Un cerchio nell’acqua

Un cerchio nell’acqua

Il piccolo stagno sonnecchiava perfettamente immobile nella calura estiva.
Pigramente seduto su una foglia di ninfea, un ranocchio teneva d’occhio un insetto dalle lunghe zampe che stava spensieratamente pattinando sull’acqua:
presto sarebbe stato a tiro e il ranocchio ne avrebbe fatto un solo boccone, senza tanta fatica.
Poco più in là, un altro minuscolo insetto acquatico, un ditisco,

guardava in modo struggente una graziosa ditisca:

non aveva il coraggio di dichiararle il suo amore e si accontentava di ammirarla da lontano.
Sulla riva a pochi millimetri dall’acqua un fiore piccolissimo, quasi invisibile, stava morendo di sete.
Proprio non riusciva a raggiungere l’acqua, che pure era così vicina.
Le sue radici si erano esaurite nello sforzo.
Un moscerino invece stava annegando.

Era finito in acqua per distrazione.

Ora le sue piccole ali erano appesantite e non riusciva a risollevarsi e l’acqua lo stava inghiottendo.
Un pruno selvatico allungava i suoi rami sullo stagno.
Sulla estremità del ramo più lungo, che si spingeva quasi al centro dello stagno, una bacca scura e grinzosa, giunta a piena maturazione, si staccò e piombò nello stagno.
Si udì un “pluf!” sordo, quasi indistinto, nel gran ronzio degli insetti.
Ma dal punto in cui la bacca era caduta in acqua, solenne e imperioso, come un fiore che sboccia, si allargò il primo cerchio nell’acqua.
Lo seguì il secondo, il terzo, il quarto…
L’insetto dalle lunghe zampe fu carpito dalla piccola onda e messo fuori portata dalla lingua del ranocchio.

Il ditisco fu spinto verso la ditisca e la urtò:

si chiesero scusa e si innamorarono.
Il primo cerchio sciabordò sulla riva e un fiotto d’acqua scura raggiunse il piccolo fiore che riprese a vivere.
Il secondo cerchio sollevò il moscerino e lo depositò su un filo d’erba della riva, dove le sue ali poterono asciugare.
Quante vite cambiate per qualche insignificante cerchio nell’acqua.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il sogno, la croce ed il burrone

Il sogno, la croce ed il burrone

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva:
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce?
Possibile che non esista un mezzo per evitarla?
Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle.
Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga:
per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno!” si disse.
Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero.
E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone:

una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna.”
Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità.
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura:
congiungevano esattamente i due margini del precipizio.

Passavano tutti.

Ma non lui.
Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi:
“Ah, se l’avessi saputo…”
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.

I mille ducati

I mille ducati

Il giorno delle nozze, un principe fece il suo ingresso nella capitale del suo regno accanto alla sposa novella.
I due sposi avanzavano in una splendida carrozza, mentre ai lati della strada due ali di folla applaudivano.
Ma, nella piazza davanti al castello, tutti ammutolirono.
Su un alto patibolo, un malfattore stava per essere impiccato.
Il condannato aveva già infilato la testa nel cappio.

La principessa scoppiò in lacrime.

Il principe chiese al giudice se era possibile annullare l’esecuzione, come dono di nozze alla sua sposa.
La risposta fu un secco no.
“Ci sono dunque delitti che non possono trovare perdono?” chiese la principessa con un filo di voce.
Uno dei consiglieri del principe fece notare che, secondo un’antica consuetudine della città, qualsiasi condannato poteva riscattarsi pagando la somma di mille ducati.
Una somma enorme.
Dove si poteva trovare tanto denaro?
Il principe aprì la sua borsa, la svuotò e ne uscirono ottocento ducati.
La principessa, frugando nel suo elegante borsellino, ne trovò altri cinquanta.
“Non potrebbero bastare ottocentocinquanta ducati?” chiese.

“La legge ne vuole mille!” ribatterono.

