L’intagliatore di giada

L’intagliatore di giada

Un giovane cinese decise di diventare un provetto intagliatore di giada.
Si recò perciò dal migliore maestro di tutta la Cina e si mise a bottega da lui.
Il primo giorno, il maestro gli mise in mano un pezzo di giada e gli disse:

“Tienilo stretto in pugno!”

Per tutto il giorno il giovane rimase fermo con il pugno chiuso.
Non fece altro.
Il giorno dopo, si presentò baldanzoso dal maestro, convinto di imparare qualcosa di nuovo.
Ma il maestro gli mise in mano un pezzo di giada e gli disse:

“Stringi il pugno!”

E per tutto il giorno il giovane rimase nuovamente fermo impalato con il pugno stretto su un pezzo di giada.
Così il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Per un anno intero.
Un mattino, come era ormai abituato a fare, il giovane si presentò dal maestro con la mano aperta.
Come al solito, il maestro gli mise una pietra in mano.
Ma, appena la pietra gli sfiorò la mano, il giovane esclamò:

“Ma questa non è giada!”

Il maestro sorrise:
“Ora conosci la giada!”

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Editrice ElleDiCi.

Il buffone del re

Il buffone del re

Un re aveva al suo servizio un buffone di corte che gli riempiva le giornate di battute e scherzi.
Un giorno, il re affidò al buffone il suo scettro dicendogli:
“Tienilo tu, finché non troverai qualcuno più stupido di te:

allora potrai regalarlo a lui.”

Il buffone si mise in viaggio attraverso il regno di quel sovrano e parlò con moltissimi uomini e donne, ma non riuscì a trovare nessuno che fosse più stupido di lui.
Allora, un giorno, quando ormai era trascorso qualche anno, decise di tornare alla reggia.
Trovò il vecchio re costretto a letto da una grave malattia.

Il sovrano lo accolse dicendo:

“Parto per un lungo viaggio…”
“Quando tornerete, Vostra Maestà?” chiese il buffone.
“Non tornerò mai più… Sto per morire!” esclamò il re.
“E che cosa avete fatto, Vostra Maestà, per prepararvi per questo viaggio senza ritorno?” domandò il buffone.

“Purtroppo non ho fatto nulla…

Non mi sento pronto a morire!” spiegò malinconicamente il re.
“Allora, Maestà, eccovi di ritorno il vostro scettro: voi siete sicuramente più stupido di me!” concluse il buffone.

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il professore ed il nastro azzurro (Chi sono io è importante)

Il professore ed il nastro azzurro
(Chi sono io è importante)

Un insegnante di New York decise di onorare i suoi studenti dell’ultimo anno delle superiori spiegando perché fosse importante ciascuno di essi.
Utilizzando un procedimento elaborato da Helice Bridges di Del Mar, California, chiamò ogni studente davanti alla classe, uno per volta.
Prima disse in che modo lo studente fosse importante per lei e per la classe.
Poi consegnò a ciascuno un nastro azzurro su cui era stampata a lettere d’oro la dicitura:

“Chi sono io è importante.”

In seguito il professore decise di avviare una ricerca in classe per vedere quale impatto avrebbe avuto questo riconoscimento nella comunità.
Consegnò a ciascuno studente altri tre nastri e incaricò tutti di andare a diffondere questa cerimonia di riconoscimento.
Quindi avrebbero dovuto controllare i risultati, vedere chi avesse conferito e ricevuto il riconoscimento e riferire in classe dopo circa una settimana.
Uno dei ragazzi della classe andò da un giovane funzionario di un’azienda nei dintorni e gli diede il riconoscimento per averlo aiutato nella pianificazione degli studi.
Gli diede il nastro azzurro e glielo appuntò sulla camicia.
Poi gli consegnò altri due nastri dicendogli:
“Stiamo facendo una ricerca in classe sul riconoscimento e vorremmo che lei trovasse qualcuno da onorare, gli consegnasse un nastro azzurro e un altro in più perché questi possa onorare un terza persona per proseguire questa cerimonia di riconoscimento.
Poi dovrebbe per favore riferirmi quello che è successo.”
Più tardi, lo stesso giorno, il funzionario si presentò dal suo capo, che era noto fra l’altro per essere un tipo piuttosto brontolone.
Lo fece sedere e gli disse che lo ammirava profondamente perché era un genio creativo.
Il capo sembrò molto sorpreso.
Il funzionario gli domandò il permesso di consegnargli il dono del nastro azzurro e di appuntarglielo.

