Realizzate i vostri sogni

Realizzate i vostri sogni
Discorsi ai Laureati del 2020
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Discorso di Bill Gates


Discorso di Steven Spielberg


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“Discorso di Bill Gates”


Qualcuno di voi potrebbe essere stato ispirato da questa crisi a perseguire carriere nell’epidemiologia o nel campo della salute.
È fantastico, ma non è l’unico modo per contribuire.
I politici avranno molte decisioni da prendere nei mesi e negli anni a venire su come riprenderci da questa crisi e su come impedire che si ripeta.
Potete usare la vostra voce e il vostro voto per sostenere politiche che creino un futuro più sano e migliore per tutti, ovunque.
La cosa importante da ricordare dei percorsi di carriera è che non devono durare per sempre.

Quando avevo vent’anni,

pensavo che avrei lavorato nel settore dei software per sempre.
Non mi sono mai visto lavorare nella filantropia o nella salute globale, per non parlare del fatto di lasciare il mio lavoro in Microsoft per occuparmi di questi temi a tempo pieno.
Man mano che invecchierete, i vostri interessi e le vostre abilità si evolveranno.
Il mio consiglio è di essere aperti al cambiamento.
Non abbiate paura di provare qualcosa di nuovo.

Bill Gates
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“Discorso di Steven Spielberg”


I sogni sono un ottimo test.
Perché un sogno metterà alla prova la vostra determinazione e riconoscerete un sogno da quanto è irrealizzabile.

Un vero sogno è qualcosa che non solo attrae ma a cui ci si può anche aggrappare.

E vi supporterà attraverso ogni ostacolo che le persone e il vostro ambiente lanceranno contro di voi.
Perché se noi siamo al servizio dei nostri sogni, invece che i nostri sogni al nostro servizio, si crea qualcosa di più grande.
Ciò ci permette di superare la nostra paura di andare avanti, indipendentemente dagli ostacoli che troveremo sul nostro cammino.

Steven Spielberg
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Gli occhi di mio padre

Gli occhi di mio padre

Era un ragazzino che amava tantissimo il calcio e aveva un padre molto affettuoso che condivideva la sua passione.
Era piccolo e mingherlino e il più delle volte doveva fare la riserva.
Anche se il figlio era sempre in panchina, il padre era sempre tra gli spettatori a fare il tifo e non mancava mai a una partita.
Il ragazzo era ancora il più piccolo della classe anche al liceo, ma suo padre continuava a incoraggiarlo.
Il ragazzo riuscì a entrare nella squadra giovanile della città.
Non perdeva mai un allenamento e si impegnava con tutte le sue forze, ma l’allenatore continuava a confinarlo in panchina durante le partite.
Suo padre era sempre in tribuna e tutte le volte trovava le parole giuste per incoraggiarlo.
Il ragazzo era quasi sicuro di non essere ammesso nella squadra maggiore e invece l’allenatore, colpito dall’impegno che spendeva negli allenamenti, lo volle con sé.

Pieno di entusiasmo chiamò subito suo padre al telefono.

Suo padre condivise il suo entusiasmo e si abbonò a tutte le partite.
Il ragazzo si impegnava e si allenava.
Ma durante le partite restava in panchina.
Arrivò l’ultima settimana del campionato.
Con una vittoria, la squadra poteva essere promossa nella serie superiore.
All’inizio della settimana, il giovane si avvicinò all’allenatore.
Aveva gli occhi rossi ed era molto pallido.
“Mio padre è morto questa mattina.
Posso saltare l’allenamento oggi?” borbottò.

L’allenatore gli mise gentilmente un braccio sulla spalla e disse:

“Prenditi anche il resto della settimana, figliolo!”
Arrivò la domenica e lo stadio era affollato come non mai.
Era la partita più importante dell’anno e tutta la città sentiva l’avvenimento in modo particolare.
La squadra scese in campo per il riscaldamento un po’ prima dell’orario d’inizio della partita.
Con autentico stupore, videro il ragazzo con la tuta sulla divisa di gioco che correva con loro.
La partita ebbe inizio.
Si capì subito che gli avversari erano meglio organizzati e costrinsero la squadra a barricarsi in difesa.
All’inizio del secondo tempo, il ragazzo si avvicinò all’allenatore e disse:
“Mister, fatemi giocare, per favore!”
I suoi occhi erano pieni di fiduciosa aspettativa.

