Il disegno


Il disegno

Un bambino stava disegnando e l’insegnante gli disse:
“E’ un disegno interessante, cosa rappresenta?”
“E’ un ritratto di Dio!”
“Ma nessuno sa come sia fatto Dio!”

“Quando avrò finito il disegno lo sapranno tutti.”

Poco dopo la nascita di suo fratello, la piccola Sachi cominciò a chiedere ai genitori di lasciarla sola con il neonato.
Si preoccupavano che, come quasi tutti i bambini di quattro anni, potesse sentirsi gelosa e volesse picchiarlo o scuoterlo, per cui dissero di no.
Ma Sachi non mostrava segni di gelosia.
Trattava il bambino con gentilezza e le sue richieste di essere lasciata sola si facevano più pressanti.

I genitori decisero di consentirglielo.

Esultante, Sachi andò nella camera del bambino e chiuse la porta, ma rimase una fessura aperta, abbastanza da consentire ai curiosi genitori di spiare e ascoltare.
Videro la piccola Sachi andare tranquillamente dal fratellino, mettere il viso accanto al suo e dire con calma:
“Bambino, dimmi come è fatto Dio.
Comincio a dimenticarmelo.”

I bambini sanno com’è fatto Dio, ma arrivano in un mondo che fa di tutto per farglielo dimenticare il più in fretta possibile.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

La principessa


La principessa

C’era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza.
La principessa soffriva però di una misteriosa malattia.
Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano.
Molti medici avevano invano tentato di curarla.
Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva che conoscesse il segreto della vita.
Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principessa malata.
Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse:

“Prendilo e abbine cura.

Ti guarirà.”
Piena di gioia e attesa, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente.
Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei.
La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione.
Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo.
Passarono i mesi:
la principessa non aveva occhi che per il bambino.
Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva.

Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente.

Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa.
Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile.
Un mattino, il bambino cominciò a sorridere e a camminare.
La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando.
Leggera e bellissima come non era più da gran tempo.
Senza accorgersene era guarita anche lei.

Brano tratto dal libro “365 storie per l’anima.” di Bruno Ferrero

L’amore di una mamma


L’amore di una mamma

Un angelo scappò dal paradiso per trascorrere la giornata vagando sulla terra.
Al tramonto decise di portarsi via dei ricordi di quella visita.
In un giardino c’erano delle rose:
colse le più belle e compose un mazzo da portare in paradiso.

Un po’ più in là un bambino sorrideva alla madre.

Poiché il sorriso era molto più bello del mazzo di rose, prese anche quello.
Stava per ripartire quando vide la mamma che guardava con amore il suo piccolo nella culla.
L’amore fluiva come un fiume in piena e l’angelo disse a se stesso:
“L’amore di quella mamma è la cosa più bella che c’è sulla terra, perciò prenderò anche quello!”

Volò verso il cielo, ma prima di passare i cancelli perlacei, decise di esaminare i ricordi per vedere come si erano conservati durante il viaggio.

I fiori erano appassiti, il sorriso del bambino era svanito, ma l’amore della mamma era ancora là in tutto il suo calore e la sua bellezza.
Scartò i fior appassiti e il sorriso svanito, chiamò intorno a se tutti gli ospiti del cielo disse:
“Ecco l’unica cosa che ho trovato sulla terra e che ha mantenuto la sua bellezza nel viaggio per il paradiso:
L’amore di una mamma.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Cicatrici


Cicatrici

In un caldo giorno d’estate nel sud della Florida, un bambino decise di andare a nuotare nella laguna dietro casa sua.
Uscì dalla porta posteriore correndo e si gettò in acqua nuotando felice.
Sua madre lo guardava dalla casa attraverso la finestra quando vide con orrore che un alligatore stava per avvicinarsi al bambino.

Corse subito verso suo figlio gridando più forte che potesse.

Sentendola il bambino si allarmò e nuotò verso sua madre, ma era ormai troppo tardi.
La mamma riuscì ad afferrare il bambino per le braccia, proprio mentre un coccodrillo gli afferrava le gambe.
La donna tirava determinata, con tutta la forza del suo cuore.
L’alligatore era più forte, ma la mamma era molto più determinata e il suo amore non l’abbandonava.

