Il salame perfetto (La sopressa con il filetto)

Il salame perfetto
(La sopressa con il filetto)

Un contadino, chiamato da tutti Lenin per le sue simpatie rivoluzionarie e per essere un convinto repubblicano, amava festeggiare la ricorrenza del due giugno attorniato da amici.
Nel corso degli anni aveva inaugurato una “nuova” tradizione.

A tutti i partecipanti offriva la sopressa con dentro il filetto, un grande salame tipico del Veneto.

Per la macellazione famigliare del maiale si rivolgeva ad un suo amico norcino, chiamato Messico per i suoi baffi.
Messico alternava il lavoro a diverse bizzarrie, avvenute grazie alla complicità di Bacco.
Gli insaccati dell’anno precedente erano risultati mollicci e un po’ rancidi e, per questa ragione, l’amico Lenin si era lamentato, poiché aveva fatto una brutta figura con i propri amici.
Messico lo tranquillizzò e lo rassicurò, promettendogli che avrebbe superato sé stesso, realizzando una sopressa con il filetto che sarebbe stata ricordata a lungo, per il sapore e per la consistenza al taglio.

Il due giugno ci fu il rituale taglio della sopressa con il filetto, alla presenza degli amici festanti.

Tutti erano in attesa di gustare la nota specialità.
La prima fettina venne annusata ed assaggiata da Lenin che la trovò perfetta, avendo il giusto dosaggio di spezie.
Dopo aver tagliato un’altra fettina, mentre stava tagliando la terza (fettina), Lenin con il coltello trovò un inaspettato ostacolo.
Messico, in un attimo di confusione, aveva inserito nella sopressa la pietra per affilare i coltelli.

Tutti rimasero senza parole, stupiti ed increduli.

La sopressa con il doppio filetto di Messico sopravvisse al taglio, ma fu la causa della fine della sua carriera di norcino.
Però, per il suo grossolano errore, entrò di diritto nella leggenda popolare.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I fagioli del diavolo

I fagioli del diavolo

I parenti di una giovane donna avevano organizzato delle nozze combinate tra la stessa ed un contadino molto più anziano di lei.
La motivazione di questo matrimonio si poteva trovare nel fatto che il contadino anziano possedesse molti beni e, conseguentemente, potesse garantire alla ragazza una vita agita.
In attesa del ritorno del marito dai campi, la giovane donna trascorreva diverse ore in compagnia di un ex garzone di cui si era profondamente innamorata.

Usava ogni stratagemma per evitare di cucinare al marito, asserendo che dovesse andare da amiche o in chiesa.

Però, non era emotivamente tranquilla, difatti il marito iniziava a sospettare che qualcosa non andasse, non trovando, sempre più spesso, la cena pronta.
Una vecchia megera, che ogni tanto bussava alla sua porta per leggerle la mano e lucrarle del buon vino ed un pezzo di focaccia, dopo qualche tempo, entrò in confidenza con la giovane ragazza, che le raccontò le sue pene d’amore.

L’anziana signora le suggerì di cucinare, nei giorni degli incontri con il suo spasimante, un bel minestrone di fagioli, il famoso “acceca mariti”.

Questo minestrone necessita di una lunga e lenta cottura in un pentolone, dove la fretta non serve.
In questo modo, si sarebbe potuta assentare per continuare la tresca amorosa senza destare sospetti.
Il marito, al ritorno dai campi, capendo poco di cucina e vedendola accaldata, la lodò per essere stata costantemente al focolare per preparargli il suo piatto preferito.

Il minestrone “acceca mariti” era preparato con una varietà particolare di fagioli.

Questi venivano, e vengono, chiamati i fagioli del diavolo, per il caratteristico colore nero con delle striature rosse.
Una leggenda veneta vuole che il nero raffiguri il diavolo mentre le striature rosse, presenti nella buccia del legume, simboleggiano le fiamme dell’inferno e la vergogna.
Vergogna che anche la sposa provava nei confronti dell’inconsapevole marito.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il contadino che vendette la mucca a Sant’Antonio

Il contadino che vendette la mucca a Sant’Antonio

C’era una volta un contadino proprio scemo, che aveva una moglie intelligente.
Era lei a portare avanti la casa, comprava e vendeva, organizzava il lavoro nella fattoria e si preoccupava che tutto procedesse sempre al meglio.
Un bel giorno, però, si fece male ad un piede, tanto da non riuscire a camminare, e dovette rimanere a casa.
Proprio in quei giorni doveva essere venduta una mucca e, per questa ragione, fu il contadino a dover portare la mucca al mercato.
La moglie lo aveva ammonito di non vendere la mucca al di sotto di 160 fiorini e di guardarsi dai compratori che parlavano troppo.

