Le cose che ho imparato nella vita

Le cose che ho imparato nella vita

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

  • Non importa quanto buona sia una persona, ogni tanto ti ferirà.
    E per questo bisognerà che tu la perdoni.
  • Ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
  • Non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
  • Le circostanze e l’ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.
  • Dovrai essere tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.
  • Gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.
  • La pazienza richiede molta pratica.
  • Ci sono persone che ci amano profondamente, ma semplicemente non sanno come dimostrarlo.
  • A volte la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
  • Solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
  • Non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.
  • Non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno.
    Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
  • Non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma aspettando che tu lo ripari.
  • Forse Dio vuole che incontriamo un po’ di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così, quando finalmente la incontreremo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
  • Quando la porta della felicità si chiude, un’altra si apre,

    ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

  • La miglior specie d’amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola, e quando vai via senti come se sia stata la miglior conversazione mai avuta.
  • È vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.
  • Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un’ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
  • Non cercare le apparenze: possono ingannare.
    Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.
  • Cerca qualcuno che ti faccia sorridere, perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante una giornataccia.
  • Trova la persona che faccia sorridere il tuo cuore.
  • Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
  • Sogna ciò che ti va, vai dove vuoi, sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
  • Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.
  • Mettiti sempre nei panni degli altri.
    Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
  • Le più felici delle persone non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
  • L’amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un the.
  • Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.
  • Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
    Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange.
Brano di Paulo Coelho

Sorridi…

Sorridi…

… al sole che illumina la terra e fa germogliare la vita.
… al passero che si posa sul tuo davanzale in cerca di poche briciole.
… al vecchio che ti regala i suoi saggi consigli e aiuta la sua mano tremante, ti benedirà.

Sorridi…

… all’amico quando cerca il tuo sguardo, ti chiede aiuto e sicurezza.
… all’ammalato senza speranza, il tuo sorriso sarà per lui la medicina più preziosa.
… al sorgere di ogni nuovo giorno perché è un dono di Dio.

Sorridi…

… al timido bocciolo di un fiore, anch’esso ti annuncia il miracolo della vita.
… al frastuono dei bimbi, essi sono la speranza di un mondo migliore.
… all’amore in qualunque forma si manifesti, esso vince il tempo e lo spazio.

Sorridi…

… davanti alle meschinità della gente senz’anima, il tuo sorriso forse le farà ricredere.
… quando ascolti note armoniose, la musica è linguaggio universale.
… al tuo fratello dalla pelle più colorata, è in tutto simile a te.
… e troverai la pace nel tuo cuore e in quello degli altri.

Brano di Ishak Alioui

Arrivarono solo in tre (La storia dei Re Magi)

Arrivarono solo in tre
(La storia dei Re Magi)

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo:
i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva.
Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano;

per questo erano chiamati Re Magi.

Nell’anno 0 (zero), studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione:
proprio in una notte di quell’anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla del Re dei re.
Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché, davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima.
I Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada.
Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello.

Così, ben presto, si scordò della stella.

Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso.
Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi.
Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell’universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana.

Quando si ricordò della stella era troppo tardi:

non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell’Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali.
Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio.
Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchiorre, re dei Persiani, Baldassarre, re degli Arabi e Gaspare, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore.
Così ognuno di loro arrivò puntuale all’appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Brano tratto dal libro “Novena di Natale per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Le scarpe di Natale

Le scarpe di Natale

C’era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l’ordine e la tranquillità.
Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana.
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza.
E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai “buongiorno” per la strada; nessuno diceva mai “per piacere”:
quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C’erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po’ troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire…
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi.

E c’erano chiavi per ogni cosa:

per le porte, per l’armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura.
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d’occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano…
Ma, soprattutto, c’era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai:
“Chissà che cosa dirà la gente!”
Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto.
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po’ di denaro o anche solo qualche parola di speranza.

Tutto questo era scandaloso per la città.

Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro.
E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l’avevano soprannominata gli amici.
E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione.
Questo accadde qualche giorno prima di Natale.
Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa.
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio.
Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia…
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo.
Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti.

Così fu anche quel Natale.

All’alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali.
Ma… che cosa era successo?
Non c’era l’ombra di un regalo.
Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi… le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate.
Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito.
Non c’erano due scarpe uguali in tutta la città!
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada.
Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta.
Era una confusione allegra e festosa.
Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa.
Come quella del commissario Leonardi.
Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino.
Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino.

E anche lui si bloccò, sorpreso.

Accanto alla sua pesante scarpa nera c’era… una pantofola rossa di Cri-Cri.
Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave.
Ma la ragazza non c’era.
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c’erano l’altra scarpa del commissario e l’altra pantofola rossa.
Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce.
Il commissario si affacciò.
Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

Brano senza Autore.

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa

Una volta, in una piccola città, uguale a tante altre, cominciarono a succedere dei fatti strani.
I bambini dimenticavano di fare i compiti, i grandi si dimenticavano di togliersi le scarpe prima di andare a dormire, nessuno si salutava più.
Le porte della chiesa rimanevano chiuse.
Le campane non suonavano più.
Nessuno sapeva più le preghiere.

Un lunedì mattina, però, un maestro domandò ai suoi alunni:

“Perché ieri non siete venuti a scuola?”
“Ma ieri era domenica!” risposero gli scolari, “La domenica non c’è scuola!”
“Perché?” chiese il maestro.
Gli alunni non seppero che cosa rispondere.
Si avvicinava il Natale.
“Perché suonano questa musica dolce?”
“Perché sull’albero ci sono le candele?”
Nessuno lo sapeva.

Due amici avevano litigato:

si erano insultati fino a diventare rauchi.
“Ora non ho più nessun amico.” pensava tristemente uno di loro il giorno dopo.
E non sapeva che cosa fare.
La piccola città si faceva sempre più grigia e triste.
La gente diventava ogni giorno più egoista e litigiosa.
“Ho l’impressione di aver dimenticato qualcosa!” ripetevano tutti.
Un giorno soffiava un forte vento tra i tetti, così forte da smuovere le campane della chiesa.

La campana più piccola suonò.

Improvvisamente la gente si fermò e guardò in alto.
E un uomo per tutti esclamò:
“Ecco che cosa abbiamo dimenticato: Dio!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il galletto, il gatto ed il topolino

Il galletto, il gatto ed il topolino

Un Topolino inesperto, che non conosceva ancora nessuna delle insidie che riserva il mondo, un giorno corse il rischio di essere catturato e raccontava alla mamma la sua brutta avventura in questo modo:
“Mi dirigevo verso le montagne che circondano il paese e camminavo veloce come un qualunque topolino che voglia dimostrarsi abile e coraggioso,

quando ad un certo momento mi accorsi di due strani animali che erano sulla strada.

Uno di questi sembrava tranquillo e di bell’aspetto, l’altro invece era agitato, fiero e turbolento, aveva sul capo un elmo di un bel rosso fuoco e, ogni tanto, apriva le due braccia nel tentativo di spiccare il volo.
Questo strano animale aveva una voce stridula e feroce ed una coda simile ad un pennacchio, ricca di piume e di colori.”
Il Topolino intendeva parlare di un gallo, ma lo dipinse in un modo così strano, neppure fosse un’orca, uno sciacallo o un animale misterioso.

Poi continuò:

“Avessi visto, mamma, si batteva i fianchi con le due braccia, strillava e faceva un chiasso tale che sembrava il diavolo in persona.
Io stesso che, grazie a Dio, sono coraggioso, ho provato una paura tale che ho seriamente pensato di fuggire.
Ma, subito dopo, mi sono pentito perché avrei veramente avuto il desiderio di fare amicizia con quell’animale così gentile.
Aveva infatti il pelo liscio e striato, simile al velluto, quasi come il nostro, una coda morbidissima e bellissima, e uno sguardo così mite e luminoso che ognuno potrebbe innamorarsene.
Credo che sarebbe molto amato anche fra i topi.
Che cosa pretendi oltre a questo?

Aveva perfino le orecchie come le abbiamo noi.

