I consigli della Nonna

I consigli della Nonna

Ascolta la nonna, e ciò che ti detta,
per la salute ogni ricetta.
Ogni male che avvertirai,
con le erbe curerai.
Dalla penosa colite ti salva,
il decotto emolliente con la malva.
Una patata frullata cruda al giorno,
la gastrite toglie di torno.

Con il fegato ingrossato,

non mangiar cibo pepato.
Se il dolore sopraggiunge ed arrivano le coliche,
non bere mai bevande alcoliche.
Se ti affligge il prurito molesto,
cura il fegato, ma presto!
All’orecchio va la mano,
quando il fegato non è sano!
Per sollevar dall’asma e dall’affanno,
fuma pure stramonio senza danno.
Quando il retto è infiammato,
il fegato è malato!
Di vitamina la carota è piena,
dona vista limpida e serena.

Con l’infuso di gramigna,

il dolore se la svigna.
La barba di granoturco si da tante arie,
ma cura l’infiammazione delle vie urinarie.
Se dal diabete vuoi guarire,
chicchi di caffè dovrai deglutire.
Se dai mali vuoi star lontano,
piedi caldi e capello in mano.
Se la mano a grattar ti porta,
il diabete è alla porta.
Una buona dieta,
ogni male acquieta.
E il colesterolo vincerai,
se del carciofo le foglie userai.

Le foglie dell’olivo in infusione,

normale fan tornare la pressione.
Quando qualche reumatismo t’affatica,
prendi l’infuso di ortica.
Quando il cuore è malandrino,
prendi il fior del biancospino.
Con gli infusi d’erbe, mattino e sera,
depurerai il sangue a primavera.
Una tisana di camomilla,
rende la vita più tranquilla.
Ma, se vuoi l’ultima ricetta ascolta attento, se vuoi vivere e stare bene,
prendi la vita come viene.

Un ricordo di mia nonna.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Hai ragione! (Il principe e suo figlio)

Hai ragione!
(Il principe e suo figlio)

Un principe afgano aveva un figlio molto intelligente ma poco disposto a seguire i pareri altrui.
“Vorrei poter decidere sempre in base alle mie idee!” confessava al padre.
“In certi casi è impossibile!” gli rispondeva questi, “Ci sono momenti nei quali i consigli degli altri sono di stimolo e chiarimento!”
Quel momento venne.
Per poter battere un potente nemico che si stava affacciando alle frontiere, il principe convocò i suoi tre più valenti generali e volle che al consiglio di guerra partecipasse il giovane erede.
“Secondo me,” disse il primo generale, “vinceremo lasciando via libera al nemico per coglierlo poi di sorpresa alle spalle!”

“Hai ragione!” rispose il sovrano.

Disse il secondo generale:
“Il mio parere è questo:
affrontare il nemico di fronte con tre armate a cuneo, così da disperdere le sue forze in mille rivoli!”
“Hai ragione!” osservò il principe.
“Penso sia meglio,” sostenne il terzo generale, “temporeggiare per individuare bene le sue mosse!”
“Hai ragione!” concluse il monarca.

E sciolse la riunione.

A questo punto il figlio osservò:
“Com’è possibile, padre, che tu dia ragione a tutti e tre?
Il tuo assenso non confonderà le loro idee, invece di rafforzarle?”
“Hai ragione,” gli rispose il padre, “ma avresti preferito ch’io dessi ragione a uno solo e torto agli altri due?
Questi si sarebbero sentiti umiliati e avrebbero seguito controvoglia i piani di battaglia altrui!”
“Hai ragione!” assentì il figlio, “Ma allora?”
“Allora condurrai tu la guerra, utilizzando, a seconda degli eventi, i piani che hai sentito esposti!”
“Lo farò.
Mi è già venuta in mente un’idea, mentre li ascoltavo.
Ecco, io direi…”

Il padre approvò e la guerra fu vinta.

Il principe, in più, aveva ottenuto una sua piccola vittoria personale:
era riuscito a predisporre all’ascolto l’intelligenza di suo figlio.

Brano tratto dal libro “Il Libro della Saggezza Interiore.” di Piero Gribaudi. Gribaudi Editore.

La signora ed il consulente matrimoniale

La signora ed il consulente matrimoniale

Una signora si recò da un consulente matrimoniale:
“Voglio divorziare e voglio fare tutto il male possibile a mio marito!”

“Allora cominci a subissarlo di lodi!” le suggerì il consulente.

