Tonto Zuccone, al mercato

Tonto Zuccone, al mercato
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Le stufe

Il cappello

Leggere al contrario

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“Le stufe”

 

Tonto Zuccone, ormai giovanotto, come già narrato, non brillava certo di intelligenza.
Un giorno fu mandato dagli anziani genitori a fare una commissione facile:
comperare in paese una moderna stufa a legna per sostituire il vecchio focolare, per avere sempre l’acqua calda e per non essere più invasi dal fumo dentro casa.
Tonto tornò a casa sopra il carretto, trainato dal suo inseparabile asino, con due stufe nuove.
Alla richiesta di spiegazione dei genitori, entusiasta rispose:
“Il venditore mi ha rassicurato, anche per iscritto, che con questo tipo di stufa economica, rispetto al focolare, si risparmia metà legna ed io ho pensato che prendendone due la risparmiamo tutta!”

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“Il cappello”

 

Tonto Zuccone andò al mercato per comprarsi un capello nuovo.
Si soffermò presso una bancherella che ne aveva un’ampia gamma esposta, adocchiandone alcuni adatti alla sua tozza persona.
Il commerciante, notandolo interessato, gli disse:
“Se vuoi puoi provarli senza timore, abbiamo anche lo specchio gratis.”
“Certamente,” rispose Tonto, “mi sono portato per questo la testa.”
Ne scelse uno e chiese al commerciante quanto costasse, e questo gli rispose:
“Scontato per te, dodici euro!
Domani che non ci sono, undici!”
Tonto, per far notare che sapesse trattare e che conoscesse un po’ di matematica, replicò:
“No, no!
Tre per cinque fa quindici euro ed io questi ti do, o l’affare non lo si fa!”
Il commerciante sbalordito replicò:
“Per venirti incontro, e per una eccezione, accetto ciò che mi proponi.”
Tonto anche questa volta non smentì il nome che portava e la sua fama crebbe, sempre di più, nel circondario!

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“Leggere al contrario”

 

Qualche giorno dopo, Tonto Zuccone ritornò al mercato e come tanti altri accettò un volantino pubblicitario.
Subito dopo incrociò per caso un conoscente che, vedendolo intento ed assorto ad esaminarlo, gli fece notare che lo teneva al contrario.
Pertanto era inutile che lo conservasse poiché, non essendo andato a scuola, non lo poteva leggere.
Tonto, per niente sorpreso, replicò che in tanti sono capaci di leggere per il verso giusto e che lui, sicuramente, non si sarebbe scoraggiato a leggerlo al contrario.
Aggiunse che esiste la fortuna del principiante, pensando che il foglio scritto, sia sul fronte che sul retro, fosse come le monete, le quali hanno testa e croce dello stesso valore.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!

Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!

Camminavo con mio padre, quando all’improvviso si arrestò ad una curva e dopo un breve silenzio mi domandò:
“Oltre al canto dei passeri, senti qualcos’altro?”

Aguzzai le orecchie e dopo alcuni secondi gli risposi:

“Il rumore di un carretto.”
“Giusto!” mi disse, “È un carretto vuoto.”
Io gli domandai:
“Come fai a sapere che si tratta di un carretto vuoto se non lo hai ancora visto?”.

Mi rispose:

“È facile capire quando un carretto è vuoto, dal momento che quanto più è vuoto, tanto più fa rumore.”

Divenni adulto e anche oggi quando vedo una persona che parla troppo, interrompe la conversazione degli altri, è invadente, si vanta delle doti che pensa di avere, è prepotente e pensa di poter fare a meno degli altri,

ho l’impressione di ascoltare la voce di mio padre che dice:

“Quanto più il carretto è vuoto, tanto più fa rumore!”

Brano di Bruno Ferrero

Tutto è puro per i puri

Tutto è puro per i puri

Narra la leggenda che, tanto tempo fa, quelli da Tomo da Feltre erano in troppi per la loro piccola chiesetta.
Per questo non tutti riuscivano ad assistere alle funzioni.
Dopo diverse discussioni, decisero di entrare nella Chiesa e spingere sulle pareti, per provare ad allargarla.

Dopo essersi levati le giacche,

le appoggiarono per terra lungo il muro della chiesa.
Spingi che ti spingi, stremati e grondanti sudore, andarono fuori a vedere se fossero riusciti a raggiungere il risultato sperato.
Rientrarono per continuare a spingere, e poco dopo, all’esterno della Chiesa sopraggiunse uno stracciaiolo che, vedendo le giacche abbandonate,

le caricò sul carretto.

