nemmeno la notte più buia.
Perché, oltre la nera cortina della notte, c’è un’alba che ci aspetta.
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I pantaloni troppo lunghi
I pantaloni troppo lunghi
Trascorsi diversi anni dalla fine della guerra, Bortolo era rientrato al paese.
Si era sposato, aveva avuto dei bambini e molto presto una sua figlia si sarebbe dovuta sposare.
Aveva, però, necessità di un paio di pantaloni, per poter fare bella figura e, per questa ragione, iniziò a girovagare per il mercato.
Dopo qualche minuto, ne trovò un paio di bella e robusta stoffa ad un prezzo ragionevole.
I pantaloni, però, dovevano essere accorciati di quattro dita, perché troppo lunghi per lui.
Avendo in casa moglie e figlia minore brave e provette sarte, sapeva che per loro non sarebbe stato un problema accorciarli.
Mostrò con soddisfazione i pantaloni alla moglie e le chiese se li potesse accorciare, ma questa elencò una serie di lavori di casa che avevano la precedenza.
Rientrò la figlia minore e, anche a lei, chiese lo stesso favore.
Questa si scusò, giustificandosi per delle incombenze da svolgere per i preparativi delle nozze della sorella.
Dopo la seconda risposta negativa, Bortolo non sapeva se arrabbiarsi o portar pazienza.
Alla fine andò fuori casa a sbrigare delle faccende agricole.
La moglie, vedendo i pantaloni piegati, si rammaricò di aver negato al marito la giusta richiesta e in un baleno li accorciò riponendoli sopra la panca.
Entrò pure la figlia minore e scorgendoli, si dispiacque del diniego fatto all’amato padre.
Di conseguenza li accorciò pure lei, provando grande soddisfazione nell’aver esaudito la richiesta del padre.
Subito dopo Bortolo tornò dai campi e vedendo i pantaloni sopra una sedia pensò che qualcuna delle sue donne li avesse sistemati.
Grande fu la sorpresa e il rammarico dopo averli provati.
I suoi pantaloni non erano più adatti ad una cerimonia nunziale, poiché erano stati accorciati a dismisura, ma buoni, però, per camminare sul bagno asciuga della spiaggia.
Bortolo imparò a sue spese che a chiedere i favori a staffetta, non si sa mai cosa ti aspetta.
Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno
Aspetta un attimo, tesoro! (Samuele e la mamma)
Aspetta un attimo, tesoro! (Samuele e la mamma)
Ultimamente la fretta ha preso il sopravvento e la mia frase più frequente è:
“Aspetta un attimo, tesoro!”
Lo dico a mio figlio mentre accudisco la sua sorellina; lo dico a mia figlia mentre aiuta suo fratello e lo dico persino al mio paziente marito.
Mi ritrovo a pronunciare questa frase in una serie infinita di circostanze.
Alcune settimane fa, mio figlio mi ha chiesto di preparargli la merenda e io, naturalmente, gli ho risposto:
“Aspetta un attimo, tesoro!”
Mi sono affrettata a finire quello che stavo facendo e poi sono corsa a preparargli la merenda.
Lui si è seduto al tavolo e ha cominciato a mangiare di gusto mentre io già pensavo di tornare a occuparmi delle mie faccende, ma poi ho deciso di prendermi una pausa e di sedermi insieme a lui.
“Grazie per avere aspettato che finissi di riporre i piatti, prima di prepararti la merenda.
Sei stato davvero molto paziente!”
Lui annuì e continuò a riempirsi la bocca di Nutella.
“Sai una cosa, Samuele, ultimamente sono davvero molto indaffarata.
Ti devo chiedere sempre di aspettare un minuto prima di soddisfare le tue richieste.
Capisci, vero, perché qualche volta devi aspettare?”
Lui mi guardò con un’espressione buffa sul viso:
“Sì!” mi dici, “Un secondo, Samuele!” così mi puoi ascoltare con tutti e due le orecchie.
