Il passero ed il girasole

Il passero ed il girasole

In una discarica abusiva, in un angolo abbandonato di una zona industriale di una città, era nato un girasole, che aveva fatto amicizia con un passero!
Il fiore era triste:
sognava un prato verde e farfalle svolazzanti.
“A che servo io qui?” si chiedeva.
Ma l’uccellino guardava il girasole, raggiante, a becco aperto:
“Come sei bello!
Sei meraviglioso!” trillava.
“Ci sono molte cose più belle!” rispondeva il saggio girasole, “Guardati intorno!”
Il buon passero si guardava diligentemente intorno, ma finiva sempre per voltarsi verso il girasole e pigolare con aria ammirata:

“Il più bello di tutti sei tu!”

Così, ogni giorno, il girasole prendeva coraggio e cresceva, tanto da troneggiare, ormai, sul mucchio di rifiuti.
La sua corona d’oro splendeva sempre di più!
Ma un giorno, al sorgere del sole, il fiore attese invano il suo piccolo amico.
Solo nel tardo pomeriggio sentì un pietoso pigolio ai suoi piedi!
Si piegò e vide il passero che si trascinava con un’ala ferita.
“Piccolo amico mio, che cosa ti è successo?” gli chiese.
“Un gabbiano mi ha colpito e da alcuni giorni non riesco a trovare niente da mangiare.
È la fine per me!” bisbigliò l’uccellino.
“No no!” urlò il girasole, “Aspetta un attimo!”
Il bel fiore scosse con vigore la sua grande corolla e una pioggia di semi scese sul passero.

“Mangiali, amico mio!

Ti daranno nuova forza!” disse il girasole.
Giorni dopo, il passero aveva ripreso vigore e, riconoscente, si voltò a guardare il girasole.
Ma fu ferito da una dolorosa sorpresa:
lo splendido fiore aveva perso i colori, le foglie penzolavano grigiastre e i petali erano terrei!
“Che cosa ti è successo bellissimo fiore?” pigolò.
“Il mio tempo è finito!” rispose il girasole.
“Ma me ne vado felice!
Per tanto tempo mi son chiesto quale crudele destino mi avesse fatto nascere in una discarica.

Ora ho capito:

sono stato un dono per te e ti ho ridato la vita!
Come tu sei stato un dono per me perché mi hai sempre incoraggiato.
Mangia tutti i semi che vuoi ma lasciane qualcuno!
Un giorno germoglieranno e, chissà, forse qui sorgerà una splendida aiuola!”

Brano senza Autore

Il fiore senza nome. La storia del girasole.



Il fiore senza nome
La storia del girasole

C’era una volta un giardino ricco di fiori di ogni specie, in cui cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome.
La pianta era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi che non emanavano alcun profumo particolare.
Le altre piante nobili del giardino la consideravano come un’erbaccia, e non le rivolgevano la parola.
La pianta senza nome però aveva un cuore pieno di bontà, di sogni e di ideali.
Quando i primi raggi del sole, al mattino, arrivavano a fare il solletico alla terra, e a giocherellare con le gocce di rugiada per farle sembrare iridescenti diamanti sulle camelie, rubini e zaffiri sulle rose, le altre piante si stiracchiavano pigre.

La pianta senza nome, invece, non si perdeva un solo raggio di sole.

Se li beveva tutti, uno dopo l’altro, godendoseli appieno.
La pianta senza nome trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa.
Tanto che con il passare del tempo il suo fusto, che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a darle attenzione e a nutrire anche un po’ d’invidia per il suo bell’aspetto.
“Quello spilungone, è un po’ matto!” bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome, non ci badava.
Aveva un progetto.
Se il sole si muoveva nei cielo, lei l’avrebbe seguito, per non abbandonarlo un istante.
Non poteva certo sradicarsi dalla terra ma poteva costringere il suo fusto a girare all’unisono con il sole.

Così, non si sarebbero lasciati mai.

Le prime ad accorgersi di questa iniziativa della pianta senza nome furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari!
“Si è innamorato del sole!” cominciarono a propagare ai quattro venti.
“Lo spilungone, è innamorato del sole!” dicevano, ridacchiando, i tulipani.
“Oh, com’è romantico!” sussurravano, pudicamente, le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome, sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole!
Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo.
E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole giorno dopo giorno nella sua camminata attraverso il cielo.

Fu così che i garofani gli diedero un nome: Girasole.

Glielo misero per prenderlo in giro, ma nel giro di poco tutti lo accolsero come un nome bello.
Piacque a tutti, compreso al diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva, orgoglioso:
“Mi chiamo Girasole!”
Rose, ortensie e dalie non cessavano, però, di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o peggio qualche sentimento molto disordinato.
Furono le bocche di leone, i fiori più coraggiosi del giardino, a rivolgere direttamente la parola al Girasole.
“Perché guardi sempre in aria?
Perché non ci degni di uno sguardo?

Eppure, siamo piante, come te!” gridarono le bocche di leone, per farsi sentire.

“Amici!” rispose il Girasole “Sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole.
Esso è la mia vita, e non posso staccare gli occhi da lui! Lo seguo, nel suo cammino…
Lo amo tanto, che sento già di assomigliargli un po’!
Che ci volete fare?
Il sole è la mia vita.”
Come tutti i buoni il Girasole parlava forte e l’udirono tutti i fiori del giardino.
E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per l’innamorato del sole.

Brano tratto dal libro “Tutte storie” di Bruno Ferrero. Edizione Elledici.

La Rosa Bianca


La Rosa Bianca

C’era una volta un ragazzo.
Non era un bellissimo principe azzurro sul cavallo bianco, né un perfetto gentiluomo in carriera.
Era un semplice e banalissimo ragazzo, come quelli che potreste vedere all’uscita di una scuola.
Certo, era molto bello e intelligente, ma non era felice perché sentiva che gli mancava qualcosa.
Gli mancava qualcuno da amare.
Ogni notte, si ritrovava triste a osservare il cielo e piangeva, perché si sentiva solo.
Più le lacrime scorrevano sul suo viso, più si rendeva conto che nessuno gliele avrebbe mai asciugate.
Così era sempre più infelice e il cuore gli faceva tanto, tanto male.

Un giorno, uscendo da scuola, decise di cambiare strada per tornare a casa.

Voleva solo distrarsi, per non pensare a quanto fosse solo, quando si ritrovò di fronte a un’enorme cancellata.
Era stata costruita in modo tale da sembrare una grande siepe di ferro.
Purtroppo, il tempo aveva fatto arrugginire la vernice verde brillante, adesso presente solo in pochi punti.
“Strano,” pensò “non ricordavo ci fosse un qualcosa del genere, da queste parti!”
“Perché non c’è mai stato!” rispose una vocetta gracchiante alle sue spalle.
Spaventato, il ragazzo si voltò.
Un vecchietto tutto ricurvo gli sorrideva gentilmente.
Aveva entrambe le mani appoggiate a un bastone di legno.

La giacca e i pantaloni color castagna erano vecchi e bucati, mentre le scarpe erano sporche di terra.

Era quasi totalmente calvo, tranne ai lati della testa dove resistevano due ciuffi di capelli bianchi.
Sulla punta del naso, spiccavano un paio di occhialetti tondi.
Al di là delle lenti, due furbi occhietti nocciola parevano brillare di contentezza.
“Che significa che non c’è mai stato?
Non è possibile, il cancello è tutto rovinato!” balbettò il ragazzo ripresosi dallo spavento.
“Ma, ma come avete fatto?
Io l’avevo solo pensato!”
Il vecchietto trattenne una risatina.
“Io so tutto, ragazzo mio. So tutto!” esclamò l’anziano agitando il bastone sotto il naso del giovane. “Che ne diresti di entrare a dare un’occhiatina?” proseguì facendogli l’occhiolino.

“Ma il cancello è chiuso, e poi i proprietari…”

“Si dia il caso che io sia il custode di questo meraviglioso posto!” lo interruppe, vantandosi “Allora che ne dici?
Vuoi entrare?” lo tentò.
“Ma perché io?
Perché lo chiedete proprio a me?” chiese il ragazzo allargando le braccia.
“Perché tu sei in cerca di qualcosa, ragazzo mio.
E qui la puoi trovare…” rispose serio il vecchio.
Lo sguardo del giovane si fece dubbioso.
“Come posso trovare, qui, ciò che mi manca? Non è possibile!”
“Invece ti sbagli!
Qui, tutto è possibile.” lo corresse “Allora, vuoi entrare sì o no?”
Il ragazzo annuì.

“Ah-ha! Lo sapevo!” esultò il vecchietto facendo un saltello.

Detto questo, conficcò il suo bastone di legno nella serratura del cancello.
“Com’era? Due giri a destra, uno a sinistra e altri tre a destra…” mormorò, mentre era intento a girare la chiave nella toppa.
Con un cigolio spettrale, il cancello si aprì.
“Ah-ha! Ci siamo!” esclamò il custode.
Davanti a loro c’era un bellissimo giardino.
Era talmente grande che non si poteva vedere la fine.
Anzi, sembrava che non ce l’avesse affatto, una fine.
C’erano solo tanti fiori di ogni genere, tutti colorati e profumati.
Poi, alberi di tutte le dimensioni, dalle imponenti querce ai più piccoli bonsai.

E ancora, panchine e fontane in pietra finemente lavorata.

