La bambina e le due mele

La bambina e le due mele

Un giorno, una mamma, rientrando a casa dal lavoro, trovò la sua bambina con due mele nelle sue piccole manine.
Le guardava, le annusava, se le stava godendo prima di mangiarle, pregustando la loro dolcezza e morbidezza.
La mamma si avvicinò e chiese alla figlioletta se le potesse dare una delle sue due mele.

La bimba guardò le sue due mele, una era rossa e l’altra gialla.

Dubitò per un attimo, guardandole entrambe, e finalmente morse quella rossa, l’assaporò per bene, e poi morse anche quella gialla, con la stessa calma e compiacenza.
La mamma sentì il sorriso sul suo volto congelarsi, si chiedeva perché e da quando sua figlia era diventata così egoista.
Si chiedeva in cosa aveva sbagliato nel corrompere quell’angioletto che era stata quando era più piccola.
E cercava di non rivelare la sua delusione.
In quello stesso momento, la bambina le porse una delle due mele dicendo:

“Tieni mammina, questa è quella più dolce.”

La mamma prese la mela e abbracciò la sua bambina perché non vedesse che aveva le lacrime agli occhi.
Insieme si sedettero a mangiare le mele.
Entrambe avevano un sorriso gioioso e sereno, guardando le nuvole nel cielo si raccontarono le proprie giornate, una fatta di giochi e cose da imparare,

l’altra fatta di problemi e cose da risolvere.

Poi, quando la bambina fu concentrata su altro, la mamma scrisse un piccolo pensiero nel suo taccuino per non dimenticare:
“Non importa chi sei, come sei vissuto, cosa credi di aver visto o sentito, quanta esperienza e conoscenza pensi di avere, ritarda sempre il giudizio.
Dai agli altri il privilegio di spiegarsi.
Quello che percepisci può essere o non essere la realtà.”

Brano senza Autore

Le quattro mogli

Le quattro mogli

C’era un ricco commerciante che aveva quattro mogli.
Lui amava la sua quarta moglie più di tutte e l’adornava con vestiti eleganti e la trattava con tanta dolcezza.
Si prendeva grande cura di lei, e non le faceva mancare nulla e le dava sempre il meglio di tutto.
Amava moltissimo anche la terza moglie.
Era molto orgoglioso di lei ed era sempre quella che mostrava ai suoi amici.
Il commerciante temeva sempre comunque che lei fuggisse con gli altri uomini.

Lui amava anche la sua seconda moglie.

Era una persona molto premurosa, sempre paziente e confidente del commerciante.
Ogni qualvolta il commerciante affrontava dei problemi, si rivolgeva sempre alla sua seconda moglie e lei riusciva ad aiutarlo e a farlo uscire dai momenti difficili.
Ora, la prima moglie del commerciante era una partner molto fedele e aveva dato grandi contributi nel fargli mantenere la sua ricchezza, gli affari e la cura della famiglia.
Comunque, il commerciante non amava la prima moglie ed anche se lei l’amava profondamente, lui non si prendeva cura di lei.
Un giorno, il negoziante cadde ammalato.
Di lì a poco, capì di stare in punto di morte.
Pensò allora a tutta la sua vita agiata e disse fra sé e sé:
“Ora ho quattro mogli con me.
Ma quando io muoio, me ne andrò da solo.
Come sarò solo!”

Così disse alla quarta moglie:

“Io ti ho amato di più, ti ho dato i migliori vestiti e ho avuto la massima cura di te.
Ora che io sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“In nessun modo!” rispose la quarta moglie e si allontanò senza altre parole.
La risposta fu come una rasoiata nel cuore del commerciante.
Egli allora tristemente chiese alla terza moglie:
“Io ti ho tanto amato per tutta la mia vita.
Ora che sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“Neanche per sogno!” rispose la terza moglie.
“La vita qui è così bella!
Quando morirai, subito mi sposerò di nuovo!”
Il cuore del commerciante ebbe un sussulto e diventò gelido.

