La bambola viaggiatrice

La bambola viaggiatrice

Un anno prima della sua morte, Franz Kafka visse un’esperienza insolita.
Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata:

aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida.

Kafka si offrì di aiutarla a cercare e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso giardino.
Non essendo riuscito a trovare la bambola, Kafka scrisse una lettera, fingendo che fosse per Elsi da parte di Brigida.
“Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.

Per molti giorni, Kafka e la bambina si incontrarono:

egli le leggeva queste lettere attentamente descrittive di avventure immaginarie della bambola amata.
La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine Kafka le regalò una bambola.
Era ovviamente diversa dalla bambola perduta; in un biglietto accluso spiegò:
“I miei viaggi mi hanno cambiata”.
Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono.

Diceva:

“Ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore si muterà in una forma diversa!”

Kafka, attraverso questa lettera immaginaria, riuscì a far capire ad Elsi che il vero amore rende liberi e vuole la felicità dell’altro, la paura, al contrario, limita la libertà ed è un sentimento insano e pericoloso.

Brano tratto dal libro “Kafka e la bambola viaggiatrice.” di Jordi Sierra i Fabra

Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci! (Emanuele e la mamma)

Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci! (Emanuele e la mamma)

La nascita di Emanuele, un bimbo bello e sano, fu un avvenimento da festeggiare!
La mamma aveva già due figlie grandi che frequentavano le superiori.

Anzi, man mano che il tempo passava,

sembrava che ogni giorno ci fosse un motivo per festeggiare il prezioso dono che era arrivato con la nascita di Emanuele.
Era un bambino dolce, giudizioso, amava divertirsi ed era un piacere averlo vicino!
Un giorno, quando Emanuele aveva circa cinque anni, insieme con la mamma stavano andando in auto al centro commerciale.
Come succede di solito con i bambini, all’improvviso Emanuele chiese:

“Mamma, quanti anni avevi quando sono nato?”

“Trentasei, Emanuele!
Perché?” gli domandò la mamma, cercando di capire cosa avesse in mente.
“Che peccato!” esclamò Emanuele.

“Cosa vuoi dire?” chiese allora la mamma, alquanto sorpresa.

Guardandola, con uno sguardo pieno d’amore, Emanuele le disse:
“Pensa a tutti quegli anni che sono trascorsi senza conoscerci!”

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Il pittore e gli allievi (Mamma e figlia)

Il pittore e gli allievi (Mamma e figlia)

Cara figlia mia, voglio narrarti una storia.

“Molto tempo fa, un uomo che aveva ricevuto da Dio il dono di dipingere con pennelli e colori le meraviglie che vedeva attorno a sé, pensò che fosse giusto insegnare la sua arte ad altri giovani così che non morisse con lui.
Spiegò ai suoi allievi come usare i pennelli, a diluire i colori per ottenere le sfumature più infinite per rappresentare il creato.
Quando, secondo lui, furono pronti, mostrò loro un suo dipinto e li esortò a riprodurlo il più fedelmente possibile, seguendo i suoi insegnamenti, concedendo loro una settimana di tempo.

Trascorsi i sette giorni ogni allievo si recò da lui con la propria opera.

Quale fu la meraviglia del maestro quando vide che ogni riproduzione era simile nei tratti alla sua originale, ma i toni e le sfumature li distinguevano una dall’altra.
Deluso e amareggiato li rimproverò per non aver ascoltato i suoi insegnamenti.
Prima che gli allievi avessero modo di difendersi, intervenne la sposa del maestro pittore, che aveva assistito a tutto restando fino ad allora in disparte:
“Marito mio, tu hai trasmesso a questi giovani il tuo dono, mostrando loro come usarlo, secondo il loro cuore e la loro anima.
E sai bene che ogni anima è dono di Dio ed è unica.
Come puoi chiedere, anche ad uno solo di loro, di guardare il mondo coi tuoi occhi… tu puoi insegnargli a osservare la natura e la tecnica per riprodurla, ma è con i suoi occhi che egli la vedrà e la esprimerà attraverso la sua anima, unica e ineguagliabile.
E ogni opera che uscirà dalle sue mani, grazie al dono che tu gli hai fatto, sarà mirabile e unica, degna di onore e ammirazione.

Tu hai donato loro il pennello per dipingere la vita…

ma lascia che lo usino secondo il loro cuore e sii sempre e comunque fiero di loro!”
Fu così che il pittore capì che se facciamo un dono non possiamo ipotecare l’uso che ne verrà fatto.”

Ecco, figlia mia, Dio ha fatto dono ad ogni donna di cooperare alla creazione della vita, attraverso la maternità e in tantissimi altri modi.
Ogni madre userà il pennello avuto in dono per insegnare ai figli a dipingere, secondo coscienza e amore, la vita che decideranno di avere per volontà e aspirazione.
Ogni opera sarà unica, frutto di insegnamenti ricevuti attraverso atti di amore, rispetto, compassione, riconoscenza, carità e umiltà.
Poiché tutti siamo fallibili, gli errori nel tuo dipinto lo renderanno ancora più prezioso e unico.
Ma ricorda che col tuo pennello potrai dipingere qualunque cosa, secondo il tuo cuore e i tuoi desideri, in piena libertà.
Ecco, ora il pennello è tuo, è un dono, usalo come meglio senti di fare; ricorda i miei insegnamenti sempre, perché son frutto della vita che ho ricevuto e che ti ho dato, ma dipingi la tua vita coi colori che vedono i tuoi occhi, attraverso il cuore.

Fai lo stesso coi tuoi figli e, quando verrà il momento, lascia loro in dono questo pennello, come faccio ora con te.

Così che in futuro tutti possano godere degli insegnamenti, ma mantengano la libertà di utilizzarli.
Ciò che ti lascio è la tela dove ho dipinto la mia vita, perché tu la possa osservare e prenderne spunto per dipingere la tua, secondo le tue sole aspirazioni; è la forza di camminare con le tue gambe, ma mai da sola, perché il filo con il quale il Padre ci ha legato non può essere spezzato e io sarò sempre parte di te come tu di me.
Prendi questo dono e sii sempre fiera delle tue capacità, in esso c’è anche il mio cuore che da sempre batte assieme al tuo, per l’eternità.
Con amore, la tua mamma.

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Papà non lava i piatti! (Padre e figlia)

Papà non lava i piatti! (Padre e figlia)

In ogni famiglia esistono delle regole, non scritte, e anche la nostra non fa eccezione!
La nostra principale regola, non scritta, era questa:
“Papà non lava i piatti!”
Mio padre falciava il prato, sguazzava nel sudiciume di uno scantinato invaso dalle acque di scolo, coltivava un orto piuttosto grande, ci scarrozzava, di buon grado, in giro per la città e si alzava un’ora prima per accompagnarci a scuola e, dopo la scuola, era a nostra disposizione.
Si sacrificava continuamente per noi e faceva, quasi, qualunque cosa gli chiedessimo di fare!
Tuttavia, sapevamo che non dovevamo mai aspettarci di vederlo fare una cosa:

lavare i piatti.

Quella regola era stata scolpita nella pietra!
Mamma e papà hanno continuato ad amarci e ad aiutarci anche quando siamo divenuti adulti.
Da quando ho comprato una casa, mio padre si è dato da fare in mille modi per darmi una mano!
C’era bisogno di una porta nuova?
Nessun problema!
Serviva aiuto per ricoprire di materiale isolante i tubi dell’acqua, progettare e realizzare delle comode mensole, pitturare qualcosa?
Faceva tutto, volentieri!
Ho apprezzato molto questa sua disponibilità e sono stata sempre grata a mio padre per la sua saggezza e il suo aiuto.
Sto imparando ad accettare il suo aiuto per quello che è:

un dono d’amore!

Comunque, una sera, ho ricevuto un regalo speciale che ha superato tutte le mie aspettative!
Ero stata a casa molto poco nelle ultime settimane e dovevo passare ogni momento libero a scrivere delle relazioni.
Di conseguenza sembrava che in casa mia ci fosse stato un uragano!
Non mancava, soprattutto, una pila mastodontica di piatti sporchi che mi ripromettevo di lavare prima possibile, cosa che poi non facevo.
Quella sera, dopo una giornata particolarmente faticosa in ufficio, entrai in casa sfinita.
Accesi automaticamente il computer e andai in cucina per farmi un caffè e tirarmi su!
All’improvviso, qualcosa attirò la mia attenzione:
lo scolapiatti era pieno di…

piatti puliti e splendenti!

Immaginai che li avesse lavati mia madre, perciò la chiamai per ringraziarla, perché era stata davvero un angelo.
“Non sono stata io!” mi disse, “È stato tuo padre!”
Quando riattaccai mi vennero le lacrime agli occhi!
Quella regola, scolpita nella mia mente, “Papà non lava i piatti!”, si frantumò sotto ai miei occhi.
A tanti, forse, può sembrare una cosa da poco!
Per me è stato il più grande gesto d’amore della mia vita!

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La giornata con i papà

La giornata con i papà

Indossava il vestito più bello, di un luminoso color arancione, aveva i capelli raccolti con un nastro rosso e oro, ed era pronta ad uscire per andare a scuola.
Era la “Giornata con i papà” e tutti i bambini sarebbero dovuti andare a scuola accompagnati dal proprio papà.
Lei sarebbe stata l’unica con la mamma.
La mamma le aveva suggerito di non andare, perché i suoi compagni non avrebbero capito.
Ma la bambina voleva parlare a tutti del suo papà, anche se era un po’ diverso dagli altri.
A scuola c’era una folla di papà che si salutavano un po’ imbarazzati e bambini impazienti che li tenevano per mano.
La maestra li chiamava uno dopo l’altro e ciascuno presentava a tutti il suo papà.
Alla fine, la maestra chiamò la bambina con il vestito arancione e tutti la guardarono, cercando l’uomo che non era là.

“Dov’è il suo papà?” chiese un bambino.

“Per me non ce l’ha!” esclamò un altro.
Dal fondo, una voce brontolò:
“Sarà un altro padre troppo occupato che non ha tempo per venire!”
La bambina sorrise e salutò tutti.
Diede un’occhiata tranquilla alla gente, mentre la maestra la invitava a sbrigarsi.
Con le mani composte e la voce alta e chiara, cominciò a parlare:
“Il mio papà non è qui perché vive molto lontano!

Io, però, so che desidererebbe tanto essere qui con me:

voglio che sappiate tutto sul mio papà e su quanto mi vuole bene!
Gli piaceva raccontarmi le storie e mi insegnò ad andare in bicicletta.
Mi regalava un rosa rossa alle mie feste e mi insegnò a far volare gli aquiloni.
Mangiavamo insieme gelati enormi e, anche se non lo vedete, io non sono sola, perché il mio papà sta sempre con me, anche se viviamo lontani.
Lo so, perché me l’ha promesso lui, che sarebbe stato sempre nel mio cuore!”
Dicendo questo alzò una mano e la posò sul cuore.
La sua mamma, in mezzo alla schiera dei papà, la guardava con orgoglio, piangendo.
Abbassò la mano e terminò con una frase piena di dolcezza:
“Amo molto il mio papà!
È il mio sole e, se avesse potuto, sarebbe stato qui, ma invece è lontano in cielo…
Qualche volta però, se chiudo gli occhi, è come se non se ne fosse mai andato!”
Chiuse gli occhi e la madre, sorpresa, vide che tutti, padri e bambini, avevano chiuso gli occhi.

