La bambina e la copertina dimenticata

La bambina e la copertina dimenticata

C’era una volta una bella copertina che viveva nel magazzino di un grande negozio.
In realtà era stata dimenticata in un angolo buio del magazzino ed era rimasta invenduta; il negoziante non si ricordava nemmeno più di averla.
La povera copertina si annoiava da morire e sognava continuamente che un giorno sarebbe arrivata nel negozio una bella bimba che volesse comprare proprio lei.
Ma passavano i giorni e non succedeva mai niente.

Che noia!

Un bel giorno però entrò nel negozio una bellissima bambina, accompagnata dal papà e dalla mamma, per acquistare una copertina per il lettino nuovo.
Il negoziante cominciò pertanto a farle vedere le copertine che aveva:
gialle, verdi, rosse, rosa e poi marroni, viola e blu e ancora a strisce, a cerchi, a pallini ma… niente da fare; la bambina non era soddisfatta:
“No, non è così la coperta che voglio io!”
Il padrone del negozio, senza perdersi d’animo, gliene fece vedere altre:
con i gattini, con le foche, gli scoiattoli, i topolini, casette, castelli, mulini, arcobaleni, nuvolette, lune e stelle…
“No! Uffa non è così che la voglio!”
A questo punto il signore del negozio, sull’orlo ormai della disperazione, si mise in ginocchio davanti alla bambina e le chiese:

“Ma come la vuoi questa benedetta copertina?”

“Semplice: a quadretti blu con gli orsi disegnati sopra.
Perché non glielo avevo detto?” rispose candidamente la bimba.
Il negoziante allora si recò in magazzino per cercare una coperta come quella richiesta dalla bambina, ma non si ricordava proprio della povera copertina abbandonata nell’angolo.
Cercò in ogni angolo e in ogni scaffare: niente da fare.
Stava già per tornare sconsolato quando, un vecchio scaffale amico della copertina, che aveva saputo della bimba da una mosca, allungò un piede e fece lo sgambetto al negoziante il quale, cadendo, finì con la faccia proprio davanti alla copertina.

Oh che sorpresa nel vederla!

La prese immediatamente, la spolverò un po’ e corse giù trionfante dalla bambina.
Quando la bimba vide la copertina fece un salto di gioia e la strinse forte a sé.
Quella sera tutte e due, la bambina e la copertina, dormirono beate strette l’una all’altra e fecero dei bellissimi sogni.
Oggi la bambina è cresciuta ed è diventata una mamma, conserva ancora quella copertina e per la notte di Natale la sistema sul lettino della sua bambina.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La leggenda della danza della luna

La leggenda della danza della luna

Molti anni or sono Luna era alta nel cielo.
Il suo cuore triste lacrimava.
Cosi decise di abbandonare il cielo e andare a vivere sulla terra.
Chiese ad una stella di donarle due piccole ali per raggiungere la terra.
La stella subito esaudì il suo desiderio.
Luna viaggiò molto.
Finalmente dopo molti mesi toccò terra.
La sua anima era ancora triste, iniziò a correre veloce nel bosco scuro.

I suoi occhi non volevano vedere e le sue orecchie non volevano sentire.

La strada era faticosa, salite discese, torrenti da attraversare, alberi sui quali camminare, ponti traballanti con grandi burroni, funi pericolanti, molti sassi grandi e piccoli sui quali camminare…
Inciampava tante volte, ma proseguì.
Iniziò a piovere molto forte.
Si creò molto fango, ma lei era coraggiosa.
Cadde e si rialzò più volte.
Capi di lasciarsi andare a quel percorso senza timore.
Cosi iniziò a strisciare, era molto forte, strisciò come un serpente.
Sapeva che sarebbe stata l’unica strada per salvarsi…
Continuando a strisciare entrò in un tunnel scuro dove incontrò molti animali in viaggio come lei.
Civette, Orsi, Lupi, Pipistrelli, Ragni, Lontre.
Tutti incitavano Luna a proseguire il suo Viaggio.