La principessa scese e fece una colletta tra paggi, cavalieri e passanti.
Fece il conto finale: novecentonovantanove ducati.
E nessuno aveva più un ducato.
“Dunque per un ducato quest’uomo sarà impiccato?” esclamò la principessa.
“È la legge!” rispose impassibile il giudice e fece cenno al boia di cominciare l’esecuzione.
A quel punto la principessa gridò:
“Frugate nelle tasche del condannato, forse qualcosa ce l’ha anche lui!”
Il boia ubbidì e da una delle tasche del condannato saltò fuori un ducato d’oro.

Quello che mancava per salvargli la vita.

Nel cuore di ognuno c’è quanto basta a salvargli la vita.
La bontà, l’amore, la felicità in molti sono come stoppini spenti.
Basta un piccolo fiammifero per accenderli.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

Il Re, il mendicante e la mela

Il Re, il mendicante e la mela

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l’omaggio dei suoi sudditi.
Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po’.
In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela.

Poi, sempre in silenzio, si ritirava.

Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po’ infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte.
Il mendicante non si scoraggiava.
Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono.
Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono.

La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza.

E ormai straripava.
Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re.
Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla iridescente.
Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all’interno di ogni mela una perla.

Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò.

“Ti ho portato questi doni, sire,” rispose l’uomo, “per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze.
Questo regalo è il nuovo giorno che comincia!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua” di Bruno Ferrero

La differenza tra i due cavalli. (Umiltà)


La differenza tra i due cavalli. (Umiltà)

Un giorno un principe chiamò a corte un mercante di cavalli, che portò due magnifici destrieri e li offrì in vendita.
I due animali erano simili:
giovani, robusti e ben fatti, ma il mercante chiedeva per uno un prezzo doppio di quello dell’altro.

Il principe chiamò i suoi cortigiani e disse:

“Regalerò entrambi questi magnifici puledri a colui che mi saprà spiegare perché uno vale il doppio dell’altro.”
I cortigiani si fecero intorno ai due cavalli osservandoli ben bene, ma non scoprirono alcuna differenza fra i due animali che giustificasse un prezzo così diverso.
“Visto che non comprendete la differenza fra i due cavalli, sarà meglio provarli così potrete vedere più chiaramente perché hanno un valore tanto diverso l’uno dall’altro.”

Li fece montare da due fantini e li fece girare alcune volte intorno al cortile del palazzo.

Nemmeno dopo questa prova i cortigiani riuscirono a capire la differenza di valore fra i due cavalli e allora il principe spiegò:
“Avrete certamente notato che mentre correvano uno dei due non lasciava quasi traccia di polvere dietro di sé, mentre dietro all’altro la polvere si sollevava grossa come nuvole.
E’ per questo che il primo ha un valore doppio dell’altro, perché fa il suo dovere senza sollevare tanta polvere.”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

L’elemosina


L’elemosina

Un giorno di molto tempo fa, in Inghilterra, una donnetta infagottata in un vestito lacero percorreva le stradine di un villaggio, bussando alle porte delle case e chiedendo l’elemosina.
Molti le rivolgevano parole offensive, altri incitavano il cane a farla scappare.
Qualcuno le versò in grembo tozzi di pane ammuffito e patate marce.
Solo due vecchietti fecero entrare in casa la povera donna.

“Siediti un po’ e scaldati!” disse il vecchietto, mentre la moglie preparava una scodella di latte caldo e una grossa fetta di pane.

Mentre la donna mangiava, i due vecchietti le regalarono qualche parola e un po’ di conforto.
Il giorno dopo, in quel villaggio, si verificò un evento straordinario.
Un messo reale portò in tutte le case un cartoncino che invitava tutte le famiglie al castello del re.
L’invito provocò un gran trambusto nel villaggio, e nel pomeriggio tutte le famiglie, agghindate con gli abiti della festa, arrivarono al castello.
Furono introdotti in una imponente sala da pranzo e ad ognuno fu assegnato un posto.

Quando tutti furono seduti, i camerieri cominciarono a servire le portate.

