Il mandorlo e la grande quercia

Il mandorlo e la grande quercia

C’erano una volta, in un terreno coltivato, due piccole piante che erano molto amiche e che avevano in comune lo stesso sogno:
diventare sante.

Tuttavia, della santità avevano due concezioni molto diverse, quasi opposte.

La prima, che era la piantina di un mandorlo, sapendo che i santi stanno in paradiso, era convinta che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, staccandosi da terra.
La seconda, che era la piantina di una quercia, avendo letto la vita dei santi, era convinta, invece, che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, ma stando con i piedi per terra e dando il massimo di sé in questo mondo.
Col passare del tempo la piantina del mandorlo, pur potendo, non riusciva a portare frutti perché era poco attenta al terreno che avvolgeva le sue radici e, per via della sua convinzione, cercava di spingerle sempre più verso l’alto a tal punto che

un giorno seccò e fu tagliata dal padrone del terreno.

L’altra piantina, invece, spingendo le sue radici sempre più in profondità, crebbe e divenne una grande e maestosa quercia e, pur non potendo produrre frutti commestibili per il suo padrone, era molto apprezzata per la sua frescura ed era diventata ormai casa e riparo per molti animali di quella zona.

Brano tratto dal libro “Novena dell’Immacolata.” di Angelo Valente. Edizione ElleDiCi.

Il calore della legna

Il calore della legna

C’era una volta un medico che ebbe in eredità una fattoria ed un pezzo di terreno in cui vi era un fitto bosco.
Il medico era molto contento per la fattoria, ma un po’ meno per il fitto bosco perché non poteva coltivarlo.
Tuttavia, dopo essere andato in pensione e dopo aver sistemato tutte le sue cose in città,

andò ad abitare nella fattoria.

Durante l’estate andò tutto bene, quel luogo si presentava incantevole, un angolo di paradiso.
I problemi, però, giunsero durante l’inverno.
Quel luogo divenne impervio e pericoloso per i lupi, ma soprattutto per il grande freddo.

Un giorno, facendo un giro per le fattorie della zona,

si rese conto che la gente si era ammalata per il gran freddo.
Essendo un medico, cercò di curare tutti con delle medicine ma, a distanza di una settimana, le cose sembravano peggiorare.
Sicché, non sapendo più cosa fare, decise di tagliare un po’ di legna dal suo fitto bosco e di distribuirla per le fattorie perché potessero almeno riscaldarsi.
Il giorno successivo, nel suo consueto giro, il medico notò dei miglioramenti e capì che quella gente, più delle medicine, aveva bisogno di calore.

Fu così che tornò nel bosco a tagliare altra legna per tutti.

Grazie a quel bosco che sembrava così inutile, ma che d’inverno era l’unico rimedio per sopravvivere, tutta la gente del luogo guarì.
Da quel giorno ognuno si preoccupò che il vicino di casa avesse sempre un po’ di legna per riscaldarsi.

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il Re scricciolo

Il Re scricciolo

Un giorno, tanto tempo fa, un orso grande e grosso sentì dire che lo scricciolo era il Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così piccolo, ma così piccolo che l’orso non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone nella reggia del sovrano.
“Puah!” brontolò ad alta voce, “Questa sarebbe una reggia?
Lo scricciolo è solo il Re degli straccioni!”
Ma nel nido c’erano i piccolini dello scricciolo, così minuscoli da essere quasi invisibili.
Sentendo le parole dell’orso saltarono su offesi e senza paura si misero a gridare:
“Chiedi subito scusa, maleducato!”

L’orso se ne andò sghignazzando.

Poco dopo tornarono Re e Regina scriccioli.
I piccoli raccontarono subito che cosa era accaduto.
“Non sia mai detto che i miei piccoli vengano offesi!” disse il Re, “Dichiarerò subito guerra all’orso!”
E così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo piccolo di Re scricciolo andò a dichiarare la guerra, l’orso gigantesco rise ancora più forte e la sua risata soffiò via l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si radunava.
C’erano tutti gli animaletti con le ali: uccellini, farfalle, mosche, api…

Anche l’orso radunò il suo esercito.