Infatti questi non avrebbero certamente comprato nulla.

Le occorreva il denaro per l’affitto, altrimenti avrebbe rimandato volentieri l’affare, poiché non credeva che il suo stupido marito fosse capace di portare a buon termine la vendita.
Al mercato molti compratori cercarono di convincere il contadino.
Egli si ricordò di sua moglie e non diede la mucca a nessuno.
Così dovette riportare la sua mucca di nuovo a casa.
Aveva già paura che la moglie gli dicesse che era scemo.
Cammin facendo arrivò in un villaggio, ad una chiesa che era aperta:
“Insomma,” pensò, “darò un’occhiata qui dentro; forse ci trovo un compratore!”
Proprio in quel giorno aveva avuto luogo un pellegrinaggio per sant’Antonio, la cui statua si trovava nella chiesa, e per questo la porta della chiesa era ancora aperta.

Era, però, già così tardi che non vi era più nessuno in chiesa.

Il contadinotto entrò con la sua mucca e legò la bestia ad un banco.
Lui andò più avanti, perché aveva notato uno che stava lì in piedi e non diceva una parola, cioè la statua di sant’Antonio.
Poiché Antonio era rappresentato insieme ad un maiale, il contadino lo prese per un porcaro.
Che se ne stesse così zitto, gli parve buona cosa.
Ad un certo punto iniziò lui a parlare con la statua.
Gli offrì la sua mucca.
Però, dato che Antonio non rispondeva proprio, si arrabbiò e lo colpì con il proprio bastone.
In quel preciso istante, di fronte ai piedi di Hannes, cadde un sacco di denaro:
“Beh,” disse, “sapevo che volevi comprare la mia mucca.
Se avessi aperto la bocca, non ti avrei picchiato!”
Contento raccolse il denaro, lasciò la chiesa e tornò a casa.
Rientrato a casa, lanciò il denaro alla moglie contento.
Da quel momento in poi, lei non avrebbe più potuto dire che fosse uno scemo.

La moglie si meravigliò poiché il denaro era molto.

Hannes le raccontò solamente di aver venduto la mucca ad un porcaro, il quale aveva gettato la borsa del denaro ai suoi piedi, senza nemmeno mercanteggiare.
Dopo che Hannes ebbe lasciato la chiesa, arrivò il sagrestano per chiudere le porte.
Vide la mucca legata e notò che tutti i suoi risparmi, nascosti dentro la statua di sant’Antonio, erano spariti.
Chiamò il parroco e gli raccontò della sua sciagura.
Aveva messo al sicuro da sua moglie il denaro dentro la statua di Antonio; la moglie, altrimenti, l’avrebbe speso a larghe mani.
Il parroco disse che doveva prendere la mucca e dire alla moglie che era un suo regalo.
Il sagrestano tornò a casa con la mucca e la moglie si meravigliò molto per un regalo così grande, dato che il parroco era parsimonioso e, inoltre, che non aveva grandi possibilità.
Il sagrestano, però, le tolse ogni dubbio dicendole di chiedere lei stessa al parroco.

La mucca, quindi, finì nella stalla, la donna se ne rallegrò e l’accudì bene.

Il lavoro le divenne poco a poco divertente e, invece della solita chiacchierata di fronte ad una tazza di caffè o al correre da una vicina all’altra, era continuamente indaffarata con la mucca.
La mucca dava molto latte, poiché era una bella bestia e la donna, che prima spendeva il denaro con leggerezza, divenne parsimoniosa, quando vide come fosse difficile guadagnare qualcosa.
In questo modo aveva presto messo da parte abbastanza denaro per comprare una seconda mucca.
Più tardi comprarono anche un pezzo di terra e oggi il sagrestano è un benestante con una stalla piena di bestiame e molta terra.
Anche la fattoria di Hannes andò in seguito bene, poiché sua moglie ebbe a disposizione più denaro.
Da quel momento non osò più rimproverarlo di essere scemo, anche se lui non era meno fannullone di prima.

