La chiave d’oro

La chiave d’oro

Paolino aveva alcune cose che lo soddisfacevano, come 12 (dodici) anni, un discreto dribbling, i capelli rossi e 24 (ventiquattro) lentiggini sul naso.
Altre gli piacevano un po’ meno, come dover andare a scuola, la lingua inglese e Giorgio, il suo amico-nemico dichiarato, che gli aveva affibbiato il soprannome di “ketchup” (sempre per via dei capelli).
Per il resto Paolino era un ragazzo come tanti, spesso stanco, disubbidiente Q. B. (quanto basta), gentile e affettuoso nei momenti giusti.
Ma un pomeriggio, avvenne qualcosa che cambiò, in un certo senso, la sua vita.
Era la ventesima volta che Paolino rileggeva la pagina di storia.
Ma non c’era niente da fare: non capiva nulla.
Tutti quei Francheschi, Carli, Enrichi, re ora di qua, ora di là, facevano una gran confusione nella sua testa.

Era stufo e arcistufo.

Sbuffò con la forza di un ippopotamo e sparò un calcio da “telebeam” al cestino della carta.
Dalla cucina filtravano le risate delle sorelline (5 e 3 anni) che guardavano i cartoni animati alla televisione.
“Diventare grandi è una rottura!” pensò per un momento, ma solo per un momento.
Stava per mandare il libro di storia a far compagnia al cestino della carta, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un leggero picchiettio alla finestra.
Corse a guardare.
Sul davanzale c’era un colombo bianco.
Paolino aprì la finestra.
“Avrà fame!” pensò.
Allungò la mano piano piano:
il colombo non volò via, anzi, andò incontro alla sua mano.
Portava qualcosa di luccicante nel becco.
Con un rapido movimento del capo lo posò nel palmo della mano del ragazzo e poi in un frullo d’ali volò via.

Paolino guardò il regalo del colombo:

era una piccola chiave d’oro.
Si sentiva stranamente tranquillo, come se i colombi che vanno in giro a distribuire chiavi d’oro, fossero una cosa assolutamente normale.
Nel cassetto della scrivania trovò un laccio di cuoio, lo fece passare nell’occhiello della chiave e se lo infilò al collo.
Il giorno, dopo a scuola, tutti ammiravano il suo ciondolo.
“È nuovo?” gli chiese perfino Giorgio.
“No. È lavato con Perlana!” rispose Paolino, tanto per non smentirsi.
Qualcuno gli chiese dove l’avesse preso.
Ma non osò raccontarlo.
Il fatto strano cominciò durante l’intervallo.
Riccardo e Walter lo attaccarono pesantemente sulla diletta Juventus.
La sua squadra del cuore era stata sconfitta la domenica precedente e Paolino l’aveva presa male.
Perfidamente, i due amici cominciarono a farsi beffe di lui, e questo lo poteva sopportate, ma poi attaccarono la squadra, e questa era un’onta da lavare con i pugni.
C’era un angolino nel cortile costantemente fuori portata degli sguardi indagatori degli insegnanti.
Era là che si regolavano le sfide a botte.

Paolino era grosso e svelto:

non aveva certo paura dei suoi compagni.
Li sfidò a raggiungerlo nel cortile.
Era là che aspettava con i pugni chiusi, quando vide sul muro una serratura, lieve ma ben definita.
Chi era quel matto che disegnava serrature sul muro?
La serratura, però, non era disegnata.
Era reale.
Paolino la guardò a bocca aperta, poi capì.
Si sfilò la chiave dal collo e provò nella serratura.
Entrava perfettamente.
La girò piano piano, con il cuore che batteva.
Nel muro si aprì come uno sportello.
Dentro c’era un cielo sereno in cui spiccava nitido e colorato un magnifico arcobaleno.
Sembrava così vicino che Paolino allungò la mano:
l’arcobaleno si avvolse come una sciarpa di seta attorno alla sua mano.
In quell’istante lo sportello nel muro sparì.
Riccardo e Walter arrivarono pronti a fare a botte, ma Paolino allargò le braccia in segno di resa.
Non riusciva proprio a stringere a pugno la mano che era stata fasciata dall’arcobaleno.
Sorpresi dall’improvviso gesto di pace, Riccardo e Walter divennero subito più amichevoli e si avvicinarono a Paolino, quasi sorridenti.
“Bè, dopotutto, la Juventus non è da buttar via!” disse Walter.
La seconda volta successe a casa.
Dopo pranzo.
“Per piacere, Paolino,” disse la mamma, “oggi resta in casa e tieni d’occhio le sorelline.
Devo uscire per delle commissioni e non posso portarle con me!”