C’erano tutti gli animali più grossi a quattro zampe: lupi, cavalli, elefanti…
Il comando supremo era affidato alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la volpe spiegò il suo piano ai soldati:
“Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale.
Finché starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la coda, vorrà dire che le cose vanno male e dobbiamo scappare, ma questa è un’eventualità da non prendere neppure in considerazione…”
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quello che aveva udito.
“Bene.” disse il Re, “Quando la volpe verrà avanti, la zanzara vada a pungerla sotto la coda!”

I due eserciti si fronteggiarono.

La volpe aveva la coda ben dritta e, dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò sotto la coda della volpe e cominciò a pungerla e a pungerla finché essa fu costretta ad abbassare la coda per il dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbassata, i soldati dell’orso pensarono:
“Abbiamo perso!” e fuggirono a gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i suoi coraggiosi piccolini.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

I fagioli corona

I fagioli corona

Nei primi anni del 1900, un levadese andò a Venezia con tre precisi scopi:
vedere per la prima volta il mare, visitare la basilica di San Marco e mangiare ed essere servito finalmente da gran signore, non badando a spese.
Giunta l’ora del pranzo, chiese informazioni e gli venne consigliato il ristorante migliore nonché il più costoso.
Quando il cameriere andò per la comanda, il levadese, in livrea, esclamò:

“Portatemi il piatto della casa!”

“Le porterò senza dubbio i corona che vanno a ruba!” rispose il cameriere facendo un inchino.
Si immaginò una portata degna di un re per aver evocato il nome “corona” ma grande fu la delusione quando gli furono serviti dei grossi fagioli bianchi lessi con una salsa verde al prezzemolo.
Li mangiò, con grande delusione e per fame, trovandoli meno pregiati dei suoi quotidiani borlotti di Levada.
Grande fu l’invidia per un vicino di tavola che stavo gustando una grande bistecca mostrando segni evidenti di soddisfazione.

Questi rivolgendosi al cameriere disse “bis”,

e poco dopo gli venne servita un’altra bistecca.
Vedendo questa scena, il buon paesano disse anche lui la magica parola “bis” per avere la agognata bistecca ma gli furono riportati gli odiati fagioli.
La parte che meno gradiva del piatto che gli avevano appena servito era la salsa al prezzemolo, siccome questa salsa gli faceva tornare in mente quando lui stesso dava abbondante prezzemolo ai suoi conigli, soprattutto quando questi erano ammalati.

Iniziò a porsi alcune domande:

“Che sembrasse anche lui ammalato?
Cosa non andava in lui?
Cosa racconterò al mio ritorno?”
Ma il povero contadino non riuscì a rispondere a nessuna delle tre.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Guizzino, il piccolo pesce che sfidò gli squali

Guizzino, il piccolo pesce che sfidò gli squali

Guizzino era un piccolissimo pesce nero in un grande mare; squa_me luminose lo ricoprivano.
Era molto agile e furbo, riusciva sempre a non cadere nella bocca di certi enormi pesci che passavano a volte nel suo spazio.
Vivevano insieme a Guizzino tantissimi altri pesciolini, che avevano il terrore dei grandi squali che passavano di lì.

Guizzino temeva per loro e siccome gli voleva bene,

pensò a lungo come poter aiutare i suoi amici.
Finalmente ebbe un’idea geniale:
“Amici!” disse tutto felice, “Ho trovato come vincere gli squali!”
“Come?
Lo sai come sono grandi?” risposero i pesciolini tremando solo al pensiero con quei bestioni!
“Ascoltatemi bene,” rispose Guizzino, “quando gli squali si presenteranno nel nostro mare noi ci riuniremo tutti vicinissimi, e così sembreremo un solo enorme pesce.

