La pallina d’oro

La pallina d’oro

Molto tempo fa c’era un giovane che se ne andava in giro tra i boschi pensando a cosa dovesse fare della sua vita, quale fosse la strada giusta da imboccare e come poteva fare per guadagnarsi un pezzo di pane.
Mentre camminava sentì una voce che lo chiamava e, dopo aver guardato in giro, scoprì un fringuello su un ramo che gli parlava con voce umana:
“Bel giovane, fermati e ascolta.
Adesso canterò la mia canzone; mentre la canto dovrai prendermi e scuotermi senza farmi male.

Vedrai che dal becco mi uscirà una pallina d’oro:

raccoglila e mettila in tasca, così diventerai capace di saper sempre ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e, in ogni momento saprai che cosa è meglio per te.
Quanto a me mi addormenterò nel cavo dell’albero e tu potrai andartene per la tua strada!”
Così andarono le cose e il giovane riprese il cammino con la pallina d’oro in tasca, finché arrivò in una città con ricche botteghe e bei palazzi, dove la gente vendeva e comprava, mangiava e dormiva, leggeva e scriveva, discuteva e correva come in tutte le città del mondo.
Solo che qui tutti, grandi e piccoli, vecchi e giovani, piangevano a dirotto senza mai smettere.
Il giovane sentì che la pallina, misteriosamente, gli impediva di tirare dritto ed una vocina gli suggeriva.
“Tu devi fare qualcosa per questa gente!”
Sentendosi pieno di coraggio, andò subito dal re che singhiozzava sul suo trono e gli disse di non preoccuparsi perché era arrivato ad aiutarli.
“Ad aiutarci?” rispose il re piangendo ancora più forte, “Non sai che la nostra città è minacciata da un terribile drago che mangerà tutti noi se non gli consegniamo ad una ad una le nostre ragazze più belle?

Ne ha già prese nove e l’ultima è mia figlia!”

Il giovane sentiva che la pallina gli infondeva sempre più coraggio e con sua stessa sorpresa rispose:
“Vi do la mia parola che domani vi porterò la testa e la coda del drago, così le vostre disgrazie finiranno!”
Il re pensò che fosse pazzo:
i suoi più bravi cavalieri avevano fallito nell’impresa, come poteva un ragazzo così giovane e senza spada e armatura far meglio di loro?
Il giovane indovinò i suoi pensieri, sorrise chiese una spada e dei viveri.
Gli portarono due spade:
una di purissimo acciaio intarsiato d’oro e d’argento che mandava bagliori in tutta la sala e l’altra semplice, ordinaria e pensante che sapeva di sudore e fatica.
Il giovane stava allungando la mano per prendere la prima quando la pallina d’oro fece sentire la sua voce consigliando di prendere l’altra:
“Non tutto ciò che luccica è utile, le cose serie, il più delle volte, non hanno un aspetto attraente!”
Il giovane prese la vecchia spada e partì verso la collina.
Lassù il drago si era costruito un castello di ferro con sette porte e sette torri, circondato da un fossato pieno d’acqua sporca ed enormi coccodrilli.
Il giovane percorse il ponte ed arrivò alla prima porta, bussò e il drago aprì.
Quando lo vide e sentì le richieste del giovane che lo invitava a lasciar stare gli abitanti del paese e a restituire le ragazze, scoppio a ridere e la porta si chiuse con un terribile tonfo e il ponte dietro il giovane crollò.

Al ragazzo non restava che andare avanti.

Si avviò verso le porte e vide che ognuna portava una scritta, “Porta dei Re”, “Riservata ai Principi”, “Di qui passano i cavalieri” e così via finché sulla settima trovò scritto:
“Entrata.”
Pensò, su suggerimento della pallina, di non essere un nobile e quindi aprì la settima porta.
Si udì il grido infuriato del drago che non capiva come il giovane avesse trovato la porta giusta, infatti, dietro alle altre c’erano numerose trappole e trabocchetti e centinaia di cavalieri che vi erano caduti dentro.
Il giovane, attraversato un lungo corridoio, arrivò in un’ampia sala dove giovani e ragazzi elegantemente vestiti, ridevano, ballavano e mangiavano cibi dal profumo invitante.
Lo presero invitandolo a stare con loro e a divertirsi lasciando perdere l’idea di aiutare gli abitanti piagnoni, tanto nessuno lo avrebbe ricompensato.
Il giovane esitò, ma la pallina d’oro bruciava come fuoco.
Emise un gran sospiro e disse:
“Ho dato la mia parola!” e passò oltre.
La parete si aprì, tutti svanirono poiché erano illusioni create dal drago e il giovane si trovò davanti allo stesso drago.
Era arrivato il momento del combattimento ma il drago prima offrì al giovane un’armatura preziosa.
“Fossi matto, questa renderebbe i miei movimenti goffi e impacciati” e, così dicendo, rifiutò.
La pallina d’oro approvò la decisione, il drago era terrorizzato e con due colpi di spada il giovane gli tagliò la testa e la coda.
Dal castello uscirono una dopo l’altra le otto ragazze che teneva prigioniere, ma mancava l’ultima:

la figlia del re.

