Il paese dei cani


Il paese dei cani

C’era una volta uno strano piccolo paese.
Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.
Facciamo un esempio.
Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino.
Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c’era sempre qualcuno per la strada.
Facciamo un altro esempio.
Il signore che abitava la casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni.
Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c’era sempre qualcuno spaventato.

Figurarsi se capitava un forestiero.

Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta, passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non fosse passato.
A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati tutti un po’ sordi, e tra loro parlavano pochissimo.
Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.
Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare.

E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani.

Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di “bau bau” che faceva venire la pelle d’oca.
E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.
Però erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.
Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi.
I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro.
Domandò un’informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando.
Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
“Ho capito!” concluse Giovannino “È un’epidemia!”

Si fece ricevere dal sindaco e gli disse:

“Io un rimedio sicuro ce l’avrei.
Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate.
Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di più e diventeranno più gentili.
Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo.”
Il sindaco gli rispose: “Bau! Bau!”
“Ho capito,” disse Giovannino “il peggior malato è quello che crede di essere sano!”
E se ne andò per i fatti suoi.
Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che siano dei cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari

L’uomo che non credeva nell’amore



L’uomo che non credeva nell’amore

Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore.
Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare:
era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva.
Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone.
Diceva che l’amore non è reale, e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca.
Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente.
Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso.
Poteva parlare ovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile.

Diceva che l’amore è come una droga:

ti fa sentire bene, ma crea una dipendenza.
E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore, e poi non riceve la sua dose quotidiana?
Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore.
Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore.
Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
E’ una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il suo cuore.
E’ facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore.
Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il timore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa:
“Cosa farò se mi lascia?”
E tale paura lo rende possessivo.

Diventa geloso ed esigente.

Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto.
La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste.
“Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura.
Dov’è il rispetto?
Dov’è l’amore che dichiariamo di provare?
Non esiste.”
Le giovani coppie, davanti a un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse:
di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia.
Promettono di amare e onorare l’altro… promesse e ancora promesse.
La cosa stupefacente è che credono davvero in ciò che promettono.
Ma dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra.
Scoppia una guerra di potere, di manipolazione, per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore.
Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso.
Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finché ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri.

Ma dov’è l’amore?

Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere.
Ma quando parlavano del loro rapporto dicevano:
“Siamo sopravvissuti al matrimonio.”
Ciò significava che uno dei due a un certo punto si era arreso all’altro.
La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra.
Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore?
Si trattavano come una proprietà, l’uno dell’altro.
“Lui è mio.”
“Lei è mia.”
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva:
“Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita in nome dell’amore.”
Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone.
Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime seduta su una panchina.
Si incuriosì e avvicinatosi le chiese se poteva aiutarla.
Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste.

L’uomo disse:

“Stupefacente.
Una donna che non crede nell’esistenza dell’amore.”
Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese.
“E’ una lunga storia!” rispose lei.
“Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni.
Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito.
Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto e creammo una famiglia.
Ma presto tutto cambiò.
Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini.
Mio marito continuò a seguire la sua carriera.
Il suo successo e la sua immagine esteriore per lui erano più importanti della famiglia.

Smise di rispettarmi e io smisi di rispettare lui.

Ci facemmo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava.
Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo.
Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati.
Non ho più scuse per restare con lui.
Tra noi non c’è rispetto né gentilezza.
So anche che se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste.
Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango.”
L’uomo la comprendeva benissimo.
L’abbracciò e disse:
“Hai ragione, l’amore non esiste.
Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo.
Questo ci fa del male anche quando pensiamo di esserne usciti indenni.

Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa.

Perché allora continuare a cercare l’amore?”
Erano così simili che diventarono grandi amici.
Il loro era un rapporto meraviglioso.
Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro.
Ogni passo che facevano assieme li rendeva felici.
Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso.
La relazione continuava a crescere.
Amavano stare insieme, perché si divertivano molto.
Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno l’uomo, mentre era fuori città, ebbe un’idea assurda.
“Forse ciò che sento per lei è amore!” pensò.

Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato.

Non è ciò che dicono i poeti, o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei.
Non le chiedo nulla e non ho bisogno che si occupi di me.
Non sento la necessità di incolparla dei miei problemi.
Insieme stiamo bene e ci divertiamo.
Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo.
Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi.
Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia.”
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri.
Appena cominciarono a parlare, lei disse:
“So esattamente a cosa ti riferisci.
Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse.”
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra loro non cambiarono.

Continuavano a rispettarsi e a sostenersi e l’amore cresceva sempre di più.

Anche le cose più semplici li facevano gioire, perché si amavano ed erano felici.
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo.
Era intento a guardare le stelle e ne vide una bellissima.
Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani.
Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani.
Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio:
quell’amore era troppo forte.
Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste.
E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore.

Di chi fu l’errore?

Cosa non funzionò?
Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità.
La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori.
L’uomo era felice per tutto l’amore che proveniva da se stesso.
La donna era felice per tutto l’amore che proveniva da lei.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere.
Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà.

Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili.

Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felici e che noi renderemo felici lui, o lei.
Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate.
Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio.
Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore…
sarà la sua luce a trasmettere l’amore… perché…
L’amore esiste.

Brano tratto dal libro “La Padronanza dell’amore.” di Don Miguel Ruiz

L’importanza del Tenore di Vita


L’importanza del Tenore di Vita

Un ragazzo di umili origini era follemente innamorato della figlia di un uomo molto ricco e altolocato.
Un giorno il ragazzo fece una proposta di matrimonio alla ragazza che seccamente rispose: “Stai scherzando?
Il tuo stipendio mensile equivale a quello che spendo in un giorno!
Come posso minimamente pensare di essere tua moglie?
Non potrò mai innamorarmi di una persona come te.

Dimenticami e trova una persona del tuo stesso livello.”

Per il povero ragazzo fu un colpo tremendo.
Passarono gli anni, ma quella ferita rimase sempre aperta e lui non dimenticò mai quelle parole.
Circa dieci anni dopo i due si rincontrano casualmente in un centro commerciale.
Quando lei lo vide, subito disse:
“Hey, quanto tempo!
Come stai?
Ora sono felicemente sposata.
Mio marito è un uomo molto intelligente e un esperto uomo d’affari.
Sai quanto prende?

15.000 euro al mese.”

Nel sentire quelle parole, gli occhi dell’uomo diventarono lucidi e qualche lacrima scese sul suo viso.
Nonostante i dieci anni, ancora non aveva del tutto superato quel rifiuto.
Pochi secondi dopo il marito di lei fece ritorno dalla toilette e, prima che la moglie potesse dire una parola, nel vedere l’uomo esclamò:
“Capo, anche tu qui!
Che piacere incontrarti!
Vedo che hai conosciuto mia moglie.”
Poi si girò verso la moglie e disse:

“Lui è il mio capo.

Il progetto da 100 milioni di euro al quale sto lavorando da tanto è suo.
Nonostante le sue doti e il suo talento ha deciso di rimanere single.
Lui tempo fa ha amato follemente una ragazza, ma non è mai riuscito a conquistare il suo cuore perché non rientrava nei suoi “standard economici!”
Pensa che beffa!
Ora lui è uno degli uomini più ricchi della città!”
La donna, in totale stato di shock, non pronunciò neanche una parola.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La ragazza che regalava il tempo



La ragazza che regalava il tempo

“Chi ha bisogno di un’ora?”
Gliela regalo.
Lo diceva camminando per la strada, come un ambulante che offra mazzetti di fiori e accendini.
Naturalmente nessuno le badava, pensavano che scherzasse o fosse un po’ matta.
Solo una donna le si avvicinò:
stava andando all’ospedale dal vecchio padre moribondo e per questo le prestò ascolto.
“Davvero puoi darmela?” chiese.

“Certo,” disse la ragazza “e gliela diede.”

