Tonto Zuccone, la luna ed i complimenti

Tonto Zuccone, la luna ed i complimenti
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La luna

Un complimento

Il gentil sesso

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“La luna”

Era una sera con una bellissima e luminosa luna piena.
La mamma di Tonto Zuccone lo mandò a prendere un secchio d’acqua al pozzo di casa, dicendogli:
“Tonto, siccome sei tanto bravo e ti piacciono le storie, ti racconto, prima di andare, la storiella dell’asino di Bronte, della provincia di Catania, il quale, in una sera come questa, si bevve tutto di un fiato la luna del pozzo, riflessa nel secchio pieno d’acqua, tanto da gonfiarsi la pancia!”
A Tonto piacque tanto la storia e andò al pozzo più contento del solito e con sorpresa constatò che anche lui, riempiendo il secchio, aveva catturato la famosa luna del pozzo, pur non essendo di Bronte.

Velocemente, felice come mai,

con il suo secchio colmo d’acqua corse a casa per mostrare a sua mamma la luna piena appena catturata dal loro magico pozzo, ma questa gli fece osservare che non vedeva nessuna luna dentro.
Tonto, fattosi serio, si scusò:
“Forse, mamma, è fuoriuscita insieme ad un po’ di acqua caduta per strada mentre stavo rientrando di fretta a casa, solo perché volevo fartela vedere!”

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“Un complimento”

Tonto aveva in sospeso un piccolo conto nel bar che di solito frequentava.
Era momentaneamente senza soldi.
Il locale era molto frequentato e animato soprattutto il giorno del mercato e, su tutti i clienti, spiccava una eccentrica signora, che tentava approcci non tanto chiari con gli avventori.
Il barista disse a Tonto:
“Ti cancello il debito delle consumazioni se dai pubblicamente a quella signora il titolo che si merita, poiché infastidisce i miei clienti e sei l’unico che può farlo, sia per la tua innocenza sia perché non sei mai stato compromesso!”

Tonto accettò la sfida e, vedendo entrare la signora, esclamò:

“Buona donna di una signora, che bel capellino che porti, così ben intonato con il resto!”
La signora, tutta contenta, esultò per l’inaspettato complimento sul suo ricercato abbigliamento, alla quale teneva tanto, e fu talmente contenta da esultare per la gioia.
Elargì un radioso sorriso a tutti, non badando minimamente al titolo che lo aveva preceduto.
Insistette, inoltre, affinché Tonto accettasse da bere per sdebitarsi del complimento.

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“Il gentil sesso”

Tonto Zuccone era molto invidioso di un suo amico, che di nome faceva Felice e di cognome Fortunato, poiché, contrariamente a quanto succedeva a lui, era sempre attorniato da belle ragazze, una più desiderabile dell’altra.
Tonto gli chiese di svelargli, da amico, quale fosse il suo segreto con il gentil sesso per avere così tanto successo.

L’amico non si fece pregare e gli confidò:

“Dico solo il mio nome, che sono Felice Fortunato di conoscerle e alle più timide faccio l’occhiolino!”
Tonto alla prima occasione che ebbe di incontrare una ragazza, fece tesoro dello stratagemma dell’amico e disse:
“Sono Tonto Zuccone di incontrarti!” e tentò di fare l’occhiolino e invece gli venne una buffa smorfia.
Si aspettava di incontrare lo stesso successo del fortunato amico e invece per poco non ricevette un sonoro schiaffo.
Ancora oggi Tonto sta rimuginando il suo insuccesso con l’altra metà del cielo, non capendo il perché del fallimento, nonostante avesse scandito il suo nome senza balbettare…

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Lo specchio nel Bazar

Lo specchio nel Bazar

In un pittoresco, stravagante, chiassoso “bazar” di una città orientale, una ricca turista americana scovò una strana specchiera, incastonata in una preziosa cornice d’argento.
Il prezzo di vendita richiesto era però troppo alto, esageratamente alto.
Ma nel corso della lunghissima trattativa, lo scaltro padrone del “bazar”, con fare segreto e misterioso, confidò alla cliente che quello specchio possedeva un potere magico, che produceva un incantesimo unico al mondo.
Bastava specchiarsi, e sfiorare leggermente con l’indice della mano destra la superficie del vetro.
Immediatamente, insieme con la persona riflessa, sullo specchio appariva una scritta, comprensibile in ogni lingua, che rivelava la verità più profonda della persona rispecchiata.
Era un’occasione unica e stupefacente di successo!