Se non ci fosse stata quell’altra bestia a ricacciarmi indietro, gli sarei corso tra le braccia.”
“Male per te, figliuolo,” gli disse la madre, “perché quell’animale grazioso e gentile, sotto quelle false apparenze è un nemico crudele, mentre l’altro che ti ha fatto così paura è un animale innocuo… Il Gatto invece, che ti è sembrato così mite, divora i topi come fossero gustose polpette.
Finché vivrai non dimenticare che non è saggio giudicare la gente dall’apparenza.”

Brano tratto dal libro “Le Fiabe degli Animali.” di Jean de La Fontaine. Fratelli Melita Edizioni.

Il rabbino e l’ “amico” critico

Il rabbino e l’ “amico” critico

C’era un tempo un rabbino che la gente venerava come l’inviato di Dio.
Non passava giorno senza che una folla di persone si assiepasse davanti alla sua porta in cerca di un consiglio o della sua guarigione e della benedizione del sant’uomo.
E ogni volta che il rabbino parlava, la gente pendeva dalle sue labbra,

facendo propria ogni parola che diceva.

Fra i presenti c’era però un personaggio piuttosto antipatico, che non perdeva mai l’occasione per contraddire il maestro.
Osservava le debolezze del rabbino e ne sbeffeggiava i difetti, con sgomento dei suoi discepoli, che cominciarono a vedere in lui l’incarnazione del diavolo.
Un giorno però il “diavolo” si ammalò e morì.

Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

Di fuori apparivano compresi come si conveniva, ma nel loro cuore erano contenti perché quell’eretico irriverente non avrebbe mai più interrotto i discorsi ispirati del maestro e criticato il suo comportamento.
La gente fu quindi sorpresa di vedere al funerale il maestro genuinamente affranto dal dolore.
Quando più tardi un discepolo gli chiese se era addolorato per la sorte del morto, egli rispose:
“No, no.
Perché dovrei compiangere il nostro amico che è ora in cielo?

E per me che sono triste.

Quell’uomo era l’unico amico che avevo.
Eccomi qui circondato da gente che mi venera.
Lui era il solo che mi metteva alla prova; temo che senza di lui smetterò di crescere!”
E mentre diceva queste parole, il maestro scoppiò in lacrime.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana.” di Anthony de Mello. Edizioni Paoline.

L’uccelletto (L’uccello in Chiesa)

L’uccelletto
(L’uccello in Chiesa)
(a fine pagina troverete l’audio ed il video di questo brano, narrato da Andrea Bocelli, tratto da Youtube)

Era d’agosto e un povero uccelletto,
ferito dalla fionda d’un maschietto,
andò, per riposare l’ala offesa,
sulla finestra aperta d’una chiesa.

Dalle tendine del confessionale
il parroco intravide l’animale
ma, pressato dal ministero urgente,
rimase intento a confessar la gente.
Mentre in ginocchio alcuni, altri a sedere

dicevano i fedeli le preghiere,

una donna, notato l’uccelletto,
lo prese al caldo e se lo mise al petto.
D’un tratto un cinguettio ruppe il silenzio e il prete a quel rumore
il ruolo abbandonò di confessore
e scuro in viso peggio della pece
s’arrampicò sul pulpito e poi fece:

“Fratelli, chi ha l’uccello, per favore,
esca fuori dal tempio del Signore.”
I maschi, un po’ stupiti a tal parole,
lenti s’accinsero ad alzar le suole.
Ma il prete a quell’errore madornale

“Fermi!” gridò, “mi sono espresso male.

Rientrate tutti e statemi a sentire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire.”

A testa bassa, la corona in mano,
cento donne s’alzarono pian piano.
Ma mentre se n’andavano ecco allora
che il parroco strillò: “Sbagliate ancora!
Rientrate tutte quante, figlie amate,
ch’io non volevo dir quel che pensate.”
“Ecco, quello che ho detto torno a dire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire,
ma mi rivolgo, non ci sia sorpresa,

soltanto a chi l’uccello ha preso in chiesa.”

Finì la frase e nello stesso istante
le monache s’alzaron tutte quante,
e con il volto pieno di rossore
lasciavano la casa del Signore.
“Oh Santa Vergine!” esclamò il buon prete,
“Fatemi la grazia, se potete!”
Poi: “Senza fare rumore dico, piano piano,
s’alzi soltanto chi ha l’uccello in mano.”
Una ragazza, che col fidanzato
s’era messa in un angolo appartato,
sommessa mormorò, col viso smorto:
“Che ti dicevo? Hai visto? Se n’è accorto!”

