Il segreto del vecchietto


Il segreto del vecchietto

Un giovane medico si trovava in un lebbrosario in un’isola del Pacifico.
Un incubo di orrore.
Solo cadaveri ambulanti, disperazione, rabbia, piaghe e mutilazioni orrende.
Eppure, in mezzo a tanta devastazione, un anziano malato conservava occhi sorprendentemente luminosi e sorridenti.
Soffriva nel corpo, come i suoi infelici compagni, ma dimostrava attaccamento alla vita, non disperazione, e dolcezza nel trattare gli altri..
Incuriosito da quel vero miracolo di vita, nell’inferno del lebbrosario, il giovane medico volle cercarne la spiegazione:
che cosa mai poteva dare tanta forza di vivere a quel vecchio così colpito dal male?

Lo pedinò, discretamente.

Scoprì che, immancabilmente, allo spuntar dell’alba, il vecchietto si trascinava al recinto che circondava il lebbrosario, e raggiungeva un posto ben preciso.
Si metteva a sedere e aspettava.
Non era il sorgere del sole che aspettava.
Né lo spettacolo dell’aurora del Pacifico.
Aspettava fino a quando, dall’altra parte del recinto, spuntava una donna, anziana anche lei, con il volto coperto di rughe finissime, gli occhi pieni di dolcezza.
La donna non parlava.
Lanciava solo un messaggio silenzioso e discreto: un sorriso.
Ma l’uomo si illuminava a quel sorriso e rispondeva con un altro sorriso.
Il muto colloquio durava pochi istanti, poi il vecchietto si rialzava e trotterellava verso le baracche.
Tutte le mattine.
Una specie di comunione quotidiana.
Il lebbroso, alimentato e fortificato da quel sorriso, poteva sopportare una nuova giornata e resistere fino al nuovo appuntamento con il sorriso di quel volto femminile.
Quando il giovane medico glielo chiese, il lebbroso gli disse:

“È mia moglie!”

E dopo un attimo di silenzio:
“Prima che venissi qui, mi ha curato in segreto, con tutto ciò che riusciva a trovare.
Uno stregone le aveva dato una pomata.
Lei tutti i giorni me ne spalmava la faccia, salvo una piccola parte, sufficiente per apporvi le sue labbra per un bacio…
Ma tutto è stato inutile.
Allora mi hanno preso, mi hanno portato qui.

Ma lei mi ha seguito.

E quando ogni giorno la rivedo, solo per lei so che sono ancora vivo, solo per lei mi piace ancora vivere.”

Certamente qualcuno ti ha sorriso stamattina, anche se tu non te ne sei accorto.
Certamente qualcuno aspetta il tuo sorriso, oggi.
E se entri in una chiesa e spalanchi la tua anima al silenzio, ti accorgerai che Dio, per primo, ti accoglie con un sorriso….

Brano senza Autore, tratto dal Web

Dolci coccole


Dolci coccole

Una volta, tanto tempo fa, c’era una terra dove la gente viveva felice.
Tutti erano amici, si volevano bene, giocavano insieme, e si aiutavano.
Erano tutti gentili, cordiali e premurosi.
Erano così per la strada, a scuola, e anche quando c’era la coda da fare all’ufficio postale.
Naturalmente, c’era un segreto.
A quel tempo, ogni bambino riceveva alla nascita un sacchetto colmo di “Dolci Coccole.”
Le “Dolci Coccole” erano molto apprezzate.
Tutti quelli che le ricevevano, si sentivano pieni di dolcezza e di calda simpatia.
Coloro che non ne ricevevano, invece, si ammalavano di influenza, avevano il mal di schiena, appassivano, talvolta morivano.
A quel tempo, però, era molto facile procurarsi delle “Dolci Coccole.”
Quando uno ne aveva voglia, si avvicinava ad un altro, e domandava:

“Vorrei una “Dolce Coccola”!”