Brano senza Autore

Il re e gli indovinelli

Il re e gli indovinelli

Un re polacco adorava gli indovinelli.
Per lui erano la massima forma di saggezza.
Un giorno, camminando con il primo ministro lungo il fiume, vide un povero contadino che lavava i panni nell’acqua gelata.
Allora il re chiese al contadino:
“Cos’è di più, cinque o sette?»”
E il contadino rispose:
“Cos’è di più, trentadue o dodici?”
Il re sorrise e gli domandò ancora:
“In casa tua hai avuto un incendio?”

Il contadino rispose:

“Sì. Ce ne sono stati cinque e ne aspetto altri due!”
Il re scosse la testa e continuò:
“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
Il contadino gli rispose:
“Mandalo e vedrai!”
Il re e il primo ministro si allontanarono e il re domandò al primo ministro se avesse capito di cosa stessero parlando.
“Sire, non ho capito nulla.
Come avrei potuto?
Avete parlato per enigmi!” esclamò il primo ministro.
Il re sembrò scontento:
“Ma come?
Tu sei il mio primo ministro.
Dovresti essere il più saggio del reame e un semplice contadino mi ha capito meglio di te?
Ti do tempo tre giorni per indovinare cosa ci siamo detti.
Se non ci riuscirai, sarò costretto a cacciarti!”
II primo ministro, disperato, convocò tutti i suoi consiglieri, ma nessuno riusciva a risolvere quegli enigmi.

Allora il primo ministro fece chiamare il contadino.

“Racconta,” gli ordinò, “cosa vi siete detti col re?”
Il contadino rispose:
“Lo farò, ma è una faccenda delicata, per cui voglio mille ducati!”
“È una vergogna!
Un furto!” esclamò il primo ministro, “Mille ducati per tre risposte?”
Il contadino fece per andarsene, ma il primo ministro lo trattenne.
“Va bene!” disse e gli consegnò il denaro, “Ed ora spiegami!”
Il contadino, con molta calma, cominciò:
“Io stavo lavando i panni nel fiume ghiacciato.
Vedendomi, il re mi ha chiesto se non mi bastassero i sette mesi caldi e dovevo lavare anche d’inverno.
Io gli ho risposto che i miei trentadue denti mangiano più di quel che riesco a guadagnare in dodici mesi.
Poi il re mi ha chiesto degli incendi, cioè se in casa mia avevo avuto dei matrimoni, perché per organizzare un matrimonio si spende ogni risparmio e si resta senza niente, come dopo un incendio.
E io gli ho risposto che avevo sposato cinque figlie e me ne restavano altre due.

Infine il re mi ha chiesto:

“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
ed io ho risposto:
“Mandalo e vedrai!”
Ecco: indovini adesso chi è il pollo?
Giudica tu se l’ho spennato per bene…
E, soprattutto, non mancare di riferirlo al re, che saprà apprezzare i dettagli!”

Brano senza Autore

Il contadino avido

Il contadino avido

Un contadino possedeva un misero campicello, nel quale produceva un raccolto magro e stentato!
Non c’era giorno che, moglie e figli, non gli rinfacciassero la sua pochezza.
Un giorno, finalmente, ebbe un insperato colpo di fortuna.
Mentre era intento a sgobbare nel suo campicello, vide sulla strada un cavallo imbizzarrito che stava per rovesciare il calesse di un gran possidente della zona e, coraggiosamente, lo bloccò.

Il ricco proprietario terriero, per sdebitarsi, gli disse:

“Ti regalerò tutta la terra che riuscirai a contornare camminando dall’alba al tramonto!
L’unica condizione è che ti dovrai trovare al tramonto nel punto esatto da cui eri partito al mattino!”
Il contadino fu sopraffatto della gioia:
“Ho chiuso con i giorni degli stenti e della miseria!
Avrò tanta terra e sarò ricco!”
Il mattino dopo fissò il punto di partenza sull’alto di una collinetta verde e cominciò a camminare allegramente, senza fretta, con un passo tranquillo.

