Pulisci, se è necessario…

Pulisci, se è necessario…

Una casa è più bella se si può scrivere “ti amo” sulla polvere sul mobilio.
Io lavoravo 8 ore ogni fine settimana per rendere tutto perfetto, “nel caso venisse qualcuno”.
Alla fine ho capito che “non sarebbe venuto nessuno”, perché tutti vivevano la loro vita passandosela bene!

Ora, se viene qualcuno, non ho bisogno di spiegare in che condizione sia la casa:

sono più interessati ad ascoltare le cose interessanti che ho fatto per vivere la mia vita.
Caso mai non te ne fossi ancora accorta:
la vita è breve, goditela!
Pulisci, se è necessario…
Ma sarebbe meglio dipingere un quadro, scrivere una lettera, preparare un dolce, seminare una pianta, oppure pensare alla differenza tra i verbi “volere” e “dovere”.

Pulisci, se è necessario, ma il tempo è poco…

Ci sono tante spiagge e mari per nuotare, monti da scalare, fiumi da navigare, una birretta da bere, musica da ascoltare, libri da leggere, amici da amare e la vita da vivere.
Pulisci, se è necessario, ma…
C’è il mondo là fuori:
il sole sulla faccia, il vento nei capelli, la neve che cade, uno scroscio di pioggia…

Questo giorno non torna indietro!

Pulisci, se è necessario, ma…
Ricorda che la vecchiaia arriverà e non sarà più come adesso.
E, quando sarà il tuo turno, ti trasformerai in polvere.

Brano senza Autore

Quando ho cominciato ad amarmi davvero…

Quando ho cominciato ad amarmi davvero…

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito di trovarmi sempre ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questa si chiama… Autostima.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che la sofferenza e il dolore emozionali sono solo un avvertimento che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questa si chiama… Autenticità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda è un invito a crescere.

Oggi so che questa si chiama… Maturità.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito com’è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri, pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta, anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama… Rispetto.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò che non mi faceva del bene:
cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso, all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è…

Amore di sé.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di privarmi del mio tempo libero e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento, ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questa si chiama… Semplicità.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di voler avere sempre ragione.
E così ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questa si chiama… Umiltà.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono rifiutato di vivere nel passato e di preoccuparmi del mio futuro.

Ora vivo di più nel momento presente, in cui tutto ha un luogo.

È la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo… Pienezza.
Quando ho cominciato ad amarmi davvero e ad amare, mi sono reso conto che il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho imparato a farlo dialogare con il mio cuore, l’intelletto è diventato il mio migliore alleato.
Oggi so che questa si chiama… Saper vivere!

Brano di Sir Charles Spencer “Charlie” Chaplin

Il parroco e la ragazza

Il parroco e la ragazza

Era il mese di maggio e, dopo il rosario, una ragazza si avvicinò al parroco e disse:
“Nel rosario voi non fate che ripetere sempre le stesse parole!
E chi ripete sempre le stesse parole, è noioso e lascia pensare che non crede in quello che dice.
Io non crederei mai ad una persona che ripete sempre le stesse cose!”

Il parroco le chiese chi fosse il giovane che l’accompagnava.

La ragazza rispose che fosse il suo fidanzato.
“Ti vuole bene?” chiese il prete.
“Certamente!” rispose lei.
“E come lo sai?” domandò, allora, il parroco.
“Me lo ha detto!” spiegò la ragazza.
“Che cosa ti ha detto?” le chiese.
“Io ti amo!” esclamò sicura la ragazza.

“Quando te lo ha detto?” continuò il parroco.

“Me lo ha ripetuto, l’ultima volta, un’ora fa!” rispose la ragazza.
“Te lo aveva detto anche prima?” domandò il sacerdote.
“Sì, ieri sera!” spiego la ragazza.
“Che cosa ti ha detto?” proseguì il parroco.
“Io ti amo!” replicò lei.
“Ed altre volte è capitato?” chiese, allora, il prete.

