Il bambino e la cameriera

Il bambino e la cameriera

La famiglia si accomodò ad un tavolo del ristorante.
La cameriera raccolse prima le ordinazioni degli adulti e poi si rivolse al piccolo di sette anni.

“Tu che cosa prendi?” gli domandò.

Il bambino si guardò intorno timidamente e disse:
“Vorrei un panino con la salsiccia.”
La cameriera non aveva ancora iniziato a scrivere, quando la madre del piccolo la fermò.

“Macché panino,” disse,

“gli porti una bistecca con carote e purè di patate!”
La cameriera non le fece caso e chiese al bambino:
“Come lo vuoi il panino, col ketchup o con la senape?”
“Ketchup, grazie.” rispose il bambino.
“Arrivo fra un minuto.” disse la cameriera, mentre ritornava in cucina.

A tavola erano tutti ammutoliti per lo stupore.

Alla fine il bambino fissò i presenti a uno a uno ed esclamò:
“Ehi! Lei crede che io esisto davvero!”

Brano senza Autore

La leggenda dell’Arcobaleno (La leggenda dei colori)

La leggenda dell’Arcobaleno
(La leggenda dei colori)

Un giorno i colori decisero di riunirsi per stabilire chi tra loro fosse il più importante.
Il verde si propose subito come meritevole di ricevere il primato, dicendo:
“Guardatevi intorno, contemplate la natura, osservate le colline, le foreste e le montagne e vi renderete conto come, senza di me, non esista vita.
Io sono il colore dell’erba, degli alberi, delle praterie sconfinate.
Io rappresento la primavera e la speranza.”

Il blu si fece avanti commentando:

“Tu sei troppo occupato a guardare la terra, sei troppo preso dalla realtà che ti circonda.
Alza un po’ gli occhi verso il cielo, contempla la vastità e la profondità dei mari e lì scoprirai la mia presenza.
Io sono il colore della profondità, che abbraccia l’universo.
Io rappresento la pace e la serenità.”
Non appena il blu ebbe finito il suo commento, intervenne il giallo:
“Ma voi siete colori troppo seri!
Il mondo ha bisogno di luce e di gioia.
Io sono il colore che porta il sorriso nel mondo.
Del mio colore si vestono il frumento e i girasoli, le stelle della notte e il sole che illumina ogni cosa.

Io rappresento l’energia e la gioia.”

Timidamente si fece avanti l’arancione dicendo:
“Io sono il colore che annuncia il giorno e poi lascio tracce della mia presenza all’orizzonte, all’ora del tramonto.
Del mio colore si vestono le carote, i mango ed i papaya perché, dove sono presente, assicuro vitamine e una vita sana.
Io rappresento il calore e la salute.”
Il rosso, a voce alta, non diede il tempo di terminare all’arancione, e sicuro di se disse:
“Ma voi, state ancora discutendo su chi sia il più importante?

Ma non vi accorgete che io rappresento la vita?

Sono il colore del sangue, della passione, dei martiri e degli eroi.
Di me si vestono i papaveri ed i gelsomini; dove sono presente sono il centro dell’attenzione perché rappresento l’intensità e l’amore!”
Mentre il rosso stava ancora difendendo il suo caso, solenne e regale avanzò il viola:
“Io non ho bisogno di parlare, di propormi o di difendermi.
Il mondo mi conosce e quando passo si inchina.
Io rappresento la regalità:
del mio colore si vestono i re, i principi e gli uomini di chiesa.
Io rappresento l’autorità, ciò che è sacro e misterioso!”
Si presentarono altri colori, ognuno con le proprie ragioni, e si accese un animato dibattito riguardo a chi spettasse il primato.
All’improvviso si udì un tuono seguito da diversi fulmini e da una pioggia scrosciante.
I colori intimoriti fuggirono, si aggrapparono l’uno all’altro e, improvvisamente, sentirono la voce della pioggia:

“Quanto siete sciocchi!

Perché vi preoccupate di chi tra voi è il più importante?
Non vi accorgete che Dio vi ha creati diversi perché ciascuno possa onorarlo attraverso la propria specificità e bellezza?
Orsù, venite con me!”
Detto questo, prese i colori e si diresse verso l’orizzonte e con un ampio gesto tracciò un arcobaleno nel cielo, dicendo:
“Il vostro scopo non è di primeggiare, ma di armonizzare i vostri colori formando arcobaleni!”

Brano tratto dal libro “Sii un girasole accanto ai salici piangenti.” di Arnaldo Pangrazzi. Edizione Camilliane.

La festa di Dio

La festa di Dio

Il settimo giorno, terminata la Creazione, Dio dichiarò che era la sua festa.
Tutte le creature, nuove di zecca, si diedero da fare per regalare a Dio la cosa più bella che potessero trovare.
Gli scoiattoli portarono noci e nocciole; i conigli carote e radici dolci; le pecore lana soffice e calda; le mucche latte schiumoso e ricco di panna.

Miliardi di angeli si disposero in cerchio, cantando una serenata celestiale.