Gli raccontarono che era stata trasformata in un fringuello ed era riuscita a fuggire nel bosco.
Il giovane si ricordò dell’uccello che gli parlò con voce umana e corse nel bosco.
Addormentata sotto all’albero c’era la principessa, il giovane la svegliò e la riportò a casa insieme alle altre ragazze.
La tristezza nel paese finì e, come succede nelle fiabe, il giovane povero sposò la figlia del re.

Brano tratto dal libro “Nuove storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il cucchiaio

Il cucchiaio

Un noto scrittore, autore di best seller di fama internazionale, andò a mangiare in un caratteristico ristorante nel ridente asolano, dove venivano servite le specialità povere tipiche del Veneto, improvvisamente tornate di moda.
Alle pareti del ristorante erano appese le fotografie dei personaggi famosi che avevano visitato il locale, tra cui un premio Nobel e, conseguentemente, anche la sua foto sarebbe dovuta finire insieme alle altre.
Lo scrittore era molto proficuo nello scrivere, ma avaro di parole e, quando fu il momento della comanda, quando gli chiesero cosa desiderasse, rispose semplicemente:

“La specialità della casa.”

Il titolare, desiderando fare bella figura con l’illustre intellettuale, riservò per lui un cameriere, quello con la maggiore esperienza, nonché sommelier.
Gli venne servita un’invitante “Soppa Coada”, detta anche “zuppa Covata”, che altro non è che un piatto povero, fatto di avanzi di pane raffermo, verdure, brodo caldo e piccione.
Lo scrittore guardò benevolo il caratteristico piatto, ma dopo un attimo di riflessione scuotendo la testa disse:

“Questo non la posso mangiare.”

Il cameriere sottrasse subito il piatto pensando fosse vegetariano e di gran corsa lo sostituì con un fumante minestrone di fagioli.
Accolse il piatto con un largo sorriso accennando un applauso, ma ripeté:
“Anche questo non lo posso mangiare.”

Il cameriere, affranto e tutto rosso in viso, chiese:

“Perché?”
La risposta dell’intellettuale fu:
“Perché non mi avete portato il cucchiaio.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La porta verde

La porta verde

La prima volta successe quando aveva sei anni.
Mentre saltellava nel viale, al centro di un lungo muro bianco, vide una porticina verde.
La porta aveva un’aria invitante.
Sembrava dicesse:
“Aprimi, entra.”
Spalancò la porta ed entrò.
Si trovò di colpo nel giardino più incantevole che avesse mai immaginato.
Tutto era immerso in un profumo esaltante, che dava una sensazione di leggerezza, di felicità e di benessere.
E nei colori c’era qualcosa di magico che li rendeva incredibilmente vividi, perfetti, luminosi.

Sentiva di respirare felicità:

non si era mai sentito così bene.
Quando, la sera uscì, si voltò indietro, ma nel muro, malinconico e screpolato, non c’era più nessuna porta.
A casa raccontò quello che gli era successo, ma nessuno gli credette.
Ogni sera, dopo le preghiere ufficiali, però aggiungeva sempre un’accorata preghiera personale.
Ma per quanto vagabondasse non riusciva più a trovare la porta verde.
Dieci anni dopo, era diventato uno studente modello, diligente e impegnato.
Una mattina, mentre si affrettava verso la scuola, si trovò davanti all’improvviso la sua porta.
L’aveva tanto cercata…
Ma non pensò neppure un istante ad entrare.
Era preoccupato solo di non arrivare a scuola in ritardo.
Tornò il giorno dopo ma non trovò più neanche il muro bianco.
Non rivide più la porta verde fino a ventidue anni.
Proprio il giorno in cui doveva sostenere l’esame più importante dell’Università.

Era combattuto tra due opposte volontà:

entrare nel giardino o affrettarsi per dare il suo esame.
Tentennò un attimo, poi scrollò le spalle e ripartì verso l’università.
Si laureò e cominciò una brillante carriera di avvocato.
La sua porta, ora, era la carriera.
Rivide altre volte la porta verde e il muro bianco.
La prima volta stava correndo all’appuntamento con la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.
La seconda volta, dopo altri anni ancora, la porta gli si presentò livida sotto la luce dei fari dell’automobile.
Sentì come un dolore acuto al petto.
Ma proprio quella sera aveva un incontro importantissimo con un noto personaggio politico.
La terza volta (era ormai diventato un famoso deputato), vide la porta con la coda dell’occhio.
Stava passeggiando con il ministro di un paese estero.

La sfiorò quasi…

Era a meno di mezzo metro di distanza, ma non poteva certo sparire in quel momento.
L’avrebbero preso per matto.
E poi figurarsi i giornali!
Passarono altri anni.
La nostalgia del giardino incantato si faceva sempre più forte.
Rimpiangeva le volte che non aveva avuto il coraggio di fermarsi ed entrare nella porta verde.
“La prossima volta entrerò di sicuro…
La prossima volta, qualunque cosa accada, mi fermerò…” continuava a ripetere.
Girava e rigirava per la città.
Ogni volta che intravedeva un muro bianco, il suo cuore raddoppiava i battiti.
Ormai viveva soltanto quella porta verde.
Ma non la ritrovò più.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.