“Qui costruirò la mia fattoria.

Quello è il posto adatto ad una stalla.
In questa bella piana coltiverò frumento e laggiù seminerò legumi e patate!”
Camminando però, gli venne in mente che quella era la sua unica occasione e cominciò a correre.
Il sole stava rapidamente percorrendo il suo cammino in cielo.
Più terra avrebbe inglobato nel suo possedimento più sarebbe stato ricco.
Era al limite della resistenza ma c’erano ancora un laghetto, un prato verde e un bosco folto.
Il sole declinava sull’orizzonte.
Accelerò il ritmo della corsa.
Sudato, ansante e allo stremo delle forze giunse al traguardo.

Crollò esausto!

Il suo cuore cessò di battere per lo sforzo eccessivo nell’istante in cui il sole tramontava.
Ora possiede tutto il terreno che gli serve:
il piccolo lembo di terra in cui è sepolto!

Brano senza Autore

I chicchi di frumento

I chicchi di frumento

Erano nati a primavera con i primi raggi del sole in un campo di un luminoso verde tenero!
Tutti nella loro culla, che mamma spiga aveva preparato con cura…
Tanti lettini allineati, che il vento cullava, mentre grilli e cicale cantavano la “ninna nanna”!
Dal verde tenero diventarono di un bel giallo brillante, sempre più grassottelli e chiacchieroni…
Dondolare in cima al lungo stelo della spiga insieme a migliaia di altri chicchi di frumento,
sempre più allegri e rubicondi, era molto divertente!
“Piano, ragazzi!” li ammoniva mamma spiga, “È ora che dimostriate un po’ di maturità:
presto comincerà la mietitura!”
“Che cos’è la mietitura?” chiese allora un chicco.
“È quando cominciate a fare quello per cui siete nati!” rispose la mamma.
In un’assolata giornata di fine Giugno, una grossa macchina rossa passò veloce fra le spighe mature e raccolse i chicchi di grano con la sua grossa bocca spalancata…

“Addio!”

“Arrivederci!”
“Buona fortuna!” si sentiva dire da tutte le parti.
I chicchi di grano furono raccolti in grossi sacchi e poi in enormi depositi!
Addio al sole, al vento, al canto dei grilli…
Nel deposito, era tutto buio!
“Che succederà, adesso?” chiese uno di loro.
Un vecchio topo con gli occhiali che da tempo immemore viveva tra due travi del granaio lo spiegò pazientemente ai più vicini, i quali lo raccontarono a quelli che avevano accanto, e così via…
“La missione dei chicchi di grano è una grande missione!” esordì il vecchio topo, “Seconda, appena, a quella dei topi che, come ognuno sa, sono la razza eletta della Creazione…
Alcuni di voi saranno seminati:
cioè, messi dentro la terra!”
Un brivido passò tra i chicchi.

Poi il vecchio topo continuò:

“Altri saranno macinati!”
Un altro brivido percorse i granelli di frumento.
“Ma diventeranno farina e poi pane profumato o deliziosi biscotti!”
I baffi del topino vibravano di soddisfazione…
Tirò su con il naso e continuò:
“Gli uomini portano il pane a tavola, lo benedicono, lo dividono…
È molto importante per loro: porta gioia, porta la vita!
Sono grandi e grossi grazie al pane… Grazie, a voi!”
I chicchi di grano trattenevano il fiato, coinvolti dalle parole del vecchio topo.
Ora sapevano…
Ed erano orgogliosi della loro missione!
Solo un granello di frumento si lasciò scivolare in fondo al mucchio di chicchi e si nascose in una fessura presente nel pavimento del granaio…
Non voleva essere seminato!
Non voleva morire!
Non voleva essere sacrificato!