“Quando sarà diventata indispensabile per lui, quando lui penserà che lei lo ami e lo stimi, dia inizio all’azione legale…
Questo è il modo in cui può ferirlo di più!”
Alcuni mesi dopo quella signora tornò dal consulente e gli riferì che aveva seguito i suoi consigli.

“Bene! Adesso è ora di pensare al divorzio…” le disse il consulente.

“Divorziare?” obiettò la signora, con decisione, “Non ci penso nemmeno!
Mi sono innamorata di lui!”

Brano senza Autore

Il ramo e lo gnomo

Il ramo e lo gnomo

C’era una volta un giovane ramo di un grande albero.
Era nato in primavera, tra il tepore dell’aria e il canto degli uccelli.
In mezzo all’aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita.
Era felice: aveva foglie bellissime e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornarlo e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.
Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era arrivato l’autunno… i frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore, divenivano sempre più pallide.

Addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via qualcuna.

Con l’inverno venne la pioggia, e poi l’aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio; non capiva cosa stesse succedendo.
In pochi giorni e in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo.
Rimase così qualche tempo, fin quando non capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro.
“Devo darmi da fare!” disse risoluto tra sé e sé.
Cominciò, allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici.
Si rivolse dapprima al mattino:
“Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?”

Il mattino rispose:

“Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro!”
Si rivolse a quegli alberi:
“Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?”
Gli alberi risposero:
“Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te!”
Si rivolse ai rami spogli come lui.
“Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti!” gli risposero.
Queste parole lo fecero sentire meno solo.
Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano.
Continuò la sua ricerca e chiese al vento.
“Io le foglie le porto solo via, è la pioggia che le fa crescere.” disse il vento a gran voce.

Si rivolse alla pioggia.

“Le farò crescere a suo tempo.” gli disse la pioggia tintinnando.
Si rivolse allora al tempo.
“Io so tante cose,” gli disse con voce profonda, “il tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare: occorrono tanti giorni e tante notti!”
Si rivolse alla notte, ma la notte tacque e lo invitò a riposare.
Si sentiva infatti molto stanco.
Quel ramo così spoglio e indebolito dal freddo e dal proprio silenzio fu capito da uno gnomo, che comprese anche il suo dolore.
Allora il ramo parlò ancora e disse:
“Mi è sembrato di chiudere gli occhi, e, dopo averli riaperti, non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle!”
Lo gnomo pensò a lungo, poi capì:
si tolse gli occhiali e li posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sé.
Il ramo, allora, aprì bene gli occhi e… meraviglia… vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare, provò ad ascoltare, guardò a fondo:
era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.

Incredulo, disse allo gnomo ciò che vedeva.

Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori e i frutti nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all’aria di primavera e alla pioggia.
“Se hai linfa dentro di te, hai tutto!” gli disse, “non occorre chiedere più nulla a nessuno, ma insieme all’acqua, alla luce, all’aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro!”
Il ramo, immediatamente, si sentì più forte, rinvigorì:
aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa che circolava in lui.
La linfa da cui, un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie.

La sofferenza dell’albero è la nostra sofferenza, quando non comprendiamo il perché delle cose che ci accadono.
Una parola amica, un suggerimento, un consiglio, una frase possono ridarci la carica per tornare a vivere ed affrontare la vita.
In fondo l’uomo è così ricco di energie, di capacità, di creatività, sa come andare alla scoperta dei propri talenti per sfruttarli al meglio per sé e per gli altri.

Brano senza Autore

La cocorita Francesca

La cocorita Francesca

In una giungla piena di suoni e di colori, viveva una cocorita che aveva il carattere festoso e vivace come le sue piume azzurre, verdi, oro e arancione.
Si divertiva a svolazzare nell’intrico dei rami, giocava a nascondino con altri pappagallini colorati e con i bengalini candidi.
Si chiamava Francesca e ovunque arrivava riusciva a comunicare la sua intensa gioia di vivere.
Perfino le scimmie, che non sopportavano cocorite e pappagallini, facevano eccezione per la cocorita Francesca.
Era un uccellino felice, grato di essere vivo e di avere avuto in dono un paio di ali per volare e un bellissimo vestito di piume morbido e screziato.
Ogni mattina, appena il sole irrompeva attraverso lo spesso fogliame, si levava il suo grido:

“È una bellissima giornata!