“Tutte le sere!” esclamò la ragazza.

“Gli hai mai rinfacciato che ripete sempre le stesse cose?” domandò il prete.
“Certo che no!” rispose la ragazza, un po’ sorpresa.
“Ti annoia sentire dire ripetutamente:
“Io ti amo!”?” le chiese allora.
“No… Anzi, mi preoccuperebbe, se non lo facesse!” spiegò la ragazza.
“Bene, adesso hai capito perché, con il Rosario, diciamo sempre le stese cose…” concluse sorridendo il parroco.

Brano senza Autore

Tre racconti brevi sui bambini e sugli abbracci

Tre racconti brevi sui bambini e sugli abbracci
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Il furto della borsa

Il bambino e l’abbraccio

La bambina e l’abbraccio

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“Il furto della borsa”

Mi avevano rubato la borsa.
Mio marito, arrabbiato e contrariato, mi disse:
“Lasci sempre le tue cose in giro.
Se non fossi tanto disattenta, non sarebbe successo!”

Le sue parole mi ferirono e mi fecero sentire stupida.

Ma quella stessa sera, mio figlio di dieci anni, venuto a conoscenza dell’accaduto, mi mise le braccia attorno al collo e mi disse:
“Oh, mamma, deve essere stato terribile, per te!”

Brano senza Autore
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“Il bambino e l’abbraccio”

Il bambino chiese alla mamma:
“Mamma, secondo te, Dio esiste?”
“Si!” rispose la mamma.
“Com’è?” domandò il bambino.

La donna attirò il figlio a sé…

Lo abbracciò forte e gli disse:
“Dio è così!”
“Ho capito!” esclamò il bambino.

Brano senza Autore
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“La bambina e l’abbraccio”

Una volta una bambina domandò alla mamma:
Mamma, chi è Dio?”
La mamma rimase sbalordita da quella domanda così ardita.
D’altra parte, era contenta che proprio la sua bambina le avesse fatto quella domanda tanto importante.

Allora, come per ringraziarla,

se la prese tra le braccia e se la strinse forte al petto e la baciò.
In quel momento, le venne la risposta:
“Cara bambina mia, Dio è quello che provi ora con me!”

Brano senza Autore

Che cos’è il virtuale?

Che cos’è il virtuale?

Un giorno entrai di fretta e molto affamato in un ristorante.
Scelsi un tavolo lontano da tutti, poiché volevo approfittare dei pochi minuti che avevo a disposizione quel giorno, per mangiare e per continuare a programmare un sistema che stavo creando.
Avevo, inoltre, voglia di progettare le mie vacanze che, ormai, da molto tempo, non sapevo cosa fossero…
Ordinai del salmone, insalata e succo d’arancia, cercando di conciliare la mia fame con la mia dieta.
Aprì il mio notebook e nello stesso tempo mi spaventai per quella voce bassa dietro di me:
“Signore, mi dà qualche soldo?”

“Non ne ho, piccolo!” gli risposi.

“Solo qualche spicciolo per un pezzo di pane.” insistette lui.
“Va bene, te ne compro uno io!” esclamai.
Tanto per cambiare la mia casella di posta elettronica era piena di e-mail.
Rimasi un po’ distratto a leggere alcune poesie, bei messaggi, a ridere di quei banali scherzi.
Ahhh! Quella musica mi portava a Londra, ricordando un bellissimo tempo passato.
“Signore, chieda che venga messo un po’ di burro e formaggio nel mio panino!” continuò il bambino.
Lì mi accorsi che era ancora al mio fianco.
“Ok! Ma dopo mi lasci lavorare, sono molto occupato, d’accordo?” domandai.
Arrivò il mio pranzo e con esso la realtà.
Feci la richiesta del piccolo e il cameriere mi chiese se avessi voluto che il bambino fosse allontanato.
La mia coscienza mi impedì di prendere una decisione, ed alla fine risposi:
“No, va tutto bene!
Lo lasci pure stare, gli porti il suo panino e qualcos’altro di decente da mangiare.”
Allora il bambino si sedette di fronte a me e mi chiese:

“Signore, che sta facendo?”

