Maria e la “croce” sul pane

Maria e la “croce” sul pane

Un giorno Maria si alzò di buon mattino e, senza calzare i sandali per non svegliare Gesù e Giuseppe che ancora dormivano, a piedi nudi e di buona lena, si diede a sfaccendare per casa.
Riattizzò dalla cenere il fuoco, spalancò la finestra, andò ad attingere acqua al pozzo, poi pensò al pane per il giorno che cominciava.
Guardò nella dispensa e non trovò che un mucchietto di farina non più grande di un pugno.
Per tre era poco, ma doveva bastare.
Quella di fare il pane era per Maria una lieta fatica.
Lo impastava con amore fino a renderlo una morbida pasta, ne faceva delle pagnottelle odorose e paffute, le portava al forno a farle dorare.
La fragranza del pane quotidiano era per lei una dolce preghiera di ringraziamento che saliva al cielo, anche quando, come in quel giorno, il pensiero di quell’unica pagnottella che doveva bastare per tutti le pesava sul cuore.
Posata la forma su un’assicella coperta di lino, prese una fascina sotto il braccio e andò al forno.

Là incontrò altre donne col pane da cuocere.

L’infornata sarebbe stata una sola.
Vedendo il poco che portava, una di loro le chiese con aria sprezzante:
“Non siete più tre in famiglia, Maria?”
“Fornaio,” disse un’altra, “attento a quando caverete il pane dal forno!
Fate in modo che qualcuno non allunghi le mani più del dovuto per fare crescere il poco che ha portato!”
Maria guardava fuori della bottega verso la sua casa lontana, sperando di vedere arrivare Gesù.
Vedendola così distratta, la donna che aveva la forma più grande prese un coltello e con due colpi fece una croce sul pane di Maria.
“Così,” disse alle altre, “quando sarà cotto si potrà riconoscere il nostro bello grosso e non confonderlo con quella pagnottella da niente!”
E accennava alla piccola forma di pasta portata da Maria.

Il fornaio mise a cuocere le forme.

“Il mio mettetelo nel cantuccio più caldo perché si rosoli bene!” raccomandò una.
Le donne, aspettando, chiacchieravano, e il fornaio dava a tratti un’occhiata al forno per voltare il pane che cuoceva.
“Ce n’è una che non smette di crescere!” disse manovrando la pala di legno.
E la donna che aveva fatto la croce sul pane di Maria pensava che quella forma fosse di sicuro la sua.
Il fornaio tornò a voltare il pane e, sempre più stupito, sbottò:
“C’è un pane che fiorisce come una rosa.
Pare che si alzi in punta di piedi!”
E la donna superba pensò fra sé:
“Eppure ho sempre adoperato lo stesso mucchio di farina degli altri giorni.”

Quando il fornaio tolse le pagnotte, ecco cosa vide:

quello segnato dalla croce sembrava moltiplicato in grandezza.
Da misera pasta era diventato il più grosso, il più dorato, il più odoroso.
Il segno tracciato dalla donna prepotente lo aveva fatto fiorire e crescere come per incanto.
C’erano lì molte donne e la notizia del prodigio, com’è naturale, si diffuse in fretta.
Da quel giorno tutti cominciarono a portare il loro pane segnato da una croce e, ancora oggi, nelle campagne, non si cuoce pane che non porti quel segno di croce come una piccola benedizione di Dio.

Leggenda medievale
Brano senza Autore

La fontana condivisa

La fontana condivisa

In un villaggio islamico del Libano un piccolo gruppo di persone divenne cristiano.
Immediatamente si chiusero per loro tutte le porte della comunità.
Gli uomini non potevano più stare con gli altri uomini in piazza a fumare e chiacchierare, le donne non potevano più attingere acqua alla fontana del villaggio.

I nuovi cristiani furono costretti a scavarsi una fontana per conto loro.

Un giorno la fontana del villaggio si inaridì e seccò.
Allora i cristiani invitarono i loro compaesani ad andare ad attingere acqua alla loro fontana.
Fecero di più:

sulle loro case appesero un piccolo cartello che diceva:

“Qui abitano dei cristiani!”
Ciascuno sapeva così che in quella casa avrebbe trovato un aiuto e una mano tesa.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Un giovane e un anziano

Un giovane e un anziano

Un giorno, un giovane volle consultare un anziano su un problema che gli stava a cuore…
“Mio signore,” gli disse, “voglio confessarti una cosa:
non riesco ad avere un amico.
Mi sapresti dare un consiglio?”