L’uomo aspettava il suo turno, ed era preoccupato:
“Che cosa posso donare io?
I fiori hanno il profumo, le api il miele, perfino gli elefanti si sono offerti di fare la doccia a Dio con le loro proboscidi per rinfrescarlo!”
L’uomo si era messo in fondo alla fila e continuava a scervellarsi.

Tutte le creature sfilavano davanti a Dio e depositavano i loro regali.

Quando rimasero solo più alcune creature davanti a lui, la chiocciola, la tartaruga e il bradipo poltrone, l’uomo fu preso dal panico.
Arrivò il suo turno.
Allora l’uomo fece ciò che nessun animale aveva osato fare.

Corse verso Dio e saltò sulle sue ginocchia, lo abbracciò e gli disse:

“Ti voglio bene!”
Il volto di Dio si illuminò, tutta la creazione capì che l’uomo aveva fatto a Dio il dono più bello ed esplose in un alleluia cosmico.

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La minestra di sassi


La minestra di sassi

Un giorno, nella piazza di un paese si presentò uno sconosciuto che allo scoccare del mezzogiorno accese un fuoco sotto un paiolo quasi pieno d’acqua e versò dentro due grossi sassi ben levigati che aveva in un sacco; dopo si mise a sedere vicino al fuoco in attesa che l’acqua bollisse.
Inutile dire che uno alla volta, i curiosi cominciarono a radunarsi intorno a lui ed a fare domande:
“Cosa stai cucinando?” esclamò il primo!
“La minestra di sassi!” rispose lo sconosciuto.

“Ed è buona?” chiese il curioso.

“Eccome!” disse lo sconosciuto, “Certo, con un paio di cipolle sarebbe ancora più gustosa.”
“Io un paio di cipolle le ho, vado a prenderle a casa e le porto subito!” ed il primo curioso si allontanò e dopo un po’ tornò con le cipolle.
Ora erano in due seduti vicino al fuoco ad aspettare che l’acqua bollisse.
Dopo un po’ si fece avanti un secondo curioso e chiese anche lui allo sconosciuto:

“Cosa stai cucinando?”

“La minestra di sassi!” fu la risposta.
“Ed è buona?”
“Certo! Però se ci fosse anche un bell’osso di prosciutto sarebbe ancora più gustosa.”
“Io un osso di prosciutto a casa ce l’ho, vado a prenderlo e torno.”
E così, man mano che i curiosi si avvicinavano,

lo sconosciuto parlava della sua gustosa minestra di sassi.

Certo, con l’aggiunta di un po’ di patate, di carote, sedano, cavolo, etc. sarebbe stata più completa.
Insomma, dopo un po’, i curiosi che avevano collaborato erano tutti seduti intorno al fuoco aspettando che la minestra cuocesse.
Inutile dire che quando ognuno ne riempì un ciotola, riconobbe che la minestra di sassi era veramente squisita.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Carote, uova o caffè?


Carote, uova o caffè?

Una figlia si lamentava con suo padre circa la sua vita e di come le cose le risultavano tanto difficili.
Non sapeva come fare per proseguire e credeva di darsi per vinta.
Era stanca di lottare.
Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro.
Suo padre, uno chef di cucina, la portò al suo posto di lavoro.
Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco.
Quando l’acqua delle tre pentole stava bollendo, in una collocò carote, in un’altra collocò uova e nell’ultima collocò grani di caffè.

Lasciò bollire l’acqua senza dire parola.

La figlia aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre.
Dopo venti minuti egli spense il fuoco.
Tirò fuori le carote e le collocò in una scodella.
Tirò fuori le uova e le collocò in un altro piatto.
Finalmente, colò il caffè e lo mise in un terzo recipiente.
Guardando sua figlia, le chiese:

“Cara figlia mia, carote, uova o caffè?”

La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote: ella lo fece e notò che erano soffici.
Le chiese quindi di prendere un uovo e di romperlo:
mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l’uovo sodo.
Poi le chiese che provasse il caffè, ed ella sorrise mentre godeva del suo ricco aroma.
Umilmente la figlia domandò:

“Cosa significa questo, padre?”

Egli le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, l’acqua bollente, ma avevano reagito in maniera differente.
La carota arrivò all’acqua forte, dura, superba; ma dopo avere passato per l’acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare.
L’uovo era arrivato all’acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito.
Invece, i grani di caffè, erano unici: dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l’acqua.

“Quale sei tu, figlia?” le chiese.

“Quando l’avversità suona alla tua porta, come rispondi?
Sei una carota che sembra forte, ma quando l’avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza?
Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito, ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una pietra durante il tragitto diventa duro e rigido?
Esternamente ti vedi uguale, ma sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito?

O sei come un grano di caffè?

Il caffè cambia l’acqua, l’elemento che gli causa dolore.
Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione, il caffè raggiunge il suo miglior sapore.
Se sei come il grano di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai si che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che illumina la tua strada davanti all’avversità e quella della gente che ti circonda.
Per questo motivo non mancare mai di diffondere con la tua forza e positività il dolce aroma del caffè!”

Brano senza Autore, tratto dal Web