Voleva salvarsi…

Non gliene importava niente di diventare pane!
Né di essere portato a tavola!
Né tantomeno di essere benedetto e condiviso…
Non avrebbe mai donato vita!
Non avrebbe mai donato gioia!
Un giorno arrivò il contadino ed iniziò a fare pulizia e, con la polvere del granaio, spazzò via anche l’inutile granello di frumento…

Brano senza Autore

La bambina salvata

La bambina salvata

Una bambina, i cui genitori erano morti, viveva con la nonna e dormiva in una camera al piano di sopra.
Una notte vi fu un incendio nella casa e la nonna perì cercando di salvare la bambina.
Il fuoco si diffuse rapidamente e il primo piano della casa fu ben presto avvolto dalle fiamme.
I vicini chiamarono i pompieri, poi rimasero lì senza poter fare niente, incapaci di entrare in casa visto che le fiamme bloccavano tutti gli ingressi.
La bambina comparve da una finestra del piano di sopra, chiamando aiuto, proprio quando tra la folla si diffuse la notizia che i pompieri avrebbero tardato di qualche minuto, poiché erano tutti impegnati in un altro incendio.
All’improvviso comparve un uomo con una scala, il quale la appoggiò al fianco della casa e scomparve all’interno.

Quando ricomparve aveva fra le braccia la bambina.

Consegnò la bambina alle mani in attesa lì sotto, quindi scomparve nella notte.
Un’indagine rivelò che la bambina non aveva parenti in vita e, alcune settimane più tardi, si tenne in municipio una riunione per stabilire chi l’avrebbe presa in casa e l’avrebbe allevata.
Un’insegnante disse che le sarebbe piaciuto allevare la bambina.
Mise in risalto che le poteva assicurare una buona istruzione.
Un contadino le offrì di crescere nella sua azienda agricola.
Sottolineò che vivere in campagna era sano e ricco di soddisfazioni.
Parlarono altri, che esposero le loro ragioni per le quali fosse vantaggioso per la bambina vivere con loro.

Alla fine il più ricco cittadino si alzò e disse:

“Io posso offrire alla bambina tutti i vantaggi che voi avete menzionato qui, più i soldi e tutto ciò che si può comprare con i soldi.”
Per tutto questo tempo la bambina era rimasta in silenzio, con gli occhi fissi sul pavimento.
“Nessun altro vuole parlare?” domandò il presidente dell’assemblea.
Dal fondo della sala si fece avanti un uomo.
Aveva un’andatura lenta e sembrava soffrire.
Quando giunse davanti a tutti, si mise direttamente di fronte alla bambina e allungò le braccia.
La folla rimase senza fiato.
Le mani e le braccia erano orribilmente sfigurate.

La bambina esclamò:

“Questo è l’uomo che mi ha salvata!”
Con un balzo, gettò le braccia al collo dell’uomo, tenendolo stretto come per salvarsi la vita, come aveva fatto in quella notte fatale.
Nascose il volto nelle spalle di lui e singhiozzò per qualche istante.
Quindi alzo gli occhi e gli sorrise.
“La seduta è sospesa!” disse il presidente.

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima. Volume 2” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney

Tre racconti di Bruno Ferrero su Giovanni Maria Vianney
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La sfida tra fratelli

L’ultimo della classe

Egli guarda me ed io guardo Lui

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“La sfida tra fratelli”

 

Giovanni Maria Vianney ancora fanciullo, aveva un fratello maggiore di lui, di nome Francesco, che lo prendeva sempre in giro per le sue incapacità e per la sua religiosità.
Come fare per avere una giusta rivincita?
Si propose un modello e questo lo trovò in una piccola statuina della Madonna, che una religiosa gli aveva regalato.
Sentite come ebbe la prima vittoria sul fratello.
Mandati tutti e due a zappare nel campo, Francesco, essendo più grande, lo anticipava e lo precedeva nel lavoro.
Come raggiungerlo?

Giovanni Maria pose alcuni passi davanti a sé la statuina:

guardandola, si rincuorava nel lavoro, si sforzava di più e raggiungeva il fratello.
Ma il fratello partiva per la rivincita.
Ecco allora che il piccolo riprendeva l’immagine, la collocava di nuovo davanti a sé, si entusiasmava nel lavoro e progrediva.
Così facendo, tenne testa fino a sera al fratello, che a casa dovette, non senza dispetto, confessare alla madre, che Giovanni Maria aveva fatto tanto lavoro come lui.
Ma aggiungeva:
“La sfida non è stata giusta!
Io ero solo, ma lui no, aveva ad aiutarlo la Vergine Maria!”