L’anziano sorrise e rispose:

“Posso solo dirti di me.
Quand’ero ragazzo fra cento ragazzi, ne ebbi uno, di amico.
Fu una cosa bellissima che diede i suoi frutti e poi terminò.
Quando divenni adulto fra mille adulti, ne ebbi un altro, di amico.
Fu una cosa bellissima, ma l’amico morì ed anch’io mi sentii morire.
Ora che sono diventato anziano fra diecimila anziani, adulti e giovani, ho rinunciato ad avere un amico e ho preferito esserlo io, un amico, ogni giorno e ogni ora, di qualcuno che non so chi sia e non so dove sia.”
“Non dev’essere facile…” mormorò il giovane.
“Forse non lo è, perché cercare di essere amico significa, prima di tutto, rinunciare ad averne uno.
Ma forse lo è, perché proprio rinunciando ad averne uno se ne possono avere tanti!” spiego il maestro.
“Non si saprà mai chi saranno?” domandò il giovane.

“Mai.

Tenere il cuore spalancato perché tutti vi possano entrare, dare sempre fiducia perché tutti ne possano attingere, rispettare ognuno perché ognuno si senta se stesso ti rende, insieme, amato ed odiato, incomprensibile ed imprendibile.
Chi cerca di essere amico, è un po’ come il mare, fatto di tenera acqua, ma acqua salata.
Chi ha come amico il mare, me lo sai dire?” domandò il maestro.
“Il cielo!” rispose il giovane.

“Infatti.

Chi cerca di essere amico può solo sperare che il cielo gli sorrida; e che i gabbiani non smettano di posarglisi sopra!” concluse il maestro.
A questo punto il giovane tacque a lungo, avvolto in profondi pensieri.
Poi guardò l’anziano con uno strano sorriso e gli chiese:
“Mi permetti di essere un tuo gabbiano?”
L’anziano gli rispose:
“Benvenuto!”

Brano senza Autore

Il frutto riflesso nell’acqua

Il frutto riflesso nell’acqua

Una donna si recò alla fontana:
un piccolo specchio tremolante, limpidissimo, tra gli alberi del bosco.
Mentre immergeva l’anfora per attingere, scorse nell’acqua un grosso frutto roseo, così bello che sembrava dire:

“Prendimi!”

Allungò il braccio per coglierlo, ma quello sparì, e ricomparve soltanto quando la donna ritirò la mano dall’acqua.
Così, per due o tre volte.
Allora la donna si mise ad estrarre l’acqua, per prosciugare la fontana.

Lavorò a lungo,

sempre tenendo d’occhio il frutto misterioso; dopo aver estratto tutta l’acqua, s’accorse che il frutto non c’era più!
Delusa per quell’incantesimo, stava per andarsene via, quando udì una voce tra gli alberi; era l’“Uccellino Belvedere”, quello che vede sempre tutto:

“Perché cerchi in basso?

Il frutto sta lassù!”
La donna alzò gli occhi e, appeso ad un ramo sopra la fontana, scorse il bellissimo frutto, di cui nell’acqua aveva visto soltanto il riflesso!

Favola africana.
Brano senza Autore

L’Invito

L’Invito

Il signore di un castello diede una gran festa, a cui invitò tutti gli abitanti del villaggio aggrappato alle mura del maniero.
Ma le cantine del nobiluomo, pur essendo generose, non avrebbero potuto soddisfare la prevedibile e robusta sete di una schiera così folta di invitati.

Il signore chiese allora un favore agli abitanti del villaggio:

“Metteremo al centro del cortile dove si terrà il banchetto un capiente barile.
Ciascuno porti il vino che può e lo versi nel barile.

Tutti poi vi potranno attingere e ci sarà da bere per tutti.”

Un uomo del villaggio prima di partire per il castello si procurò un orcio e lo riempì d’acqua, pensando:
“Un po’ d’acqua nel barile passerà inosservata… nessuno se ne accorgerà!”
Arrivato alla festa, versò il contenuto del suo orcio nel barile comune e poi sedette a tavola.

Quando i primi andarono ad attingere, dallo spinotto del barile uscì solo acqua.

Tutti avevano pensato allo stesso modo.
E avevano portato solo acqua.

Brano senza Autore, tratto dal Web