La donna corse a portarla al padre, che poté così vivere un’ora in più.
Quando la cosa si seppe, la voce che una ragazza regalava il tempo si sparse in un baleno.
La casetta dove abitava fu assediata, la gente non bussava solo alla porta, ma anche ai vetri delle finestre.
“A me! A me!” gridavano.
“Regalami un mese, te lo pago a peso d’oro!”
“Dammi una settimana! Un giorno solo!”

Lei accontentava tutti, e senza farsi pagare.

Una madre le chiese un mese per la sua bambina gravemente ammalata e lo ebbe.
Un’altra, sofferente di cuore, aveva un unico figlio emigrato in Australia.
“Posso morire da un momento all’altro,” disse “e lui ha bisogno di tempo per mettere da parte i soldi per venire a trovarmi.
Posso non rivederlo più, capisci?”
La ragazza le regalò un anno.
Regalava ore, mesi, anni, ed erano pezzetti della sua vita che dava via.
Quando le chiedevano:
“Perché lo fai?” lei non sapeva rispondere.

Qualcuno diceva addirittura:

“Non lo farà perché non ama vivere?”
Invece chi è generoso non sa spiegare perché lo è, o forse lei si vergognava di dire che, essendo
molto povera, non aveva nient’altro da regalare.
Si penserà che a furia di dar via pezzetti della sua vita morì giovane.
Invece no, chi regala il suo tempo agli altri, non lo perde, lo guadagna:
gliene ricresce tanto.

Brano tratto dal libro “Storie del Tic-Tac.” di Marcello Argilli

L’Usignolo e la Rosa. (L’Usignolo e l’Amore)


L’Usignolo e la Rosa.
(L’Usignolo e l’Amore)

Un giovane studente si lamentava poiché nel proprio giardino non c’era una sola rosa rossa.
Ah, da quali sciocchezze dipende la felicità!
Ho letto gli scritti di tutti i sapienti, conosco tutti i segreti della filosofia, ma nonostante ciò la mancanza di una rosa rossa sconvolge la mia vita!
“La donna che amo ha detto che ballerà con me solo se le porterò delle rose rosse, ma in tutto il giardino non c’è una sola rosa rossa!”
Anche l’usignolo lo ascoltava commosso.
“Il principe dà un ballo domani sera!” singhiozzava ad alta voce l’uomo “Io e lei siamo stati invitati.
Se le porterò una rosa rossa ballerà con me fino all’alba.
Ma non v’è rosa rossa nel mio giardino, e così me ne starò tutto solo e lei mi passerà davanti senza degnarmi di uno sguardo.
Non si curerà di me e il mio cuore si spezzerà.”
“Ecco uno che sa veramente amare!” disse l’usignolo “Quello che io canto, egli lo soffre:
quello che per me è gioia, per lui è dolore.

L’amore è una cosa meravigliosa:

è più prezioso di smeraldi e diamanti.
Non si può comprare con perle e pietre preziose.
Non è venduto al mercato; non ci sono mercanti o bilance per l’amore.”
“Ballerà con tutti, ma non con me.
Perché non ho da offrire una rosa rossa!” si disperò l’uomo buttandosi nell’erba e coprendo il proprio viso con le mani.
“Perché piange?” chiese una lucertolina marrone, passandogli accanto di corsa, con la coda in aria.
“Già, perché piange?” chiese una farfalla che svolazzava dietro a un raggio di sole.
“Sì, perché?” sussurrò una primula alla sua vicina con una voce dolce, sommessa.
“Piange per una rosa rossa!” rispose l’usignolo.
“Per una rosa rossa?” esclamarono “Che cosa ridicola!”
La lucertolina, che era un po’ cinica, sghignazzò senza ritegno.
Ma l’usignolo capiva il segreto del dolore dell’uomo e se ne stette silenzioso, sulla quercia, a riflettere sul mistero del dolore.

D’un tratto spalancò le ali brune e si librò in aria.