Io starò davanti a voi come l’occhio del corpo,

e così luminoso come sono, sembrerò un occhio minaccioso.
Venne il giorno degli squali, che si avvicinavano numerosi e affamati.
I nostri amici erano pieni di paura, ma si rinserrarono davanti a Guizzino, stretti l’uno all’altro, così tanto che diventavano una massa molto più grande di uno squalo.
I grandi pesci sembrarono un po’ disorientati, ma se ne guardarono bene dal disturbare quell’essere sconosciuto con quell’occhio minaccioso e lucente…

E decisero di andare altrove a procurarsi il cibo.

Felici, i piccolini si fecero attorno al loro amico Guizzino:
avevano capito che in tanti si può vincere facilmente.

Brano tratto dal libro “Guizzino.” di Leo Lionni. Edizione Babalibri.
Foto tratta dalle illustrazioni del libro stesso.

Le caramelle in una mano

Le caramelle in una mano

Un bambino aveva fatto la spesa per la mamma.
Era stato preciso ed attento.
Il droghiere, per premiarlo, prese da uno scaffale una grossa scatola di caramelle, la aprì e la presentò al bambino:

“Prendi, piccolo!”

Il bambino prese una caramella, ma il droghiere lo incoraggiò:
“Prendi tutte quelle che stanno in mano!”
Il bambino lo guardò con i suoi grandi occhi e gli disse:

“Oh… allora, prendile tu per me!”

“Perché?” domandò il droghiere.
“Perché tu hai la mano più grande!” rispose il bambino.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il bambino al concerto di Paderewski

Il bambino al concerto di Paderewski

Volendo incoraggiare il proprio bambino a fare progressi nel suonare il pianoforte, una madre portò il proprio piccolo ad un concerto di Paderewski.
Dopo essersi seduta, la madre vide un’amica nella platea ed andò a salutarla.
Il piccolo, stanco di aspettare, si alzò, attraversò la sala ed arrivò davanti ad una porta su cui c’era scritto:

“Vietato entrare.”

Quando le luci si attenuarono e il concerto stava per iniziare, la madre ritornò al suo posto e vide che suo figlio non era più là.
All’improvviso il sipario si aprì e le luci furono puntate sul grande pianoforte al centro del palcoscenico.
Sgomenta, la madre vide suo figlio seduto tranquillamente davanti al pianoforte mentre suonava il motivetto:

“Mambrù andò alla guerra.”

A quel punto, il grande maestro fece la sua entrata, si recò velocemente al piano e sussurrò all’orecchio del bambino:
“Non smettere, continua pure a suonare.”
Quindi Paderewski stese la mano sinistra e cominciò a suonare la parte del basso.

Poi pose la mano destra vicina a quella del bambino e

vi aggiunse un bell’accompagnamento musicale.
Entrambi, il vecchio maestro e il piccolo apprendista, trasformarono così una situazione imbarazzante in un evento fortemente creativo.
Il pubblico ascoltò emozionato.

Brano senza Autore.

L’abbraccio del Signore

L’abbraccio del Signore

Nella bella cattedrale di Wùrzburg, in Germania, si trova una veneranda Croce del XIV secolo.
Il Signore ha le mani staccate dalla traversa e le tiene incrociate una sull’altra sul petto, avendo i chiodi ancora tra le dita.

Una leggenda racconta che un ladro incredulo,

vista la corona d’oro sulla testa del Re crocifisso, stese la mano per prenderla.
In quel preciso istante il Signore staccò le mani e i chiodi dalla croce, s’inchinò in avanti, abbracciò il ladro e lo accostò al suo cuore.
“Quali furono i pensieri che attraversarono la mente di quell’uomo?
Vergogna… pentimento… riconoscenza… desiderio di non staccarsi più da quell’abbraccio?”

Lo trovarono svenuto.