“Leggo le e-mail!” risposi.
“E che sono le e-mail?” mi domandò.
“Sono messaggi elettronici inviati dalle persone via internet.”
Sapevo che non avrebbe capito nulla, e per evitare ulteriori domande dissi:
“È come se fosse una lettera ma si invia tramite internet.”
“Signore, lei ha internet?” mi chiese allora.
“Si ce l’ho, è essenziale nel mondo di oggi!” risposi.
“E cos’è Internet, signore?” proseguì il bambino.
“È un posto nel computer dove possiamo vedere e ascoltare molte cose, notizie, musica, conoscere gente, leggere, scrivere, sognare, lavorare, imparare.
Ha tutto, ma in un mondo virtuale.” gli spiegai.

“E cos’è il virtuale, signore?” domandò.

Decisi di dargli una spiegazione molto semplice, con la consapevolezza che capirà ben poco, ma così mi lascerà in pace e mi farà pranzare liberamente…
“Virtuale è un posto che noi immaginiamo, qualcosa che non possiamo toccare, raggiungere.
Un luogo in cui creiamo un sacco di cose che ci piacerebbe fare.
Creiamo le nostre fantasie, trasformiamo il mondo quasi in quello che vorremmo che fosse.” gli dissi.
“Che bello, mi piace!” esclamò il piccolo.
“Piccolo, hai capito cos’è il virtuale?” chiesi, allora, io.
“Si signore, vivo anche io in quel mondo virtuale.” replicò il bimbo.
“E tu hai il computer?” gli domandai

“No, ma anche il mio mondo è di quel tipo lì… virtuale!” mi disse, e poi continuò:

“Mia madre passa fuori l’intera giornata, arriva molto tardi e spesso non la vedo neanche.
Io bado a mio fratello piccolo che piange sempre perché ha fame, così io gli do un po’ d’acqua e lui pensa che sia la minestra.
Mia sorella grande esce tutto il giorno, dice che va a vendere il proprio corpo, ma io non capisco, visto che poi ritorna sempre a casa con il suo corpo.
Mio padre è in carcere da molto tempo.
Ed io immagino sempre tutta la famiglia insieme a casa, molto cibo, molti giocattoli a Natale, ed io che vado a scuola per diventare un giorno un grande medico.
Questo non è virtuale, signore?”
Chiusi il mio notebook, non prima che le mie lacrime cadessero sulla tastiera.
Aspettai che il bambino finisse letteralmente di “divorare” il suo piatto, pagai il conto e lasciai il resto al piccolo, che mi ripagò con uno dei più bei sorrisi che io abbia mai ricevuto in vita mia, dicendomi:
“Grazie signore, lei è un maestro!”
Lì, in quel momento, ebbi la più grande dimostrazione di virtualismo insensato in cui viviamo ogni giorno, circondati da una vera cruda realtà e spesso facendo finta di non percepirla!

Brano senza Autore

Il re e gli indovinelli

Il re e gli indovinelli

Un re polacco adorava gli indovinelli.
Per lui erano la massima forma di saggezza.
Un giorno, camminando con il primo ministro lungo il fiume, vide un povero contadino che lavava i panni nell’acqua gelata.
Allora il re chiese al contadino:
“Cos’è di più, cinque o sette?»”
E il contadino rispose:
“Cos’è di più, trentadue o dodici?”
Il re sorrise e gli domandò ancora:
“In casa tua hai avuto un incendio?”