Domandò poi alla seconda moglie:

“Mi sono sempre rivolto a te per aiuto e tu sempre mi hai aiutato.
Ora ho bisogno di nuovo del tuo aiuto.
Ora che sto morendo, vuoi seguirmi e tenermi compagnia?”
“Sono spiacente, ma non posso aiutarti.
Tutt’al più posso provvedere al tuo funerale!”
La risposta arrivò come una deflagrazione devastante.
Quand’ecco una voce che diceva:
“Io verrò con te!
E non mi preoccuperò di dove andrai”
Il commerciante si girò intorno e vide la sua prima moglie…
Era così magra e malnutrita!
Grandemente si addolorò, ed esclamò:
“Mi sarei dovuto prendere più cura di te quando avrei potuto!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il segreto del vecchietto


Il segreto del vecchietto

Un giovane medico si trovava in un lebbrosario in un’isola del Pacifico.
Un incubo di orrore.
Solo cadaveri ambulanti, disperazione, rabbia, piaghe e mutilazioni orrende.
Eppure, in mezzo a tanta devastazione, un anziano malato conservava occhi sorprendentemente luminosi e sorridenti.
Soffriva nel corpo, come i suoi infelici compagni, ma dimostrava attaccamento alla vita, non disperazione, e dolcezza nel trattare gli altri..
Incuriosito da quel vero miracolo di vita, nell’inferno del lebbrosario, il giovane medico volle cercarne la spiegazione:
che cosa mai poteva dare tanta forza di vivere a quel vecchio così colpito dal male?

Lo pedinò, discretamente.

Scoprì che, immancabilmente, allo spuntar dell’alba, il vecchietto si trascinava al recinto che circondava il lebbrosario, e raggiungeva un posto ben preciso.
Si metteva a sedere e aspettava.
Non era il sorgere del sole che aspettava.
Né lo spettacolo dell’aurora del Pacifico.
Aspettava fino a quando, dall’altra parte del recinto, spuntava una donna, anziana anche lei, con il volto coperto di rughe finissime, gli occhi pieni di dolcezza.
La donna non parlava.
Lanciava solo un messaggio silenzioso e discreto: un sorriso.
Ma l’uomo si illuminava a quel sorriso e rispondeva con un altro sorriso.
Il muto colloquio durava pochi istanti, poi il vecchietto si rialzava e trotterellava verso le baracche.
Tutte le mattine.
Una specie di comunione quotidiana.
Il lebbroso, alimentato e fortificato da quel sorriso, poteva sopportare una nuova giornata e resistere fino al nuovo appuntamento con il sorriso di quel volto femminile.
Quando il giovane medico glielo chiese, il lebbroso gli disse:

“È mia moglie!”

E dopo un attimo di silenzio:
“Prima che venissi qui, mi ha curato in segreto, con tutto ciò che riusciva a trovare.
Uno stregone le aveva dato una pomata.
Lei tutti i giorni me ne spalmava la faccia, salvo una piccola parte, sufficiente per apporvi le sue labbra per un bacio…
Ma tutto è stato inutile.
Allora mi hanno preso, mi hanno portato qui.

Ma lei mi ha seguito.

E quando ogni giorno la rivedo, solo per lei so che sono ancora vivo, solo per lei mi piace ancora vivere.”

Certamente qualcuno ti ha sorriso stamattina, anche se tu non te ne sei accorto.
Certamente qualcuno aspetta il tuo sorriso, oggi.
E se entri in una chiesa e spalanchi la tua anima al silenzio, ti accorgerai che Dio, per primo, ti accoglie con un sorriso….