Da non perdere assolutamente!

Possedere uno specchio “Che dice la verità su tutto e su tutti” era un affarone eccezionale!
L’americana non resistette alla tentazione e fece subito una prova:
si vide riflessa alla perfezione nello specchio e, sfiorandolo con l’indice, vide apparire a piè di specchio, in un ottimo inglese americano, la scritta luminosa:
“Ricca signora texana carica di soldi!”
Saldò immediatamente il conto senza discutere e si affrettò a ritirare lo specchio che, adeguatamente avvolto, protetto, imballato ed assicurato, venne spedito in Texas per via aerea.
Naturalmente, mediante quell’acquisto magico, la ricca ereditiera era certa di riuscire a conquistare il centro dell’attenzione della gente che conta nella sua città.
Quello specchio diventò invece, per lei, fonte inesauribile di guai.
Lo fece sperimentare ad alcune delle sue migliori amiche.

Sulle prime lo presero come un gioco divertente.

Si specchiarono, in mezzo a risatine “fatue” e poco convinte, ma le parole dello specchio arrivarono inesorabili:
“Ha rubato al supermercato la biancheria che indossa!” sentenziò alla prima,
“Ha undici anni in più di quello che dichiara!” alla seconda, “È piena d’invidia e diffonde calunnie su voi tutte!” alla terza.
Le amiche, imbarazzate, si accomiatarono in fretta.
Più tardi si specchiò, quasi distrattamente, anche il marito della miliardaria, ed il verdetto fu: “Tradisce la moglie!”
Volarono parole terribili e furono convocati gli avvocati.
Naturalmente, la cosa si riseppe in tutta la città.
In breve tempo più nessuno frequentò la ricca casa della miliardaria.

Quel “souvenir” portentoso le fece il vuoto intorno.

Delusa e pentita, l’ingenua e ricca texana un giorno, infuriata, spaccò lo specchio magico a martellate.
E mentre lo specchio andava in frantumi, apparve a grandi lettere, quasi come un “sacrosanto” testamento, la sua ultima scritta:
“Anche tu, sciocca texana, anche tu… hai paura della verità?”
La verità ci farà liberi!
Ma si paga a caro prezzo.

Brano di Bruno Ferrero

I più grandi desideri

I più grandi desideri

C’era un uomo che vagava per il mondo inseguendo i suoi desideri più profondi!
Alla fine, un giorno, stanco della lunga ricerca, si sedette sotto un grande albero…
Non sapeva che si trattasse dell’albero che realizza i più grandi desideri!

Mentre riposava l’uomo pensò:

“Che bel posto questo!
Mi piacerebbe abitare qui!” e subito apparve una bella casa…
“Ho fame!” pensò, “Vorrei avere qualcosa da mangiare!”
Immediatamente apparve un tavolo imbandito con tutti i cibi e le bevande possibili ma,

visto che era ancora molto stanco, pensò:

“Vorrei avere un domestico a mia disposizione!” e, ovviamente, un domestico apparve…
Alla fine del pasto l’uomo si appoggiò al tronco del bellissimo albero e si mise a riflettere!
“Ogni cosa che desideravo si è avverata!
Quest’albero dev’essere magico…
Magari è abitato da un demonio!” e, immediatamente, un gran diavolo apparve…

“Ahimè!” pensò.

“Il demonio, probabilmente, mi mangerà!” ed è esattamente ciò che successe…

Ecco la cosa più complicata:
essere padroni dei propri desideri, trasformarli in progetti e forze per la vita, e non lasciarsi distruggere da essi!