Attraversò il boschetto come un’ombra, e come un’ombra veleggiò attraverso il giardino.
Al centro del prato c’era un bel rosaio, e quando lo vide l’usignolo si posò su uno dei suoi rami.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono bianche!” rispose “Bianche come la spuma del mare, e più bianche della neve sui monti.
Ma va’ da mio fratello, che cresce intorno alla vecchia meridiana, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò fino al rosaio che cresceva intorno alla vecchia meridiana.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Ma il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono gialle!” rispose “Gialle come l’asfodelo che fiorisce nei campi, gialle come grano.
Ma va’ da mio fratello che fiorisce sotto la finestra dell’uomo, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò al rosaio che cresceva sotto la finestra dell’uomo.
“Dammi una rosa rossa,” esclamò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni.”

Ma il rosaio scosse i rami.

“Le mie rose sono rosse,” rispose “più rosse del corallo.
Ma l’inverno mi ha gelato le vene, la neve mi ha distrutto i germogli e la tempesta mi ha spezzato i rami: non avrò nemmeno una rosa”.
“Una rosa rossa è tutto quello che voglio!” gridò l’usignolo “Solo una rosa rossa!
Non esiste un modo per procurarmela?”
“Una maniera c’è,” rispose il rosaio “ma è così terribile che non ho il coraggio di dirtela!”
“Dimmela,” disse l’usignolo “io non ho paura”.
“Se vuoi una rosa rossa,” disse il rosaio “devi tingerla con il tuo sangue.
Devi cantare per me col petto contro una delle mie spine.
Tutta la notte devi cantare per me, e la spina deve trafiggerti il cuore,
e il tuo sangue deve scorrere nelle mie vene e diventare mio.”
“La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa!” disse l’usignolo “La vita è bella e cara tutti.
Eppure l’amore è più grande della vita.
E che cos’è mai il cuore di un uccello in confronto al cuore di un uomo?”
Si librò in volo e ritornò dall’uomo, che continuava a disperarsi.
“Sii felice!” gli gridò l’usignolo “Sii felice!

Avrai la tua rosa rossa.

La tingerò io con il sangue del mio cuore.
In cambio ti chiedo solo di essere sincero nel tuo amore.”
L’uomo alzò il capo, ma naturalmente non capiva nulla di quello che l’usignolo diceva.
Ma la quercia capì e si rattristò, perché amava molto l’usignolo che aveva costruito il proprio nido in mezzo ai suoi rami.
“Cantami un’ultima canzone,” sussurrò “sarò tanto sola quando tu non ci sarai più!”
L’usignolo cantò per la quercia e la sua voce sembrava acqua zampillante da una fonte d’argento.
L’uomo se ne andò, sbuffando:
“L’usignolo ha una bella voce, ma certamente nessun sentimento.
Pensa solo al canto, alle belle note.
Non gliene importa niente degli altri.

Sono tutti così gli artisti!”

Andò nella sua stanza, si distese sul letto e, pensando alla sua amata, si addormentò.
Quando in cielo si accese la luna, l’usignolo volò al roseto e mise il petto contro una spina.
Tutta la notte cantò, col petto contro la spina.
Anche la fredda luna di cristallo si chinò e ascoltò.
Tutta la notte cantò, e la spina gli penetrò sempre più profondamente nel petto, mentre il sangue della vita scorreva via.
Sbocciò una rosa meravigliosa, rossa come il sole d’oriente, rossa più di un rubino.
Ma la voce dell’usignolo si affievolì.
Le sue piccole ali cominciarono a tremare e un velo di dolore gli annebbiò gli occhi.
La sua voce meravigliosa si spense in un’ultima esplosione di trilli, mentre la rosa meravigliosa spalancava i petali alla fredda aria del mattino.
“Guarda, guarda!” gridò il rosaio.
“La rosa è finita ora!”
Ma l’usignolo non rispose, perché giaceva morto nell’erba alta.
A mezzogiorno, l’uomo aprì la finestra e guardò fuori.
“Ehi, ma che fortuna incredibile!” esclamò.
“Qui c’è una rosa rossa!
Non ho mai visto una rosa così in tutta la vita.
Così bella che di sicuro deve avere un lungo nome latino!”

Si spenzolò dalla finestra e la colse.