“Ma mamma!

Ho promesso di andare all’oratorio con Giorgio:
è il mio pomeriggio libero!
Porta Elena ed Evelina dalla nonna!”
“La mamma ti ha chiesto un piacere, Paolo!” ribatté con aria severa il papà, “Oggi rimani a casa, chiaro?”
“Uffa! È sempre così!
E io esco lo stesso!”
Paolino sbatté la sedia contro il tavolo con malagrazia e si rifugiò nella sua cameretta.
“Esco lo stesso!” si disse, e si infilò il giubbotto.
Era a un passo dalla porta d’ingresso, quando apparve di nuovo, sul muro del corridoio, la misteriosa serratura.
Questa volta Paolino non ebbe dubbi.
Introdusse la chiave d’oro nella serratura, che, come la prima volta, scattò morbidamente.
Lo sportello magico si aprì e, dentro il muro, come in un armadietto, Paolino vide una carezza del papà e un bacio della mamma.
Erano le due cose più belle della sua vita, le purtroppo rare carezze di papà lo riempivano di fierezza e i baci della mamma facevano passare tutto:

le delusioni, il mal di pancia, i brutti voti e le paure.

Lentamente tornò indietro, mentre lo sportello nel muro spariva.
“E va bene!” brontolò, “Farò la guardia a quei due esseri pestilenziali!”
Quella sera non era la più adatta a rialzargli l’umore, nonostante la buona azione del pomeriggio.
Il giorno dopo sarebbe quasi certamente stato interrogato in inglese e perciò gli toccava studiare proprio la materia che gli risultava più indigesta.
Ogni due verbi inglesi accendeva la radio per distrarsi un po’.
Dopo un’ora aveva studiato esattamente quattro verbi.
“Di questo passo a mezzanotte sarò ancora qui, accidenti a questa rottura!” sbuffava.
Fu così che vide la serratura per la terza volta.
Era nell’aria, dietro la lampada da tavolo.
Paolino prese la chiave d’oro e aprì il solito sportello.
Dentro, questa volta c’era lui.
Vide se stesso che saliva una scala che si perdeva nelle nuvole.
Mentre saliva, gli scalini dietro di lui scomparivano.
Per quella scala si poteva solo salire.

Era impossibile tornare indietro.

Anche questa volta Paolino capì.
Spense la radio e cominciò a studiare.
Non poteva buttare via gli “scalini”:
non li avrebbe recuperati mai più.
Così la chiave d’oro cambiò la vita di Paolino.
Apparentemente era rimasto il ragazzo di prima, con 12 anni, un discreto dribbling, i capelli rossi, 24 lentiggini sul naso e un amico-nemico che lo chiamava “ketchup”, ma in lui qualcosa era diverso.
Se ne accorse perfino il preside che un giorno, mentre Paolino si preparava a battere un “corner” durante la partita nel cortile della scuola, gli passò vicino e gli disse:
“E bravo Paolino!
Hai trovato la chiave della saggezza?”
“Proprio così!” rispose Paolino.
E tirò un magnifico “corner”.
Ma Riccardo, come al solito, “ciccò” ignobilmente il pallone.

Brano tratto dal libro “Altre storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’annuncio del passero

L’annuncio del passero

La notte in cui Dio inviò l’Arcangelo Gabriele a Maria, un passero si trovava per caso lì, sul davanzale di una finestra.
Impaurito dall’apparizione, stava per fuggire.
Ma non appena udì l’arcangelo annunciare a Maria che essa avrebbe dato presto alla luce il figlio di Dio, il suo piccolo cuore cominciò a battere forte per l’emozione.
E rimase fermo come un sasso fin quando l’arcangelo non fu volato via.
“Ho davvero capito bene?
Da Maria nascerà proprio il figlio di Dio?” si chiese l’uccellino.
Provava una grande felicità.
“Sono stato fortunato a sentire tutto.” pensò, “Devo andare subito a riferire il meraviglioso annuncio agli uomini affinché si preparino ad accogliere e a festeggiare il Bambino.
Così partì in volo sul villaggio di Nazaret e si diresse al mercato.
Lì vi erano donne che vendevano grano, farina e pane.
“Ho un segreto, uno straordinario segreto da rivelarvi!” cinguettò il passero saltellando sulle zampette, impaziente di raccontare.