Brano senza Autore

Tutti noi possiamo fare la differenza (La storia di Shay)

Tutti noi possiamo fare la differenza (La storia di Shay)

Ad una cena di beneficenza per una scuola che cura bambini con problemi di apprendimento, il padre di uno degli studenti fece un discorso che non sarebbe mai più stato dimenticato da nessuno dei presenti.
Dopo aver lodato la scuola ed il suo eccellente staff, egli pose una domanda:
“Quando non viene raggiunta da interferenze esterne, la natura fa il suo lavoro con perfezione.
Purtroppo mio figlio Shay non può imparare le cose nel modo in cui lo fanno gli altri bambini.
Non può comprendere profondamente le cose come gli altri.
Dov’è il naturale ordine delle cose quando si tratta di mio figlio?”
Il pubblico alla domanda si fece silenzioso.

Il padre continuò:

“Penso che quando viene al mondo un bambino come Shay, handicappato fisicamente e mentalmente, si presenta la grande opportunità di realizzare la natura umana e avviene nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino.”
E da quel momento in poi, cominciò a narrare una storia:
“Shay e suo padre passeggiavano nei pressi di un parco dove Shay sapeva che c’erano bambini che giocavano a baseball.
Shay chiese:
“Pensi che quei ragazzi mi faranno giocare?”
Il padre di Shay sapeva che la maggior parte di loro non avrebbe voluto in squadra un giocatore come Shay, ma sapeva anche che se gli fosse stato permesso di giocare, questo avrebbe dato a suo figlio la speranza di poter essere accettato dagli altri a discapito del suo handicap, cosa di cui Shay aveva immensamente bisogno.
Il padre si Shay si avvicinò ad uno dei ragazzi sul campo e chiese (non aspettandosi molto) se suo figlio potesse giocare.
Il ragazzo si guardò intorno in cerca di consenso e disse:
“Stiamo perdendo di sei punti e il gioco è all’ottavo inning.

Penso che possa entrare nella squadra:

lo faremo entrare nel nono!”
Shay entrò nella panchina della squadra e con un sorriso enorme, si mise la maglia del team.
Il padre guardò la scena con le lacrime agli occhi e con un senso di calore nel petto.
I ragazzi videro la gioia del padre all’idea che il figlio fosse accettato dagli altri.
Alla fine dell’ottavo inning, la squadra di Shay prese alcuni punti ma era sempre indietro di tre punti.
All’inizio del nono inning Shay indossò il guanto ed entrò in campo.
Anche se nessun tiro arrivò nella sua direzione, lui era in estasi solo all’idea di giocare in un campo da baseball e con un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio salutava suo padre sugli spalti.

Alla fine del nono inning la squadra di Shay segnò un nuovo punto:

ora, con due out e le basi cariche si poteva anche pensare di vincere e Shay era incaricato di essere il prossimo alla battuta.
A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay anche se significava perdere la partita?
Incredibilmente lo lasciarono battere.
Tutti sapevano che era una cosa impossibile per Shay che non sapeva nemmeno tenere in mano la mazza, tanto meno colpire una palla.
In ogni caso, come Shay si mise alla battuta, il lanciatore, capendo che la squadra stava rinunciando alla vittoria in cambio di quel magico momento per Shay, si avvicinò di qualche passo e tirò la palla così piano e mirando perché Shay potesse prenderla con la mazza.
Il primo tiro arrivò a destinazione e Shay dondolò goffamente mancando la palla.
Di nuovo il tiratore si avvicinò di qualche passo per tirare dolcemente la palla a Shay.
Come il tiro lo raggiunse, Shay dondolò e questa volta colpì la palla che ritornò lentamente verso il tiratore.
Ma il gioco non era ancora finito.
A quel punto il battitore andò a raccogliere la palla:
avrebbe potuto darla all’ uomo in prima base e Shay sarebbe stato eliminato e la partita sarebbe finita.
Invece…
Il tiratore lanciò la palla di molto oltre l’uomo in prima base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.