Luna gridava, piangeva.

Era disperata voleva andare via di lì, voleva la Luce più di ogni altra cosa.
E nuovamente si lasciò trasportare.
Mille emozioni attraversavano la sua forte anima.
Uscì dal tunnel, corse ancora disperata.
Poi all’improvviso si fermò.
Si guardò intorno.
Respirò profondamente.
Chiuse gli occhi.
Iniziò a danzare.
Una magica Danza.
Mai vista neppure dagli spiriti.

Si udivano in lontananza molti tamburi.

Gli spiriti del luogo videro Luna.
Si radunarono tutti e copiarono la danza.
Tutto il bosco era invaso da spiriti danzanti.
Luna danzava come il vento senza fermarsi neppure per prendere fiato, gridava, piangeva e rideva.
Venne risucchiata completamente dalla Danza, formando intorno a se una gigantesca sfera argentata che scoppiò creando una miriade di piccole luci che invasero l’Universo intero, formando tantissime stelle e giochi di colori infiniti.
Nessuno sa se la sua Danza fosse di dolore o di gioia.
Luna vive profondamente senza usare parole.
La leggenda vuole che da quel giorno molte popolazioni si riuniscono per donare alla Luna la loro Danza.
Si dice che qualcuno si trasformi ancora in Stella e che porti ovunque nell’Universo questa Danza…

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’angelo Custode di Martina


L’angelo Custode di Martina

Improvvisamente Martina si svegliò di soprassalto e si ritrovò nel suo lettino tutto a fiori nella sua bella cameretta.
Il videogioco era ancora sul tappeto di fianco al suo lettino ed il libro di storia era appoggiato ancora chiuso sul suo comodino.
Era stato tutto un sogno?
È possibile che tutto quello che aveva vissuto era stato solo un sogno?

Ed anche bellissimo!

Perché la presenza dell’Angelo Custode la sentiva ancora vicino a lei, il caldo e morbido delle sue ali era ancora dentro di lei, la pace, la serenità e la gioia che aveva provato a parlare e stare con lui era stata grandissima!
Si ricordava ogni particolare, ogni cosa detta nel sogno, non aveva dimenticato nulla.
Sapeva che quanto era avvenuto era davvero importante, sentiva che gli aveva fatto capire che per seguire il filo del suo destino e costruire la sua vita doveva impegnarsi a fondo, fare attenzione alle persone che stavano intorno a lei, superare con gioia i piccoli nodi quotidiani che doveva affrontare.

E soprattutto sapeva che non sarebbe mai stata sola a superare ed affrontare queste cose.

Aveva il suo amico Angelo Custode che gli aveva promesso che fino ad ottant’anni l’avrebbe seguita e consigliata.
A questo punto si ricordò del libro di storia, dell’interrogazione del giorno dopo, del fatto che non aveva ripassato per niente e subito accese la luce sul suo comodino, prese il libro ed iniziò a ripassare la lezione ad alta voce.
Si sarebbe impegnata tantissimo e il giorno dopo avrebbe fatto un’interrogazione magnifica.
Ed anche tutti i giorni della sua vita li avrebbe passati facendo con impegno le cose che riteneva importanti e giuste perché il suo destino lo voleva costruire con impegno e “pensando agli altri prima che a se stessa.”

Voleva tenere sempre caldo il suo cuore e usare tutta la sua forza dando amore agli altri.

Ed ecco che mentre iniziava il capitolo di Romolo e Remo, sentì sul collo un solletichino, come il segno che aveva accordato con il suo angelo e capì immediatamente che aveva ritrovato il bandolo del suo gomitolo e stava facendo la cosa giusta.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Cosa ti rende felice?


Cosa ti rende felice?

Nel corso di un seminario per coppie, chiesero a una delle mogli:
“Tuo marito ti rende felice?
Ti fa davvero felice?”
In quel momento, il marito sollevò la testa, mostrando totale sicurezza.
Sapeva che la moglie avrebbe detto sì, perché non si era mai lamentata di qualcosa durante il matrimonio.
Tuttavia, la moglie rispose con un sonoro “No!”
“No, mio marito non mi rende felice!”
A questo punto il marito stava cercando la porta di uscita più vicina.
“Mio marito non mi ha reso felice e non mi rende felice!
Sono felice!”

E continuò:

“Il fatto che io sia felice o no, non dipende da lui, ma da me.
Io sono la sola dalla quale dipende la mia felicità.
Io decido di essere felice.
In ogni situazione, ogni momento della mia vita, perché se la mia felicità dipendesse da qualche cosa, persona o circostanza sulla faccia della terra, sarei in guai seri.
Tutto ciò che esiste in questa vita è in continua evoluzione:
l’essere umano, la ricchezza, il mio corpo, il tempo, la mia testa, i piaceri, gli amici, la mia salute fisica e mentale.
E così potrei citare un elenco senza fine…
Decido di essere felice!

Se la mia casa è vuota o piena: sono felice!

Se usciamo insieme o esco da sola: sono felice!
Se il mio lavoro è ben pagato o no: sono felice!
Sono sposata, ma ero felice quando ero single.
Sono contenta per me stessa.
Le altre cose, persone, momenti o situazioni io le chiamo esperienze che possono o non possono darmi momenti di gioia e di tristezza!
Quando muore qualcuno che amo, io sono una persona felice in un inevitabile momento di tristezza.
Imparo dalle esperienze passeggere e vivo quelle che sono eterne come l’amare, perdonare, aiutare, capire, accettare, confortare…

Ci sono persone che dicono:

oggi non posso essere felice perché sto male, perché non ho soldi, perché fa molto caldo, perché qualcuno mi ha insultato, perché qualcuno ha smesso di amarmi, perché non riesce a valorizzarmi, perché mio marito non è quello che mi aspettavo, perché i miei figli non mi rendono felice, perché i miei amici non mi rendono felice, perché il mio lavoro è mediocre e così via.
Io amo la vita ma non perché la mia vita è più facile di quella degli altri.
E’ che ho deciso di essere felice e io come persona sono responsabile per la mia felicità.
Quando prendo questo obbligo, lascio liberi mio marito e chiunque altro dal pesare sulle loro spalle.
La vita di tutti è molto più leggera.
Ed in questo modo ho un matrimonio felice da molti anni!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un anziano Apache stava insegnando la vita ai suoi nipotini.



Un anziano Apache stava insegnando la vita ai suoi nipotini.

Un anziano Apache stava insegnando la vita ai suoi nipotini.
Egli disse loro:

“Dentro di me infuria una lotta, è una lotta terribile fra due lupi.

Un lupo rappresenta la paura, la rabbia, l’invidia, il dolore, il rimorso, l’avidità, l’arroganza, l’autocommiserazione, il senso di colpa, il rancore, il senso d’inferiorità, il mentire, la vanagloria, la rivalità, il senso di superiorità e l’egoismo.

L’altro lupo rappresenta la gioia, la pace, l’amore, la speranza, il condividere,

la serenità, l’umiltà, la gentilezza, l’amicizia, la compassione, la generosità, la sincerità e la fiducia.
La stessa lotta si sta svolgendo dentro di voi e anche dentro ogni altra persona.”
I nipoti rifletterono su queste parole per un po’ e poi uno di essi chiese:

“Quale dei due vincerà?”

L’anziano rispose semplicemente:
“Quello che nutri!”

Tratto dal libro “Viaggio nel tempo.” di Domenico Frustagli

L’importanza delle stagioni


L’importanza delle stagioni

Un uomo aveva quattro (4) figli.
Voleva imparassero a non giudicare le cose troppo velocemente.
Così li mandò uno alla volta ad osservare un albero molto distante da casa.
Il piu’ grande andò in inverno, il secondo in primavera, il terzo in in estate, il più giovane in autunno.

