Il capitale della famiglia

Il capitale della famiglia

Un papà aveva passato la cera sulla carrozzeria dell’auto e ora la strofinava accuratamente per renderla splendente.
Il figlio undicenne lo aiutava, passando lo straccio sui paraurti.
“Vedi, ragazzo mio,” diceva il padre, “l’auto è un capitale della famiglia, dobbiamo dedicargli cure, attenzioni e tempo.”

“Certo, papà.” rispose il ragazzino.

“Ecco, bravo!” si complimentò il padre.
Seguì un momento di silenzio.
“Allora, io non sono un capitale della famiglia?” mormorò piano il figlio.

“Perché?” domandò il padre.

“Tu non hai mai tempo per me!” rispose deluso il figlio.

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Un mio amico ha un figlio fanatico della pallacanestro.
Al mio amico la pallacanestro non è mai interessata.
Ma un’estate egli sacrificò le ferie per portare il figlio a vedere tutti gli incontri delle nazionali ai campionati europei di pallacanestro.
Il viaggio richiese oltre tre settimane e costò una bella cifra.

Al mio amico fu chiesto al suo ritorno:

“Ma davvero ti piace così tanto la pallacanestro?”
“Per niente,” rispose, “ma mi piace tanto mio figlio.”

Brano senza Autore

La leggenda delle castagne

La leggenda delle castagne

Un montanaro, durante una pausa, si stava riposando ai piedi di un maestoso e secolare albero, lamentandosi con il buon Dio del poco sostentamento che aveva a disposizione.
Riusciva a sopravvivere solo grazie ai prodotti del pascolo, latte e formaggi, ottimi ma monotoni.

Durante l’estate arricchiva la sua dieta con bacche e funghi.

Inoltre raccoglieva fin troppa legna da ardere, ma non sapeva come impiegarla, dato il poco da cuocere in suo possesso.
Si lamentava, inoltre, del fatto che in pianura avessero messi, ortaggi e frutta, non dovendo neanche sforzarsi per affrontare lunghe camminate o ripide pendenze e del fatto che avessero stagioni dal clima più temperato.
Mentre continuava a lagnarsi a voce alta per la vistosa differenza di vita toccatagli, gli cadde in testa una cosa spinosa e rotonda, mai vista prima.
Dopo aver imprecato per il dolore, si alzò e diede un violento calcio alla cosa spinosa per allontanarla.
Meraviglia delle meraviglie, il riccio spinoso si aprì e ne uscirono tre frutti tondeggianti.

Il montanaro, non sapendo comunque cosa fossero, li assaggiò.

Risultarono commestibili e, per questa ragione, provò anche a cucinarli.
Nel frattempo, il montanaro, diede un nome all’albero e ai suoi frutti, chiamandoli rispettivamente castagno e castagne.
Le castagne bollite o arrosto erano veramente saporite, anche senza alcun condimento.

Inoltre saziavano ed erano nutrienti, soprattutto durante i lunghi e rigidi inverni.

L’albero si mostrò molto generoso di frutti e poco bisognoso di cure.
Anche le api iniziarono ad impollinare i fiori di questo albero, producendo, così, il rinomato miele.
Le castagne furono apprezzate da tutti e barattate con i prodotti della campagna.
E fu così che il buon Dio, che tutto vede e a tutti provvede, prese in “castagna” il brontolone montanaro donandogli, a sorpresa, il provvidenziale “pane della montagna”.

Togliere le castagne dal fuoco e mangiarle induce allegria in ogni cuore, che sia quello di un bambino o quello di un adulto, soprattutto se accompagnate da un buon vino, sempre in lieta e festosa compagnia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Le orchidee di plastica

Le orchidee di plastica

Una signora anziana e sola aveva una passione maniacale per i fiori, i quali riempivano la veranda di casa.
Erano curati da una giovane badante, la quale dedicava tanto tempo alle loro cure.

La nonnina si faceva portare ogni giorno con la carrozzina ad ispezionare i fiori,

sia pur da una certa distanza per via di un scalino, trovando sempre da ridire su come la collaboratrice mal gestiva il concime e l’acqua, esasperandola fino al pianto.
La badante aveva il suo giorno di riposo il sabato, riservato all’incontro con le connazionali dell’est Europa in una stanza messa a disposizione dalla parrocchia, per discorrere delle loro problematiche e per staccare un po’ la spina,

per organizzare qualche festicciola e per ricordare la propria patria.

La questione fiori fu l’argomento principale di quella giornata e, la più anziana e navigata, informata del problema, le suggerì di sostituire gradatamente i fiori veri con quelli di plastica.
Non senza timore la badante mise in atto il consiglio senza mai destare alcun sospetto.

Man mano che procedeva con la sostituzione,

la padrona di casa gioiva e riversava lodi per come fossero tenuti, attribuendosi il merito di aver trasmesso il cosiddetto “pollice verde” alla ragazza, proprio come da suo desiderio.
Non mancò di nominarla nel suo testamento, con una cospicua somma di denaro.
La motivazione di questo gesto dipese dal fatto che mettesse passione e che curasse le sue orchidee rare con risultati sorprendenti e duraturi.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Mangiate Porci!

