L’acqua santa

L’acqua santa

Di buon mattino, un curato di campagna, accompagnato da due chierichetti insonnoliti e svogliati, si recava a benedire case e campi.
La benedizione, rigorosamente in lingua latina, era composta da antichi riti e preghiere, in uso presso “Sancta Romana Ecclesia” di quell’epoca.

Il ragazzo più robusto portava un cestello per la raccolta delle uova,

date come offerta dai contadini, mentre il ragazzo più piccolo portava il secchiello dell’acqua santa con l’aspersorio, per il rituale della benedizione.
Dopo aver percorso metà del tragitto previsto, che doveva concludersi nel casale del chierichetto più piccolo dove ci sarebbe stata un’abbondante ed attesa colazione ristoratrice, questo inciampò su un sasso rovesciando il liquido benedetto.

Cadde poiché il terreno era diventato scivoloso a causa di una recente pioggia.

“Per fortuna le preziose uova sono salve!” fu la reazione immediata del sacerdote che invitò l’accidentato a ripulirsi la tonaca come meglio poteva.
Lo inviò a riempire il secchiello con l’acqua del vicino fosso e di continuare il giro con rinnovata fede.
Li incitò a mettere come garanzia la loro innocenza, ricordando loro che nulla avviene mai per caso.

Gli spiegò, inoltre, che una benedizione, anche da sola, passa sette muri.

Durante l’estate successiva una rovinosa grandinata colpì il paese del parroco in questione, risparmiando proprio la zona benedetta con l’acqua del fosso.
Quest’avvenimento rimase impresso nella mente del chierichetto più piccolo che, dopo discernimento e molti studi, divenne anche lui sacerdote, avendo visto nella caduta accidentale il nascere della sua chiamata vocazionale.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Ave Maria

Ave Maria

Quannero regazzino, mamma mia
me diceva: “Ricordati, fijolo,
quanno te senti veramente solo,
tu prova a recità ‘n Ave Maria.

L’anima tua da sola spicca er volo

e se solleva, come pe’ maggia.”
Ormai so’ vecchio, er tempo s’è volato.
Da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l’ho mai scordato.

Come me sento veramente solo

io prego la Maronna Benedetta
e l’anima mia da sola pija er volo.

Brano di Trilussa

La campana d’argento


La campana d’argento

C’era una volta una magnifica cattedrale simbolo di una grande città.
Su di essa svettava un superbo campanile, orgoglio di tutti gli abitanti.
Tuttavia l’opera era incompiuta.
Il campanile era muto: mancava la campana.
Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna dell’immagine della cattedrale:
lanciò a tutta la città un invito per raccogliere oggetti d’argento, da far fondere, per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento.

Cominciarono ad arrivare oggetti e monili d’argento.

Un giorno da Don Enrico, incaricato dal vescovo di raccogliere le oblazioni, arrivò una povera vedova.
Ella consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva.
Il prete prese la moneta con piglio sprezzante e appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra, nel giardino sottostante:
“Un centesimo…
Va bene solo per i mendicanti!
A cosa può servire per una grande opera come la nostra campana?”
Dopo poche settimane venne raccolto molto argento:
venne fuso e venne realizzata una campana stupenda.
Era un’opera d’arte, una meraviglia che ogni esperto giudicò perfetta.

Nel giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta, innalzata sul campanile e inaugurata.

Fu il vescovo ad avere l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana.
La campana d’argento però emise soltanto un gemito pietoso, un suono pessimo, sordo che durò inoltre pochissimo.
Dopo il clamoroso insuccesso tecnici ed esperti intervennero per analizzare l’opera:
nessuno riusciva a spiegare il perché.
Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di tale fallimento.
Una notte, in sogno, un angelo gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova.
Allora il vescovo cercò immediatamente Don Enrico, incaricato alla raccolta delle offerte, e gli chiese spiegazioni.
Entrambi andarono allora in giardino e insieme, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, cercarono e cercarono…

fino a quando finalmente riuscirono a trovare la moneta della vedova.

Il vescovo fece rifondere la campana d’argento, aggiungendo anche il centesimo donato dalla povera vedova.
Quando, qualche settimana dopo riprovarono a collaudare la campana, il suo suono riempì l’aria con la melodia più bella che si fosse mai sentita provenire da una cattedrale.

Brano senza Autore