L’altro tuffava la mano nel suo sacchetto, e ne traeva una “Dolce Coccola”, che aveva più o meno le dimensioni della mano di una bambina.
Chi la riceveva, la strofinava dolcemente sul cuore, sulle guance, o sulle braccia, e subito si sentiva invadere da una piacevole ondata di tepore e di benessere, sia nel corpo che nell’anima.
La gente a quel tempo si scambiava continuamente “Dolci Coccole” e, dal momento che erano assolutamente gratuite, se ne potevano avere a volontà!
Così, quasi tutti vivevano felici, e si sentivano teneri e caldi.
Quasi tutti.
C’era qualcuno che non era affatto contento di vedere la gente scambiarsi “Dolci Coccole.”
Si chiamava Belzefà, ed era una strega perfida e perennemente arrabbiata.
Belzefà architettò un piano diabolico:
un mattino, piombò nel mezzo di una famigliola, si accostò al papà, che stava leggendo il giornale, e gli indicò la moglie che stava coccolando la bambina più piccola:
“Non vedi tutte le “Dolci Coccole”, che tua moglie sta dando alla bambina?
Se va avanti così, non ce ne saranno più per te!”

L’uomo si preoccupò:

“Vuoi dire che a forza di donarle agli altri non ci saranno più “Dolci Coccole” nel nostro sacchetto?”
“Certo!” rispose la strega “Ad un certo punto finiranno. Stop. Nisba. Nada!”
E ripartì ghignando a cavallo della sua scopa.
Il papà si sentì turbato dalle parole di Belzefà.
Da quel momento, ogni volta che vedeva la moglie dare “Dolci Coccole” ai bambini si sentiva inquieto.
Sempre più spesso si chiese se la strega potesse avere ragione.
Un giorno ne parlò apertamente con la moglie.
Anche lei si spaventò.
La coppia decise che bisognava fare economia e usare con parsimonia le “Dolci Coccole” rimaste.
In breve tempo uomini, donne e bambini smisero di sorridersi l’un l’altro, di essere gentili, di aiutarsi.

Ma un giorno successe un fatto straordinario…

Una fanciulla dagli occhi pieni di luce ed un sorriso dolce e limpido, arrivò in quel triste paese.
Pareva proprio, che non avesse mai sentito parlare della perfida strega, e distribuiva “Dolci Coccole” a piene mani, senza alcuna paura che le venissero a mancare.
La ragazza le offriva gratuitamente, anche se nessuno gliele domandava.
I bambini la amavano tantissimo, perché si sentivano davvero bene con lei.
Anche i bambini allora, tutte le volte che ne avevano voglia, si misero a distribuire “Dolci Coccole”, incuranti che potessero finire.
I grandi fecero una Legge per impedire di sprecare le “Dolci Coccole”, ma i bambini continuarono!
E siccome i bambini sono più numerosi degli adulti, in breve tempo la terra iniziò a diventare nuovamente quel luogo dove la gente vive serena e felice.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Una lettera che un nonno ha lasciato ai propri nipoti


Una lettera che un nonno ha lasciato ai propri nipoti

“Cari adorati nipoti,
la mia Rachele mi ha spinto a scrivere una lettera con qualche consiglio per voi, in cui raccontarvi le cose importanti che ho imparato nella mia lunga vita.
L’ho iniziata a scrivere l’8 aprile 2012, alla vigilia del mio 72° compleanno.
Ognuno di voi è un meraviglioso dono di Dio, un dono per la vostra famiglia e per tutto il mondo.
Ricordatelo sempre, soprattutto quando i venti freddi portati dai dubbio e dai momenti tristi arriveranno nella vostra vita.
Non abbiate paura di niente e di nessuno.
Inseguite i vostri sogni, non fatevi scoraggiare dalle difficoltà o da quello che può pensare la gente.
Troppe persone non fanno quello che vogliono e poi passano la vita a giudicare quello che fanno gli altri.
Evitare quei pessimisti acidi che vivono di “se” e “ma”.

Non fatevi condizionare.

