Dare o prendere

Dare o prendere

Una volta, un ministro era seduto sul bordo di una fontana cittadina.
Per disattenzione, vi scivolò dentro.
Alcuni passanti si fecero avanti e gli tesero la mano dicendo:

“Dammi la mano!”

Ma l’uomo politico non ne voleva sapere e non tendeva la mano a nessuno.
In quel momento passò un uomo che si aprì la strada nella folla ed esclamò:
“Amici miei, il nostro ministro fin dalla nascita ha imparato solo il verbo prendere; non conosce il verbo dare!”

Così dicendo gli tese la mano:

“Buongiorno, Vostra Eccellenza; prendete, dunque, la mia mano!”
Immediatamente il ministro afferrò la mano dell’uomo e uscì dalla vasca.

Brano senza Autore

Il ricamo della vita

Il ricamo della vita

Per anni e anni, Ghior girò il mondo alla ricerca di qualche risposta ai suoi affannosi “Perché?”
Da piccolo aveva perso la mamma e il papà e aveva dovuto arrangiarsi per vivere, subendo ogni sorta di privazioni.
La vita, tra imprevisti, delusioni e accidenti di ogni tipo, non gli aveva mai sorriso veramente.
Ora, stanco e arrabbiato, stava per abbandonarsi definitivamente allo sconforto, ma, prima di mollare la presa, decise di fare un ultimo viaggio per il mondo e, preparata alla buona una sacca con cibo e vestiti, s’incamminò alla ricerca di risposte.
Dopo molto tempo, una notte molto fredda, arrivò in un piccolo villaggio, poche tende di pastori, qualche fuoco e molte stelle.
Entrò in una delle tende e vicino al fuoco vide addormentata una vecchia donna.
Stava quasi per svegliarla e chiederle ospitalità, quando una mano gli sfiorò la spalla.

Girandosi di scatto, si trovò davanti un giovane:

era un guerriero che sottovoce, ma con tono imperioso, gli disse:
“Per la notte copriti con questa!” e gli porse una coperta morbidissima, di lana pettinata, ricamata con colori accesi:
nemmeno il tempo di ringraziare, ed era già sparito.
La luce tenue dell’alba svegliò Ghior, che ancora sotto la sua coperta, si sentì invadere dal peso dei suoi perché e dai suoi dubbi antichi.
La vecchia donna rientrando nella tenda con una brocca fumante di latte di capra e qualche focaccia gli disse:
“Figliolo, smetti di tormentarti per nulla!”
“Ma la mia sofferenza e le mie disgrazie sono nulla?” rispose Ghior stupito e rattristato.
“Figliolo, riprese la donna, “smetti di tormentarti!
Ciò che ti ha tenuto caldo durante la notte è proprio la risposta che cerchi!”

Ghior non capiva.

Cos’era questa cosa che lo aveva tenuto caldo per tutta la notte… ed era anche la risposta ai suoi perché?
Sfiorando il bordo della coperta, la morbidissima sensazione della lana si trasformò in una illuminazione:
“La coperta!
La coperta mi ha tenuto caldo, la coperta!
Ma… come può essere la risposta ai perché complicati della mia vita?”
Appoggiato il latte e le focacce per terra, la vecchia donna si chinò fino a sedersi al giaciglio di Ghior.
“Guarda figliolo,” disse mostrandogli un lato della coperta, “cosa vedi?”
“Dei colori bellissimi, e disegni ancor più belli ricamati con perfezione mai vista!” rispose Ghior.
“Ora guarda l’altro lato: cosa vedi?” domandò ancora la donna.
“Vedo il tipico aggrovigliarsi dei fili del ricamo, colori sovrapposti, confusione, nodi curati ma sempre nodi, e tagli di filo e colori, intrecci imprevisti, senza senso, disegni incomprensibili e brutti da vedere!” esclamò Ghior.