Il capo, sorpreso, rispose:

“Beh, certo.”
Il funzionario prese il nastro azzurro e lo appuntò sulla giacca del capo, giusto sopra il cuore.
Consegnandogli l’altro nastro gli chiese:
“Mi farebbe un favore?
Potrebbe prendere quest’altro nastro e usarlo per onorare qualcuno?
Il ragazzo che mi ha dato i nastri sta facendo una ricerca a scuola e mi ha chiesto di proseguire questa cerimonia di riconoscimento per scoprire come influenzi la gente.”
Quella sera il capo tornò a casa dal figlio quattordicenne e lo fece sedere.
Gli raccontò:
“Oggi mi è successa la cosa più incredibile.
Ero in ufficio e uno dei funzionari entra e mi dice che mi ammira e mi dà una nastro azzurro perché sono un genio creativo.
Immagina…
Mi considera un genio creativo.
Poi mi mette sulla giacca, sopra il cuore, questo nastro azzurro che dice “Chi sono io è importante.”
Mi dà un altro nastro e mi chiede di trovare qualcun altro da onorare.
Tornando a casa in macchina, stasera, ho cominciato a pensare chi onorare con questo nastro e ho pensato a te.

Voglio onorare te.

Le mie giornate sono davvero frenetiche e quando torno a casa non ti presto molta attenzione.
A volte ti sgrido perché non hai voti abbastanza buoni a scuola e perché la tua camera è un caos, ma in qualche modo stasera volevo proprio sedermi qui e, beh, farti sapere che per me sei davvero importante.
Assieme a tua madre, sei la persona più importante della mia vita.
Sei un ottimo ragazzo e ti voglio bene!”
Il ragazzo sbalordito cominciò a singhiozzare e non finiva più di piangere.
Tremava con tutto il corpo.
Guardò suo padre e disse fra le lacrime:
“Prevedevo di suicidarmi domani, papà, perché pensavo che non mi volessi bene.
Adesso non serve.”

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima. Volume I” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen

La statistica (Il pollo di Trilussa)

La statistica (Il pollo di Trilussa)

Sai ched’è la statistica? È ‘na cosa
che serve pe fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.

Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che lì la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:

e se nun entra nelle spese tue
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.

Brano di Trilussa

Il monaco povero ed il monaco ricco

Il monaco povero e il monaco ricco

In una città c’erano due monasteri.
Uno era molto ricco, mentre l’altro era poverissimo.
Un giorno, uno dei monaci poveri si presentò nel monastero dei ricchi per salutare un amico monaco che viveva là.

“Per un po’ non ci vedremo più, amico mio.”

disse il monaco povero, “Ho deciso di partire per un lungo pellegrinaggio e visitare i cento grandi santuari:
accompagnami con la tua preghiera perché dovrò valicare tante montagne e guadare pericolosi fiumi.”
“Che cosa porti con te, per un viaggio così lungo e rischioso?” chiese il monaco ricco.
“Solo una tazza per l’acqua e una ciotola per il riso.” disse sorridendo il monaco povero.

L’altro si meravigliò molto e lo guardò severamente:

“Tu semplifichi un po’ troppo le cose, caro mio!
Non bisogna essere così sventati e sprovveduti.
Anch’io sto per partire per il pellegrinaggio ai cento santuari, ma non partirò di certo finché non sarò sicuro di avere con me tutto quello che mi può servire!”
Un anno dopo, il monaco povero tornò a casa e si affrettò a visitare l’amico ricco per raccontargli la grande e ricca esperienza spirituale che aveva potuto fare durante il pellegrinaggio.