Che cosa vedevano?

Probabilmente il papà vicino alla bambina.
“So che sei qui con me, papà!” disse la bambina, rompendo il silenzio.
Quello che accadde dopo lasciò tutti emozionati.
Nessuno riuscì a spiegarlo, perché tutti avevano gli occhi chiusi, però sul tavolo ora c’era una magnifica e profumata rosa rossa.
E una bambina aveva ricevuto la benedizione dell’amore del suo papà e il dono di credere che il cielo non è poi così lontano!

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Il passero ed il girasole

Il passero ed il girasole

In una discarica abusiva, in un angolo abbandonato di una zona industriale di una città, era nato un girasole, che aveva fatto amicizia con un passero!
Il fiore era triste:
sognava un prato verde e farfalle svolazzanti.
“A che servo io qui?” si chiedeva.
Ma l’uccellino guardava il girasole, raggiante, a becco aperto:
“Come sei bello!
Sei meraviglioso!” trillava.
“Ci sono molte cose più belle!” rispondeva il saggio girasole, “Guardati intorno!”
Il buon passero si guardava diligentemente intorno, ma finiva sempre per voltarsi verso il girasole e pigolare con aria ammirata:

“Il più bello di tutti sei tu!”

Così, ogni giorno, il girasole prendeva coraggio e cresceva, tanto da troneggiare, ormai, sul mucchio di rifiuti.
La sua corona d’oro splendeva sempre di più!
Ma un giorno, al sorgere del sole, il fiore attese invano il suo piccolo amico.
Solo nel tardo pomeriggio sentì un pietoso pigolio ai suoi piedi!
Si piegò e vide il passero che si trascinava con un’ala ferita.
“Piccolo amico mio, che cosa ti è successo?” gli chiese.
“Un gabbiano mi ha colpito e da alcuni giorni non riesco a trovare niente da mangiare.
È la fine per me!” bisbigliò l’uccellino.
“No no!” urlò il girasole, “Aspetta un attimo!”
Il bel fiore scosse con vigore la sua grande corolla e una pioggia di semi scese sul passero.

“Mangiali, amico mio!

Ti daranno nuova forza!” disse il girasole.
Giorni dopo, il passero aveva ripreso vigore e, riconoscente, si voltò a guardare il girasole.
Ma fu ferito da una dolorosa sorpresa:
lo splendido fiore aveva perso i colori, le foglie penzolavano grigiastre e i petali erano terrei!
“Che cosa ti è successo bellissimo fiore?” pigolò.
“Il mio tempo è finito!” rispose il girasole.
“Ma me ne vado felice!
Per tanto tempo mi son chiesto quale crudele destino mi avesse fatto nascere in una discarica.

Ora ho capito:

sono stato un dono per te e ti ho ridato la vita!
Come tu sei stato un dono per me perché mi hai sempre incoraggiato.
Mangia tutti i semi che vuoi ma lasciane qualcuno!
Un giorno germoglieranno e, chissà, forse qui sorgerà una splendida aiuola!”

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La leggenda della Stella di Natale

La leggenda della Stella di Natale

Anche a Città del Messico, nella lontana America, il Natale è una grande occasione di festa.
Tutti ne approfittano per sfoggiare vestiti nuovi, imbandire le tavole con cibi e bevande abbondanti e diversi dal solito, scambiarsi regali costosi e raffinati.
Che è poi quello che succede in gran parte del mondo.
Ma anche a Città del Messico ci sono persone che non possono permettersi di far festa neppure la Vigilia di Natale.
Una di queste, forse la più povera di tutte, si chiamava Ines.
Era una piccola e graziosa bambina indiana, grandi occhi neri nel visetto scuro, che anche la Vigilia di Natale vagava per il mercato grande a piedi nudi, sgranando gli occhi sulla mercanzia esposta sulle bancarelle:
trionfi di frutta colorata, dolci, tacchini e oche arrostiti, profumate patatine.
Tutte cose proibite per Ines, ricca solo del suo sorriso con cui cercava di intenerire i venditori, che le volevano bene e le regalavano sempre qualcosa.
La mamma le aveva cucito una grossa tasca sul davanti della gonna, e tutto quello che la bambina riceveva finiva in quella tasca.
Ogni giorno la piccola Ines la controllava perché nulla di quanto raccoglieva andasse perduto.