Quando tutti furono tornati chiese loro cosa avessero visto.

Il grande disse che l’albero era brutto, spoglio e ricurvo.
Il secondo disse che era pieno di gemme e promesse di vita.
Il terzo non era d’accordo; l’albero era pieno di fiori, profumato e bellissimo…

ed era la cosa più bella che avesse mai visto.

Il più piccolo aveva un’opinione ancora diversa, l’albero era carico di frutti e pieno di vita e realizzazione.
L’uomo spiegò ai suoi figli che tutti avevano ragione, infatti avevano osservato solo una stagione della vita dell’albero.
Disse loro di non giudicare un albero o una persona solo in una stagione, ma dall’essenza di ciò che una persona è!
La gioia, l’amore, la realizzazione che viene dalla vita possono essere misurate solo alla fine,

quando tutte le stagioni sono complete.

Se ti arrendi quando è inverno, perderai la speranza che regala la primavera, la bellezza della tua estate, la realizzazione del tuo autunno!!!
Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo.
Non giudicare la tua vita in una stagione difficile.
Persevera nelle difficoltà…
Il meglio deve ancora venire!

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’Usignolo e la Rosa. (L’Usignolo e l’Amore)


L’Usignolo e la Rosa.
(L’Usignolo e l’Amore)

Un giovane studente si lamentava poiché nel proprio giardino non c’era una sola rosa rossa.
Ah, da quali sciocchezze dipende la felicità!
Ho letto gli scritti di tutti i sapienti, conosco tutti i segreti della filosofia, ma nonostante ciò la mancanza di una rosa rossa sconvolge la mia vita!
“La donna che amo ha detto che ballerà con me solo se le porterò delle rose rosse, ma in tutto il giardino non c’è una sola rosa rossa!”
Anche l’usignolo lo ascoltava commosso.
“Il principe dà un ballo domani sera!” singhiozzava ad alta voce l’uomo “Io e lei siamo stati invitati.
Se le porterò una rosa rossa ballerà con me fino all’alba.
Ma non v’è rosa rossa nel mio giardino, e così me ne starò tutto solo e lei mi passerà davanti senza degnarmi di uno sguardo.
Non si curerà di me e il mio cuore si spezzerà.”
“Ecco uno che sa veramente amare!” disse l’usignolo “Quello che io canto, egli lo soffre:
quello che per me è gioia, per lui è dolore.

L’amore è una cosa meravigliosa:

è più prezioso di smeraldi e diamanti.
Non si può comprare con perle e pietre preziose.
Non è venduto al mercato; non ci sono mercanti o bilance per l’amore.”
“Ballerà con tutti, ma non con me.
Perché non ho da offrire una rosa rossa!” si disperò l’uomo buttandosi nell’erba e coprendo il proprio viso con le mani.
“Perché piange?” chiese una lucertolina marrone, passandogli accanto di corsa, con la coda in aria.
“Già, perché piange?” chiese una farfalla che svolazzava dietro a un raggio di sole.
“Sì, perché?” sussurrò una primula alla sua vicina con una voce dolce, sommessa.
“Piange per una rosa rossa!” rispose l’usignolo.
“Per una rosa rossa?” esclamarono “Che cosa ridicola!”
La lucertolina, che era un po’ cinica, sghignazzò senza ritegno.
Ma l’usignolo capiva il segreto del dolore dell’uomo e se ne stette silenzioso, sulla quercia, a riflettere sul mistero del dolore.

D’un tratto spalancò le ali brune e si librò in aria.