Il monaco ricco dimostrò solo un’ombra di disappunto quando dovette confessare:

“Purtroppo io non sono ancora riuscito a terminare i miei preparativi!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il primo fiore


Il primo fiore

In un paesino di montagna c’è un’usanza molto bella.
Ogni primavera si svolge una gara tra tutti gli abitanti.
Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera.

Chi trova il primo fiore sarà il vincitore e avrà fortuna per tutto l’anno.

A questa gara partecipano tutti, giovani e vecchi.
Quest’anno, quando la neve iniziò a sciogliersi e larghi squarci di terra umida rimanevano liberi, tutti gli abitanti di quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore.
Per ore e ore iniziarono a cercare alle pendici del monte, ma non trovarono alcun fiore.
Stavano già ritornando verso casa quando il grido di un bambino attirò l’attenzione di tutti:
“È qui! L’ho trovato!”

Tutti accorsero per vedere.

Quel bambino aveva trovato il primo fiore, sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo.
Il bambino indicava col braccio teso giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura di precipitare nel terribile burrone.
Il bambino però desiderava quel fiore anche perché voleva vincere la gara.
Cinque uomini forti portarono una corda.
Intendevano legare il bambino e calarlo fino al fiore.
Il bambino però aveva paura.
Aveva paura che la corda si rompesse e di cadere nel burrone.

“No, no!” diceva piangendo, “Ho paura!”

Gli fecero vedere una corda più forte e quindici uomini che l’avrebbero tenuto.
Tutti lo incoraggiavano.
Ad un tratto il bambino cessò di piangere.
Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino.
“Va bene!” disse il bambino, “Andrò giù se mio padre terrà la corda!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’albero e la siepe

L’albero e la siepe

Non era tanto bello.
Aveva un tronco rugoso, dei rami un po’ rachitici che producevano delle mele aspre che nessuno voleva.
Ma la cosa peggiore era il carattere.
Albero non faceva che lamentarsi.
La cosa dava fastidio soprattutto a Siepe, che era cresciuta proprio accanto ad Albero.
Era primavera e Albero continuava a mugugnare:
“Vedrai che stasera pioverà e magari anche domani.
E poi soffierà il vento e mi spezzerà qualche ramo!”
“Ma è così soave il vento di primavera!” diceva Siepe.
Albero non ascoltava neanche:
“Quegli orribili uccelli, poi!
Mi faranno il nido addosso e mi mangeranno i germogli!”

Albero continuava a lamentarsi per ore:

il campo si sarebbe riempito di fango, le mucche e i conigli gli avrebbero rovinato la corteccia, l’erba alta gli avrebbe fatto il solletico e così via.
Per Siepe era un vero supplizio.
Decise perciò che doveva far qualcosa per impedire il continuo mugugno di quel brontolone d’Albero.
Dovete sapere che il miglior amico di Siepe era il vecchio Corvo, che si appollaiava spesso tra i suoi rami dopo pranzo e dopo cena per far quattro chiacchiere.
Siepe spiegò a Corvo il problema:
“Come faccio a far smettere Albero di lamentarsi?”
Corvo si mise a pensare, poi disse:
“Albero non ha una vera ragione di vita, ecco perché si lamenta sempre!”
“Ma dove si trova questa ragione?” chiese Siepe.
“Di solito, proprio sotto il naso!” replicò Corvo.
La primavera lasciò il posto all’estate e Siepe si riempì di verde.
Come sempre, Caprifoglio le si attorcigliò alle foglie, adornandola con i suoi fiori profumati.

Le api ronzavano nella calda aria estiva.

“Albero,” chiese Siepe un bel giorno, “qual è la cosa più brutta della tua vita?”
Albero ci pensò un po’ e poi sussurrò con voce triste:
“La cosa peggiore è che non piaccio a nessuno.
Perché sono brutto.
La mia fioritura dura solo pochi giorni, le mie foglie non sono belle e le mie mele selvatiche hanno un sapore orribile!”
“Ma a questo si può rimediare facilmente!” esclamò Siepe.
“Potrei chiedere a Caprifoglio di crescere lungo il tuo tronco e sui tuoi rami, e così saresti ricoperto di fiori profumati e di foglie verdi per la maggior par te dell’anno.
L’unica difficoltà è che…
Caprifoglio non vuole: dice che ti lamenti troppo!”
Albero rimase in silenzio.
Poi disse:
“Se io prometto di lamentarmi di meno, potresti convincerlo a crescere sopra di me?”

“Se non ti lamentassi per un anno intero forse accetterebbe!” rispose Siepe.

Così, per un anno intero, Albero non si lamentò neppure una volta.
Nemmeno quando arrivò la siccità, né quando arrivò una nevicata mai vista e neppure quando le lepri rosicchiavano le radici.
E un bel giorno della primavera seguente, Caprifoglio mise fuori un timido germoglio.
Si attorcigliò al tronco di Albero e si intrecciò ai suoi rami.
Quando il vento di giugno fece volar via i boccioli di Albero, Caprifoglio dischiuse i suoi fiori profumati gialli e rosa, e Albero divenne il più bello tra tutti gli alberi del campo.
Da quel giorno non si lamentò più.
Nemmeno una volta.
Mai più.
Un pomeriggio d’inverno, Corvo andò da Siepe.
“Non ho più sentito Albero lamentarsi.
Deve aver trovato una ragione di vita.
Qual è?”
“Chiedilo a lui!” rispose Siepe.
Corvo volò da Albero e gli chiese che ragione di vita avesse trovato.
“Non posso parlare ora, Corvo, devo proteggere Caprifoglio dal vento!”
“Ma è tutto marrone e avvizzito ora che è inverno!”

“Ora è così!” rispose Albero.

“Ma si appoggia a me perché io lo protegga fino a primavera.
E allora sboccerà di nuovo più folto e più bello dell’anno passato!”
Il vecchio Corvo e Siepe furono molto contenti nel sentirlo parlare così.
Albero aveva trovato la sua ragione di vita.
E non si sarebbe lamentato mai più.
Albero rappresenta quel tipo di persona che si incontra spesso:
colui che non trova mai nulla di buono, che trova difetti in tutto e in tutti, che non ha mai detto nulla nella sua vita!
“Questo è bello! Magnifico! Bravo!”
Sono molte le persone che, “brontolando” sempre, rendono la vita infelice agli altri e soprattutto a se stessi.
“Trovare una vera ragione di vita,” dice il racconto “è trovare la felicità!”
Uno scopo, un ideale, una missione, una mèta: non bisogna mai dimenticare che questo è un elemento insostituibile della felicità.
Solo l’uomo che ha un senso e una direzione si sente realizzato.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La ricerca di Dio

La ricerca di Dio

Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri.
Prima di lasciarsi fecero una promessa:
avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi:
partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile.
Attraversò mari e deserti, salì sulle montagne e visitò città fino a quando non l’ebbe trovata:

era la più splendida gemma che avesse mai brillato sotto il sole.

Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente.
“Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due persone che si amano!” disse al primo amico. Si misero ad aspettare il terzo.
Molti anni passarono prima che quest’ultimo arrivasse.
Era infatti partito alla ricerca di Dio.
Aveva consultato i più famosi maestri di spiritualità esistenti sulla terra, ma non aveva trovato Dio.
Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio.

Aveva rinunciato a tutto, ma non era riuscito a trovare Dio.

Un giorno, stremato per il tanto girovagare, si abbandonò nell’erba sulla riva di un lago.
Incuriosito seguì le affannate manovre di un’anatra che in mezzo ai canneti cercava i suoi piccoli, che si erano allontanati da lei.
I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l’anatra cercò, nuotando senza sosta tra le canne.
Proseguì instancabile riconducendo sotto la sua ala fino all’ultimo dei suoi nati.
Allora l’uomo sorrise e decise di ritornare al paese.
Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l’altro la ragazza che era diventata sua moglie.
Poi, pieni di attesa, gli chiesero:
“E tu, che cosa hai trovato di tanto prezioso?

Deve essere qualcosa di magnifico se hai impiegato tanti anni.