La cosa peggiore nella vita è guardare indietro e dire:
“Avrei dovuto… Avrei potuto…”
Prendetevi dei rischi, fate degli errori.
Tutti gli esseri umani sono uguali.
Alcune persone possono indossare cappelli stravaganti o avere grandi titoli o avere (temporaneamente) un grande potere e per questo credono di essere superiori.
Non credeteci.
Hanno i vostri stessi dubbi, le stesse paure e le stesse speranze, mangiano, bevono, dormono e russano come tutti gli altri.
Fate un elenco di tutto ciò che volete fare nella vita: viaggi in luoghi lontani, imparare un mestiere o una lingua, incontrare qualcuno di speciale.

Fate alcune di queste cose ogni anno.

Non dite mai:
“Lo farò domani. Non c’è un giorno “giusto” per iniziare qualcosa, ora è il momento giusto.”
Siate altruisti andate nel mondo ad aiutare le persone, soprattutto i più deboli, i paurosi e i bambini.
Ognuno porta dentro di sé un grande dolore e ognuno ha bisogno di compassione.
Non unitevi mai all’esercito o a qualunque organizzazione che tenti di uccidervi.
La guerra è un male.
Tutte le guerre sono iniziate con vecchi uomini che costringevano i giovani ad odiarsi e ad uccidersi tra loro.
Leggete libri, il maggior numero che potete.
Sono una meravigliosa fonte di gioia, saggezza e ispirazione.

Siate sinceri con tutti ma soprattutto con voi stessi.

Viaggiate sempre ma soprattutto durante la giovinezza.
Non aspettate di avere abbastanza soldi o fino a quando tutto sarà organizzato perfettamente.
Questo non succederà mai.
Scegliete la professione che amate.
Un posto di lavoro deve essere una gioia, non lavorate solo per il denaro, la vostra anima verrà paralizzata.
Non urlate.
Non serve, mai, fa male a voi stessi e gli altri.
Ogni volta che ho urlato ho fallito.
Mantenete sempre le promesse che fate ai bambini.

Non dite “vedremo” quando si intende “no.”

I bambini vogliono la verità.
Dite loro la verità con amore e gentilezza.
Non dite a nessuno che lo amate se non è vero.
Vivete in armonia con la natura: state all’aria aperta, nei boschi, in montagna, al mare, nel deserto.
E’ importante per l’anima.
Abbracciate le persone che amate.
Dite loro quanto sono importanti per voi ora, non aspettare che sia troppo tardi.
Siate grati ogni giorno al Signore per quello che avete.”

Nonno James.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il falco nel pollaio (L’anima e il corpo)

Il falco nel pollaio (L’anima e il corpo)

Un falco era stato catturato da un contadino e viveva legato per una zampa nell’aia di un cascinale.
Non si era rassegnato a vivere come un qualunque pollo.
Aveva cominciato a dare strattoni su strattoni alla corda che lo teneva avvinto ad un robusto trave del pollaio.
Fissava il cielo azzurro e partiva con tutte le sue forze.

Inesorabile, la corda lo tirava a terra.

Provò e riprovò per settimane, finché la pelle della zampa fu tutta lacerata e le belle ali rovinate.
Alla fine si era abituato.
Dopo qualche mese trovava di suo gradimento anche il mangime dei polli.

Si accontentò di razzolare.

Così non si accorse che le piogge autunnali e la neve dell’inverno avevano fatto marcire la corda che lo legava a terra.
Sarebbe bastato un ultimo modesto strattone e il falco sarebbe tornato in libertà, padrone del cielo.
Ma non lo diede più.
Il nostro corpo fatica anche solo a salire una rampa di scale.
Ma la nostra anima ha le ali.
E il cielo è nostro.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero

Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine,

o un odore, o un suono che poi non te lo togli più.
E quella lì era la felicità.
Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.
E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell’immagine, da quel suono, da quell’odore.
Alla deriva.

Citazione di Alessandro Barrico tratta dal libro “Castelli di Rabbia.”