Ricordati che io sono qui!

Ricordati che io sono qui!

Questa è la storia di un ghetto che cessò di esistere, e di un uomo che faceva da sacrestano nella sinagoga.
Costui, ogni mattina, prima di incominciare le pulizie dentro la sinagoga, saliva sul pulpito e gridava, con fierezza:
“Sono venuto ad annunciarti, Signore dell’Universo, che noi siamo qui!”

Sul ghetto si abbatté la persecuzione razzista.

Cominciarono le difficoltà, i linciaggi.
Ma ogni mattina, il sacrestano saliva sul pulpito della sinagoga e gridava, qualche volta con ira:
“Sono venuto ad annunciarti, che noi siamo qui!”
Venne il primo massacro, seguito da molti altri.
Il sacrestano ne usciva sempre indenne, e sempre si precipitava nella sinagoga per battere il pugno sul banco e gridare fino a spolmonarsi:

“Vedi, Signore dell’Universo, siamo ancora qui!”

Dopo l’ultimo massacro, si ritrovò solo nella sinagoga deserta.
Ultimo ebreo vivente, salì sulla tribuna un’ultima volta.
Alzò verso l’alto lo sguardo e mormorò con dolcezza infinita:
“Vedi? Sono sempre qui!”

Si fermò un istante, prima di aggiungere con voce roca e triste:

“Ma tu, dove sei, tu?”
Per questo preghiamo.
Preghiamo ogni giorno per dire a Dio:
“Ricordati che io sono qui!”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.
Per non dimenticare! Giornata della Memoria.

Il fuoco


Il fuoco

Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano.
Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile.
Il freddo si faceva sempre più insopportabile.
La prima persona era una donna, ma un guizzo della fiamma illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura.

La donna se ne accorse.

Strinse il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco vide uno che non era del suo partito.
Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno.

Il suo vicino era certamente ricco.

Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca.
Le batterie del suo telefonino erano scariche, doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai spento.
Stringeva forte il pugno intorno al suo pezzo di legno.
Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano.
Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco.

Era arrivato il momento della vendetta.

L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente.
Non faceva nulla se non per profitto.
Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito.
Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensava.
Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento.
Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo di dentro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Il segnale del naufrago


Il segnale del naufrago

Un povero naufrago arrivò sulla spiaggia di un’isoletta deserta aggrappato ad un piccolo relitto della barca su cui stava viaggiando, dopo una terribile tempesta.
L’isola era poco più di uno scoglio, aspro e inospitale.
Il pover’uomo cominciò a pregare.
Chiese a Dio, con tutte le sue forze, di salvarlo e ogni giorno scrutava l’orizzonte in attesa di veder sopraggiungere un aiuto, ma non arrivava nessuno.
Dopo qualche giorno si organizzò.
Sgobbando e tribolando fabbricò qualche strumento per cacciare e coltivare, sudando sangue riuscì ad accendere il fuoco, sì costruì una capanna e un riparo contro le violente bufere.

Passò qualche mese.

Il pover’uomo continuava la sua preghiera, ma nessuna nave appariva all’orizzonte.
Un giorno, un colpo di brezza sul fuoco spinse le fiamme a lambire la stuoia del naufrago.
In un attimo tutto s’incendiò.
Dense volute di fumo si alzarono verso il cielo.
Gli sforzi di mesi, in pochi istanti, si ridussero a un mucchietto di cenere.
Il naufrago, che invano aveva tentato di salvare qualcosa, si buttò piangendo nella sabbia.
“Perché Signore?

Perché anche questo?”

Qualche ora dopo, un grossa nave attraccò vicino all’isola.
Vennero a prenderlo con una scialuppa.
“Ma come avete fatto a sapere che ero qui?” chiese il naufrago, quasi incredulo.
“Abbiamo visto i segnali di fumo” gli risposero.

Le tue difficoltà di oggi sono segnali di fumo per la grazia futura.
Dio verrà a salvarti.

Brano tratto dal libro “Il Segreto dei Pesci Rossi.” di Bruno Ferrero

La leggenda del bucaneve


La leggenda del bucaneve

Un’antica leggenda racconta che quando tutto ciò che vive prese la sua forma e il suo nome definitivo, solo l’uomo non fu contento, poiché la terra gli sembrava triste e deserta.
Egli sentiva che mancava qualcosa che rendesse bella e felice la sua vita.
Allora apparve la fata dei fiori, la quale, ascoltando le sue lamentele gli disse:
“Coprirò la terra con un ornamento originale che sarà per sempre la tua consolazione e la gioia dei tuoi occhi.”
E a un cenno della sua bacchetta magica uscirono all’improvviso dalla terra moltissimi fiori che si disposero gli uni accanto agli altri.
La fata allora immerse la sua bacchetta magica nei colori dell’arcobaleno e diede a ciascuno dei colori diversi.

Ben presto la terra si coprì di fiori coloratissimi di ogni tipo.

I fieri crisantemi poterono inorgoglirsi di essere splendenti e multicolori, le rose dei loro petali che sembravano preziosi velluti, i garofani, i gelsomini, i fiordalisi, le viole profumate…
Allo stesso tempo la fata dava a ciascuno un nome, indicandogli anche il luogo di residenza.
Non appena tutti i fiori furono pronti a confortare il genere umano, si udì da sotto un mucchio di neve come il sospiro di un bambino abbandonato.
“Io sono il solo ad essere stato dimenticato, buona fata,” diceva una vocina lamentosa “e sono rimasto senza colore e senza nome.
Quando i miei fratelli, sparsi sulla terra per compiere la loro missione, rallegreranno gli sguardi con la loro bellezza, io resterò qui e nessuno lo saprà!”

Commossa la fata rispose:

“Non essere triste piccolo fiore.
Tu che sei rimasto l’ultimo, sarai il primo.
Poiché sei stato dimenticato, piccolo bucaneve, sarai tu con i tuoi petali bianchi ad annunciare l’arrivo della primavera.
Alla tua vista tutti si rallegreranno!”

Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web