Lo vediamo dal tuo sorriso…”
“Ho cercato Dio.” rispose il giovane.
“E lo hai trovato?
È per questo che hai impiegato così tanto tempo?” chiesero i due, sbalorditi.
“Sì, l’ho trovato.
E se ho impiegato tanto tempo era perché commettevo l’errore di andare a cercare Dio, mentre in realtà, era Lui che stava cercando me.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La grande fiera del giocattolo

La grande fiera del giocattolo

In una città con tantissimi bambini era finalmente arrivato l’avvenimento dell’anno:
la grande fiera del giocattolo.
Natale era infatti alle porte e ogni anno, in questo periodo, la città organizzava la fiera.
Era una fiera molto conosciuta:
i venditori venivano da tutte le parti del mondo per far conoscere la loro merce.
Là vi erano tutti i regali possibili che i genitori potevano fare ai loro bambini per renderli felici.
Per l’occasione, un ricco direttore di banca decise di prendere il pomeriggio della vigilia di Natale libero:
voleva anche lui visitare la fiera quest’anno!

Mentre si avviava, pensava tra sé:

“Questo Natale voglio regalare al mio bambino una cosa molto bella ed interessante.
Me lo posso permettere, ho lavorato sodo tutto l’anno e sono disposto a spendere molto, anzi, tantissimo!”
Quello stesso pomeriggio anche un giardiniere si recava alla fiera e camminando pensava:
“È stato un anno un po’ duro con il mio piccolo stipendio, però sono riuscito ugualmente a risparmiare un pochino, spero di poter comprare qualcosa di carino alla mia bambina!”
Intanto, le loro mogli erano rimaste a casa con i bambini e preparavano il pranzo di Natale.
Il bambino del direttore era nella sua cameretta.
Nonostante la stanza fosse molto bella e vi fosse un armadio colmo di pupazzi e giocattoli, egli era un po’ triste.
Pensava infatti al suo papà.

Lo vedeva così poco.

La sera tornava dal lavoro proprio quando lui doveva andare a letto.
Oppure era occupato, perché si portava anche del lavoro a casa.
Cercava di consolarsi pensando che domani sarebbe stato Natale e che avrebbe ricevuto altri bei regali.
Ma la cosa che più lo rasserenò era che finalmente il papà domani poteva essere a casa con lui tutto il giorno.
La bambina del giardiniere invece aiutava serenamente la mamma a preparare il pranzo di Natale.
Non aveva molti giocattoli, ma, grazie alla vivacità e alla fantasia dei suoi genitori, non si sentiva mai sola.
“Domani è Natale, chissà che bei giochi faremo tutti insieme!” pensava felice.
Giunto alla fiera, il banchiere cominciò subito a guardare con occhio critico ogni giocattolo esposto.

C’era tutto ciò che un bambino potesse desiderare:

dai trenini elettrici alle biciclette, dai pupazzi di peluche ai libri, ecc.
Voleva comperare qualcosa di veramente grande per suo figlio, ma soprattutto qualcosa che lo tenesse occupato e al tempo stesso lo divertisse.
Era sempre così impegnato e concentrato nel suo lavoro che non gli dedicava molto tempo per giocare insieme.
Il giardiniere, arrivato anche lui alla fiera, si guardava in giro con calma.
Era solo un po’ preoccupato perché sperava di trovare qualcosa che potesse piacere alla sua bambina e che non fosse troppo caro.
Anche se sapeva che non avrebbe potuto comprare molto, non si lasciò sfuggire niente.
Voleva raccontare e descrivere alla sua bambina ogni cosa vista.
Verso sera il direttore ed il giardiniere si incontrarono per caso davanti ad una stanza dove all’ingresso c’era un grande cartellone con la scritta:
“Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio.”
Videro entrare molta gente incuriosita, ma quasi tutti uscivano delusi e scontenti.

Incuriositi, a loro volta decisero di entrare.