Forza fratelli, non fate i pigroni, spalancate le ali: il cielo è tutto nostro!”
E incominciava a tracciare arabeschi nell’aria, come un fiore multicolore portato dal vento.
Ma, un brutto giorno, il cielo sulla foresta si fece improvvisamente nero e minaccioso come una palude senza sole.
Un silenzio pesante, pieno di paura, attanagliò le creature della giungla.
Le cocorite si strinsero tremanti le une alle altre, a formare una nube tremante.
Un vento violento afferrò le chiome degli alberi più alti e cominciò a scuoterli come se volesse sradicarli, rovesciando nidi e piccoli pappagallini che non sapevano ancora volare.
Poi cominciò la sarabanda dei tuoni e dei fulmini.
Staffilate di fuoco sibilavano dal cielo e colpivano senza pietà i vecchi tronchi, finché improvvisa si levò una fiamma e un albero centenario prese fuoco, urlando il suo dolore, con i rami nodosi levati verso il cielo come un’ultima disperata invocazione di aiuto.
“Il fuoco!
Si salvi chi può!” tutte le lingue animali della foresta gridarono all’unisono il loro terrore.
Migliaia di animaletti cominciarono a fuggire, ma il fumo acre e impenetrabile toglieva loro il respiro, faceva bruciare gli occhi e impediva crudelmente di vedere le vie di scampo.
La cocorita Francesca volava affannata, cercando di guidare i più piccoli e i più spaventati:
“Di qua!
Correte di qua!

Il fiume è da questa parte!”

Molti animali, sentendo il suo grido, si affrettarono a fuggire verso il corso d’acqua, altri invece finivano intrappolati dal fuoco e dal fumo.
Francesca, invece di mettersi in salvo, come tutti gli uccelli, continuava a sorvolare i più sfortunati, cecando un modo per aiutarli.
La disperazione le suggerì un’idea.
Volò sino al fiume che scorreva ai margini della foresta e lì si immerse nelle acque scure.
Poi riemerse con il corpicino intriso d’acqua e volò sull’inferno di fiamme, scrollando e scuotendo le piume per liberare le gocce d’acqua e farle piovere sulle fiamme.
Incurante del pericolo, sfiorando coraggiosamente le fiamme, tornò indietro e si immerse di nuovo nel fiume.
Poi, via!
“A scagliare il suo carico prezioso sul fuoco che continuava a ruggire.
Piccole gemme piovevano sul rogo.
Una cosa insignificante, ma la cocorita coraggiosa e testarda ripeté più e più volte il suo viaggio tra il fiume e le fiamme.
Le sue belle piume erano tutte bruciacchiate e il suo colore era quello della cenere, non riusciva più a tenere aperti gli occhi, ma non le importava.
“Che altro posso fare!” si ripeteva, “Solo volare, ed io volerò fino allo stremo delle forze pur di salvare una sola vita!”
Due occhi acuti, ma vagamente annoiati osservavano tutto dall’alto.
Un gigantesco avvoltoio veleggiava, godendosi lo spettacolo della giungla in fiamme.
Scorse la cocorita impegnata nella sua lotta contro il fuoco e sghignazzò:

“Che stupida bestia.

Come può pensare di domare il fuoco con quattro gocce d’acqua?
Chi ha mai visto una cosa del genere?”
Il coraggio dell’uccellino però lo aveva commosso un po’ e scese in picchiata verso la foresta in fiamme.
La cocorita stava ancora sfidando il fuoco quando vide apparire al suo fianco l’enorme avvoltoio dagli occhi gialli.
“Vattene, uccellino, il tuo compito è senza speranza!” gracchiò imperioso l’avvoltoio, “Cosa possono fare poche gocce d’acqua contro questo inferno?
Vola lontano prima che sia troppo tardi!”
“Non posso.
Devo fare qualcosa, devo tentare!” rispose la cocorita.
“Guarda in che stato sei!” continuò l’avvoltoio, “Fra un po’ finirai in una fiammata, mi sembri un tizzone affumicato!”
“Riesco ancora a volare…
Qualcosa farò!” replicò la cocorita.
“Ma che ti importa di loro?
Non hanno mai fatto niente per te.” esclamò l’avvoltoio.

“Sono miei amici:

li voglio salvare.” spiegò la cocorita.
La cocorita, stremata e ferita non ascoltava più.
Ostinata, continuava a fare la spola tra l’acqua e il fuoco.
L’avvoltoio, prima di sparire oltre le colonne di fumo, gridò:
“Basta!
Fermati stupida piccola cocorita!
Salva te stessa!”
Francesca era irremovibile.
“Ci mancava anche l’avvoltoio con i suoi consigli!” brontolava, “Consigli!
Anche la nonna e tutti i miei parenti mi direbbero le stesse cose.
Non ho bisogno di consigli, ma di qualcuno che mi aiuti!”
Proprio in quel momento, un gran frullare di ali riempì il cielo.
Una nube colorata, gialla, verde, blu, rossa e bianca si affiancò alla piccola cocorita.
Migliaia e migliaia di cocorite, pappagallini, bengalini, tucani, uccelli piccoli e grandi, si immergevano nell’acqua e andavano a scrollare le piume sul fuoco.
Le fiamme erano violente, ma gli uccelli erano milioni e arrivavano a ondate successive, senza smettere mai.