Brano tratto dal libro “Mese di maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
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“L’ultimo della classe”

 

Quando era seminarista, Giovanni Maria Vianney, il futuro santo Curato d’Ars, aveva enormi difficoltà con la scuola.
Non riusciva a capire neppure le nozioni più semplici.
I superiori del seminario lo avevano rimandato a casa più volte.
Ma lui caparbiamente insisteva.
Aveva ormai 21 anni e sedeva in aula con ragazzi che avevano dieci anni meno di lui.

Uno di questi, undicenne, cominciò ad aiutarlo nello studio.

Giovanni Battista Vianney era molto grato al suo piccolo maestro, ma le difficoltà persistevano:
non capiva, non ricordava, si smarriva, balbettava.
Il ragazzino si lamentò di questo con i compagni di scuola.
Giovanni Maria Vianney lo sentì.
Si alzò dal suo banco, si inginocchiò davanti al ragazzino e gli disse:
“Perdonami perché sono così stupido.”

Brano di Bruno Ferrero.
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“Egli guarda me ed io guardo Lui”

 

Il Santo Curato d’Ars (Giovanni Maria Vianney) incontrava spesso, in Chiesa, un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav’uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.

Un giorno, il Parroco gli chiese:

“Cosa fai qui così a lungo?”
“Semplicissimo.
Egli guarda me ed io guardo Lui!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La guerra non dichiarata

La guerra non dichiarata

Una catena di montagne, ricche di ghiacciai e torrenti, che le tormentavano e le rendevano pressoché inespugnabili, segnava il confine di due nazioni.
Erano due nazioni quasi gemelle, abitate da popolazioni che si assomigliavano quasi in tutto, e perciò erano in continua lite.
I due popoli si contrastavano con ferocia in tutti i campi, da quello economico, a quello diplomatico, a quello sportivo.

Finché, ad un certo punto,

fra i due popoli confinanti divenne inevitabile la guerra.
I comandanti delle due armate inviarono agenti segreti ad informarsi sulle località dove fosse più facile un’irruzione in terra nemica.
I messaggeri fecero ritorno ed entrambi riferirono la stessa cosa.
“Esiste solo un punto, sul confine fra le due regioni, dove si possa riscontrare tale possibilità!”
I generali, da una parte e dall’altra, sorrisero soddisfatti e puntarono il dito sulla carta geografica:
“Ed allora è lì che attaccheremo con le nostre colonne corazzate!”
Già pregustavano il rombo dei cingolati, il fuoco delle artiglierie, la rapida vittoria, la gloria e le medaglie.

Da entrambe le parti, tuttavia,

gli agenti segreti si mostravano a disagio:
“Proprio in quel posto, però, abita un piccolo contadino, laborioso, in una piccola casa insieme alla moglie, molto graziosa.
Si amano e si dice che siano le persone più felici della terra: hanno anche un bambino.
Se noi dovessimo attraversare il loro podere ed accamparci nelle loro vicinanze, certamente distruggeremmo la loro felicità!”
Sulla faccia dei generali si spense il sorriso.

Tacquero sconcertati.

“Non si può fare questa guerra!” dissero all’unisono da una parte e dall’altra del confine.
E la guerra non fu dichiarata.

Brano senza Autore

Il vetro, l’argento e lo specchio

Il vetro, l’argento e lo specchio

“Rabbi, che cosa pensi del denaro?” chiese un giovane al maestro.
“Guarda dalla finestra,” disse il maestro, “cosa vedi?”
“Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato!”

rispose il giovane.

“Bene.
Adesso guarda nello specchio.
Che cosa vedi?” chiese il maestro.
“Che cosa vuoi che veda rabbi.
Me stesso, naturalmente!” esclamò il giovane.

“Ora pensa:

la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro.
Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo se stesso.
Siamo circondati da persone che

hanno trasformato in specchi le loro finestre.

Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio!” concluse il maestro.

Brano di Bruno Ferrero