“Ecco figliolo, la vita, la tua vita è esattamente così:” continuò la donna,

“tu sei sotto il ricamo della vita, puoi vedere questa coperta solo da sotto; è la condizione umana.
Nel frattempo, per te, su di te e dentro di te si ricamano dall’altro lato disegni e sfumature straordinarie e di una bellezza sconvolgente, e per questo ricamo a volte si rende necessario tagliare, fare nodi, correggere.
Da qua sotto è ovvio che senza un po’ di fede e fantasia vedi solo tagli, nodi e confusione, ma guarda un po’ cosa sta realizzando Dio su di te… un disegno bellissimo!” e dicendo queste ultime parole, con un sorriso, concluse il suo discorso.

Brano senza Autore

L’opportunità per progredire

L’opportunità per progredire

Proprio in mezzo ad una strada, un mattino, comparve una grossa pietra!
Era decisamente visibile ed ingombrante:

gli automobilisti cominciarono a girarle intorno per evitarla.

Dovevano frenare, mettersi in coda, ma lo facevano brontolando e suonando i “clacson”.
Alle undici del mattino si era già formato un corteo di cittadini che protestavano davanti al municipio:
a mezzogiorno i Sindacati annunciarono uno sciopero di tre giorni e tutti gli studenti scesero in piazza per dimostrare!
Alle quattro del pomeriggio gli “indignati” occuparono la piazza principale e “Striscia la Notizia” mandò i suoi inviati a casa dell’Assessore.

Nacque immediatamente il Movimento “No Sass”.

Alle diciotto passò sulla strada un venditore ambulante di verdura con il suo camioncino sgangherato!
Si fermò a lato della strada con i lampeggianti accesi e collocò, diligentemente, il triangolo rosso a distanza di sicurezza per avvertire gli automobilisti.
Poi cominciò a tentare di rimuovere il masso!
Dopo molta fatica e sudore, riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada.
Mentre tornava verso il suo camioncino, notò che c’era una grossa busta attaccata alla pietra sul lato che, prima, poggiava sull’asfalto.

La busta conteneva un grosso assegno ed una lettera,

con l’intestazione della più importante industria della nazione che diceva che l’assegno era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada.
L’assegno era accompagnato dall’offerta dell’incarico di “Vice-Presidente esecutivo” della Compagnia.
Il venditore ambulante imparò quello che, molti di noi, neanche comprendono:
“Tutti gli ostacoli e le difficoltà che incontriamo sulla strada della nostra vita sono un’opportunità per progredire!”

Brano senza Autore

Tonto Zuccone, girovagando

Tonto Zuccone, girovagando
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La macchina

A Venezia

Il risotto con le mosche

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“La macchina”

Tonto Zuccone, dopo ripetuti tentativi ed una raccomandazione non tanto trasparente, prese la patente di guida per la macchina.
Stupì tutti perché acquistò una macchina nuova, rosso fiammante, invece di una usata per impratichirsi nella guida.
Scorrazzava felice per le vie del paese, esibendo il suo gioiello rosso con uno stuolo di amici a bordo.
Mutò d’umore quando svoltando a destra sentiva uno strano rumore in macchina e lo stesso quando girava a sinistra.

Andò a farla benedire da un sacerdote amico credendola stregata, ma niente, i rumori persistevano.

Tornò dal concessionario, deluso, per la riparazione o per una eventuale sostituzione essendo ancora in garanzia.
I meccanici incuriositi dallo strano caso fecero un giro di prova e tornarono quasi subito ridendo per quello che avevano scoperto.
Il rumore era causato da due latine di Coca Cola vuote, abbandonate dagli amici di scorribande, che ruzzolavano nella parte posteriore della vettura ad ogni sterzata o sobbalzo.
L’episodio bastò a far perdere a Tonto ogni interesse per la macchina, il quale tornò alla sgangherata bicicletta.

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“A Venezia”

Tonto Zuccone andò per la prima volta a visitare, da solo, la tanto desiderata Venezia.
Dopo aver chiesto informazioni, gli fu indicato di prendere un vaporetto per fare un giro turistico per le vie d’acqua e poter, così, ammirare la meraviglia dell’Adriatico con i suoi palazzi, calli e canali.
Si recò alla biglietteria con una certa titubanza e l’addetto in divisa, vedendolo impacciato, gli chiese dove volesse recarsi.