Brano di Trilussa

Salvati dai cardi

Salvati dai cardi

Il cardo non è certamente un fiore che la gente ama raccogliere.
Non è molto bello e ha le foglie coperte di spine che producono delle punture dolorose.
Ma il brutto e spinoso cardo è una pianta venerata in Scozia.
E questo perché una vecchia leggenda scozzese racconta che i cardi salvarono

un re scozzese ed i suoi sudditi dai Vichinghi.

I Vichinghi erano feroci guerrieri che venivano dalla Scandinavia.
Navigavano alla volta di terre straniere e assalivano città e castelli.
Spesso uccidevano tutti gli abitanti, rubavano tutte le ricchezze e incendiavano case, campi, pagliai, ogni cosa.
Racconta la leggenda che più di mille anni fa approdarono in Scozia alcuni Vichinghi.

Durante la notte circondarono il castello del re.

Tutti al castello dormivano profondamente e non si erano accorti che i Vichinghi si preparavano ad attaccare.
Il castello era circondato da un fossato largo e profondo che, solitamente, era pieno d’acqua; perciò i Vichinghi si levarono i calzari per attraversare a guado il fossato.
Purtroppo, a causa del buio, non avevano notato che il fossato non era pieno d’acqua:

era asciutto ed era coperto da migliaia di cardi spinosi!

Quando misero i piedi nudi sui cardi i Vichinghi urlarono di dolore.
Le loro urla svegliarono gli abitanti del castello che riuscirono a sconfiggerli e a scacciarli dalla loro terra.
Oggi il cardo è l’emblema nazionale di Scozia.

Leggenda Scozzese.
Brano senza Autore, tratto dal Web

L’orchestra e l’ottavino

L’orchestra e l’ottavino

Questa è la storia di una orchestra famosa, conosciuta da tutti perché la loro musica era perfetta, speciale, unica, suonava melodie celestiali.
In ogni posto dove suonava, c’era sempre tanta gente che andava d ascoltare questa musica fantastica.
Era una orchestra grandissima, tanti suonatori, ogni strumento era lì a formare una perfetta armonia.
C’erano arpe, violini, trombe, flauti, violoncelli, insomma di tutto
Tra questi ce n’era uno piccolo, più piccolo di una penna, si nascondeva tra le mani…
l’ottavino, un piccolissimo strumento che emette un suono dolce e leggero.

Ogni giorno l’orchestra faceva le prove per il concerto.

Un giorno, dopo l’arrivo di tutti i musicisti, iniziarono le prove.
L’ottavino cominciò ad emettere il suo dolce suono, ma lì dove era messo in un angolo tra tutti gli altri strumenti, non si sentiva!
Il musicista cominciò a sentirsi inutile, aveva uno strumento che, se presente o meno, non faceva la differenza.
Quindi cominciò a pensare di non suonare più.
Una sera preparandosi per il concerto, il musicista pensò:
“Questa sera non suonerò, quando saremo tutti pronti a partire io farò finta di suonare, tanto nessuno lo noterà!”
Il concerto iniziò, i musicisti si prepararono, iniziarono a suonare, e mentre tutti suonavano, in un angolo ecco il nostro musicista:

era lì e faceva finta di suonare.

Il maestro ad un certo punto fermò l’orchestra, si diresse dal musicista e gli chiese:
“Perché non stai suonando?
Io non sento il suono dolce dell’ottavino.”
Il musicista si sentì piccolo e intimidito gli rispose:
“Maestro!
Che ci faccio io qui?
Il mio strumento è piccolo e insignificante rispetto agli altri e mi sono sentito inutile.”

Il maestro replicò:

“Questa sera quando l’orchestra ha iniziato a suonare, io non ti ho sentito, mancava il suono del tuo strumento, le melodie erano incomplete!
Anche tu con questo piccolo strumento sei parte essenziale dell’orchestra per suonare delle splendide melodie!
Quindi ora suona!”

Brano senza Autore, tratto dal Web