La divisione dei fagioli

La divisione dei fagioli

Correva l’anno bisestile 1948.
Uno dei primi anni in cui l’Italia stava cercando di riprendersi dalla seconda guerra mondiale, con una difficile ricostruzione da cui ripartire, mentre il mondo stava per dividersi in due blocchi geopolitici, quello comunista e quello occidentale, che daranno inizio, nei successivi anni, alla guerra fredda ed alla costruzione del muro di Berlino.
La società veneta era in grande fermento, soprattutto quella contadina, aggravata dall’atavico assetto dell’istituzione patriarcale, che costringeva a vivere e lavorare, sotto lo stesso tetto, fratelli con prole allora numerosa.
A gestire, con le rigide regole di quell’epoca, era di norma il vecchio capofamiglia che, quando veniva a mancare,

rendeva la divisione per i figli quasi obbligatoria.

Erano le donne a proporre maggiormente i propri uomini per la gestione del nucleo famigliare e per la divisione dei beni, sperando di ottenere più autonomia e libertà.
La parola più gettonata era democrazia.
Non sempre la divisione avveniva in un clima sereno.
Risultava sempre difficile ottenere la parte migliore dal poco che si aveva e, nel tirare la coperta troppo corta, qualcuno rimaneva sempre scoperto.
In questo contesto, a Levada, due fratelli decisero di procedere alla spartizione dell’eredità, assoldando un mediatore per dividere casa, terra e bestiame.
Per le cose restanti decisero di fare da soli, per cercare di risparmiare.

Sorsero, però, subito dei problemi.

L’incidente più eclatante avvenne nel granaio dove, dopo essersi strattonati per la divisione di un sacco di mais e uno di preziosi e nutrienti fagioli, fecero cadere per le scale i due sacchi, che si ruppero.
I cereali si mischiarono con i legumi provocando un vero e proprio disastro, anche se l’aspetto cromatico dei vari colori era veramente bello da vedere.
Tutta la famiglia, bambini compresi, fu costretta a separare i due prodotti con una pazienza certosina, ma nel contempo aiutò tutti a riflettere ed a riportare calma e armonia.
La divisione dei beni proseguì.
Grazie a questo episodio nacque una grande e duratura solidarietà, che si perpetuò nel tempo.
Anche oggi, i discendenti diretti beneficiano di quel particolare episodio.
Inoltre ne trae giovamento anche il paese, che li fa operare in armonia per la riuscita della festa patronale.

Emilio Durighello,

testimone bambino di allora, si commuove nell’evocare l’episodio e conserva gelosamente, ancora oggi, una piccola manciata di quei fagioli, riservati per il gioco collettivo della tombola.
Per il proprietario, il tempo trascorso li ha impreziositi di valore, dato che, quei fagioli fanno riaffiorare nella sua mente un vivo ricordo della singolare vicissitudine famigliare.
I fagioli possiedono, come caratteristica magica, la forza di unire e mai quella di dividere, come avviene nel campo, nel baccello, in pentola ed in famiglia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il “sì” dei facchini

Il “sì” dei facchini

È bello poter raccontare una storia di successo, soprattutto quando la si è vissuta in prima persona.
Tanti anni fa fui ispirato dalla lettura del libro “La valle dell’Eden.” di John Steinbeck.
Seminai il primo campo di fagioli, non seguendo più la tradizioni delle nostre parti.

La nostra usanza si limitava alla coltivazione di un piccolo orticello familiare.

Dovendoli vendere freschi al mercato generale di Treviso, decisi di proporli ad un commerciante che accettò senza entusiasmo, essendo il mercato saturo di fagioli campani e piemontesi.
Dovendo fare la bolla di consegna per il conto vendita, riportavo il peso esatto considerando il calo fisiologico.
Nell’estratto conto della vendita reale, però, trovavo però l’ammanco di diversi kilogrammi e preoccupato feci una indagine, scoprendo che la colpa era dei facchini.
Per consuetudine, questi facevano la provvista quotidiana per uso privato di ortaggi e frutta,

prendendo solo i migliori in assoluto presenti nel mercato.

Invece di arrabbiarmi, li ringraziai di essere comportati come l’Uomo del Monte della nota pubblicità, dato che avevano preferito i miei borlotti.
Promisi loro di regalargli qualche kg di fagioli purché non ne avessero intaccato il peso.
Galvanizzato dalla scoperta che i miei fagioli erano, per bontà e freschezza, i migliori del mercato, decisi di dare loro un nome e li chiamai Levada, proprio come il mio paese.
Stampai le etichette-promo sponsorizzato da una banca locale, riscontrando un immediato successo, anche mediatico.
Non contento, con l’appoggio delle istituzioni fondai la confraternita Borlotto Nano Levada, siccome anche altri miei paesani seguirono il mio esempio.

La Pro Loco istituì la Festa del Borlotto Nano di Levada,

la quale riscontrò un successo di presenze per la qualità dei piatti proposti a tema.
Attualmente durante la festa viene eletta anche Miss Fagiolo. (alla fine del brano la foto dell’autore con l’ultima Miss)
Tutto ovviamente grazie al provvidenziale “si” dei facchini ai miei fagioli, che decretarono così il successo delle mie fatiche, iniziate leggendo un libro ed inseguendo un sogno, ora condiviso con tanti amici.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Nella foto l’autore del brano Dino De Lucchi ed Elena Comazetto, eletta Miss Fagiolo alla XXIII Festa del Borlotto Nano di Levada.