Un uomo udì le grida,

si precipitò sul posto con una pistola e uccise il coccodrillo.
Il bimbo si salvò e, nonostante le sue gambe fossero ferite gravemente, poté di nuovo camminare.
Quando uscì dal trauma, un giornalista domandò al bambino se volesse mostrargli le cicatrici sulle sue gambe.
Il bimbo sollevò la coperta e gliele fece vedere.
Poi, con grande orgoglio si rimboccò le maniche e disse:

“Ma quelle che deve vedere sono queste!”

Erano i segni delle unghie di sua madre che l’avevano stretto con forza.
“Le ho perché la mamma non mi ha lasciato e mi ha salvato la vita!”

Brano senza Autore.

Il bambino che scriveva sulla sabbia


Il bambino che scriveva sulla sabbia

Un bambino tutti i giorni si recava in spiaggia e scriveva sulla sabbia:
Mamma ti amo!”; poi guardava il mare cancellare la scritta e correva via sorridendo.
Un vecchio triste, passeggiava tutti i giorni su quel litorale e lo vedeva giorno dopo giorno scrivere la stessa frase, e guardare felice il mare portargliela via.

Fra sé e sé pensava:

“Questi bambini, sono così stupidi ed effimeri.”
Un giorno si decise ad avvicinare il bambino, non avrà avuto più di dieci anni, e gli chiese:
“Ma che senso ha che tu scriva “Mamma ti amo!” sulla sabbia che poi il mare te la porta via. Diglielo tu che le vuoi bene.”
Il bambino si alzò, e guardando l’ennesima scritta cancellata dall’acqua salata disse al vecchio:
“Io non ce l’ho la mamma!

Me l’ha portata via Dio, come fa il mare con le mie scritte.

Eppure torno qui ogni giorni a ricordare alla mamma e a Dio che non si può cancellare l’amore di un figlio per la propria madre.”
Il vecchio si inginocchiò, e con le lacrime agli occhi scrisse:
“Nora. Ti amo!” era il nome della moglie appena morta.
Poi prese il bimbo per mano e assieme guardarono la scritta sparire.

Brano tratto dal libro “La persistenza della memoria.” di Alessandro Bon

Il fratellino


Il fratellino

Una giovane madre era in attesa del secondo figlio.
Quando seppe che era una bambina, insegnò al suo bambino primogenito, che si chiamava Michele, ad appoggiare la testolina sulla sua pancia tonda, e cantare insieme a lei una “ninna nanna” alla sorellina che doveva nascere.
La canzoncina, che faceva “Stella stellina, la notte si avvicina…”, piaceva tantissimo al bambino, che la cantava più volte.
Il parto però fu prematuro e complicato.
La neonata fu messa in una incubatrice per cure intensive.

I genitori trepidanti furono preparati al peggio:

la loro bambina aveva pochissime probabilità di sopravvivere.
Il piccolo Michele li supplicava:
“Voglio vederla! Devo assolutamente vederla!”
Dopo una settimana, la neonata si aggravò ancor di più.
La mamma allora decise di portare Michele nel reparto di terapia intensiva della maternità.
Un’infermiera cercò di impedirlo, ma la donna era decisa ed accompagnò il bambino vicino al lettino ingombro di fili e tubicini, dove la piccola lottava per la vita.
Vicino al lettino della sorellina, Michele istintivamente avvicinò il suo volto a quello della neonata e cominciò a cantare sottovoce:

“Stella stellina, la notte si avvicina…”

La neonata reagì immediatamente.
Cominciò a respirare serenamente, senz’affanno.
Con le lacrime agli occhi, la mamma disse:
“Continua, Michele, continua!”
Il bambino continuò.
La bambina cominciò a muovere le braccine.
La mamma e il papà piangevano e ridevano nello stesso tempo, mentre l’infermiera incredula fissava la scena a bocca aperta.
Qualche giorno dopo, la piccola entrò in casa in braccio alla mamma, mentre Michele manifestava rumorosamente la sua gioia!
I medici della clinica, imbarazzati, definirono l’avvenimento con parole difficili.
Ma la mamma e il papà sapevano che era stato semplicemente un miracolo dell’amore di un fratellino per una sorellina tanto attesa.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero

La coperta


La coperta

La piccola coperta bianca che lo aveva scaldato nella culla non lo aveva lasciato.
Era minuscola, un po’ lisa, e lo accompagnava dovunque.
Se proprio era costretto a starle lontano, il bambino pretendeva che il piccolo rettangolo di stoffa bianca fosse in un luogo visibile.
Piegata o arrotolata nello zainetto colorato lo seguiva a scuola.

La piccola coperta bianca era come la sua ombra.

Quando, dopo mille insistenze, la mamma riusciva convincerlo a mettere la coperta in lavatrice, il bambino si sedeva inquieto davanti all’oblò dello sportello e aspettava, senza perderla d’occhio un istante.
La sorellina di poco più grande lo canzonava per questa mania, ma al bambino non importava.
La coperta era il suo talismano segreto, il suo scudo, la sua protezione.
Un giorno, il papà annunciò che per motivi di lavoro doveva affrontare un lungo viaggio in aereo.

Per il bambino era una novità.

La vigilia della partenza, trascinando la sua coperta, seguì preoccupato tutti gli spostamenti del papà, fissandolo con apprensione durante la preparazione della valigia.
“Papà, non cadono mai gli aerei?” chiese preoccupato il bambino.
“Quasi mai!” rispose il papà.
“Quello che prendi tu è un aereo bello grosso, vero?” prosegui il bambino.
“Certo. Il più grosso di tutti.” lo rassicurò il papà.
“E sta su anche se c’è la bufera?” chiese ancora il bambino.
“Di sicuro.” e così dicendo il papà cercò di tranquillizzare il bimbo.
“Tu però stai attento. C’è il paracadute?” riprese nuovamente il bimbo.
“Ma sì, bimbo mio.” esclamò dolcemente il papà.
Il padre partì e l’aereo arrivò in orario.
L’uomo si sistemò in albergo, ma quando aprì i bagagli rimase di stucco.
In cima a tutto, nella valigia, c’era la piccola coperta bianca del suo bambino.

Allarmato, telefonò immediatamente alla moglie:

“E’ capitata una cosa terribile, non so come sia potuto succedere ma la coperta del bambino è qui nella mia valigia!
Come facciamo?”
“Stai tranquillo!” rispose la moglie.
“Poco fa il bambino mi ha detto:
Non preoccuparti, mamma.
Ho dato a papà la mia coperta:
non gli succederà niente!”

Brano tratto dal libro “Diciassette storie col nocciolo.” di Bruno Ferrero

Per favore vestitemi di rosso


Per favore vestitemi di rosso

Nella mia duplice professione di educatrice e di assistente sanitaria, ho lavorato con numerosi bambini affetti dal virus che provoca l’AIDS.
Il rapporto che ho avuto con questi bambini è stato un dono della mia vita.
Mi ha insegnato tante cose, ma ho imparato soprattutto che il grande coraggio si trova negli involucri più piccoli.
Vi racconterò di Tyler.
Tyler nacque affetto da HIV; anche sua madre era infetta.
Fin dal principio della sua vita Tyler dovette ricorrere alle medicine per sopravvivere. (…)

A volte aveva bisogno anche di ossigeno supplementare per sostenere la respirazione.

Tyler non era disposto a cedere neanche un istante della sua infanzia a questa malattia mortale.
Non era insolito trovarlo a giocare e correre attorno al cortile, portando lo zaino pieno di medicine sulla schiena e trascinando la bombola di ossigeno nel suo carretto.
Tutti noi che conoscevamo Tyler ci meravigliavamo della sua gioia pura nell’essere vivo e dell’energia che questa gli dava.
La mamma di Tyler lo prendeva in giro dicendogli che lui si spostava tanto velocemente che lei avrebbe dovuto vestirlo di rosso.
In quel modo, quando dava un’occhiata fuori della finestra per controllarlo quando giocava in cortile, l’avrebbe individuato rapidamente.

