cambiare il mondo!” tacque, poi il suo sguardo si illuminò e disse ancora:
“Oggi racconto perché il mondo non cambi me!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La leggenda del tramonto

La leggenda del tramonto

Il giorno dopo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione.
C’era qualche ritocco da fare.
C’erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e picchiettati.

Ma sotto terra i sassi erano schiacciati e mortificati.

Dio sfiorò quei sassi profondi ed ecco si formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle profondità.
Il Signore vide i fiori, uno più bello dell’altro.
Mancava qualcosa, pensò, e posò su di essi un soffio leggero:

ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.

Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano.
Dio gli fischiettò qualcosa.
E l’usignolo incominciò a gorgheggiare.
E disse qualcosa al cielo ed il cielo arrossì di piacere.

Nacque così il tramonto.

Ma che cosa mai avrà bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo perché egli sia un uomo?
Gli bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell’alba remota, tre piccole parole:
“Ti voglio bene!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’eremita e l’esempio dello sparviero

L’eremita e l’esempio dello sparviero

Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero.
Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne:
lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise a imbeccare anche una piccola cornacchia ferita.
L’eremita si meravigliò che uno sparviero imbeccasse così una piccola cornacchia, e penso:

“Dio mi ha mandato un segno.

Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui.
Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina d’altra razza, rimasta orfana al mondo.
Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature:
e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi.
Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso!
Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare.

Non mi procurerò più di mangiare!

Dio non abbandona nessuna delle sue creature:
non abbandonerà neanche me!”
E così fece:
si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là:
pregava, pregava, e nient’altro.
Per tre giorni e per tre notti rimase così, senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un boccone.
Dopo tre giorni, l’eremita s’era tanto indebolito, che non era più capace d’alzare la mano.

Dalla gran debolezza, s’addormentò.

Ed ecco apparirgli in sogno un angelo.
L’angelo lo guardò accigliato e gli disse:
“Il segno era per te, certo.
Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.