Si poteva addirittura udire l’allegro cinguettio degli uccellini.
Un paradiso.
A quella vista, il giovane rimase senza parole.
Era tutto così bello che pareva un sogno.
“Benvenuto ragazzo mio.
Benvenuto nel Giardino delle Meraviglie!” disse il vecchio.
“Cosa?
Ma non è possibile!
Il Giardino delle Meraviglie non esiste!” esclamò incredulo il ragazzo.
“Eppure ce l’hai davanti agli occhi…” esclamò il vecchio.

Quante volte la mamma gli aveva raccontato di questo fantastico giardino?

Tante, così tante volte che era diventata la sua favola preferita quando andava a dormire.
Il Giardino delle Meraviglie era un luogo fantastico, pochi erano i fortunati che potevano entrarvi, poiché si mostrava solo a chi poteva amare con tutto il cuore.
“E, purtroppo, in questo mondo, non sono più in tanti a farlo.
La maggior parte delle persone ha dimenticato sentimenti puri e nobili come l’amore e l’amicizia…” disse triste il custode “Ma non tu, ragazzo mio, non tu.
Hai il cuore limpido e cristallino.
Un cuore puro.
Avanti, non avere paura, entra!” continuò il vecchio, dandogli una pacca sulla schiena.

Imbambolato, il ragazzo traballò e, per un soffio, non cadde con la faccia sull’erba.

“Qui ci sono fiori per tutti e sono più che sicuro che troverai quello che cerchi…” continuò il custode allargando le braccia.
Poi, facendosi serio in viso, gli si avvicinò.
“Ma ricorda!
Potrai prenderne solo uno!” sottolineò puntandogli contro il nodoso indice “Quindi scegli bene, perché sarà tuo per la vita.”
Detto questo, si alzò una folata di vento così forte, che il ragazzo chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, del vecchio custode non c’era più traccia.
“Va bene, solo uno.
Sceglierò bene!” ripeté tra sé e sé.
Seguendo il viottolo in ciottolato, iniziò a guardarsi intorno.
Che fiore avrebbe scelto?
Una simpatica margherita bianca?

O un elegante giglio?

Oppure un allegro girasole?
C’era davvero l’imbarazzo della scelta.
Ma più li osservava, più si rendeva conto che non c’era nessun fiore che lo attirasse sul serio.
Non c’era nessun fiore che desiderasse davvero.
Non c’era nessun fiore che fosse speciale, almeno per lui.
Stanco e sconsolato, si sedette su una panchina.
Le mani gli sorreggevano la testa e gli occhi iniziarono a velarsi di lacrime.
“Il vecchio custode mi ha detto una bugia.
Non esiste un fiore solo per me!” si lamentò.
Facendosi forza, si rialzò e stava per imboccare il cancello quando la vide.

Era lì, in un angolo, vicino ad un muretto caduto in rovina.

Le ragnatele la stavano avvolgendo, eppure era bellissima, così candida e pura come la neve.
Era perfetta.
Una rosa bianca.
“Ecco, è lei ciò che cerco!” disse a bocca aperta.
Era lei il fiore che voleva, non aveva dubbi, e ora che l’aveva trovata, non l’avrebbe lasciata mai più.
“Ottima scelta!” esclamò il custode comparendogli nuovamente alle spalle “Guardandoti negli occhi, posso dire con certezza che nei sei proprio sicuro.
Prendila!
Su, forza, prendila.
E’ tua!” gli suggerì consegnandogli un paio di forbici d’argento.
“Ma se la taglio, morirà…” mormorò il giovane.
“Oh, no… quello succede con i fiori normali.
E credo che tu sappia che questi non sono fiori normali!

Non temere, quindi, non morirà.

Ella si nutrirà del tuo amore.
Finché tu avrai amore nel cuore, non potrà morire!” lo rincuorò il vecchio. “Ora su, coraggio, prendila!”.
Il ragazzo annuì e, prese le forbici, tagliò la rosa.
Un bagliore accecante l’avvolse e fu costretto a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, la rosa bianca non c’era più.
Al suo posto, c’era una bellissima ragazza dalla pelle chiara e dai vestiti candidi.
Stupito, il ragazzo non fece in tempo a riprendersi che la sua rosa lo aveva già avvolto in un caldo abbraccio.
Si guardarono negli occhi e sorrisero felici, perché capivano perfettamente i pensieri dell’altro.

E le loro labbra si unirono in un dolcissimo bacio.

“Mi raccomando ragazzo mio, prenditene cura…” disse commosso il custode.
“Sì, lo farò.
Per me, esiste solo lei!” rispose deciso il ragazzo, senza distogliere lo sguardo dalla sua amata.
Mano nella mano, i due varcarono il cancello e non si resero conto che il Giardino delle Meraviglie era scomparso.
Al suo posto, era ritornato il vecchio parco cittadino.

Brano senza Autore, tratto dal Web