Poi corse alla casa della donna dei suoi sogni con la rosa in mano.
“Hai detto che avresti ballato con me se ti avessi portato una rosa rossa!” esclamò l’uomo.
“Ecco la rosa più rossa del mondo.
La porterai stasera sul cuore, e quando balleremo insieme ti dirò quanto ti voglio bene!”
Ma la donna si accigliò.
“Non mi serve più.
Non si intona con il mio vestito.
E poi il nipote del banchiere mi ha mandato dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli costano molto più dei fiori!”
“Sei solo un’ingrata!” disse rabbioso l’uomo.
E gettò la rosa nella strada.
La rosa rossa finì in una pozzanghera e la ruota di un carro la schiacciò.
“L’amore non esiste!” concluse l’uomo.
E tornò a casa.
Si chiuse dentro la sua stanza, prese lo dallo scaffale un vecchio libro polveroso, e si mise a leggere.

Brano tratto dal libro “Il principe felice e altri racconti.” di Oscar Wilde

Il Nonno e il Nipote



Il Nonno e il Nipote

C’era una volta un uomo molto anziano che camminava a fatica, le ginocchia gli tremavano, ci vedeva poco e non aveva più neanche un dente.
Quando sedeva a tavola, reggeva a malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene colava anche dall’angolo della bocca.

Il figlio e la nuora provavano disgusto,

perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta.
Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi.
Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che cadde a terra e andò in pezzi.
La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse nulla e sospirò.

Allora per pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno.

Mentre sedevano in cucina, si accorsero che il figlioletto di 4 anni armeggiava per terra con dei pezzetti di terracotta.
“Che cosa stai combinando?” gli domandò il padre.
“Ecco,” rispose il bambino, “sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e la mamma quando sarete vecchi.”

I genitori allora si guardarono e scoppiarono in lacrime.

Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro.
E quando versava il brodo non gli dicevano più nulla.

Favola dei Fratelli Grimm

Ci sono certi sguardi di donna che l’uomo

amante non scambierebbe con l’intero possesso del corpo di lei. Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido il fulgore della prima tenerezza non sa la più alta delle felicità umane. Dopo, nessun altro attimo di gioia eguaglierà quell’attimo.

Citazione tratta dal libro “Il piacere.” di Gabriele D’Annunzio.

L’auto in panne. (Aiutare gli altri)


L’auto in panne.
(Aiutare gli altri)

In una notte di pioggia c’era una signora di colore ferma al lato della strada sotto un tremendo temporale:
la sua auto era in panne ed aveva disperatamente bisogno di aiuto.

Completamente inzuppata cominciò a fare segnali alle auto che passavano.

Un giovane bianco, come se non conoscesse i conflitti razziali che laceravano gli Stati Uniti negli anni ’60, si fermò per aiutarla.
Il ragazzo la portò in un luogo protetto, le procurò un meccanico e chiamò un taxi per lei.

La donna sembrava avere davvero molta fretta,

ma riuscì ad annotarsi l’indirizzo del suo soccorritore e a ringraziarlo.
Passati sette giorni, bussarono alla porta del ragazzo.
Con sua grande sorpresa era un corriere che gli consegnò un enorme pacco contenente una grande TV a colori, accompagnata da un biglietto che diceva:

“Molte grazie per avermi aiutata in quella strada, quella notte.

La pioggia aveva inzuppato i miei vestiti come il mio spirito e in quel momento è apparso Lei.
Grazie a Lei sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio marito moribondo poco prima che se ne andasse.
Dio la benedica per avermi aiutato.
Sinceramente, Mrs. King Cole”

Brano tratto dal libro “Io e me alla ricerca del Treno: Pensieri e racconti di uno strano ragazzo…” di Andrea Cardinale

Il segreto del vecchietto


Il segreto del vecchietto

Un giovane medico si trovava in un lebbrosario in un’isola del Pacifico.
Un incubo di orrore.
Solo cadaveri ambulanti, disperazione, rabbia, piaghe e mutilazioni orrende.
Eppure, in mezzo a tanta devastazione, un anziano malato conservava occhi sorprendentemente luminosi e sorridenti.
Soffriva nel corpo, come i suoi infelici compagni, ma dimostrava attaccamento alla vita, non disperazione, e dolcezza nel trattare gli altri..
Incuriosito da quel vero miracolo di vita, nell’inferno del lebbrosario, il giovane medico volle cercarne la spiegazione:
che cosa mai poteva dare tanta forza di vivere a quel vecchio così colpito dal male?