Era una grande stanza con le pareti bianchissime, molto illuminata, era quasi vuota e non c’erano giocattoli.
In fondo alla stanza c’era soltanto un grande specchio antico appeso al muro e davanti ad esso, seduto ad una scrivania, un vecchio signore con una lunga barba bianca.
Egli scriveva ed ogni tanto guardava la gente che entrava e usciva.
Il direttore, perplesso e deluso, stava per uscire subito, ma quando vide il giardiniere avvicinarsi al vecchio chiedendogli gentilmente chi fosse, si avvicinò lentamente anche lui.
Sentì il vecchio rispondere:
“Sono molto anziano, per tutta la vita ho costruito giocattoli per i bambini del mondo.
Ma quest’anno ho portato qualcosa di particolare e prezioso, questo bellissimo specchio antico alle mie spalle.”
Il direttore ed il giardiniere si guardarono in faccia stupiti, poi riguardarono lo specchio.
Disorientato e quasi irritato il direttore si girò per andarsene, ma ancora una volta si fermò, perché vide il giardiniere stringere la mano al vecchio e con il volto felice esclamare:

“Ho capito!

Ora so cosa regalare alla mia bambina.
Non sono più preoccupato, arrivederci e grazie mille!”
Il giardiniere uscì poi felice dalla stanza.
Il banchiere, rimasto solo, guardò di nuovo lo specchio e pensò che cosa potesse fare un bambino con uno specchio così antico e fragile.
Non osando chiederlo al vecchio, che incuteva molto rispetto, uscì in fretta per cercare di raggiungere il giardiniere.
Non appena lo trovò gli chiese subito che cosa mai avesse capito.
“Mi dispiace, non posso dirtelo!” rispose il giardiniere “Devi arrivarci da solo.
Vedrai che un giorno capirai il perché questo possa essere il regalo più bello per tuo figlio!”
Il giorno di Natale, la figlia del giardiniere aprì il regalo e tutta felice ammirò con gioia le bellissime penne colorate ed i grandi fogli bianchi da disegno che suo padre le aveva comperato alla grande fiera del giocattolo.

Si alzò e lo abbracciò:

“Grazie papà, così potremo disegnare insieme tutte le belle cose che hai visto alla fiera.”
“Non solo, bambina mia.” disse il padre “Potremo disegnare altre cose molto più belle, per esempio la neve!
Guarda fuori dalla finestra, sta ancora nevicando!
Sai, questa notte, dopo molti anni, ha nevicato tantissimo.
E siccome tu non hai ancora visto la neve, più tardi andremo con la mamma a fare una passeggiata tutti insieme e così potrai toccarla e giocare.
Potremo lanciarci palle e fare un pupazzo… vedrai che bello!”
Anche il figlio del banchiere era contento quel mattino.
Stava aprendo un grandissimo pacco ricevuto in regalo.
Con sorpresa non finiva più di tirare fuori dal pacco tanti piccoli vagoni di un treno; c’erano anche le rotaie e molte casette che figuravano da stazioni e case di campagna, verde per i prati, per i monti, alberi e siepi, e persino un fiumicello con i suoi ponti.

Era molto felice:

sicuramente il papà lo avrebbe aiutato a costruirlo!
Oggi finalmente era tutto il giorno a casa con lui e la mamma.
Ma, mentre si avvicinava per abbracciarlo e ringraziarlo, suonò il telefono.
Il padre si alzò dalla poltrona e andò a rispondere.
Il suo viso si fece serio.
Riattaccò e guardando un po’ triste la moglie ed il figlio riferì:
“Anche oggi il lavoro mi chiama!
Mi dispiace molto, ma domani devo essere a New York per una conferenza importante.
Devo partire subito!”
La moglie non disse nulla.
Era abituata.
Il bambino invece ci restò male.
Il suo viso si fece triste e gli spuntarono due lacrime.
Il papà lo notò e cercò di consolarlo:
“Non piangere!

Lo sai che ti voglio molto bene.