Immediatamente si alzarono dei borbottii di disappunto e di collera.
I solerti camerieri infatti rovesciavano nei piatti bucce di patata, pietre, tozzi di pane ammuffito.
Solo nei piatti dei due vecchietti, seduti in un angolino, venivano deposti con garbo cibi raffinati e pietanze squisite.
Improvvisamente entrò nella sala la donnetta dai vestiti stracciati.
Tutti ammutolirono.
“Oggi,” disse la donna “avete trovato esattamente ciò che mi avete offerto ieri.”
Si tolse gli abiti malandati.
Sotto indossava un vestito dorato.
Era la Regina.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

Chi sono io?


Chi sono io?

“Chi sono io?” chiese un giorno un giovane ad un anziano.
“Sei quello che pensi!” rispose l’anziano,

“Te lo spiego con una piccola storia.”

Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto, si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
“Sono un papà e una mamma!” pensò una bambina innocente.
“Sono due amanti!” pensò un uomo dal cuore torbido.
“Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni!” pensò un uomo solo.

“Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare!” pensò un uomo avido di denaro.

“È un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra!” pensò una donna dall’anima tenera.
“Sono due innamorati!” pensò una ragazza che sognava l’Amore.
“Chissà perché si abbracciano!” pensò un uomo dal cuore asciutto.
“Che bello vedere due persone che si abbracciano!” pensò un uomo di Dio.

“Ogni pensiero rivela a te stesso quello che sei.

Esamina di frequente i tuoi pensieri:
ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro!” concluse l’anziano.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

Il cardellino e lo spaventapasseri


Il cardellino e lo spaventapasseri

Una volta un cardellino fu ferito a un’ala da un cacciatore.
Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra.
Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri.
Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari.
Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi.
“Che ti capita, cardellino?” chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
“Va male!” sospirò il cardellino, “Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio.
Per non parlare del cibo.
Penso che non rivedrò la primavera.”

“Non aver paura.
Rifugiati qui sotto la giacca.
La mia paglia è asciutta e calda!” rispose lo spaventapasseri.
Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri.
Restava il problema del cibo.
Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi.
Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino:
“Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais.”

“Ma tu resterai senza bocca!” replicò il cardellino.

“Sembrerò molto più saggio.” affermò lo spaventapasseri.
Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse.
E gli sorrideva con gli occhi di noce.
Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.
“Mangialo. E’ ricco di vitamine!” diceva lo spaventapasseri al cardellino.
Toccò poi alle noci che servivano da occhi.
“Mi basteranno i tuoi racconti!” diceva lui.
Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più.
Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.


Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

La ragione di Stato


La ragione di Stato

Il figlio di un re si innamorò, come succede nelle fiabe, della figlia del fornaio, che era povera ma bella.
E la sposò.
Per alcuni anni i due sposi vissero in piena armonia e felicità.
Ma, alla morte del padre, il principe salì sul trono.
I ministri e i consiglieri si affrettarono a fargli capire che per la salvezza del regno doveva ripudiare la moglie popolana e sposare invece la figlia del potente re confinante, assicurandosi con questo matrimonio pace e prosperità.
“Ripudiatela, sire, dopotutto è la figlia di un fornaio!” gli consigliarono i ministri, “La sicurezza del trono e dei vostri sudditi viene prima di tutto!”
Le insistenze dei ministri si fecero sempre più pressanti e alla fine il giovane re cedette.
“Ti devo ripudiare,” disse alla moglie, “domani tornerai da tuo padre.
Potrai portare via ciò che ti è più caro!”

Quella sera mangiarono insieme per l’ultima volta.
In silenzio.
La donna, apparentemente tranquilla, continuava a versare vino nel bicchiere del re.
Alla fine della cena, il re sprofondò in un sonno pesante.
La donna lo avvolse in una coperta e se lo caricò sulle spalle.
Il mattino dopo, il re si svegliò nella casa del fornaio.
“Ma, come?” si meravigliò.
La moglie gli sorrise:
“Hai detto che potevo portarmi via ciò che avevo di più caro.
Ebbene, ciò che ho di più caro sei tu.”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

Bruno Ferrero

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