Usciti, non vedendo più le giacche, esultarono di gioia dicendo:
“La chiesa si è allargata; e la prova è che le nostre giacche sono andate sotto il muro!”
Si fece una grande festa e gli abitanti di Tomo, dal cuore puro, non pensarono neanche per un istante che qualcuno avesse potuto sottrarre loro le giacche.

È stato scritto anche per loro:

“Omnia munda mundis.” che tradotto dal latino vuol dire:
“Tutto è puro per i puri.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La strada che non andava da nessuna parte


La strada che non andava da nessuna parte

All’uscita del paese si dividevano tre strade:
una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.
Martino lo sapeva perché lo aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva ricevuto la stessa risposta:
“Quella strada lì?
Non va in nessun posto.
E’ inutile camminarci!”
“E fin dove arriva?” chiedeva.
“Non arriva da nessuna parte!” gli rispondevano
“Ma allora perché l’hanno fatta?” ribadiva.

“Non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì!” replicavano.

“Ma nessuno è mai andato a vedere?” insisteva il ragazzo.
“Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c’è niente da vedere…” concludevano.
“Non potete saperlo se non ci siete mai stati!” diceva Martino.
Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.
Quando fu abbastanza grande, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti.
Il fondo era pieno di buche e di erbacce e ben presto cominciarono i boschi.
Cammina cammina la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.

Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani,

poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.
Finalmente il bosco cominciò a diradarsi e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro.
Attraverso le sbarre Martino vide un castello e a un balcone una bellissima signora che salutava con la mano.
Spinse il cancello, attraversò il parco e sulla porta trovò la bellissima signora.
Era bella, vestita come una principessa e in più era allegra e rideva:
“Allora non ci hai creduto!”
“A che cosa?” chiese stupito Martino.
“Alla storia della strada che non andava da nessuna parte!” replicò la signora.
“Era troppo stupida e secondo me ci sono più posti che strade!” rispose Martino.
“Certo, basta aver voglia di muoversi.
Ora vieni ti farò vedere il castello!” disse la bellissima signora.
C’erano più di cento saloni zeppi di tesori.
C’erano diamanti, pietre preziose, oro, argento e ad ogni momento la bella signora diceva:

“Prendi, prendi quello che vuoi…

Ti presterò un carretto per portare il peso!”
Martino non si fece pregare e ripartì col carretto pieno.
In paese, dove l’avevano già dato per morto, Martino fu accolto con grande sorpresa.
Scaricato il tesoro il carro ripartì.
Martino fece tanti regali a tutti e dovette raccontare cento volte la sua storia.
Ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere cavallo e carretto e si precipitava giù per la strada che non andava da nessuna parte.
Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro, con la faccia lunga per il dispetto:
la strada per loro finiva in mezzo al bosco in un mare di spine.
Non c’era né cancello, né castello, né bella signora.
Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova.

Brano di Gianni Rodari

Il boscaiolo e la principessa


Il boscaiolo e la principessa

C’era una volta un giovane boscaiolo che, un giorno, andò in città al castello del Re, per vendere un po’ di legna.
Caricò quindi il carretto, con fascine e tocchi di legna da ardere, e partì.
Lungo il tragitto si fermò sulla riva di un fiume per far bere un sorso d’acqua al cavallo; d’un tratto si accorse che in mezzo alle canne, che crescevano sulla sponda, c’erano tre pesciolini che boccheggiavano:
erano rimasti incastrati e non riuscivano più a nuotare.
Il boscaiolo, che voleva molto bene agli animali, prese allora una ciotola dal suo zaino e con molta delicatezza vi fece scivolare dentro uno alla volta i pesciolini e li liberò nel fiume:
“Ciao pesciolini!
Fate più attenzione la prossima volta!”
Poco dopo salì sul suo carretto e si rimise in cammino.
Era una bella giornata soleggiata e il boscaiolo era di ottimo umore.
Mancava ancora un’ora all’arrivo e decise allora di fermarsi per mangiare un po’ di pane e del formaggio che aveva nel suo zaino.

Sul ciglio del sentiero c’era un grande masso sotto un albero.

Slegò il cavallo così che potesse mangiare l’erba che c’era lì intorno e lui si sedette sul masso.
Mangiò il suo panino con grande appetito, si rimise in piedi e si scrollò di dosso le briciole di pane.
Molte formichine si erano già raggruppate per recuperare le briciole e portarle nel loro formicaio.
Il boscaiolo si mise a osservarle incuriosito:
“Buon appetito formichine!” disse sorridendo.
Seguì la carovana con lo sguardo e si accorse ben presto che si interrompeva vicino la ruota del carretto.
Si rese subito conto che aveva ostruito con la ruota l’ingresso del formicaio, creando panico tra le piccole operaie.
Dispiaciuto per l’accaduto, si adoperò subito per liberare l’ingresso del formicaio, spostando la ruota e liberando l’ingresso dalla terra che era caduta dentro.
Subito dopo riprese il viaggio.
Finalmente arrivò in città e si diresse verso il castello per vendere lì la sua legna.
Bussò alla porta riservata ai mercanti e aprì un servitore: “Chi è?”

“Sono il boscaiolo e sono qui per vendere la legna!”

Il servitore fece entrare il boscaiolo e il suo carretto e lo condusse nel cortile interno per scaricare la legna.
Lui vuotò il carretto e aspettò di venir pagato.
Si mise a girovagare per il cortile e si avvicinò all’albero che era al centro.
Sentiva un debole pigolio e incuriosito si mise a cercare da dove proveniva.
Poco sotto l’albero c’erano tre piccoli di gazza che erano caduti dal nido che si trovava su un ramo.
Pigolavano disperatamente: erano affamati e spaventati.
Il boscaiolo prese un pezzo di pane che aveva con se, lo sbriciolò e diede da mangiare le briciole agli uccellini.
Una volta sfamati, li prese e li rimise nel nido.
La principessa era affacciata alla finestra e da lì vide il giovane boscaiolo che nutriva gli uccellini e li salvava.
Piacevolmente colpita, decise di dover conoscere più da vicino il giovane del cortile.
Finse di essere una serva e andò nel cortile:
era emozionata perché da vicino il giovane boscaiolo era molto più carino.

“Buongiorno giovane, che fate qui?”

Il boscaiolo si voltò e vide una bellissima ragazza con lunghi capelli, occhi grandi e sorridenti e una bocca color di ciliegia.
Si innamorò di lei a prima vista e rispose balbettando:
“Sono un boscaiolo e sono venuto a portare la legna.”
“Ho visto che avete salvato la vita a quei poveri uccellini.”
Il boscaiolo rispose umilmente:
“Chiunque lo avrebbe fatto al mio posto, chi non si adopererebbe per aiutare dei poveri uccellini indifesi?”
In quel momento arrivò il servitore per pagare il boscaiolo ed esclamò:
“Principessa!
Cosa fate qui in cortile così abbigliata?
Ah, se lo venisse a sapere vostro padre!”
La principessa pregò il servitore di mantenere il segreto e si ritirò nelle sue stanze, non prima di aver salutato il boscaiolo.
Mentre rientrava in camera la principessa si rese conto di essersi innamorata del boscaiolo a prima vista:
era, sì, di umili origini,

ma da come si era comportato con gli uccellini si capiva che aveva un animo nobile.

Sapeva però che era un amore impossibile perché il re, suo padre, non avrebbe mai acconsentito ad un matrimonio con un uomo che non fosse un principe.
Soffriva così tanto per questo amore impossibile che si ammalò e nessun medico di quelli a corte riuscì a lenire il suo dolore, perché non ci sono medicine che possono guarire un cuore innamorato.
I medici dissero al re che, il malore della principessa, veniva dal profondo del cuore, solo lei poteva decidere di guarire.
Mentre tornava nella sua casa, il boscaiolo non poteva non pensare alla dolce principessa, al suono melodioso della sua voce:
peccato che fossero riusciti a scambiarsi così poche parole!
Passava intere giornate a chiedersi come fare per poter conquistare il suo cuore, ignorando che i suoi sentimenti fossero ricambiati.
Intanto le condizioni della principessa si aggravarono e il padre, disperato, si recò nella stanza della principessa e le disse:
“Figlia mia, cosa posso fare per aiutarti?
Farò tutto ciò che vuoi e che è in mio potere per poter far guarire il tuo cuore.”
Con un filo di voce la principessa disse:
“Il mio cuore appartiene al boscaiolo.
Se non potrò vivere con lui, io morirò.”
“Figlia mia, non puoi sposare un semplice boscaiolo, tu sei la figlia del re!” esclamò il re.
“Non posso vivere senza il mio amore!” disse la principessa con un filo di voce.

Il re sospirò e lasciò la stanza.

Era combattuto, non poteva vedere la figlia morire ed allo stesso tempo non poteva tollerare l’idea di dare la sua unica figlia in sposa a un semplice boscaiolo.
Alla fine decise di dare al boscaiolo una possibilità:
se avesse superato tre prove alle quali lo avrebbe sottoposto, avrebbe potuto avere in sposa la principessa.
Il boscaiolo venne fatto chiamare al cospetto del Re che gli offrì la mano della principessa, a condizione che lui se ne mostrasse degno.
L’araldo poi illustrò le prove che avrebbe dovuto superare.
La prima prova consisteva nel recuperare un anello che era stato gettato in un punto imprecisato del fiume.
Il boscaiolo aveva un solo giorno per provare a trovare l’anello:
se avesse fallito, avrebbe dovuto dire addio alla sua amata.
Il boscaiolo era deciso a riuscire nell’impresa perché amava tanto la sua principessa, ma era disperato perché non sapeva nuotare.
Era seduto sulla riva del fiume tenendosi la testa tra le mani quando scorse nell’acqua tre pesciolini:
erano i pesciolini ai quali aveva salvato la vita il giorno che andò in città.
Uno di loro aveva in bocca un piccolo oggetto luccicante:
era l’anello!
I pesciolini lo stavano ringraziando per averli aiutati!

Il boscaiolo era commosso e stupito.

Recuperò l’anello dalla bocca del pesciolino e corse al castello per consegnarlo al re.
La prima prova era stata superata.
La principessa era stata informata di quello che stava accadendo dalla sua fida ancella e, quando seppe che la prima prova era stata superata, cominciò a stare un po’ meglio.
Il giorno dopo fu il momento della seconda prova:
il boscaiolo venne condotto nel cortile del castello, quel cortile che vide nascere l’amore tra lui e la principessa.
Su un lato del cortile c’erano dieci sacchi di grano e dieci servitori.
Ad un cenno del re, i servitori rovesciarono i dieci sacchi di grano per tutto il cortile e l’Araldo spiegò che il boscaiolo avrebbe dovuto raccogliere tutti i chicchi di grano:
aveva tempo fino all’alba del giorno dopo.
I chicchi erano ovunque nel cortile, tra la ghiaia, i fili d’erba, nascosti nei più piccoli anfratti.
L’entusiasmo che aveva per il superamento della prima prova pian piano svanì lasciando nuovamente posto allo sconforto.
Per quanto velocemente raccogliesse il grano, difficilmente sarebbe riuscito a portare a termine la prova entro i tempi stabiliti.
Era oramai calato il sole, al castello dormivano tutti e il boscaiolo era ancora in alto mare, quando, da sotto la porta, vide una processione di formiche:

erano tantissime!

Erano le formiche del formicaio che aveva salvato dalla distruzione ed erano lì a ringraziarlo per aver salvato la loro vita!
Le formichine iniziarono a raccogliere i chicchi di grano e a riporli nei sacchi; grazie al loro olfatto riuscivano a scovare anche i chicchi di grano che erano nascosti nei posti dove il boscaiolo mai avrebbe potuto trovarli.
Prima dell’alba ogni singolo chicco di grano era stato recuperato e anche la seconda prova era stata superata.
E la principessa migliorò ancora un po’.
Era giunto il momento della terza e ultima prova.
Se il boscaiolo l’avesse superata, finalmente i due innamorati avrebbero potuto coronare il loro sogno d’amore.
L’araldo iniziò a spiegare l’ultima prova.
Il boscaiolo avrebbe dovuto portare al Re una delle mele d’oro che crescevano sull’albero magico che si trovava in cima alla montagna incantata.
Tutti sapevano che coloro che erano partiti per la montagna incantata non avevano fatto ritorno e lo sapeva anche il boscaiolo.
Si incamminò verso la montagna incantata e, arrivato quasi a metà strada, vide arrivare in volo tre uccelli.

Erano le gazze che aveva salvato e che ora erano cresciute.

Avevano udito della prova che doveva superare e avevano deciso di ringraziare il giovane boscaiolo andando a prendere la mela d’oro.
Infatti una di loro aveva, stretta nel becco, la mela preziosa e la diede al giovane che non poteva credere ai suoi occhi.
Prese la mela e corse verso il castello per consegnare la mela al Re e per poter finalmente abbracciare la sua amata.
La principessa guarì e finalmente i due innamorati poterono sposarsi con la benedizione del Re.

Brano senza Autore, tratto dal Web