Tutti dagli spalti e tutti i componenti delle due squadre incominciarono a gridare:

“Shay corri in prima base!
Corri in prima base!”
Mai Shay in tutta la sua vita aveva corso così lontano, ma lo fece e così raggiunse la prima base.
Raggiunse la prima base con occhi spalancati dall’emozione.
A quel punto tutti urlarono:
“Corri fino alla seconda base!”
Prendendo fiato Shay corse fino alla seconda trafelato.
Nel momento in cui Shay arrivò alla seconda base la squadra avversaria aveva ormai recuperato la palla…
Il ragazzo più piccolo di età che aveva ripreso la palla quindi sapeva di poter vincere e diventare l’eroe della partita, avrebbe potuto tirare la palla all’uomo in seconda base ma fece come il tiratore prima di lui, la lanciò intenzionalmente molto oltre l’uomo in terza base e in modo che nessun altro della squadra potesse raccoglierla.
Tutti urlavano:
“Bravo Shay, vai così!
Ora corri!”
Shay raggiunse la terza base perché un ragazzo del team avversario lo raggiunse e lo aiutò girandolo nella direzione giusta.
Nel momento in cui Shay raggiunse la terza base tutti urlavano di gioia.

A quel punto tutti gridarono:

“Corri in prima, torna in base!”
E così fece:
da solo tornò in prima base, dove tutti lo sollevarono in aria e ne fecero l’eroe della partita.”
“Quel giorno,” disse il padre piangendo, “i ragazzi di entrambe le squadre hanno aiutato a portare in questo mondo un grande dono di vero amore ed umanità!
Shay non è vissuto fino all’estate successiva.
È morto l’inverno dopo ma non si è mai più dimenticato di essere l’eroe della partita e di aver reso orgoglioso e felice suo padre.
Non dimenticò mai l’abbraccio di sua madre quando tornato a casa le raccontò di aver giocato e vinto.”

Ed ora una piccola nota al fondo di questa storia:

“Tutti noi possiamo fare la differenza!”
Tutti noi abbiamo migliaia di opportunità, ogni giorno, di aiutare il “naturale corso delle cose” a realizzarsi.
Ogni interazione tra persone, anche la più inaspettata, ci offre una opportunità:
passiamo una calda scintilla di amore e umanità o rinunciamo a questa opportunità e lasciamo il mondo.
Un uomo saggio una volta disse che ogni società è giudicata in base a come tratta soprattutto i meno fortunati:
“Ora a te fare la differenza!”
Molti fra noi hanno pensato fino ad oggi che la prova di coraggio più grande, fosse restare fedeli a se stessi, essere capaci di andare controcorrente, parlare con integrità:
ma fin qui siamo stati solo fortunati, perché non ci è stato chiesto nulla di più.
Ma ora ci vuole niente a capire che i tempi sono cambiati e impegnarsi in una battaglia politica in questo momento significa essere chiamati ad assumere impegni ben diversi.
In un mondo dove conta solo il successo, in una società dove tutto si compra e tutto si vende, ritengo che ci sia bisogno di persone desiderose di impegnarsi per gli altri con coraggio e con sacrificio.
Perché il coraggio è dote del cuore e solo chi non ha cuore ha paura.
Ed io non ho paura:
lavoro con pazienza ad un grande progetto, lavoro da anni alla tutela e per il rispetto per ogni uomo dei diritti civili fondamentali!

Brano senza Autore.

La porta verde

La porta verde

La prima volta successe quando aveva sei anni.
Mentre saltellava nel viale, al centro di un lungo muro bianco, vide una porticina verde.
La porta aveva un’aria invitante.
Sembrava dicesse:
“Aprimi, entra.”
Spalancò la porta ed entrò.
Si trovò di colpo nel giardino più incantevole che avesse mai immaginato.
Tutto era immerso in un profumo esaltante, che dava una sensazione di leggerezza, di felicità e di benessere.
E nei colori c’era qualcosa di magico che li rendeva incredibilmente vividi, perfetti, luminosi.