Ma una di loro gli gridò arrabbiata:

“Voi passeri fate sempre i furbi per rubarmi il grano!
Vattene via di qui, impertinente!”
E lo minacciò con una scopa, senza ascoltare ciò che le voleva dire.
Il passero volò allora fino alla piazza.
Riuniti sotto un albero, i saggi del villaggio stavano discutendo animatamente.
“Loro sì, mi ascolteranno di certo!” pensò, per farsi coraggio.
“Si sta preparando qualcosa di grandioso per le creature della terra!” cinguettò, posandosi su un ramo proprio sopra di loro.
I saggi alzarono per un attimo lo sguardo verso di lui, poi ripresero i loro discorsi.
Neanche si accorsero che l’uccellino, per nulla intimorito da un gatto, continuava a saltare di ramo in ramo tentando disperatamente di attirare la loro attenzione.
Scuotendo la testolina per la delusione, il passero proseguì fino alla capitale e puntò diritto verso il palazzo del Re.
“Come osi oltrepassare le mura della reggia?” gridò una guardia.
“Vengo per darvi una notizia importante!” cinguettò il passero, “Sta per nascere il figlio di Dio, il signore dei cieli e della terra!”
“Se non taci immediatamente, ti faccio rinchiudere in una gabbia!” tuonò il capitano, “È il nostro Re il signore di tutto e di tutti!”

Ma il passero riuscì a sfuggire alle guardie.

Entrò per una finestra nel palazzo, e si diresse verso la sala del trono.
“Cacciate via quell’uccello maleducato!” urlò il Re furente, senza ascoltare un bel niente di quanto il passero cercava di dirgli.
Guardie e servitori inseguirono il passero per catturarlo.
Questo, impaurito, tentò di uscire dal palazzo, ma nel frattempo la finestra era stata chiusa!
“Prendetelo! Afferratelo!” gridavano le guardie e i servitori, correndo attraverso le stanze dove l’uccellino cercava invano di nascondersi.
Per fortuna, proprio nell’ultima stanza, il passero trovò una feritoia aperta, e in un baleno riguadagnò la libertà.
“Salvo!
Finalmente sono salvo!” esclamò l’uccellino librandosi alto nel cielo.
Da lassù scorse, vicino a un villaggio, dei bambini che giocavano allegri in mezzo alla neve.
“I bambini sì, loro mi daranno retta!” pensò, avvicinandosi velocemente.
Infatti, si era appena posato sulla neve, che tutti i bambini si erano già raccolti in cerchio attorno a lui.
“Com’è carino questo passerotto!” dissero, “Che cosa sarà venuto a fare?

Forse vuole giocare con noi…”

“Oh no!
Sono qui per svelarvi un bellissimo segreto!” cinguettò l’uccellino, piegando un po’ dilato la testolina, “Nascerà tra poco sulla terra, proprio qui tra noi, un altro bambino, il figlio di Dio!”
“Ascoltate quanti cip cip… cip cip…” notò un bambino, “Sembra proprio che voglia dirci qualcosa…”
“Io dico che ha fame!” esclamò una bambina, e gli diede delle briciole di torta.
Ma il passero non pensava davvero al cibo.
Era lì per qualcosa di ben più importante.
Per richiamare meglio la loro attenzione, batté eccitato le ali e ripeté da capo tutto, cinguettando nel modo più chiaro possibile.
“Come vorremmo capirti!” disse un bambino all’uccellino, accarezzandolo.
Il passero fu certo che i bambini, purtroppo, non potevano comprenderlo.
Al passero dispiaceva molto di non poter comunicare a nessuno il grande segreto.
“Quale sfortuna che gli uomini non sappiano ciò che sta per accadere!” pensava, “Gli adulti fanno i sordi e mi cacciano via, e i bambini, tanto gentili, non riescono a capirmi…”
“Se non posso raccontare nulla agli uomini, non vi sarà nessuno ad accogliere Giuseppe e Maria al loro arrivo a Betlemme.” si preoccupava l’uccellino, “E nessuno, proprio nessuno sarà davanti alla stalla nella notte santa per far compagnia al figlio di Dio!