Il contenuto di quella tasca era preziosissimo:

quello era il cibo per i suoi fratellini e la mamma ammalata che aspettavano a casa.
Ines aveva l’occhio allenato a scoprire anche nei mucchi di rifiuti del mercato qualche cosa ancora in buono stato e la sua mano veloce sapeva sceglierlo con cura, ripulirlo, renderlo accettabile.
La sera della Vigilia di Natale, la tasca era colma più del solito.
Anche i suoi fratellini avrebbero fatto festa quella sera.
Ma Ines non era del tutto felice.
Aveva un piccolo ma insistente, segreto, cruccio.
A Città del Messico c’era una simpatica tradizione.
Nella Notte di Natale tutti i bambini della città portavano un fiore a Gesù Bambino nella chiesa della loro parrocchia.
C’era una specie di gara a chi portava il fiore più bello.
Ines desiderava portare anche lei un fiore a Gesù Bambino.
A volte si immaginava nel gesto di offrire, proprio lei, povera piccola bambina indiana, il fiore più bello.
Ma già faticava tanto a procurarsi un po’ di frutta e di verdura, come poteva procurarsi un fiore?
Aveva visto qualche fiore sui balconi più ricchi, altri fiori facevano capolino invitanti da cancelli di ferro battuto.

Era tentata di coglierli, ma non si può donare a Gesù un fiore rubato.

La piccola pensava con soddisfazione alle cose buone che portava ai fratellini, alla gioia con cui l’avrebbero accolta, ma non si decideva a tornare a casa.
Vagava inquieta, alla ricerca di un fiore, il più bello, quello che aveva visto solo nella sua fantasia.
La stradina tortuosa che portava al suo quartiere attraversava una zona di ruderi antichi.
Altre volte aveva visto tra le rovine ciuffi di foglie verdi con qualche fiore colorato.
Forse là avrebbe potuto trovare qualche fiore speciale da portare a Gesù Bambino.
Cautamente si addentrò tra i ruderi.
Girò, cercò, frugò attentamente tra le vecchie pietre, ma non c’era niente da fare.
Non c’era neppure un fiorellino.
Era quasi buio.
La mamma e i fratellini la stavano certo aspettando con impazienza.
Doveva tornare a casa.
Gettò un ultimo sguardo intorno e vide, in un angolo, un ciuffo di piantine che avevano foglie verdi, lucide, disposte come i petali di un fiore.
Si chinò e in fretta ne raccolse alcuni rametti; li mise insieme nel modo più gradevole possibile e formò un piccolo mazzo.

Mancava ugualmente qualcosa.

Con un sospiro, la bambina si tolse la cosa più bella che possedeva:
il nastro rosso che le serviva a legare i capelli.
Con il nastro fece una coccarda intorno alle foglie verdi.
Fu soddisfatta del risultato.
“Gesù Bambino gradirà i miei fiori verdi.” pensò, “E poi li ho legati con il nastro rosso!”
Era buio ormai e Ines si diresse verso casa.
Passò davanti alla chiesa:
il portone principale era spalancato.
“A quest’ora non ci sarà nessuno in chiesa!” pensò, “È l’ora di cena.
Verranno più tardi a portare i fiori a Gesù!”
Entrò furtivamente, con i suoi piedini nudi, il grembiulone sporco con la tasca piena di frutta e verdura.
Sgattaiolò, leggera come un’ombra, dietro le colonne della navata verso l’angolo pieno di luce dove su un cuscino ricamato avevano posto la statua di Gesù Bambino.
Con le lacrime agli occhi, Ines guardò il suo mazzo di foglie verdi e poi, rivolta alla statua del Bambino Gesù disse:
“Te li lascio adesso.
Non posso venire dopo con gli altri bambini.
Mi vergognerei troppo.
Spero ti piacciano lo stesso!”