Sentiva di respirare felicità:

non si era mai sentito così bene.
Quando, la sera uscì, si voltò indietro, ma nel muro, malinconico e screpolato, non c’era più nessuna porta.
A casa raccontò quello che gli era successo, ma nessuno gli credette.
Ogni sera, dopo le preghiere ufficiali, però aggiungeva sempre un’accorata preghiera personale.
Ma per quanto vagabondasse non riusciva più a trovare la porta verde.
Dieci anni dopo, era diventato uno studente modello, diligente e impegnato.
Una mattina, mentre si affrettava verso la scuola, si trovò davanti all’improvviso la sua porta.
L’aveva tanto cercata…
Ma non pensò neppure un istante ad entrare.
Era preoccupato solo di non arrivare a scuola in ritardo.
Tornò il giorno dopo ma non trovò più neanche il muro bianco.
Non rivide più la porta verde fino a ventidue anni.
Proprio il giorno in cui doveva sostenere l’esame più importante dell’Università.

Era combattuto tra due opposte volontà:

entrare nel giardino o affrettarsi per dare il suo esame.
Tentennò un attimo, poi scrollò le spalle e ripartì verso l’università.
Si laureò e cominciò una brillante carriera di avvocato.
La sua porta, ora, era la carriera.
Rivide altre volte la porta verde e il muro bianco.
La prima volta stava correndo all’appuntamento con la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.
La seconda volta, dopo altri anni ancora, la porta gli si presentò livida sotto la luce dei fari dell’automobile.
Sentì come un dolore acuto al petto.
Ma proprio quella sera aveva un incontro importantissimo con un noto personaggio politico.
La terza volta (era ormai diventato un famoso deputato), vide la porta con la coda dell’occhio.
Stava passeggiando con il ministro di un paese estero.

La sfiorò quasi…

Era a meno di mezzo metro di distanza, ma non poteva certo sparire in quel momento.
L’avrebbero preso per matto.
E poi figurarsi i giornali!
Passarono altri anni.
La nostalgia del giardino incantato si faceva sempre più forte.
Rimpiangeva le volte che non aveva avuto il coraggio di fermarsi ed entrare nella porta verde.
“La prossima volta entrerò di sicuro…
La prossima volta, qualunque cosa accada, mi fermerò…” continuava a ripetere.
Girava e rigirava per la città.
Ogni volta che intravedeva un muro bianco, il suo cuore raddoppiava i battiti.
Ormai viveva soltanto quella porta verde.
Ma non la ritrovò più.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Al crocicchio del villaggio

Al crocicchio del villaggio

Tanto tempo fa, c’era un uomo che da anni cercava il segreto della vita.
Un giorno, un saggio eremita gli indicò un pozzo che possedeva la risposta che l’uomo così ardentemente cercava.
L’uomo corse al pozzo e pose la domanda:
“C’è un segreto della vita?”

Dalla profondità del pozzo echeggiò la risposta:

“Vai al crocicchio del villaggio: là troverai ciò che cerchi”
Pieno di speranza, l’uomo obbedì, ma al luogo indicato trovò soltanto tre botteghe:
una bottega vendeva fili metallici, un’altra legno e la terza pezzi di metallo.
Nulla e nessuno in quei paraggi sembrava avere a che fare con la rivelazione del segreto della vita.
Deluso, l’uomo ritornò al pozzo a chiedere una spiegazione.

Ma il pozzo gli rispose:

“Capirai in futuro!”
L’uomo protestò, ma l’eco delle sue proteste fu l’unica risposta che ottenne.
Credendo di essere stato raggirato, l’uomo riprese le sue peregrinazioni.
Col passare del tempo, il ricordo di questa esperienza svanì, finché una notte, mentre stava camminando alla luce della luna, il suono di un sitar (lo strumento musicale dell’oriente) attrasse la sua attenzione.
Era una musica meravigliosa, suonata con grande maestria e ispirazione.
Affascinato, l’uomo si diresse verso il suonatore; vide le sue mani che suonavano abilmente; vide il sitar; e gridò di gioia, perché aveva capito.
Il sitar era composto di fili metallici, di pezzi di metallo e di legno come quelli che aveva visto nelle tre botteghe al crocicchio del villaggio e che aveva giudicato senza particolare significato.

La vita è un viaggio.