Se ti parlo mentre stai facendo qualcos’altro, mi puoi sentire soltanto con un orecchio.
Ma se aspetto con pazienza poi tu mi puoi sentire meglio!” mi disse annuendo solennemente.
Rimasi di stucco.
Il mio bambino, che non aveva ancora compiuto i cinque anni, aveva già trovato una spiegazione più che plausibile alla situazione.
Capii che quando gli dicevo:
“Aspetta un secondo!” lui interpretava quella frase come una dimostrazione d’affetto.
Era come se io gli dicessi:
“Aspetta un secondo, così ti potrò rivolgere tutta la mia attenzione!” o “Quello che stai dicendo è molto importante per me, voglio sentirlo con entrambe le orecchie!”
“Samuele, hai assolutamente ragione!” gli risposi, “Ti voglio tanto bene e mi piace tanto trascorrere il mio tempo con te.
Voglio sentire quello che mi dici con entrambe le orecchie perché tu sei molto importante nella mia vita!” aggiunsi abbracciandolo forte.
Quella sera, mentre rimboccavo le coperte a Samuele, lui mi prese la faccia fra le mani e cominciò a soffiarmi prima dentro un orecchio poi dentro l’altro.
Non capii che cosa stesse facendo e gli chiesi spiegazione del suo comportamento.
“Voglio essere sicuro che le tue orecchie siano pulite, mamma!”
Mi tirò a sé e mi sussurrò:
“Volevo essere certo che mi sentissi con tutti e due le orecchie mentre ti dicevo che ti voglio bene più del mondo intero!”
Sentii le lacrime salirmi agli occhi mentre gli rispondevo:
“Oh, tesoro, ti voglio tanto bene, anch’io più del mondo intero!”
“Ed io ancora un briciolo di più!” confermò lui con la sua adorabile vocina.
Brano senza Autore
Il passero ed il girasole
Il passero ed il girasole
In una discarica abusiva, in un angolo abbandonato di una zona industriale di una città, era nato un girasole, che aveva fatto amicizia con un passero!
Il fiore era triste:
sognava un prato verde e farfalle svolazzanti.
“A che servo io qui?” si chiedeva.
Ma l’uccellino guardava il girasole, raggiante, a becco aperto:
“Come sei bello!
Sei meraviglioso!” trillava.
“Ci sono molte cose più belle!” rispondeva il saggio girasole, “Guardati intorno!”
Il buon passero si guardava diligentemente intorno, ma finiva sempre per voltarsi verso il girasole e pigolare con aria ammirata:
“Il più bello di tutti sei tu!”
Così, ogni giorno, il girasole prendeva coraggio e cresceva, tanto da troneggiare, ormai, sul mucchio di rifiuti.
La sua corona d’oro splendeva sempre di più!
Ma un giorno, al sorgere del sole, il fiore attese invano il suo piccolo amico.
Solo nel tardo pomeriggio sentì un pietoso pigolio ai suoi piedi!
Si piegò e vide il passero che si trascinava con un’ala ferita.
“Piccolo amico mio, che cosa ti è successo?” gli chiese.
“Un gabbiano mi ha colpito e da alcuni giorni non riesco a trovare niente da mangiare.
È la fine per me!” bisbigliò l’uccellino.
“No no!” urlò il girasole, “Aspetta un attimo!”
Il bel fiore scosse con vigore la sua grande corolla e una pioggia di semi scese sul passero.
“Mangiali, amico mio!
Ti daranno nuova forza!” disse il girasole.
Giorni dopo, il passero aveva ripreso vigore e, riconoscente, si voltò a guardare il girasole.
Ma fu ferito da una dolorosa sorpresa:
lo splendido fiore aveva perso i colori, le foglie penzolavano grigiastre e i petali erano terrei!
“Che cosa ti è successo bellissimo fiore?” pigolò.
“Il mio tempo è finito!” rispose il girasole.
“Ma me ne vado felice!