Tonto gli diede una grossa banconota e gli disse:

“Dovunque e da nessuna parte!”
Il bigliettaio, abituato ad aver a che fare con turisti da tutto il mondo, intuì con chi stava parlando e replicò:
“Si vede anche da lontano che sei Tonto in visita a Venezia!”
La cosa stupì lo spaesato campagnolo che domandò stupito:
“Come fate a conoscermi anche qui?
Non credevo di essere così famoso!”

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“Il risotto con le mosche”

Il risotto è un piatto tipico della tradizione del nord Italia e sta diventando sempre di più un piatto nazionale.
Forti del primato produttivo e qualitativo del riso nostrano, essendo degli storici e accorti produttori, non temiamo il confronto con quelli di dubbia importazione e dal prezzo stracciato.
I nostri bravi chef, di tramandata e gloriosa tradizione gastronomica, lungo tutto lo stivale, propongono i risotti nelle varianti con il prezioso zafferano, con le verdure di stagione, ai funghi, con carni e pesci e, chi più ne ha, più ne metta.

Alcuni anni fa, Tonto Zuccone fu invitato ad un pranzo di battesimo da un amico in terra Feltrina, nel Bellunese.

Dopo gli antipasti di rito, nel menù non poteva mancare di certo il risotto fatto secondo la tradizione locale, con i resti della carne di cacciagione, tagliati a sottili pezzettini che risultavano alla vista di colore scuro, chiamato per questo motivo risotto con le mosche, per la somiglianza con gli insetti dittari.
La neo mamma, nonché provetta cuoca, era particolarmente fiera di questo piatto tramandato gelosamente dalle sue ave e chiese con un pizzico di orgoglio a Tonto se gradisse il suo risotto con le mosche e se lo avesse mai gustato prima.
Tonto a sentirlo nominare ed alla vista della portata ebbe una reazione di disgusto e di netto rifiuto.

Questo evento fece ridere la cuoca, ma anche gli altri commensali, a crepapelle.

Ascoltata la risposta di Tonto, la padrona di casa disse scherzando che ad ogni mosca aveva tolto la testa e le zampe, soprattutto per omaggiare il gradito ospite.
Tonto non volle sentire ulteriori spiegazioni, fu sufficiente vedere ed ascoltare il nome del piatto per rimanere, ancor di più, perplesso e basito della strana, per lui, cucina locale.
Rinunciò ad ottimo risotto, eseguito con cottura e mantecatura perfette.
Il risotto con le mosche è una specialità tutta feltrina, di nicchia gastronomica, non contemplata nei manuali di cucina e gelosamente tramandata da generazione in generazione, che solo un “tonto” come Tonto poteva rifiutare a priori.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

L’espediente dello champagne

L’espediente dello champagne

Quando avevo trent’anni, come già raccontato, andai a lavorare durante la stagione estiva, per un mese, in un importante albergo di lusso nella perla delle Dolomiti, qual è Cortina.
Fu un’esperienza unica, anche se mi licenziai rapidamente, dato che mi facevano lavorare troppo poco essendo abituato al ritmo ed alla modalità della fabbrica.

Alle diciotto finivo il mio turno di lavoro ed avevo tutta la sera e la notte da vivere, nella tentacolare Cortina.

Optai subito per ciò che culturalmente Cortina offriva, quale mia esigenza personale di allora, come andare alla presentazione di libri, saggi e romanzi da parte di autori importanti, allora perlopiù emergenti, che mi onoro di aver incontrato.
Di alcuni di essi conservo ancora le opere autografate.
Le ville private, in prevalenza, ospitavano tali eventi e, per un fortunato vortice di circostanze, entrai nel giro esclusivo dove si partecipava solo con invito.

In una serata indimenticabile, mi trovai protagonista grazie ad un espediente.

