Dio, il sogno ed il conto

Dio, il sogno ed il conto

Preoccupato del senso della vita e dell’ultimo giorno, e soprattutto del Giudizio Finale, a cui prima o poi certamente sarebbe andato incontro, un uomo fece un sogno.
Dopo la morte, si avvicinò titubante alla grande porta della Casa di Dio.
Bussò, ed un angelo sorridente venne ad aprire.
Lo fece accomodare nella sala d’aspetto del Paradiso.

L’ambiente era molto severo.

Aveva il vago aspetto di un’aula di tribunale.
L’uomo aspettava, sempre più intimorito.
L’angelo tornò dopo un po’ con un foglio in mano, su cui, in alto, campeggiava la parola “conto.”
L’uomo lo prese e lesse:
“Luce del sole e stormire delle fronde, neve e vento, volo degli uccelli ed erba.
Per l’aria che abbiamo respirato e lo sguardo alle stelle, le sere e le notti …”

La lista era lunghissima.

“… Il sorriso dei bambini, gli occhi delle ragazze, l’acqua fresca, le mani ed i piedi, il rosso dei pomodori, le carezze, la sabbia delle spiagge, la prima parola del tuo bambino, una merenda in riva ad un lago di montagna, il bacio di un nipotino, le onde del mare…”
Man mano che proseguiva nella lettura, l’uomo era sempre più preoccupato.
Quale sarebbe stato il totale?
Come, e con che cosa, avrebbe mai potuto pagare tutte quelle cose che aveva avuto?
Mentre leggeva con il batticuore, arrivò Dio.

Gli batté una mano sulla spalla.

“Ho offerto io!” disse ridendo, “Fino alla fine del mondo…
È stato un vero piacere!”

Brano senza Autore

Non c’è posto per voi…

Non c’è posto per voi…

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media.
Era già stato bocciato due volte.
Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni.
Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli.
L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia.
A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute ed avere il fisico di Guido.
Avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria, dicendogli:

“Andate via!”

La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico di genitori e parenti.
Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini.
E venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria.
Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto.
Guido il locandiere era là, in attesa.
“Che cosa volete?” chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.
“Cerchiamo un alloggio.” rispose Giuseppe.

“Cercatelo altrove.

La locanda è al completo.” rispose il locandiere.
La recitazione di Guido era forse un po’ statica, ma il suo tono era molto deciso.
“Signore, abbiamo chiesto ovunque invano.
Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti!” proseguì Giuseppe.
“Non c’è posto per voi in questa locanda!” replicò Guido con faccia burbera.
“La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare.
Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino.

Non ne può più!”

A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria.
Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d’imbarazzo tra il pubblico.
“No! Andate via!” sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.
“No!” ripeté Guido automaticamente, “Andate via!”
Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei.
Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia.
Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.

Il finale di Guido

Tutt’a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre.
“Non andar via, Giuseppe!” gridò Guido qualche istante dopo, “Riporta qui Maria!”

E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse:

“Potete prendere la mia stanza.”
Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva fatto “saltare” la rappresentazione.
Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più “natalizia” di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

Brano senza Autore.

I mille ducati

I mille ducati

Il giorno delle nozze, un principe fece il suo ingresso nella capitale del suo regno accanto alla sposa novella.
I due sposi avanzavano in una splendida carrozza, mentre ai lati della strada due ali di folla applaudivano.
Ma, nella piazza davanti al castello, tutti ammutolirono.
Su un alto patibolo, un malfattore stava per essere impiccato.
Il condannato aveva già infilato la testa nel cappio.

La principessa scoppiò in lacrime.

Il principe chiese al giudice se era possibile annullare l’esecuzione, come dono di nozze alla sua sposa.
La risposta fu un secco no.
“Ci sono dunque delitti che non possono trovare perdono?” chiese la principessa con un filo di voce.
Uno dei consiglieri del principe fece notare che, secondo un’antica consuetudine della città, qualsiasi condannato poteva riscattarsi pagando la somma di mille ducati.
Una somma enorme.
Dove si poteva trovare tanto denaro?
Il principe aprì la sua borsa, la svuotò e ne uscirono ottocento ducati.
La principessa, frugando nel suo elegante borsellino, ne trovò altri cinquanta.
“Non potrebbero bastare ottocentocinquanta ducati?” chiese.