Per tanto tempo mi son chiesto quale crudele destino mi avesse fatto nascere in una discarica.
Ora ho capito:
sono stato un dono per te e ti ho ridato la vita!
Come tu sei stato un dono per me perché mi hai sempre incoraggiato.
Mangia tutti i semi che vuoi ma lasciane qualcuno!
Un giorno germoglieranno e, chissà, forse qui sorgerà una splendida aiuola!”
Brano senza Autore
Aspetta, papà… aspetta
Aspetta, papà… aspetta
(L’appuntamento padre-figlia)
Un papà aveva imparato che molti conflitti con i figli si risolvevano in pizzeria.
Per qualche anno aveva portato fuori ogni tanto la figlia più grande, per una specie di appuntamento padre-figlia.
Decise di fare lo stesso anche con la più piccola.
Per il primo appuntamento la portò a cena in una pizzeria vicino a casa.
Gli avevano appena servito la pizza quando decise che
era il momento giusto per dire alla bambina quanto lui le volesse bene e quanto la apprezzasse.
“Giulia,” disse, “voglio che tu sappia che ti voglio bene e che, per me e la mamma, tu sei davvero speciale.
Preghiamo sempre per te, e ora che stai crescendo e diventi ogni giorno che passa un ragazzina in gamba, non potremmo essere più orgogliosi.”
Non appena ebbe terminato di pronunciare quelle parole, rimase in silenzio e fece per prendere la forchetta così da iniziare a mangiare, ma non riuscì a portare la forchetta alla bocca.
La bambina allungò la mano appoggiandola su quella del padre.
Gli occhi di lui incontrarono i suoi e, con una vocina dolce, la bambina disse:
“Aspetta, papà… aspetta.”
Il papà appoggiò la forchetta e spiegò di nuovo alla figlia perché lui e la mamma la amavano e la stimavano.
Poi, di nuovo, afferrò la forchetta.
Ma per la seconda volta, e poi per la terza, e la quarta, fu fermato sempre dalle stesse parole: “Aspetta, papà… aspetta.”
Quella sera il padre non riuscì a mangiare molto e, non appena rientrarono,
la bambina corse dalla mamma e le disse:
“Sono una figlia davvero speciale, mamma.
Me l’ha detto papà.
Mi ha fatto tanto bene sentirmelo dire che gliel’ho fatto ripetere tante volte.”
Brano senza Autore
Un fiore e la farfalla
Un fiore ed la farfalla
Una volta, un uomo chiese a Dio:
un fiore ed una farfalla.
Ma Dio gli diede un cactus e una larva.
L’uomo era triste poiché non capiva cosa aveva sbagliato nella richiesta.
Allora pensò:
con tanta gente che aspetta….
E decise di non domandare niente.
Passato qualche tempo, l’uomo verificò la richiesta che era stata dimenticata.
Con sua sorpresa, dallo spinoso e brutto cactus,
era nato il più bel fiore.
E la orribile larva si era trasformata in una bellissima farfalla.
Brano senza Autore, tratto dal Web
Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare!
Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare!
C’era una volta un uomo seduto ai bordi di un’oasi all’entrata di una città del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò:
“Non sono mai venuto da queste parti.
Come sono gli abitanti di questa città?”
Il vecchio gli rispose con una domanda:
“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”
“Egoisti e cattivi.
Per questo sono stato contento di partire di là.” disse il giovane.
“Così sono gli abitanti di questa città!” gli rispose il vecchio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all’uomo e gli pose la stessa domanda:
“Sono appena arrivato in questo paese.
Come sono gli abitanti di questa città?”
L’uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:
“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”
“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti.
Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!” disse il ragazzo.
“Anche gli abitanti di questa città sono così!” rispose il vecchio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all’abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:
“Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?”
“Figlio mio,” rispose il vecchio “ciascuno porta il suo universo nel cuore.
Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui.
Al contrario, colui che aveva degli amici nell’altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli.
Perché, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro.”