Debbo fare a ogni costo qualcosa!” decise.

Allora chiamò gli altri passeri e raccontò loro ciò che aveva udito nella casetta di Maria.
I passeri si rallegrarono subito quanto lui.
“Se gli uomini non vogliono capire quale Bambino sta per nascere, noi lo faremo sapere almeno agli altri uccelli!” decisero.
In men che non si dica, volarono in ogni direzione e diffusero ovunque la notizia.
Allodole e fringuelli, cinciallegre e pettirossi, usignoli e merli, proprio tutti seppero del grande evento.
Nel mondo degli uccelli cominciò a regnare l’impazienza.
Ovunque fervevano preparativi.
Tutti provavano i loro più bei canti attendendo la nascita del figlio di Dio.
Quando Gesù nacque e fu deposto nella greppia, i primi a vederlo furono l’asinello che aveva portato Giuseppe e Maria a Betlemme, il bue che abitava nella stalla, e stormi di allodole, fringuelli, cinciallegre, pettirossi, usignoli e merli venuti da ogni parte.
Dal tetto della stalla i passeri vegliavano su Gesù bambino, mentre gli altri uccelli cantavano gioiosamente tutt’attorno.
Poi arrivarono i primi pastori, che avevano finalmente udito l’annuncio dagli angeli discesi dal cielo.
Davanti a Gesù, si meravigliarono di trovare tutti quegli uccelli in festa.

Si guardarono l’un l’altro.

“Cantiamo anche noi!” dissero, e fecero un coro solo con allodole e fringuelli, cinciallegre e pettirossi, usignoli e merli, suonando pure dolcemente i loro flauti e le zampogne.
Quando gli altri uomini li udirono di lontano e capirono che era nato il figlio di Dio, pure loro si rallegrarono e cominciarono a cantare.
Così in ogni luogo della terra fu festa per il sacro evento.
Potete immaginare la felicità del nostro passero!
Per merito suo, Gesù, nascendo, aveva trovato tante e tante creature e tanti canti di felicità attorno a sé.
E ancor oggi, nella notte santa, davanti al Presepio o all’albero di Natale, bambini e grandi riempiono di canti le loro case.

Brano di Bruno Ferrero

Sorridi…

Sorridi…

… al sole che illumina la terra e fa germogliare la vita.
… al passero che si posa sul tuo davanzale in cerca di poche briciole.
… al vecchio che ti regala i suoi saggi consigli e aiuta la sua mano tremante, ti benedirà.

Sorridi…

… all’amico quando cerca il tuo sguardo, ti chiede aiuto e sicurezza.
… all’ammalato senza speranza, il tuo sorriso sarà per lui la medicina più preziosa.
… al sorgere di ogni nuovo giorno perché è un dono di Dio.

Sorridi…

… al timido bocciolo di un fiore, anch’esso ti annuncia il miracolo della vita.
… al frastuono dei bimbi, essi sono la speranza di un mondo migliore.
… all’amore in qualunque forma si manifesti, esso vince il tempo e lo spazio.

Sorridi…

… davanti alle meschinità della gente senz’anima, il tuo sorriso forse le farà ricredere.
… quando ascolti note armoniose, la musica è linguaggio universale.
… al tuo fratello dalla pelle più colorata, è in tutto simile a te.
… e troverai la pace nel tuo cuore e in quello degli altri.

Brano di Ishak Alioui

La vecchia zia Ada


La vecchia zia Ada

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero degli anziani, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei.
Si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
“Brava, così verranno le formiche!” dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.
“Ecco,” borbottarono le vecchine “che cosa ci avete guadagnato?
Ha beccato ed è volato via.

Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.”

La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l’uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionato, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l’uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
“Ci sono i vostri uccellini!” dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po’ d’invidia.
E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all’anice e intanto diceva:
“Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.” esclamava la vecchia zia Ada.
“Eh,” mormoravano le altre vecchine “se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli.
E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?”

La vecchia zia Ada non lo sapeva più:

forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro:
“Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.”
E quando avevano finito di beccare il biscotto:
“Su, andate, andate.
Cosa aspettate ancora?
Le ali sono fatte per volare.”
Le vecchine scrollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po’ matta, perché vecchia e povera com’era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po’ di tempo, e non valeva più la pena di mettersi in viaggio per il funerale.
Ma gli uccellini tornarono per tutto l’inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari