L’abate ed i confratelli

L’abate ed i confratelli

Un abate stava attraversando il deserto con i fratelli, quando si accorsero che quello che faceva loro da guida aveva sbagliato strada.
Era notte, ed i frati dissero all’abate:

“Che facciamo?

Questo fratello ha sbagliato la via, e noi rischiamo di smarrirci e di morire tutti nel deserto.
Non sarebbe meglio fermarci qui per la notte, e riprendere il cammino alla luce del sole?”

L’abate rispose:

“Ma se diciamo a costui che ha sbagliato, egli si rattristerà.
Sentite dunque:
io farò finta di essere stanco e dirò che non me la sento di proseguire e che resto qui fino a domattina!”

Così fecero, e anche gli altri dissero:

“Anche noi non ne possiamo più dalla stanchezza e ci fermiamo con te!”
E così riuscirono a non contristare quel fratello, che non seppe mai d’aver sbagliato strada.

La buona educazione non consiste nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel mostrare di non accorgersi se un altro lo fa.

Brano senza Autore.

Il volto di Cristo

Il volto di Cristo

In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sé un dono del Signore:
sapeva dipingere bellissime icone.
Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro:
voleva ritrarre il volto di Cristo.
Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e risurrezione, divinità e umanità?

Epifanio non si dette più pace:

si mise in viaggio; percorse l’Europa scrutando ogni volto.
Nulla.
Il volto adatto per rappresentare Cristo non c’era.
Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo:
“Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto!”

Fece un sogno:

un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo:
la gioia di una giovane sposa, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso.

Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro.

Dopo un anno l’icona di Cristo era pronta e la presentò all’abate e ai confratelli, che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio.
Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell’intimo e interrogava.
Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello.
Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

Brano tratto dal libro “A volte basta un Raggio di Sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La partita a scacchi

La partita a scacchi

Disse il giovane all’abate del monastero:
“Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita.
Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l’illuminazione!”

“Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago!”

fu la risposta dell’abate.
L’abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo.
Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse:
“Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi.
Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori.
Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te.”

L’abate parlava seriamente.

Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo.
La scacchiera divenne il centro del mondo.
Il monaco iniziò a perdere.
Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell’altro:
da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate.
In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All’improvviso, l’abate rovesciò per terra la scacchiera.

“Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato,” disse, “Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi.
Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile.
Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia!”

Brano di Paulo Coelho

L’abate ed un confratello

L’abate ed un confratello

L’abate Anastasio aveva un libro scritto su pergamena finissima, che valeva diciotto soldi, e in esso aveva sia il Vecchio che il Nuovo Testamento in versione integrale.
Una volta un confratello venne a trovarlo e vedendo il libro se ne andò con esso.
Così il giorno in cui l’abate Anastasio andò per leggere il proprio libro e non lo trovò più, capì che il confratello l’aveva preso.
Ma non gli mandò dietro nessuno, per chiederne notizia, per timore che il confratello potesse aggiungere una bugia al furto.
Poi il confratello scese nella città più vicina per vendere il libro.

Ed il prezzo che chiese fu di sedici soldi.

Il compratore disse:
“Dammi il libro, affinché possa scoprire se vale tanto.”
Con ciò, il compratore portò il libro da vedere a sant’Anastasio e disse:
“Padre, dia un’occhiata a questo libro, per favore, e mi dica se pensa che dovrei comprarlo per sedici soldi.
Vale dunque così tanto?”

L’abate Anastasio disse:

“Si, è un bel libro, vale tutto quel prezzo!”
Così il compratore ritornò dal confratello e disse:
“Ecco il tuo denaro.
Ho mostrato il libro all’abate Anastasio che ha detto che è bello e che vale almeno sedici soldi!”
Ma il fratello disse:
“È tutto ciò che ha detto?

Ha fatto altre osservazioni!”

“No!” disse il compratore, “Non ha detto altro!”
“Beh!” disse il confratello, “Ho cambiato idea, e dopo tutto non voglio vendere questo libro!”
Allora andò di corsa dall’abate Anastasio e lo supplicò in lacrime di riprendersi il libro.
Ma l’abate non volle accettarlo, dicendo:
“Va’ in pace, fratello, te ne faccio dono!”
Ma il confratello disse:
“Se non lo riprenderai, non avrò mai più pace!”
Dopo quell’episodio il confratello abitò con l’Abate Anastasio per il resto della sua vita.

Brano tratto dal libro “La saggezza del deserto.” di Thomas Merton.
Titolo originale del libro “The Wisdom of the Desert.”

Il monaco e l’abate

Il monaco e l’abate

C’era una volta un monaco che conduceva una vita serena e tranquilla.
Una sola inquietudine lo tormentava.
Aveva paura dell’eternità.
Gli eletti in Paradiso cantano le lodi di Dio come fanno i monaci.
Un conto è farlo per un po’ di tempo.

Ma per l’eternità!

Per felici che si possa essere alla presenza di Dio, dopo qualche milione d’anni chissà che noia!
Un giorno di autunno, se ne andò secondo la sua abitudine a passeggiare nel bosco che circondava il monastero.
L’aria era viva e leggera, profumata di erba e di fiori.
Il monaco sospirò pensando al suo problema.
Sopra la sua testa un usignolo cominciò a cantare.
Un canto così puro, modulato, melodioso che il monaco dimenticò i suoi pensieri per ascoltarlo.
Non aveva mai sentito niente di più bello.

Per un istante ascoltò estasiato.

Poi pensò che era ora di raggiungere il coro per la preghiera e si affrettò.
Stranamente avevano sostituito il frate portinaio con uno che non conosceva.
Passò un altro monaco e poi un altro che non aveva mai visto.
“Che cosa desidera?” gli chiese il portinaio.
Vagamente irritato, il nostro monaco rispose che voleva soltanto entrare per non essere in ritardo.
L’altro non capiva.
Il monaco protestò e chiese con veemenza di vedere l’abate.
Ma anche l’abate era uno sconosciuto e il povero monaco fu preso dalla paura.
Balbettando un po’, spiegò che era uscito dal monastero per una breve passeggiata e che si era attardato un attimo ad ascoltare il canto di un usignolo, ma che si era affrettato a rientrare per l’ufficio pomeridiano.

L’abate lo ascoltava in silenzio.

“Cento anni fa,” disse alla fine, “un monaco di questa abbazia, proprio in questa stagione e in quest’ora, è uscito dal monastero.
Non è più ritornato e nessuno l’ha più rivisto.”
Allora il monaco capì che Dio l’aveva esaudito.
Se cento anni gli erano parsi un istante nello stato d’estasi in cui l’aveva rapito il canto dell’usignolo, l’eternità non era che un istante nell’estasi in Dio.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’eremita e l’abate

L’eremita e l’abate

Un eremita si recò un giorno a visitare un convento.
Mentre l’abate lo accompagnava in giro, l’eremita continuava ad esprimere la sua meraviglia nel vedere i monaci intenti ai vari lavori manuali ed esclamò:

“Perché mai si danno così da fare per occupazioni terrene?

Gesù non ha forse lodato Maria, che si è fermata ad ascoltarlo, e ripreso Marta, che si preoccupava troppo per l’andamento della casa?”
L’abate non rispose nulla; alla fine della visita, si limitò a condurre l’eremita, in una cella perché potesse pregare e stare in silenzio.
Verso le tre del pomeriggio, l’eremita, che cominciava ad avere fame, uscì dalla cella; trovato l’abate, gli chiese se quello fosse giorno di digiuno per i monaci.
“No!” rispose l’abate, “Hanno già mangiato tutti.”

“Ma… Come mai non mi avete chiamato?” domandò l’eremita.

“Beh, a dire il vero, abbiamo pensato che, siccome hai scelto la parte migliore, come Maria, ti sarebbe bastato il cibo spirituale…”
L’eremita abbassò lo sguardo e l’abate concluse con dolcezza:
“Se Marta non avesse lavorato, come avrebbe potuto riposarsi Maria?”

Brano incluso nel libro “Il libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.

Il novizio ed il puledro di razza

Il novizio ed il puledro di razza

Un saggio abate volle un giorno mettere alla prova il più promettente tra i suoi novizi.
Chiamò a sé il giovane.

“Ascolta Pietro, voglio farti un dono.” disse,

“Ti regalerò un cavallo di razza che tu potrai cavalcare e usare a tuo piacimento, se sarai capace di recitarmi dal principio alla fine il Padre Nostro senza mai neppure per un istante distogliere il tuo pensiero dalla preghiera.”
“Oh,” rise Pietro meravigliato, “è puerile padre, quel che mi chiedete.
E davvero io in premio potrei avere un cavallo?”
Impaziente com’era di vedersi in groppa a un bel puledro di razza, il giovane cominciò la sua orazione:

“Padre Nostro che sei nei cieli…”

Ma il suo pensiero era lontano dalle parole di fede:
inseguendo il bel sogno, Pietro mormorava meccanicamente:
“Venga il Tuo regno… come in cielo così in terra…” e ad un certo punto si trovò senza accorgersene a chiedere:

“Ma il cavallo, avrà poi una sella perché io lo possa montare?”

L’abate rise divertito e consolò il giovane.
In fondo era stato un’ottima lezione.

Leggenda della Navarra.
Brano senza Autore.

Un cerchio di gioia (Il grappolo d’uva)

Un cerchio di gioia
(Il grappolo d’uva)

Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente.
Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
“Frate portinaio,” disse il contadino, “sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna?”
“Forse all’Abate o a qualche frate del convento!” rispose il frate.

“No, a te!” esclamò il contadino.

“A me?” il frate portinaio arrossì tutto per la gioia, “Lo vuoi dare proprio a me?”
“Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo.
Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia!”
La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina.
Era veramente un grappolo stupendo.

Ad un certo punto gli venne un’idea:

“Perché non porto questo grappolo all’Abate per dare un po’ di gioia anche a lui?”
Prese il grappolo e lo portò all’Abate.
L’Abate ne fu sinceramente felice.
Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò:
“Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco!”
Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo.

Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato.

Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate ai fornelli, e glielo mandò.
Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro.
Finché, di frate in frate il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia).
Così fu chiuso il cerchio.
Un cerchio di gioia.

Brano tratto dal libro “40 storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.