Come stupito, il fuoco si arrestò.

E cominciò lentamente a sfrigolare e illanguidire.
La cocorita Francesca, insieme alle poche gocce d’acqua che aveva raccolto, scagliò sulle fiamme anche le sue lacrime.
Ma erano lacrime di gioia.
“Grazie.” mormorò e cadde a terra, senza più un filo di forza.
Quando si risvegliò il temporale era scoppiato e l’acqua del cielo stava completando l’opera iniziata dalla coraggiosa cocorita.
“Urrà per Francesca!” gridarono gli abitanti della foresta, che le stavano tutti intorno.
La piccola cocorita aprì gli occhi e disse:
“È una bellissima giornata!”

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il sogno ed il tesoro

Il sogno ed il tesoro

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam raccontava la storia di Rabbi Ezechia, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia.
Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale.
Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Ezechia si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga.
Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato.

Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera.

Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno.
Ezechia gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese.
Il capitano scoppiò a ridere:
“E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi?
Ah, ah, ah!
Stai fresco a fidarti dei sogni!
Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Ezechia, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa!
Ezechia, figlio di Jekel, ma scherzi?
Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Ezechia e l’altra metà Jekel!”

E rise nuovamente.

Ezechia lo salutò, tornò a casa sua e cercò sotto la stufa.
Trovò il tesoro e lo dissotterrò e con esso costruì la sinagoga del suo villaggio.
Il maestro divenne famoso mentre era ancora in vita.
Raccontavano che Dio stesso una volta avesse cercato il suo consiglio:
“Voglio giocare a nascondino con l’umanità.
Ho chiesto ai miei angeli quale sia il posto migliore per nascondersi.
Alcuni dicono le profondità dell’oceano.
Altri la vetta della montagna più alta.
Altri ancora la faccia nascosta della luna o una stella lontana.
Tu cosa mi consigli?”

Rispose il maestro:

“Nasconditi nel cuore umano.
È l’ultimo posto a cui penseranno!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’abbraccio

L’abbraccio

Da piccolo, Mordecai era una vera peste.
Così i genitori lo portarono da un sant’uomo a cui tutti ricorrevano per chiedere consigli nei casi più difficili.

“Lasciatemelo qui un quarto d’ora.” disse il sant’uomo.

Quando i genitori furono usciti, l’anziano chiuse la porta.
Mordecai sentì un po’ di timore.
Il sant’uomo si avvicinò al bambino e,

in silenzio, lo abbracciò.

Quel giorno, Mordecai imparò come si convertono gli uomini.

Brano di Bruno Ferrero

L’imbuto multiuso

L’imbuto multiuso

Da una piccola vigna posta al sole, coltivata da generazioni, si otteneva un ottimo vino.
Abatino era molto orgoglioso della sua vigna e del vino, ma, nell’ultimo periodo aveva iniziato ad abusarne, con la scusante che fosse un’annata eccezionale.
In famiglia effettuavano la potatura verde (una tecnica che prevede di togliere i grappoli piccoli lasciando quelli più idonei ad una maturazione omogenea),

che dava come risultato un vino dolce, liquoroso e di alta gradazione.

Il medico di famiglia, chiamato dalla moglie di Abatino per sopraggiunti problemi di salute del marito, diagnosticò ad Abatino un principio di cirrosi epatica.
L’unica cura che gli consigliò fu la drastica riduzione del nettare di Bacco.
La soluzione proposta dal medico, però, risultò di difficile applicazione dato il carattere dell’uomo, che non voleva, in nessun modo, rinunciare al frutto tentacolare delle sue fatiche.

Il dottore, nel congedarsi, disse alla moglie:

“Prova a farlo eterno, cioè aggiungi gradatamente dell’acqua alla caraffa del vino durante i pasti e, inoltre, fai in modo che non si possa spillare dalla botte.
Siccome non potete chiudere la cantina, visto che la usate sia come magazzino che come dispensa, porta via sia i bicchieri che le scodelle.”
La donna seguì i consigli del medico,

ma ogni sera Abatino risultava lo stesso allegro e alticcio.