Da quel tempo Cristo non ha mai più riallargato le sue braccia, ma ha continuato a tenerle cosi, come sono ora, come se volesse sempre stringere al cuore l’uomo peccatore, guardandolo profondamente negli occhi, per donargli occhi capaci di vedere la sua gloria e il suo grande amore.

Brano tratto dal libro “Gesù insegnò in parabole 2° – Omelie per fanciulli ciclo C.” Editrice Domenicana Italiana.

Scherzo per Carnevale

Scherzo per Carnevale

“A carnevale ogni scherzo vale.” recita il detto.
Io ho capito il significato di questa frase da bambino, quando a casa nostra venne una coppia di sposi in maschera.
Erano un uomo e una donna, ma si erano mascherati invertendo i propri ruoli.

A questo si aggiungeva una singolarità.

Direte voi, che cosa?
Tenevano in braccio una specie di bambola che cullavano e per noi bambini, ovviamente, era la principale curiosità.
Fatti accomodare in casa, mia madre gli chiese se desiderassero qualcosa.
Risposero di no con un cenno e diedero il bambolotto in braccio a mio padre, che era seduto, facendogli segno di cullarlo e di dargli il ciuccio.
Solamente per aver visto questi due signori truccati in questo modo, questa scena iniziale fece divertire noi bambini, ma il momento più bello si ebbe quando la donna mascherata si alzò e fece il gesto di sistemare il vestitino al pupazzo, facendo fare, nello stesso tempo, un salto dalla sedia a mio padre,

che si trovò con i pantaloni bagnati.

Il pupazzo non era altro che un grande fiasco capovolto, addobbato e truccato per sembrare un infante e spostando la maschera (cioè togliendo il tappo), fece fuoriuscire l’acqua di cui era pieno il fiasco, simulando, così, un bisogno fisiologico di mio padre.
Passato il primo attimo di imbarazzo per i pantaloni bagnati e vedendo noi bambini divertiti, mio padre sorrise e ci diede una grande lezione carnevalesca, servendo lui stesso da bere alla coppia.

Lo sentii dire sottovoce:

“Compare, anche quest’anno me la hai fatta!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La coppia di anziani

La coppia di anziani

In una dacia sperduta nella tundra siberiana, viveva una coppia di anziani coniugi.
Si volevano molto bene ed erano così vecchi che non ricordavano più neanche quando si erano conosciuti.
Così, a chi glielo domandava, dicevano di conoscersi da sempre.
Con gli anni il loro affetto era diventato ancora più grande, ma più grandi si erano fatti anche i loro acciacchi.

L’età cominciava davvero a pesar loro.

Insieme, presto, avrebbero contato due secoli di vita!
E se il giorno era il tempo dedicato ai ricordi, la notte era il tempo dedicato al domani.
Ma che cosa riservava loro il domani?
La sera, a letto, prima di spegnere il lume, si scambiavano il loro bacio della buonanotte; poi, con un gesto simultaneo, mandavano un breve saluto con la mano alla Madonna d’oro che li guardava da un’icona appesa alla parete.

Ognuno si girava poi su un fianco e, in silenzio, iniziava la propria preghiera.

“Oh Madre Divina, fa’ che io abbandoni questa terra prima della mia cara Màrija.
Sarebbe troppo grande dolore sopravvivere a lei!” pregava il marito.
“Oh Madre Divina, fa’ che il mio caro Petrùska abbandoni questa terra prima di me.
Troppo grande sarebbe il suo dolore, se io dovessi andarmene prima di lui!” pregava la moglie.

Se qualcuno avesse udito quella loro intima preghiera,

forse, avrebbe avuto difficoltà a riconoscere in entrambi la stessa intensità d’amore e la loro profonda umiltà.
Una notte, qualcuno venne a bussare alla loro porta ed entrò.
Era l’Angelo della morte che, pietoso, li colse insieme nel sonno.

Brano di Silvia Guglielminetti incluso nel libro “Il secondo libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.