Lo pedinò, discretamente.

Scoprì che, immancabilmente, allo spuntar dell’alba, il vecchietto si trascinava al recinto che circondava il lebbrosario, e raggiungeva un posto ben preciso.
Si metteva a sedere e aspettava.
Non era il sorgere del sole che aspettava.
Né lo spettacolo dell’aurora del Pacifico.
Aspettava fino a quando, dall’altra parte del recinto, spuntava una donna, anziana anche lei, con il volto coperto di rughe finissime, gli occhi pieni di dolcezza.
La donna non parlava.
Lanciava solo un messaggio silenzioso e discreto: un sorriso.
Ma l’uomo si illuminava a quel sorriso e rispondeva con un altro sorriso.
Il muto colloquio durava pochi istanti, poi il vecchietto si rialzava e trotterellava verso le baracche.
Tutte le mattine.
Una specie di comunione quotidiana.
Il lebbroso, alimentato e fortificato da quel sorriso, poteva sopportare una nuova giornata e resistere fino al nuovo appuntamento con il sorriso di quel volto femminile.
Quando il giovane medico glielo chiese, il lebbroso gli disse:

“È mia moglie!”

E dopo un attimo di silenzio:
“Prima che venissi qui, mi ha curato in segreto, con tutto ciò che riusciva a trovare.
Uno stregone le aveva dato una pomata.
Lei tutti i giorni me ne spalmava la faccia, salvo una piccola parte, sufficiente per apporvi le sue labbra per un bacio…
Ma tutto è stato inutile.
Allora mi hanno preso, mi hanno portato qui.

Ma lei mi ha seguito.

E quando ogni giorno la rivedo, solo per lei so che sono ancora vivo, solo per lei mi piace ancora vivere.”

Certamente qualcuno ti ha sorriso stamattina, anche se tu non te ne sei accorto.
Certamente qualcuno aspetta il tuo sorriso, oggi.
E se entri in una chiesa e spalanchi la tua anima al silenzio, ti accorgerai che Dio, per primo, ti accoglie con un sorriso….

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il posto di viaggio in aereo


Il posto di viaggio in aereo

Una donna bianca, di circa 50 anni, prese posto in classe economica, di fianco ad un uomo nero, su un aereo di linea.
Visibilmente turbata, chiamò la hostess.
“Che problema ha signora?” chiese l’hostess.
“Ma non lo vede?” rispose la signora “Mi avete messo a fianco di un uomo nero!

Non sopporto di rimanere qui.

Assegnatemi un altro posto.”
“Per favore, si calmi,” disse l’hostess “poiché tutti i posti sono occupati.
Vado a vedere se ce n’è uno disponibile.”
L’hostess si allontanò e ritornò qualche minuto più tardi.
“Signora, come pensavo, non c’è nessun altro posto libero in classe economica, anche il comandante mi ha confermato questa mancanza di posto, neanche in classe executive.

E’ rimasto libero soltanto un posto in prima classe.”

Prima che la donna avesse modo di commentare la cosa, l’hostess continuò:
“Vede, è insolito per la nostra compagnia permettere a una persona con biglietto di classe economica di sedersi in prima classe.
Ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona sgradevole.”

E, rivolgendosi all’uomo nero, l’hostess proseguì:

“Quindi, signore, se lo desidera, prenda il suo bagaglio a mano che la attende un posto in prima classe!”
E tutti i passeggeri vicini che, allibiti, avevano assistito alla scenata della signora, si misero ad applaudire.

Brano senza Autore, tratto dal Web