Tutto ciò risulto per lei un mistero, così decise di appostarsi dietro una tenda divisoria, per capire cosa stesse succedendo.
Ad un certo punto, durante la serata, vide entrare il marito, prendere l’imbuto e bere direttamente dalla botte.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Provvidenza e sale

Provvidenza e sale

Nei primi anni del 1900, un mezzadro di nome Giacomo, si era iscritto alle Leghe Bianche sorte in Veneto.
Le “Leghe Bianche” erano un sindacato del mondo rurale contadino di ispirazione Cattolica per il riscatto socio-economico della categoria contadina, che soffriva mali endemici come la malnutrizione e l’analfabetismo.
Il latifondista saputo che il suo contraente aveva aderito alla temuta lega, gli diede lo sfratto.

Sarebbe dovuto andare via entro San Martino.

Avvenne come ben descritto nel film di Ermanno Olmi, l’Albero degli Zoccoli.
Giacomo era disperato, aveva una famiglia e sei figli piccoli, e non sapeva dove sbattere la testa.
Desolato, stava seduto su un bordo di un canale con tristi pensieri, quando, improvvisamente, fu raggiunto dal parroco, che si fece spiegare l’angosciosa situazione e abbracciandolo gli disse:
“Giacomo, io sono un povero strumento della Divina Provvidenza, ed in questo caso posso aiutarti.
Se e solo se sarai sempre riconoscente a Questa e diventerai sale, facendo buone azioni di promozione umana, ti si sarà rassicurata polenta a sufficienza.

Però dovrai rispettare il riposo festivo.”

Gli indicò la possibilità di condurre un piccolo podere al margine del paese, al quale si dedicò con tutto se stesso lavorando sodo.
Riuscì anche a riscattarlo con il passare del tempo ed ebbe altri sei figli.
Non si dimenticò mai le parole del saggio sacerdote e della promessa che aveva fatto.
Diede alla chiesa due figli sacerdoti e due suore.
Amava dire che l’unica mezzadria che li piaceva era quella con nostro Signore.
Ai mendicanti, che trovavano ristoro nella sua casa, amava raccontare la sua esperienza e le raccomandazioni del prete.

A questi diceva:

“Io ti do cibo e vivande se saprai fare anche tu provvidenza con delle buone azioni!”
Fu chiamato da tutti con il soprannome di Sal (Sale in italiano) per i buoni consigli che dava, anche con l’esempio.
Per non dimenticare la promessa si faceva preparare la polenta super salata ed il resto quasi insipido.
Nessuno seppe mai se in questo stava il segreto della sua lunga vita.
Mio suocero, ultimo figlio di Giacomo, mi raccontava sempre la storia di suo padre, commuovendosi.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il trucco del rabbino

Il trucco del rabbino

Un giovane fece visita ad un rabbino per chiedergli come dovesse comportarsi nella vita.
Il rabbino sapeva che il giovane proveniva da una famiglia molto pia, zelante, religiosa al massimo.
Per cui, chiamati i suoi discepoli, volle che il neofita ripetesse ad alta voce la sua richiesta.
Desidero che il rabbino mi dia delle istruzioni precise su ciò che devo fare e su ciò che non devo fare nella vita.

Il rabbino rispose:

“Lasciati vivere!
Quando puoi, ruba, ma non dimenticare di portarmi parte del bottino.
Trascura i tuoi doveri e cerca, più che puoi, i piaceri.
Sforzati sempre di avere la meglio sugli altri.
In breve, vivi senza principi:
solo così realizzerai te stesso.”

Il giovane, uditi questi consigli, se fuggì via rapidamente.

Alcuni mesi dopo il rabbino chiese ai suoi discepoli se avessero notizie del giovane.
Risposero gli allievi che stava conducendo una vita santa in un paese lontano e che parlava di lui come di Satana in persona.
Il rabbino rise:
“Se gli avessi consigliato una vita virtuosa, non mi avrebbe obbedito.
È infatti quanto gli è stato prospettato dalla sua più tenera età in mille modi.

Voleva qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.

E solo quando gli ho consigliato con foga un modo di vita nuovo, si è reso conto che preferiva, questa volta per scelta personale, rimanere nei campi ubertosi della virtù.
“E che dire del fatto che parla di te come di Satana?” chiesero gli allievi.
“Per quanto mi riguarda, non ha importanza.
Le parole le porta via il vento.
Quanto a lui, capirà quando sarà venuto il momento.” concluse il rabbino.

Leggenda Hassidica. Brano incluso nel libro “Il libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.