“La legge ne vuole mille!” ribatterono.

La principessa scese e fece una colletta tra paggi, cavalieri e passanti.
Fece il conto finale: novecentonovantanove ducati.
E nessuno aveva più un ducato.
“Dunque per un ducato quest’uomo sarà impiccato?” esclamò la principessa.
“È la legge!” rispose impassibile il giudice e fece cenno al boia di cominciare l’esecuzione.
A quel punto la principessa gridò:
“Frugate nelle tasche del condannato, forse qualcosa ce l’ha anche lui!”
Il boia ubbidì e da una delle tasche del condannato saltò fuori un ducato d’oro.

Quello che mancava per salvargli la vita.

Nel cuore di ognuno c’è quanto basta a salvargli la vita.
La bontà, l’amore, la felicità in molti sono come stoppini spenti.
Basta un piccolo fiammifero per accenderli.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero

Due grandi amori

Due grandi amori

Dicono che durante la nostra vita abbiamo due grandi amori.
Uno con il quale ti sposerai o vivrai per sempre, può essere il padre o la madre dei tuoi figli:

con questa persona otterrai la massima comprensione per stare il resto della tua vita insieme.

E dicono che c’è un secondo grande amore, una persona che perderai per sempre.
Qualcuno con cui sei nato collegato, così collegato, che le forze della chimica scappano dalla ragione e ti impediranno sempre di raggiungere un finale felice.

Fino a che un giorno smetterai di provarci, ti arrenderai e cercherai un’altra persona che finirai per incontrare.

Però ti assicuro che non passerà una sola notte senza aver bisogno di un altro suo bacio, o anche di discutere una volta in più.
Tutti sanno di chi sto parlando, perché mentre stai leggendo queste righe,

il suo nome ti è venuto in mente.

Ti libererai di lui o di lei e smetterai di soffrire, finirai per incontrare la pace, però ti assicuro che non passerà un giorno in cui non desidererai che sia qui per disturbarti.
Perché a volte si libera più energia discutendo con chi ami, che facendo l’amore con qualcuno che apprezzi.

Brano tratto dal libro “El Zahir.” Di Paulo Coelho

Il nuovo principe (Un granello alla volta)

Il nuovo principe
(Un granello alla volta)

In uno sperduto angolo del regno d’Etiopia, viveva un re che amava le favole più di ogni altra cosa al mondo.
Diventato vecchio, però, si annoiava perché ormai le conosceva tutte.
Così un giorno fece annunciare in tutto il Paese che avrebbe dato il titolo di principe a chiunque gli avesse saputo raccontare una favola nuova, in grado di suscitare la sua attenzione e la curiosità di conoscere il finale.
Numerosi cantastorie vennero da tutti gli angoli del reame e dai Paesi vicini, ma nessuno riuscì ad interessare le orecchie reali, sempre tristi e distratte.
Un giorno un povero contadino bussò alle porte del palazzo per raccontare al vecchio re la storia di un agricoltore che aveva ammassato nel suo granaio il raccolto più ricco della sua vita.
Ma c’era un piccolo buco nel granaio e, quando tutto il grano fu portato dentro, una formica vi entrò e portò via un chicco.

“Molto interessante, continua.” disse il re.

Il contadino proseguì:
“Il secondo giorno un’altra formica passò nel buchino e portò via un altro chicco di grano, il terzo giorno accadde la stessa cosa…”
Il re era ormai molto preso dalla storia del contadino e chiese di tagliare corto sui dettagli per sapere come andava a finire tutto quel via vai di formiche nel granaio.
“Vai avanti, non mi annoiare!” urlò il re rosso in viso.
Ma il contadino continuava.
“Basta!

Vai avanti!” ordinò il re.

Il contadino sembrava sordo e proseguiva con la sua cantilena di formiche e chicchi di grano.
Si interruppe per dire:
“Mio re, questa è la parte più importante della storia:
il granaio è ancora pieno di chicchi di grano.”

Allora il sovrano esclamò:

“Hai vinto tu!
Ho capito che bisogna saper ascoltare gli altri con pazienza e umiltà.
I racconti più belli non sono quelli che ci stupiscono con grandi eventi, ricchezze, rivoluzioni e storie d’amore impossibili.
Sono quelli che, come succede nella vita di ogni giorno, ci fanno sperare di riuscire a vedere i risultati dei nostri sforzi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web