Dolente per il ragazzo, l’allenatore acconsentì:

“Va bene.” Disse, “Vai dentro.”
Dopo pochi minuti, l’allenatore, i giocatori e gli spettatori non potevano credere ai loro occhi.
Quel piccolo, sconosciuto ragazzino che non aveva mai giocato prima, aveva preso in mano il centrocampo e fatto salire la squadra.
Gli avversari non riuscivano a fermarlo.
I compagni di squadra cominciarono a passargli il pallone sempre più spesso.
A pochi minuti dal fischio finale, con un tiro forte e angolato, segnò il goal della vittoria.
I compagni lo portarono in trionfo, gli spettatori, in piedi, lo applaudirono a lungo.
Quando tutti ebbero lasciato gli spogliatoi, l’allenatore si accorse che il ragazzo era seduto in silenzio in un angolo, tutto solo.
“Ragazzo, sei stato fantastico!
Come hai fatto?”
Il giovane guardò l’allenatore, con le lacrime agli occhi, e disse:
“Le ho detto che mio padre è morto, ma lei sapeva che mio padre era cieco?”
Il giovane deglutì e si sforzò di sorridere:
“Papà è venuto a tutte le mie partite, ma oggi era la prima volta che poteva vedermi giocare, e volevo dimostrargli che potevo farlo!”

Brano tratto dal libro “L’iceberg e la duna.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Informazione, prego!

Informazione, prego!

Quando ero bambino, mio padre ebbe il primo telefono del paesino dove vivevamo.
Mi ricordo bene la vecchia scatola di legno, bella lucida, fissata al muro e il bel ricevitore nero, bello lucido, appeso al suo fianco.
Ero troppo piccolo per giungere fino al telefono, ma ero abituato ad ascoltare estasiato mia madre parlargli.
Più tardi, ho scoperto che da qualche parte, dentro quel meraviglioso apparecchio, viveva una persona fantastica…
Il suo nome era “Informazione, prego!” e non c’era nulla che non sapesse
“Informazione, prego!” poteva fornire il numero di chiunque in più dell’ora esatta.
La mia prima esperienza personale con quel “genio della lampada” accadde un giorno quando mia madre si era recata da una vicina:

“Stavo giocando in cantina e diedi un forte colpo di martello su un dito.

Il dolore era tremendo, ma non mi sembrava utile che mi mettessi ad urlare.
Ero da solo e non c’era nessuno per potermi sentire e consolare.
Andavo avanti e indietro intorno a casa, succhiando il mio dito.
Giunsi per caso ai piedi della scalinata.
Il telefono!
Di fretta, corsi in cucina, presi il piccolo sgabello e lo trascinai fin sotto il telefono.
Dopo essere salito, sganciai il ricevitore e lo avvicinai all’orecchio.
“Informazione, prego!” dissi nel microfono, lì, un po’ sopra la mia testa.
Un clic, o forse due… e sentii una vocina chiara dirmi:

“Informazione!”

“Mi sono fatto male al dito!” dissi quindi, “Mi sono fatto male al dito!”
“Stai sanguinando?” mi chiese la voce.
Gli risposi:
“No, mi sono colpito un dito con un martello e mi fa tanto male!”
Mi chiese:
“Puoi aprire lo scomparto del ghiaccio!”
Ho riposto che, certo, potevo farlo.
“Allora, prendi un cubetto di ghiaccio e mettilo sul tuo dito!” mi disse.”
Dopo quell’esperienza ho chiamato “Informazione, prego!” per qualsiasi cosa:
“Gli chiesi di aiutarmi per la geografia, e mi ha detto dove si trovava Montréal.
Mi ha aiutato anche per i compiti di matematica.
Mi ha detto che il piccolo scoiattolo, che avevo trovato nel parco il giorno prima, doveva mangiare della frutta e delle noccioline.