La temuta malattia alla fine logorò anche una piccola dinamo come Tyler.

Il bambino si ammalò gravemente e purtroppo si ammalò anche sua madre, affetta da HIV.
Quando divenne chiaro che Tyler non sarebbe sopravvissuto, sua madre gli parlò della morte.
Lo confortò dicendogli che anche lei stava morendo e che presto sarebbe stata con lui in cielo.
Pochi giorni prima di morire, Tyler mi chiamò al suo letto d’ospedale e mi sussurrò:
“Morirò presto.
Non ho paura.
Quando muoio, per favore vestitemi di rosso.
La mamma ha promesso di venire anche lei in cielo.
Io starò giocando quando arriverà lei, e voglio essere sicuro che mi trovi.”

Brano di Cindy Dee Holms

Pioggia di stelle


Pioggia di stelle

C’era una volta un’orfanella povera e sola.
Nessuno l’aveva voluta con sé.
Possedeva solo gli abiti che indossava e un pezzetto di pane.
Un giorno s’incamminò per la campagna pensando:
“Qualcuno mi aiuterà!”
Incontrò un uomo.
“Ho tanta fame!” le disse.
“Dammi qualcosa, per carità!”
La bimba gli diede il suo pezzo di pane.
Poco dopo incontrò un bambino.
“Ho la testa ghiacciata.
Dammi qualcosa per coprirmela!” la supplicò.

L’orfanella si sfilò la cuffia e gliela diede.

Più in là incontrò un altro bambino.
Era senza giubbetto e tremava per il freddo.
Si sfilò la mantella e gliela diede.
Ancora avanti incontrò una bambina mezza assiderata.
Si sfilò la gonnellina e gliela porse.
Ormai non le era rimasto addosso nient’altro che la camicia.
Cammina, cammina arrivò in un bosco. Intanto si era fatto buio.
“Dammi la tua camicia.
Non ho niente da mettermi!” la supplicò un’altra bambina.

L’orfanella pensò:

“Ormai è notte, qui nel bosco nessuno mi vedrà.
Posso dargliela!”
Se la sfilò e gliela porse.
Subito dopo, cominciò a cadere una pioggia di stelle, che cadendo si trasformavano in monete d’oro lucenti.
Nello stesso tempo la bimba si ritrovò vestita di tutto punto e con abiti di stoffa finissimi.
Alzò i bordi del gonnellino e raccolse le monete finché ce ne poterono stare.
Così la buona orfanella non ebbe più a temere la miseria per il resto della sua vita.

Favola dei Fratelli J. e W. Grimm

Le quattro candele (La speranza)


Le quattro candele (La speranza)

In una stanza, quattro candele, bruciando, si consumavano lentamente.
Il luogo era talmente silenzioso che si poteva ascoltare la loro conversazione.
La prima diceva:
“Io sono la pace, ma gli uomini non riescono a mantenermi; penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi!”
E a poco a poco, la candela si lasciò spegnere.

La seconda candela disse:

“Io sono la fede, ma purtroppo non servo a nulla.
Gli uomini non ne vogliono sapere di me, e per questo motivo non ha senso che resti accesa.”
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.
Triste triste, la terza candela, a sua volta disse:
“Io sono l’amore, e non ho la forza per continuare a rimanere accesa.
Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza.”

E senza attendere oltre, la candela si lasciò spegnere.

In quel momento, un bambino entrò nella stanza, vide le tre candele spente ed impaurito per la semioscurità, disse:
“Ma cosa fate? Voi dovete rimanere accese, io ho paura del buio!”
E così dicendo scoppiò in lacrime.
Allora la quarta candela, impietosita, disse:
“Non piangere; finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre tre candele: io sono la speranza.”
Con gli occhi lucidi di lacrime, il bimbo prese la candela della speranza e accese tutte le altre.

Brano di Paulo Coelho