Poi, per il trenino, non occorre proprio che ci sia anch’io!
Potrai costruirlo con la mamma!”
Il bambino si girò e stava per scappare piangendo nella sua stanza, ma inciampò in un pacchetto tutto bianco avvolto con un nastro rosso.
Si chinò e seduto sul tappeto cominciò ad aprire il pacco.
Era triste e cercò di consolarsi con questo nuovo regalo.
I genitori si guardarono perplessi.
Quindi il padre chiese:
“Non credevo ci fossero altri regali, sei stata tu?”
“No!” rispose la mamma “Sono rimasta tutto il giorno a casa a preparare il pranzo.
Non so chi possa averlo messo sotto l’albero di Natale.”
Il padre si avvicinò preoccupato al bambino e al regalo.
Voleva sapere da dove provenisse e soprattutto assicurarsi che non contenesse qualcosa di pericoloso.
Il bambino intanto aveva aperto delicatamente il pacco e con sorpresa tirò fuori una palla rossa con tanti puntini bianchi, come tanti fiocchi di neve.
Il padre guardò il figlio ed il regalo e poi prese la scatola per vedere se c’era qualche bigliettino con il nome di chi lo aveva regalato.
Con stupore lo trovò:

“Babbo Natale.”

Chiuse gli occhi pensieroso e subito si ricordò del vecchio con la lunga barba bianca che incuteva tanto rispetto.
Poi si ricordò anche dello specchio e delle parole che erano scritte all’ingresso della stanza:
“Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio.”
E finalmente capì anche lui e si commosse.
Nello specchio aveva visto la sua immagine e si rese conto che lui stesso era il regalo più bello per suo figlio!
Questo il giardiniere l’aveva capito subito!
Abbracciò il bambino e piangendo di felicità esclamò:
“Oggi non parto.
Rimaniamo insieme!
Oggi sei tu più importante del mio lavoro.
Dai che usciamo in giardino, giocheremo con la palla nuova e la mamma farà il tifo per noi.”
Mentre tutta la famiglia usciva felice per giocare insieme, cominciò a nevicare anche là dove abitava il bambino che, da quel giorno, non si sentì più solo e triste.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La ragazza che regalava il tempo



La ragazza che regalava il tempo

“Chi ha bisogno di un’ora?”
Gliela regalo.
Lo diceva camminando per la strada, come un ambulante che offra mazzetti di fiori e accendini.
Naturalmente nessuno le badava, pensavano che scherzasse o fosse un po’ matta.
Solo una donna le si avvicinò:
stava andando all’ospedale dal vecchio padre moribondo e per questo le prestò ascolto.
“Davvero puoi darmela?” chiese.

“Certo,” disse la ragazza “e gliela diede.”

La donna corse a portarla al padre, che poté così vivere un’ora in più.
Quando la cosa si seppe, la voce che una ragazza regalava il tempo si sparse in un baleno.
La casetta dove abitava fu assediata, la gente non bussava solo alla porta, ma anche ai vetri delle finestre.
“A me! A me!” gridavano.
“Regalami un mese, te lo pago a peso d’oro!”
“Dammi una settimana! Un giorno solo!”

Lei accontentava tutti, e senza farsi pagare.

Una madre le chiese un mese per la sua bambina gravemente ammalata e lo ebbe.
Un’altra, sofferente di cuore, aveva un unico figlio emigrato in Australia.
“Posso morire da un momento all’altro,” disse “e lui ha bisogno di tempo per mettere da parte i soldi per venire a trovarmi.
Posso non rivederlo più, capisci?”
La ragazza le regalò un anno.
Regalava ore, mesi, anni, ed erano pezzetti della sua vita che dava via.
Quando le chiedevano:
“Perché lo fai?” lei non sapeva rispondere.

Qualcuno diceva addirittura:

“Non lo farà perché non ama vivere?”
Invece chi è generoso non sa spiegare perché lo è, o forse lei si vergognava di dire che, essendo
molto povera, non aveva nient’altro da regalare.
Si penserà che a furia di dar via pezzetti della sua vita morì giovane.
Invece no, chi regala il suo tempo agli altri, non lo perde, lo guadagna:
gliene ricresce tanto.

Brano tratto dal libro “Storie del Tic-Tac.” di Marcello Argilli