Mangiate Porci!

Una contadina allevava nella sua fattoria diversi animali da reddito.
Dedicava le sue cure principalmente ai maiali, che nutriva per lo più con delle buone patate.
Lavorava molto, per riuscire a riscattare il terreno che aveva in comodato d’uso.
Il terreno apparteneva ad alcuni suoi parenti emigrati che, oltre al terreno, le avevano dato anche una porzione di casa.
La cura per i maiali era quasi maniacale e, dato che li voleva belli grassi in poco tempo, ogni volta che dava loro da mangiare, ripeteva continuamente:

“Mangiate porci, che mi fatte ricca!”

Alcuni anni dopo, i parenti emigrati ritornarono per sistemare gli affari di famiglia.
La loro intenzione, riguardo la contadina, era quella di farle una donazione avendo trovato una inaspettata fortuna all’estero, con una unica clausola:
quella di restaurare un vecchio capitello con Madonna e Bambino, di antica devozione, situato all’ingresso della proprietà.
Per sancire il buon, nonché vantaggioso, accordo, la nostra brava contadina fece per i ricchi parenti un lauto banchetto all’aperto sull’aia, avendo cura di proporre loro i piatti della tradizione, dato che questi ne avevano nostalgia.

Tutto fu curato nei minimi dettagli e le portate ebbero successo.

La brava contadina, però, cucinò troppo, infatti i commensali cominciarono a rifiutare le portate.
Tutti questi rifiuti iniziarono a preoccupare la contadina, che presa dal panico per la paura che l’accordo non fosse ratificato, alla portata delle patate, ripeté quella frase che meccanicamente diceva ai suoi maiali:

“Mangiate porci, che mi fatte ricca!”

Inutili furono la scuse e le spiegazioni.
I parenti non ratificarono più l’accordo verbale e se ne andarono via indignati.
“Mai mischiare la cura ed il pensiero rivolto agli animali con quello rivolto ai buoni cristiani!” fu la conclusione amara della nostra buona donna.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Gli alberi di ciliegio del portalettere

Gli alberi di ciliegio del portalettere

Luca lavorava alle poste come portalettere, e nei momenti liberi, aveva svariati passatempi.
Uno tra i suoi passatempi preferiti era quello di aver cura di un piccolo campicello, nel quale erano presenti dei bellissimi alberi di ciliegio.
Questi ciliegi maturavano in maniera scalare, e per questo riuscì a recuperare anche specie antiche e rare, tra cui le ciliegie bianche.

La sua passione era motivata dal ricordo del nonno, dal quale avuto in dono il fondo.

Il nonno si chiamava Gerardo, ed aveva lo stesso nome del santo protettore delle ciliegie, San Gerardo da Tintori.
Grazie alla passione di Luca, tramandata dal nonno, il 6 giugno in paese si faceva la festa della ciliegia, che attirava tutto il circondario.
Il nostro portalettere raramente vendeva le ciliegie perché generalmente le dava in dono.
Durante la stagione lo si vedeva spesso in giro dopo il lavoro con una borsa piena dei preziosi frutti che portava ad anziani, ad amici ed a gente bisognosa,

che Luca ben conosceva per via del suo lavoro.

Ultimamente, però, con l’espandersi del paese, era stato ricavato da una area abbandonata vicino al suo orticello un campetto di calcio ed i ragazzi, dopo le partite e durante le pause, facevano razzie di ciliegie, spezzando inoltre i rami, facendo così ammalare le piante.
Fu inutile mettere cartelli con divieti e recinzioni.
Decise, perciò, di nascondersi lì vicino e di provare ad acchiapparli.
Un giorno riuscì a sorprenderne uno, ma questo fu svelto a scendere dall’albero ed a scappare.
Si mise ad inseguirlo ed intimò al ragazzo:
“Fermati, fermati che ti ho riconosciuto!”

La risposta del ragazzo fu:

“Fermati tu, che nessuno ti corre dietro.”
Questo episodio capitò diverse volte, facendo ritornare in mente al portalettere la scena del film di “Guardie e ladri.” con Totò ed Aldo Fabrizi.
Alla fine con la mediazione del parroco e del sindaco, i ciliegi furono lavorati in compartecipazione con i ragazzi, che invece di devastare i ciliegi, ne aumentarono le cure e le rese.
Nessuno fece più inutili corse e fu tolta anche la rete di recinzione come segno di ritrovata fiducia.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

I baffi del leone

I baffi del leone

Un uomo, rimasto vedovo, con un figlio ancora bambino, sposò una giovane donna.
Nel giorno del matrimonio, la donna, commossa dal dolore così evidente sul viso del bambino, fece una promessa a se stessa:
“Aiuterò questo bambino a guarire dal suo dolore e sarò per lui una buona madre.”
Da quel momento ogni suo pensiero ed energia furono spesi per questo obiettivo, ma invano.