Alla fine di ogni presentazione si partecipava ad un lauto rinfresco dove non mancava mai lo champagne, che correva a fiumi.
Nel momento clou della serata scomparve il cavatappi d’argento, dato che qualcuno lo aveva sottratto per cattiva moda, mettendo in difficoltà ed in imbarazzo i padroni di casa, per le ulteriori bottiglie da aprire.
Vista la situazione, attirai l’attenzione degli ospiti prendendo una bottiglia, indicandone ed elogiando la marca.
Palesandomi esperto, colpii il bordo del tavolo con il collo della bottiglia, facendo schizzare il tappo con un po’ di vetro, ma questo poco importò agli astanti assetati.
Alcuni anni prima, avevo visto mio padre fare magistralmente la stessa operazione con una bottiglia di birra, in una circostanza più frugale.

Riempii i calici vuoti e protesi fra gli applausi (e gli evviva) dei presenti, salvando così la serata.

Ebbi un notevole successo personale, nonché inaspettato, che mi diede accesso ad altre serate indimenticabili nelle ville della conca Ampezzana, anche al di fuori dell’ambito letterario, che mal si conciliavano con il mio essere facchino di giorno.
Mai come in quel momento, mi sentii sdoppiato in una doppia vita che non riuscì a sostenere.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Due ranocchie nella panna

Due ranocchie nella panna

C’erano una volta due ranocchie che caddero in un recipiente di panna.
Immediatamente intuirono che sarebbero annegate:
era impossibile nuotare o galleggiare a lungo in quella massa densa come sabbie mobili.
All’inizio, le due rane scalciarono nella panna per arrivare al bordo del recipiente però era inutile, riuscivano solamente a sguazzare nello stesso punto e ad affondare.

Sentivano che era sempre più difficile affiorare in superficie e respirare.

Una di loro disse a voce alta:
“Non ce la faccio più.
È impossibile uscire da qui, questa roba non è fatta per nuotarci.
Dato che morirò, non vedo il motivo per il quale prolungare questa sofferenza.
Non comprendo che senso ha morire sfinita per uno sforzo sterile!”
E detto questo, smise di scalciare e annegò con rapidità, venendo letteralmente inghiottita da quel liquido bianco e denso.

L’altra rana, più perseverante o forse più cocciuta, disse fra sé e sé:

“Non c’è verso!
Non si può fare niente per superare questa cosa.
Comunque, dato che la morte mi sopraggiunge, preferisco lottare fino al mio ultimo respiro.
Non vorrei morire un secondo prima che giunga la mia ora!”
E continuò a scalciare e a sguazzare sempre nello stesso punto, senza avanzare di un solo centimetro.

Per ore ed ore!

E ad un tratto… dal tanto scalciare, agitare e scalciare… la panna si trasformò in burro.
La rana sorpresa spiccò un salto e pattinando arrivò fino al bordo del recipiente.
Da lì, non gli rimaneva altro che tornare a casa gracidando allegramente.

Brano tratto dal libro “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere.” di Jorge Bucay

Le Due Anfore


Le Due Anfore

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione:

“Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone:
“Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia.
Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.

Perdona la mia debolezza e le mie ferite.”

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada.”
“Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora.
“Hai visto? E tutto questo solo grazie a te.” disse il padrone.

“Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.

Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno.”
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

La storia del cavallo che cadde nel pozzo


La storia del cavallo che cadde nel pozzo

Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo, non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze.
Per molte ore l’animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare, finalmente il contadino prese una decisione crudele:

pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente,

e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera.
Così non valeva la pena sprecare energie per tirarlo fuori dal pozzo.

Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.

Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo.
Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.

Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena,

il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi.
Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Evitiamo gli ostacoli per migliorare la nostra vita


Evitiamo gli ostacoli per migliorare la nostra vita

In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada.
Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendesse la briga di togliere la grande roccia dal centro della strada.
Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a girare attorno alla pietra.

Altri persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da lì.

Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle spalle; avvicinandosi all’immensa roccia poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuovere la roccia.
Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada.

Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c’era una piccola borsa nel luogo in cui prima stava la pietra.

La borsa conteneva molte monete d’oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell’oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada.
Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono:
“Tutti gli ostacoli sono un’opportunità per migliorare la nostra condizione.”

Brano tratto dal libro “Io e me alla ricerca del treno: Pensieri e racconti di uno strano ragazzo…” di Andrea Cardinale