Brano senza Autore, tratto dal Web

Dolci coccole


Dolci coccole

Una volta, tanto tempo fa, c’era una terra dove la gente viveva felice.
Tutti erano amici, si volevano bene, giocavano insieme, e si aiutavano.
Erano tutti gentili, cordiali e premurosi.
Erano così per la strada, a scuola, e anche quando c’era la coda da fare all’ufficio postale.
Naturalmente, c’era un segreto.
A quel tempo, ogni bambino riceveva alla nascita un sacchetto colmo di “Dolci Coccole.”
Le “Dolci Coccole” erano molto apprezzate.
Tutti quelli che le ricevevano, si sentivano pieni di dolcezza e di calda simpatia.
Coloro che non ne ricevevano, invece, si ammalavano di influenza, avevano il mal di schiena, appassivano, talvolta morivano.
A quel tempo, però, era molto facile procurarsi delle “Dolci Coccole.”
Quando uno ne aveva voglia, si avvicinava ad un altro, e domandava:

“Vorrei una “Dolce Coccola”!”

L’altro tuffava la mano nel suo sacchetto, e ne traeva una “Dolce Coccola”, che aveva più o meno le dimensioni della mano di una bambina.
Chi la riceveva, la strofinava dolcemente sul cuore, sulle guance, o sulle braccia, e subito si sentiva invadere da una piacevole ondata di tepore e di benessere, sia nel corpo che nell’anima.
La gente a quel tempo si scambiava continuamente “Dolci Coccole” e, dal momento che erano assolutamente gratuite, se ne potevano avere a volontà!
Così, quasi tutti vivevano felici, e si sentivano teneri e caldi.
Quasi tutti.
C’era qualcuno che non era affatto contento di vedere la gente scambiarsi “Dolci Coccole.”
Si chiamava Belzefà, ed era una strega perfida e perennemente arrabbiata.
Belzefà architettò un piano diabolico:
un mattino, piombò nel mezzo di una famigliola, si accostò al papà, che stava leggendo il giornale, e gli indicò la moglie che stava coccolando la bambina più piccola:
“Non vedi tutte le “Dolci Coccole”, che tua moglie sta dando alla bambina?
Se va avanti così, non ce ne saranno più per te!”

L’uomo si preoccupò:

“Vuoi dire che a forza di donarle agli altri non ci saranno più “Dolci Coccole” nel nostro sacchetto?”
“Certo!” rispose la strega “Ad un certo punto finiranno. Stop. Nisba. Nada!”
E ripartì ghignando a cavallo della sua scopa.
Il papà si sentì turbato dalle parole di Belzefà.
Da quel momento, ogni volta che vedeva la moglie dare “Dolci Coccole” ai bambini si sentiva inquieto.
Sempre più spesso si chiese se la strega potesse avere ragione.
Un giorno ne parlò apertamente con la moglie.
Anche lei si spaventò.
La coppia decise che bisognava fare economia e usare con parsimonia le “Dolci Coccole” rimaste.
In breve tempo uomini, donne e bambini smisero di sorridersi l’un l’altro, di essere gentili, di aiutarsi.

Ma un giorno successe un fatto straordinario…

Una fanciulla dagli occhi pieni di luce ed un sorriso dolce e limpido, arrivò in quel triste paese.
Pareva proprio, che non avesse mai sentito parlare della perfida strega, e distribuiva “Dolci Coccole” a piene mani, senza alcuna paura che le venissero a mancare.
La ragazza le offriva gratuitamente, anche se nessuno gliele domandava.
I bambini la amavano tantissimo, perché si sentivano davvero bene con lei.
Anche i bambini allora, tutte le volte che ne avevano voglia, si misero a distribuire “Dolci Coccole”, incuranti che potessero finire.
I grandi fecero una Legge per impedire di sprecare le “Dolci Coccole”, ma i bambini continuarono!
E siccome i bambini sono più numerosi degli adulti, in breve tempo la terra iniziò a diventare nuovamente quel luogo dove la gente vive serena e felice.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’avventura dei ricci


L’avventura dei ricci

Un’estate, una famiglia di ricci andò ad abitare nella foresta.
Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi.
Folleggiavano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane.

Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno.

Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo.
Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie.

I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.

Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe.
Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso.
E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini:

gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.

Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo” di Bruno Ferrero