Il contadino rispose:

“Sì. Ce ne sono stati cinque e ne aspetto altri due!”
Il re scosse la testa e continuò:
“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
Il contadino gli rispose:
“Mandalo e vedrai!”
Il re e il primo ministro si allontanarono e il re domandò al primo ministro se avesse capito di cosa stessero parlando.
“Sire, non ho capito nulla.
Come avrei potuto?
Avete parlato per enigmi!” esclamò il primo ministro.
Il re sembrò scontento:
“Ma come?
Tu sei il mio primo ministro.
Dovresti essere il più saggio del reame e un semplice contadino mi ha capito meglio di te?
Ti do tempo tre giorni per indovinare cosa ci siamo detti.
Se non ci riuscirai, sarò costretto a cacciarti!”
II primo ministro, disperato, convocò tutti i suoi consiglieri, ma nessuno riusciva a risolvere quegli enigmi.

Allora il primo ministro fece chiamare il contadino.

“Racconta,” gli ordinò, “cosa vi siete detti col re?”
Il contadino rispose:
“Lo farò, ma è una faccenda delicata, per cui voglio mille ducati!”
“È una vergogna!
Un furto!” esclamò il primo ministro, “Mille ducati per tre risposte?”
Il contadino fece per andarsene, ma il primo ministro lo trattenne.
“Va bene!” disse e gli consegnò il denaro, “Ed ora spiegami!”
Il contadino, con molta calma, cominciò:
“Io stavo lavando i panni nel fiume ghiacciato.
Vedendomi, il re mi ha chiesto se non mi bastassero i sette mesi caldi e dovevo lavare anche d’inverno.
Io gli ho risposto che i miei trentadue denti mangiano più di quel che riesco a guadagnare in dodici mesi.
Poi il re mi ha chiesto degli incendi, cioè se in casa mia avevo avuto dei matrimoni, perché per organizzare un matrimonio si spende ogni risparmio e si resta senza niente, come dopo un incendio.
E io gli ho risposto che avevo sposato cinque figlie e me ne restavano altre due.

Infine il re mi ha chiesto:

“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
ed io ho risposto:
“Mandalo e vedrai!”
Ecco: indovini adesso chi è il pollo?
Giudica tu se l’ho spennato per bene…
E, soprattutto, non mancare di riferirlo al re, che saprà apprezzare i dettagli!”

Brano senza Autore

La giornata con i papà

La giornata con i papà

Indossava il vestito più bello, di un luminoso color arancione, aveva i capelli raccolti con un nastro rosso e oro, ed era pronta ad uscire per andare a scuola.
Era la “Giornata con i papà” e tutti i bambini sarebbero dovuti andare a scuola accompagnati dal proprio papà.
Lei sarebbe stata l’unica con la mamma.
La mamma le aveva suggerito di non andare, perché i suoi compagni non avrebbero capito.
Ma la bambina voleva parlare a tutti del suo papà, anche se era un po’ diverso dagli altri.
A scuola c’era una folla di papà che si salutavano un po’ imbarazzati e bambini impazienti che li tenevano per mano.
La maestra li chiamava uno dopo l’altro e ciascuno presentava a tutti il suo papà.
Alla fine, la maestra chiamò la bambina con il vestito arancione e tutti la guardarono, cercando l’uomo che non era là.

“Dov’è il suo papà?” chiese un bambino.

“Per me non ce l’ha!” esclamò un altro.
Dal fondo, una voce brontolò:
“Sarà un altro padre troppo occupato che non ha tempo per venire!”
La bambina sorrise e salutò tutti.
Diede un’occhiata tranquilla alla gente, mentre la maestra la invitava a sbrigarsi.
Con le mani composte e la voce alta e chiara, cominciò a parlare:
“Il mio papà non è qui perché vive molto lontano!

Io, però, so che desidererebbe tanto essere qui con me:

voglio che sappiate tutto sul mio papà e su quanto mi vuole bene!
Gli piaceva raccontarmi le storie e mi insegnò ad andare in bicicletta.
Mi regalava un rosa rossa alle mie feste e mi insegnò a far volare gli aquiloni.
Mangiavamo insieme gelati enormi e, anche se non lo vedete, io non sono sola, perché il mio papà sta sempre con me, anche se viviamo lontani.
Lo so, perché me l’ha promesso lui, che sarebbe stato sempre nel mio cuore!”
Dicendo questo alzò una mano e la posò sul cuore.
La sua mamma, in mezzo alla schiera dei papà, la guardava con orgoglio, piangendo.
Abbassò la mano e terminò con una frase piena di dolcezza:
“Amo molto il mio papà!
È il mio sole e, se avesse potuto, sarebbe stato qui, ma invece è lontano in cielo…
Qualche volta però, se chiudo gli occhi, è come se non se ne fosse mai andato!”
Chiuse gli occhi e la madre, sorpresa, vide che tutti, padri e bambini, avevano chiuso gli occhi.

Che cosa vedevano?

Probabilmente il papà vicino alla bambina.
“So che sei qui con me, papà!” disse la bambina, rompendo il silenzio.
Quello che accadde dopo lasciò tutti emozionati.
Nessuno riuscì a spiegarlo, perché tutti avevano gli occhi chiusi, però sul tavolo ora c’era una magnifica e profumata rosa rossa.
E una bambina aveva ricevuto la benedizione dell’amore del suo papà e il dono di credere che il cielo non è poi così lontano!

Brano senza Autore

Il passero ed il girasole

Il passero ed il girasole

In una discarica abusiva, in un angolo abbandonato di una zona industriale di una città, era nato un girasole, che aveva fatto amicizia con un passero!
Il fiore era triste:
sognava un prato verde e farfalle svolazzanti.
“A che servo io qui?” si chiedeva.
Ma l’uccellino guardava il girasole, raggiante, a becco aperto:
“Come sei bello!
Sei meraviglioso!” trillava.
“Ci sono molte cose più belle!” rispondeva il saggio girasole, “Guardati intorno!”
Il buon passero si guardava diligentemente intorno, ma finiva sempre per voltarsi verso il girasole e pigolare con aria ammirata:

“Il più bello di tutti sei tu!”

Così, ogni giorno, il girasole prendeva coraggio e cresceva, tanto da troneggiare, ormai, sul mucchio di rifiuti.
La sua corona d’oro splendeva sempre di più!
Ma un giorno, al sorgere del sole, il fiore attese invano il suo piccolo amico.
Solo nel tardo pomeriggio sentì un pietoso pigolio ai suoi piedi!
Si piegò e vide il passero che si trascinava con un’ala ferita.
“Piccolo amico mio, che cosa ti è successo?” gli chiese.
“Un gabbiano mi ha colpito e da alcuni giorni non riesco a trovare niente da mangiare.
È la fine per me!” bisbigliò l’uccellino.
“No no!” urlò il girasole, “Aspetta un attimo!”
Il bel fiore scosse con vigore la sua grande corolla e una pioggia di semi scese sul passero.

“Mangiali, amico mio!

Ti daranno nuova forza!” disse il girasole.
Giorni dopo, il passero aveva ripreso vigore e, riconoscente, si voltò a guardare il girasole.
Ma fu ferito da una dolorosa sorpresa:
lo splendido fiore aveva perso i colori, le foglie penzolavano grigiastre e i petali erano terrei!
“Che cosa ti è successo bellissimo fiore?” pigolò.
“Il mio tempo è finito!” rispose il girasole.
“Ma me ne vado felice!
Per tanto tempo mi son chiesto quale crudele destino mi avesse fatto nascere in una discarica.

Ora ho capito:

sono stato un dono per te e ti ho ridato la vita!
Come tu sei stato un dono per me perché mi hai sempre incoraggiato.
Mangia tutti i semi che vuoi ma lasciane qualcuno!
Un giorno germoglieranno e, chissà, forse qui sorgerà una splendida aiuola!”

Brano senza Autore

L’annuncio del passero

L’annuncio del passero

La notte in cui Dio inviò l’Arcangelo Gabriele a Maria, un passero si trovava per caso lì, sul davanzale di una finestra.
Impaurito dall’apparizione, stava per fuggire.
Ma non appena udì l’arcangelo annunciare a Maria che essa avrebbe dato presto alla luce il figlio di Dio, il suo piccolo cuore cominciò a battere forte per l’emozione.
E rimase fermo come un sasso fin quando l’arcangelo non fu volato via.
“Ho davvero capito bene?
Da Maria nascerà proprio il figlio di Dio?” si chiese l’uccellino.
Provava una grande felicità.
“Sono stato fortunato a sentire tutto.” pensò, “Devo andare subito a riferire il meraviglioso annuncio agli uomini affinché si preparino ad accogliere e a festeggiare il Bambino.
Così partì in volo sul villaggio di Nazaret e si diresse al mercato.
Lì vi erano donne che vendevano grano, farina e pane.
“Ho un segreto, uno straordinario segreto da rivelarvi!” cinguettò il passero saltellando sulle zampette, impaziente di raccontare.

Ma una di loro gli gridò arrabbiata:

“Voi passeri fate sempre i furbi per rubarmi il grano!
Vattene via di qui, impertinente!”
E lo minacciò con una scopa, senza ascoltare ciò che le voleva dire.
Il passero volò allora fino alla piazza.
Riuniti sotto un albero, i saggi del villaggio stavano discutendo animatamente.
“Loro sì, mi ascolteranno di certo!” pensò, per farsi coraggio.
“Si sta preparando qualcosa di grandioso per le creature della terra!” cinguettò, posandosi su un ramo proprio sopra di loro.
I saggi alzarono per un attimo lo sguardo verso di lui, poi ripresero i loro discorsi.
Neanche si accorsero che l’uccellino, per nulla intimorito da un gatto, continuava a saltare di ramo in ramo tentando disperatamente di attirare la loro attenzione.
Scuotendo la testolina per la delusione, il passero proseguì fino alla capitale e puntò diritto verso il palazzo del Re.
“Come osi oltrepassare le mura della reggia?” gridò una guardia.
“Vengo per darvi una notizia importante!” cinguettò il passero, “Sta per nascere il figlio di Dio, il signore dei cieli e della terra!”
“Se non taci immediatamente, ti faccio rinchiudere in una gabbia!” tuonò il capitano, “È il nostro Re il signore di tutto e di tutti!”

Ma il passero riuscì a sfuggire alle guardie.

Entrò per una finestra nel palazzo, e si diresse verso la sala del trono.
“Cacciate via quell’uccello maleducato!” urlò il Re furente, senza ascoltare un bel niente di quanto il passero cercava di dirgli.
Guardie e servitori inseguirono il passero per catturarlo.
Questo, impaurito, tentò di uscire dal palazzo, ma nel frattempo la finestra era stata chiusa!
“Prendetelo! Afferratelo!” gridavano le guardie e i servitori, correndo attraverso le stanze dove l’uccellino cercava invano di nascondersi.
Per fortuna, proprio nell’ultima stanza, il passero trovò una feritoia aperta, e in un baleno riguadagnò la libertà.
“Salvo!
Finalmente sono salvo!” esclamò l’uccellino librandosi alto nel cielo.
Da lassù scorse, vicino a un villaggio, dei bambini che giocavano allegri in mezzo alla neve.
“I bambini sì, loro mi daranno retta!” pensò, avvicinandosi velocemente.
Infatti, si era appena posato sulla neve, che tutti i bambini si erano già raccolti in cerchio attorno a lui.
“Com’è carino questo passerotto!” dissero, “Che cosa sarà venuto a fare?

Forse vuole giocare con noi…”

“Oh no!
Sono qui per svelarvi un bellissimo segreto!” cinguettò l’uccellino, piegando un po’ dilato la testolina, “Nascerà tra poco sulla terra, proprio qui tra noi, un altro bambino, il figlio di Dio!”
“Ascoltate quanti cip cip… cip cip…” notò un bambino, “Sembra proprio che voglia dirci qualcosa…”
“Io dico che ha fame!” esclamò una bambina, e gli diede delle briciole di torta.
Ma il passero non pensava davvero al cibo.
Era lì per qualcosa di ben più importante.
Per richiamare meglio la loro attenzione, batté eccitato le ali e ripeté da capo tutto, cinguettando nel modo più chiaro possibile.
“Come vorremmo capirti!” disse un bambino all’uccellino, accarezzandolo.
Il passero fu certo che i bambini, purtroppo, non potevano comprenderlo.
Al passero dispiaceva molto di non poter comunicare a nessuno il grande segreto.
“Quale sfortuna che gli uomini non sappiano ciò che sta per accadere!” pensava, “Gli adulti fanno i sordi e mi cacciano via, e i bambini, tanto gentili, non riescono a capirmi…”
“Se non posso raccontare nulla agli uomini, non vi sarà nessuno ad accogliere Giuseppe e Maria al loro arrivo a Betlemme.” si preoccupava l’uccellino, “E nessuno, proprio nessuno sarà davanti alla stalla nella notte santa per far compagnia al figlio di Dio!

Debbo fare a ogni costo qualcosa!” decise.

Allora chiamò gli altri passeri e raccontò loro ciò che aveva udito nella casetta di Maria.
I passeri si rallegrarono subito quanto lui.
“Se gli uomini non vogliono capire quale Bambino sta per nascere, noi lo faremo sapere almeno agli altri uccelli!” decisero.
In men che non si dica, volarono in ogni direzione e diffusero ovunque la notizia.
Allodole e fringuelli, cinciallegre e pettirossi, usignoli e merli, proprio tutti seppero del grande evento.
Nel mondo degli uccelli cominciò a regnare l’impazienza.
Ovunque fervevano preparativi.
Tutti provavano i loro più bei canti attendendo la nascita del figlio di Dio.
Quando Gesù nacque e fu deposto nella greppia, i primi a vederlo furono l’asinello che aveva portato Giuseppe e Maria a Betlemme, il bue che abitava nella stalla, e stormi di allodole, fringuelli, cinciallegre, pettirossi, usignoli e merli venuti da ogni parte.
Dal tetto della stalla i passeri vegliavano su Gesù bambino, mentre gli altri uccelli cantavano gioiosamente tutt’attorno.
Poi arrivarono i primi pastori, che avevano finalmente udito l’annuncio dagli angeli discesi dal cielo.
Davanti a Gesù, si meravigliarono di trovare tutti quegli uccelli in festa.

Si guardarono l’un l’altro.

“Cantiamo anche noi!” dissero, e fecero un coro solo con allodole e fringuelli, cinciallegre e pettirossi, usignoli e merli, suonando pure dolcemente i loro flauti e le zampogne.
Quando gli altri uomini li udirono di lontano e capirono che era nato il figlio di Dio, pure loro si rallegrarono e cominciarono a cantare.
Così in ogni luogo della terra fu festa per il sacro evento.
Potete immaginare la felicità del nostro passero!
Per merito suo, Gesù, nascendo, aveva trovato tante e tante creature e tanti canti di felicità attorno a sé.
E ancor oggi, nella notte santa, davanti al Presepio o all’albero di Natale, bambini e grandi riempiono di canti le loro case.

Brano di Bruno Ferrero

Il semaforo blu

Il semaforo blu

Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza.
Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi:

“Attraversiamo o non attraversiamo?

Stiamo fermi?”
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu così blu, che nel cielo di Milano non si era mai visto.
In attesa di capirci qualcosa, gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire il tubo di scarico delle proprie moto ed i pedoni più grassi gridavano:
“Lei non sa chi sono io!”

Gli spiritosi lanciavano frizzi:

“Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.
Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai giardini.
Col giallo sapete che ci fanno?
Allungano l’olio d’oliva.”
Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico.
Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:

“Poveretti!

Io avevo dato il segnale di “via libera” per il cielo.
Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare.
Ma forse gli è mancato il coraggio!”

Favola tratta dal libro “Leggo una storia con il Maestro Gianni. Il Semaforo Blu.” di Gianni Rodari