Attraversò il boschetto come un’ombra, e come un’ombra veleggiò attraverso il giardino.
Al centro del prato c’era un bel rosaio, e quando lo vide l’usignolo si posò su uno dei suoi rami.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono bianche!” rispose “Bianche come la spuma del mare, e più bianche della neve sui monti.
Ma va’ da mio fratello, che cresce intorno alla vecchia meridiana, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò fino al rosaio che cresceva intorno alla vecchia meridiana.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Ma il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono gialle!” rispose “Gialle come l’asfodelo che fiorisce nei campi, gialle come grano.
Ma va’ da mio fratello che fiorisce sotto la finestra dell’uomo, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò al rosaio che cresceva sotto la finestra dell’uomo.
“Dammi una rosa rossa,” esclamò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni.”

Ma il rosaio scosse i rami.

“Le mie rose sono rosse,” rispose “più rosse del corallo.
Ma l’inverno mi ha gelato le vene, la neve mi ha distrutto i germogli e la tempesta mi ha spezzato i rami: non avrò nemmeno una rosa”.
“Una rosa rossa è tutto quello che voglio!” gridò l’usignolo “Solo una rosa rossa!
Non esiste un modo per procurarmela?”
“Una maniera c’è,” rispose il rosaio “ma è così terribile che non ho il coraggio di dirtela!”
“Dimmela,” disse l’usignolo “io non ho paura”.
“Se vuoi una rosa rossa,” disse il rosaio “devi tingerla con il tuo sangue.
Devi cantare per me col petto contro una delle mie spine.
Tutta la notte devi cantare per me, e la spina deve trafiggerti il cuore,
e il tuo sangue deve scorrere nelle mie vene e diventare mio.”
“La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa!” disse l’usignolo “La vita è bella e cara tutti.
Eppure l’amore è più grande della vita.
E che cos’è mai il cuore di un uccello in confronto al cuore di un uomo?”
Si librò in volo e ritornò dall’uomo, che continuava a disperarsi.
“Sii felice!” gli gridò l’usignolo “Sii felice!

Avrai la tua rosa rossa.

La tingerò io con il sangue del mio cuore.
In cambio ti chiedo solo di essere sincero nel tuo amore.”
L’uomo alzò il capo, ma naturalmente non capiva nulla di quello che l’usignolo diceva.
Ma la quercia capì e si rattristò, perché amava molto l’usignolo che aveva costruito il proprio nido in mezzo ai suoi rami.
“Cantami un’ultima canzone,” sussurrò “sarò tanto sola quando tu non ci sarai più!”
L’usignolo cantò per la quercia e la sua voce sembrava acqua zampillante da una fonte d’argento.
L’uomo se ne andò, sbuffando:
“L’usignolo ha una bella voce, ma certamente nessun sentimento.
Pensa solo al canto, alle belle note.
Non gliene importa niente degli altri.

Sono tutti così gli artisti!”

Andò nella sua stanza, si distese sul letto e, pensando alla sua amata, si addormentò.
Quando in cielo si accese la luna, l’usignolo volò al roseto e mise il petto contro una spina.
Tutta la notte cantò, col petto contro la spina.
Anche la fredda luna di cristallo si chinò e ascoltò.
Tutta la notte cantò, e la spina gli penetrò sempre più profondamente nel petto, mentre il sangue della vita scorreva via.
Sbocciò una rosa meravigliosa, rossa come il sole d’oriente, rossa più di un rubino.
Ma la voce dell’usignolo si affievolì.
Le sue piccole ali cominciarono a tremare e un velo di dolore gli annebbiò gli occhi.
La sua voce meravigliosa si spense in un’ultima esplosione di trilli, mentre la rosa meravigliosa spalancava i petali alla fredda aria del mattino.
“Guarda, guarda!” gridò il rosaio.
“La rosa è finita ora!”
Ma l’usignolo non rispose, perché giaceva morto nell’erba alta.
A mezzogiorno, l’uomo aprì la finestra e guardò fuori.
“Ehi, ma che fortuna incredibile!” esclamò.
“Qui c’è una rosa rossa!
Non ho mai visto una rosa così in tutta la vita.
Così bella che di sicuro deve avere un lungo nome latino!”