Il bambino opponeva un netto rifiuto a tutte le sue attenzioni e cure.

I cibi preparati amorevolmente non erano buoni come quelli della mamma naturale, i vestiti lavati e rammendati venivano sporcati e strappati di proposito, i baci ricevuti venivano prontamente ripuliti col dorso della mano, gli abbracci allontanati, e così via.
Per quanto la donna cercasse di consolare il dolore del bambino e si sforzasse di conquistare il suo affetto non incontrava altro che rifiuto e rabbia.
Un giorno, al colmo del dispiacere e del senso d’impotenza, decise, tra le lacrime, di chiedere consiglio allo stregone del villaggio.
“Ti supplico!
Aiutami!
Prepara una magia così ch’io possa conquistare l’amore di questo bambino!
Ti pagherò quanto vorrai!
Aiutami Stregone!” disse la donna
“Va bene, ti aiuterò e preparerò questa magia, ma è essenziale che tu mi porti due baffi del leone più feroce della foresta.” rispose lo stregone.
“Ma Stregone!
È impossibile!

Non c’è nessuna speranza allora!

Se mi avvicinerò a quel leone mi sbranerà!
Non conquisterò mai l’amore di questo bambino!” esclamò la donna.
“Mi dispiace donna, ma questa è la condizione necessaria per la magia.” terminò lo stregone.
La donna, in lacrime, si avviò verso la sua capanna ancora più scoraggiata.
Dopo una notte insonne, resasi conto che in nessun modo avrebbe rinunciato al suo proposito di conquistare l’affetto del bambino, la giovane sposa decise di procurarsi i baffi del leone ad ogni costo.
La mattina seguente si mise in cammino verso la foresta con una ciotola di carne sul capo.
Giunta al limitare del territorio del leone depose la ciotola a terra e fece quindi ritorno verso la sua capanna.
Il giorno successivo, poco dopo l’alba, si avviò nuovamente con una nuova ciotola piena di carne verso la foresta, ma questa volta depositando il tutto qualche passo più avanti, nel territorio del re della foresta.
Il terzo giorno ancora una ciotola di carne e ancora qualche passo più avanti.

Il quarto giorno lo stesso.

Così il quinto, il sesto, il decimo, il ventesimo, il trentesimo, il centesimo… giorno.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, avanzando con coraggio e costanza.
Fino a vedere la tana e l’animale, e poi, dopo giorni, ad incontrare il leone che ormai attendeva la sua ciotola di carne e osservava placido la donna, concedendole di avvicinarsi.
Sino al giorno in cui la ciotola venne deposta davanti al leone, e la donna, col cuore in tumulto nel petto, capì che giuse il momento di agire.
Mentre l’animale, ormai perfettamente a suo agio con lei, divorava il suo pasto, ecco che lei poté strappare i due baffi preziosi senza che il leone neppure se ne rendesse conto.
Allora sorridendo tra le lacrime, con i due baffi stretti al petto, corse a perdifiato verso la capanna dello stregone:
“Stregone!!!
Stregone!!!
Ho i baffi!!!
Puoi fare la tua magia!!!”
“Mi dispiace donna, non posso fare ciò che mi chiedi.
Non bastano due baffi di leone per conquistare l’amore di un bambino.
Non ho questo potere!” replicò lo stregone.
“Mi hai ingannata, mi hai tradita!
Mi hai fatto rischiare la vita per nulla!

Perché?

Perché l’hai fatto?” urlava tra le lacrime la donna al culmine della disperazione, “Avevi promesso!
Come farò adesso?”
Lo stregone, in silenzio, attese che la donna esaurisse le sue lacrime e la sua rabbia e poi rispose: “Io non posso compiere alcuna magia, donna.
La magia è nelle tue mani.
Guarda cos’hai fatto col leone.
Ebbene, la magia è questa:
fai col tuo bambino ciò che hai fatto col leone!”

Antica Favola Etiope.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il contadino e la trappola per topi

Il contadino e la trappola per topi

Un topo stava guardando attraverso un buco nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo.
Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti.
“Sicuramente conterrà del cibo!” pensò il topo.
Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato.
Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi!

Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando:

“State attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse:
“Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente.
Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura.”
E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.

Il topo continuò a correre gridando:

“State tutti attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante:
“Sono veramente dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda, ma non c’è assolutamente nulla che io possa fare.”
Ma il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno.
“Una trappola per topi?” gli disse “E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?”

Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.

Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo.
Proprio quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissimo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda.
La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c’era nella trappola ma, a causa dell’oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso.
Il serpente la morse.
Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all’ospedale dove venne sottoposta alle prime cure.
Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta.

Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c’è niente di meglio che un buon brodo di gallina.

E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina trasformandola nell’ingrediente principale del suo brodo.
La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennero a trovare e a farle compagnia.
Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale.
E così fece.
Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue.
Inutile dire quale animale fornì la materia prima.
La prossima volta che sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c’è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo.

Brano senza Autore, tratto dal Web