Un brutto giorno, il mio canarino è morto

Ho chiamato “Informazione, prego!” e gli ho raccontato la mia triste storia.
Mi ha ascoltato attentamente e mi ha detto le solite cose che dice un adulto per confortare un bambino, ma ero inconsolabile.
Allora, gli chiesi con un nodo alla gola:
“Perché gli uccelli cantano così melodiosamente e recano tanta gioia alle famiglie, solo per finire miseramente come un mucchietto di piume in fondo ad una gabbia?”
Probabilmente ha percepito la mia profonda disperazione e mi ha detto, con voce molto rassicurante:
“Paul, ricordati che c’è un altro mondo dove si può cantare!”
In un certo senso mi sono sentito meglio.”
Un’altra volta chiamai di nuovo: “Informazione, prego!”
“Informazione!” mi rispose la voce, ormai diventata così familiare.
Gli chiesi:
“Come si scrive la parola riparazione!” ”
Tutto questo si svolse nella citta di Québec, in quel tempo avevo 9 anni.
Poi, traslocammo nell’altra parte della provincia, a Baie-Comeau.

La mia amica mi mancava da morire.

“Informazione, prego!” apparteneva a quella cassetta di legno del casolare di famiglia, e, stranamente, non ho mai pensato di utilizzare il nuovo telefono, appoggiato su un tavolo nel corridoio dell’ingresso!
Giunto nell’adolescenza, i ricordi di quelle conversazioni nella mia infanzia non mi hanno mai lasciato.
Spesso, nei momenti di dubbi e di difficoltà, mi sono ricordato di quelle sensazioni rassicuranti che avevo all’epoca.
Apprezzavo ora la pazienza, la comprensione e la gentilezza che ha avuto, per dedicare il suo tempo ad un ragazzino!
Alcuni anni dopo, mentre mi recavo al collegio, a Montréal, il mio aereo doveva fare scalo in Québec.
Avevo mezzora d’attesa prima di prendere l’altro aereo.
Ho trascorso 15 minuti al telefono con mio fratello, che vive sempre in Québec.
Poi, senza pensare veramente a quello che stavo facendo, ho pigiato su “0” e ho detto “Informazione, prego!”
Come per incanto, ho udito quella stessa vocina chiara che conoscevo benissimo:

“Informazione!”

Non avevo per niente previsto questo, ma mi è scapato di dirgli:
“Come si scrive la parola riparazione?”
Ci fu un attimo di silenzio…
Poi, udii quella voce tanto dolce rispondermi:
“Immagino che il tuo dito è guarito ormai!”
Con un misto tra la gioia e l’emozione gli ho detto:
“E quindi sempre lei! Mi chiedo se ha la minima idea di quanto è stata importante per me in tutti quegli anni trascorsi!”
“Io mi chiedo,” dice lei, “se tu sai quanto erano importanti per me le tue chiamate.
Non ho mai avuto figli ed ero sempre impaziente di ricevere le tue telefonate!”
Gli ho detto quanto spesso, ho pensato a lei nel corso degli ultimi anni e le ho chiesto se potevo richiamarla, quando tornavo a trovare mio fratello.

“Ben volentieri, puoi chiedere di Sally!” mi rispose.

Tre mesi dopo, quando mi recai di nuovo a Québec, un’altra voce mi rispose a “Informazione!” chiesi di parlare a Sally.
“Lei è un amico?” mi chiese quella voce sconosciuta.
Gli risposi:
“Sì, un vecchio amico!”
Sentii allora quella voce dirmi:
“Sono dispiaciuta di doverle dire questo, Sally lavorava solo Part-Time in questi ultimi anni perché era molto ammalata.
Ed è deceduta, ormai da cinque settimane!”
Fui molto sconcertato!
Ma prima che potessi riagganciare, mi disse ancora:
“Aspetti un instante!
Ha detto che si chiama Paul?”
Risposi di si.

“Allora, Sally a lasciato un messaggio per lei.
Lo ha scritto, nel caso che chiamasse.
Me lo lasci leggere!
Quel messaggio diceva:
“Gli dica che credo sempre che c’è un altro mondo dove si può cantare.
Saprà quello che voglio dire!”
La ho ringraziata e ho riagganciato.
Certo, sapevo quello che Sally voleva dire!”
Non sottovalutare mai l’effetto positivo che puoi avere sugli altri!

Brano senza Autore, tratto dal Web