Si spenzolò dalla finestra e la colse.

Poi corse alla casa della donna dei suoi sogni con la rosa in mano.
“Hai detto che avresti ballato con me se ti avessi portato una rosa rossa!” esclamò l’uomo.
“Ecco la rosa più rossa del mondo.
La porterai stasera sul cuore, e quando balleremo insieme ti dirò quanto ti voglio bene!”
Ma la donna si accigliò.
“Non mi serve più.
Non si intona con il mio vestito.
E poi il nipote del banchiere mi ha mandato dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli costano molto più dei fiori!”
“Sei solo un’ingrata!” disse rabbioso l’uomo.
E gettò la rosa nella strada.
La rosa rossa finì in una pozzanghera e la ruota di un carro la schiacciò.
“L’amore non esiste!” concluse l’uomo.
E tornò a casa.
Si chiuse dentro la sua stanza, prese lo dallo scaffale un vecchio libro polveroso, e si mise a leggere.

Brano tratto dal libro “Il principe felice e altri racconti.” di Oscar Wilde

A trent’anni puoi…


A trent’anni puoi…

Io mi diverto ad avere trent’anni, io me li bevo come un liquore i trent’anni:
non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su carta carbone.
Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee:
sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque!
Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni!
Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti.
Se siamo atei, siamo atei convinti.

Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna.

E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti.
Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile.
Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo:
i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo.
Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi.
Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita.
È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più.

Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima:

la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo.
Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna:
e allora com’è che in voi non è così?
Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie?
Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti?
A quale prezzo pagate la Luna?
La Luna costa cara, lo so.

Costa cara a ciascuno di noi:

ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte.
Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna:
tanto varrebbe restarcene qui.
Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi!
Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza!
Stracciatela la carta carbone.

Ridete, piangete, sbagliate.

Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro.
Ve lo dico con umiltà, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me.
Molto:
non così poco.
O è ormai troppo tardi?
O il Sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così!

Brano tratto dal libro “Il sole muore.” di Oriana Fallaci

Ci sono certi sguardi di donna che l’uomo

amante non scambierebbe con l’intero possesso del corpo di lei. Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido il fulgore della prima tenerezza non sa la più alta delle felicità umane. Dopo, nessun altro attimo di gioia eguaglierà quell’attimo.

Citazione tratta dal libro “Il piacere.” di Gabriele D’Annunzio.

Il vecchio pittore


Il vecchio pittore

Aveva lunghi capelli e occhi come le stelle.
Un giorno fu colpita da una malattia misteriosa che lentamente fece spegnere le stelle nei suoi occhi e la trascinò in un sonno simile alla morte.
Nei rari momenti di lucidità invocava la primavera e chiedeva di vedere i fiori del giardino.

Ma era inverno e il giardino era ingiallito e le piante secche.

I suoi genitori chiesero aiuto ai medici, ma nessuno seppe capire quella strana malattia.
Fu sentita anche la maga del villaggio: disse che la fanciulla sarebbe guarita solo se avesse visto i fiori della primavera.
La disperazione scese allora in quella casa perché tutti presentivano che la fanciulla non sarebbe vissuta sino alla nuova stagione.

Venne a conoscenza della storia un vecchio pittore;

era povero, dormiva in una barca e di notte si recò nel piccolo giardino che stava davanti alla finestra della fanciulla.
Faceva molto freddo, ma non se ne curava e per tutta la notte, con le mani intirizzite, dipinse fiori bellissimi sul muro di cinta: per incanto nel giardino era fiorita la primavera.

Al mattino, quando la fanciulla,

in uno dei suoi rari momenti di lucidità, aprì gli occhi e vide i fiori, il suo viso si illuminò di gioia.
Da quel giorno incominciò a star meglio e guarì, mentre del vecchio pittore non si seppe più nulla.
Lo cercarono tra le onde e sulla riva del mare, ma lui dormiva per sempre nella sua barca dove era morto di gelo.

Brano di Romano Battaglia