Un “Oh!” di meraviglia la fece trasalire.

C’era un gruppo di gente intorno a lei.
Tutti fissavano meravigliati il mazzo che stringeva in mano.
“Che bei fiori…
Dove li hai trovati?
Non ho mai visto dei fiori così!”
Ines abbassò gli occhi sul suo mazzo di foglie e rimase senza fiato per la sorpresa.
Le foglie erano diventate di un bel rosso vivo.
Al centro della corolla le bacche avevano formato come un cuore d’oro.
Timidamente, la bambina depose il suo prezioso mazzo di stelle rosso-oro au piedi della statua del Bambino Gesù e poi corse a casa.
Non le sembrava neanche di toccare il terreno per la felicità.
Ora sapeva che Gesù aveva gradito il suo dono e aveva trasformato delle semplici foglie nel fiore più bello del Messico:
la stella di Natale.
Ancora oggi, a Natale, in tutto il mondo, le rosse stelle dal cuore d’oro ricordano il miracolo della fede di una povera bambina indiana.

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Donarsi a Gesù

Donarsi a Gesù

Faceva un freddo pungente.
I pastori si scaldavano attorno al fuoco.
La notizia della nascita di un nuovo re, rivelata proprio a loro dalle luminose creature alate, li aveva sconvolti.

Volevano andare a vederlo e venerarlo e implorare da lui salute e pace.

Anche Filippo, il ragazzino che faceva da apprendista nel gruppo di pastori, aveva sentito l’annuncio degli angeli e stava già pensando a che cosa portare in dono al Bambino di Betlemme.
Ma se tutti i pastori si allontanavano, chi avrebbe badato alle pecore?
Non potevano certo lasciarle da sole!
Nessuno di loro voleva rinunciare a vedere il neonato Re.

Uno dei pastori ebbe un’idea:

sarebbe rimasto a custodire le pecore quello di loro che portava il dono più leggero.
Portarono la bilancia vicino al fuoco.
Il primo pose sulla bilancia una grossa anfora piena di latte e aggiunse una pesante forma di formaggio.
Il secondo portò una enorme cesta piena di mele.
Il terzo, a fatica, collocò sulla bilancia un voluminoso fascio di rami e ceppi d’albero, che sarebbero serviti per scaldare la stalla per un bel po′ di tempo.
Rimaneva solo Filippo.
Tristemente il ragazzo guardava la sua piccola lanterna, l’unica ricchezza che possedeva.
Era il dono che voleva portare al Bambino Re.
Ma pesava così poco.
Esitò un attimo.
Poi decisamente si sedette sulla bilancia con la lanterna in mano e disse:

“Sono io il regalo per il Re!

Un bambino appena nato ha certamente bisogno di qualcuno che porti la lampada per lui!”
Intorno al fuoco si fece un profondo silenzio.
I pastori guardavano il ragazzo sulla bilancia, colpiti dalle sue parole.
Una cosa era certa:
in nessun caso Filippo sarebbe rimasto al campo a custodire le pecore.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

L’offerta al Signore

L’offerta al Signore

In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni all’Offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca.

Nell’ultima fila di banchi della chiesa era seduto un ragazzino

che guardava con aria pensosa il paniere che passava di fila in fila.
Sospirò al pensiero di non avere assolutamente niente da offrire a Dio.

Il paniere arrivò davanti a lui.

Allora, in mezzo allo stupore di tutti i fedeli, il ragazzino si sedette nel paniere dicendo:
“La sola cosa che possiedo, la dono in offerta al Signore!”

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