Si arriva passo dopo passo.
E se ogni passo è meraviglioso, se ogni passo è magico, lo sarà anche la vita.
E non sarete mai di quelli che arrivano in punto di morte senza aver vissuto.
Non lasciatevi sfuggire nulla.
Non guardate al di sopra delle spalle degli altri.
Guardateli negli occhi.
Non parlate “ai” vostri figli.
Prendete i loro visi tra le mani e parlate “con” loro.
Non abbracciate un corpo, abbracciate una persona.

E fatelo ora.

Sensazioni, impulsi, desideri, emozioni, idee, incontri, non buttate via niente.
Un giorno scoprirete quanto erano grandi e insostituibili.
Ogni giorno imparate qualcosa di nuovo su voi stessi e sugli altri.
Ogni giorno cercate di essere consapevoli delle cose bellissime che ci sono nel nostro mondo.
E non lasciate che vi convincano del contrario.

Guardate i fiori.
Guardate gli uccellini.
Sentite la brezza.
Mangiate bene e apprezzatelo.
E condividete tutto con gli altri.
Uno dei complimenti più grandi è dire a qualcuno: “Guarda quel tramonto.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Peter e il filo magico

Peter e il filo magico

C’era una volta Peter, un ragazzino molto vivace a cui tutti volevano bene: la sua famiglia, i suoi maestri e i suoi amici…
Ma Peter aveva un piccolo, grande problema.
Peter non riusciva a vivere il presente.
Non aveva imparato a godere della vita.
Quando era a scuola, sognava di essere fuori a giocare.
Quando giocava, sognava di essere già in vacanza.
Peter sognava sempre ad occhi aperti, non godendosi mai il presente che la vita gli offriva.
Un mattino, Peter stava camminando nel bosco vicino a casa.
Siccome si sentiva stanco, decise di fermarsi in una radura e di fare un pisolino.
Si addormentò come un sasso, ma dopo qualche minuto, si sentì chiamare per nome:
“Peter, Peter!” ripeteva una voce stridula.

Quando aprì gli occhi… sorpresa!

Si ritrovò dinnanzi una donna vecchia di almeno cent’anni, con i capelli candidi che le ricadevano sulle spalle come matasse di lana arruffata.
Nella mano rugosa aveva una pallina magica, con un foro nel centro da cui pendeva un lungo filo dorato.
“Peter,” disse la vecchia, “questo è il filo della vita.
Se lo tiri piano piano, in pochi secondi passerà un’ora, se tiri più forte, in pochi minuti passeranno giorni interi.
Se tiri con tutta la tua forza, in pochi giorni passeranno dei mesi o addirittura degli anni!”
Peter era eccitato dalla scoperta.
“Oh, mi piacerebbe tanto averlo!” esclamò smanioso.
Allora la vecchietta si chinò e gli diede la pallina con il filo magico.
Il giorno dopo, Peter era seduto nel suo banco a scuola, e si sentiva annoiato e irrequieto. Improvvisamente si ricordò del suo nuovo giocattolo.

Tirò il filo pian piano e si trovò subito a casa, a giocare nel suo giardino.

Rendendosi conto dei poteri del filo magico, Peter presto si stancò di andare a scuola e desiderò essere un ragazzo più grande, alla scoperta della vita.
Allora tirò il filo un po’ più forte e si ritrovò adolescente, con una ragazza di nome Elise.
Ma Peter non era ancora soddisfatto.
Egli non era in grado di cogliere la bellezza di ogni istante e di esplorare le semplici meraviglie offerte dalle diverse fasi della vita.
Sognava invece di essere già adulto, e così tirò di nuovo il filo, sicché gli anni passarono in un lampo.
Si ritrovò allora trasformato in un uomo maturo.
Elise era diventata sua moglie e Peter era circondato da tanti bambini.
Ma notò un’altra cosa:
i suoi capelli neri avevano iniziato a diventare grigi, e la sua dolce e adorata mamma era diventata vecchia e debole.

Eppure, Peter ancora non riusciva a vivere il presente.

Perciò, tirò un’altra volta il filo d’oro e attese la nuova trasformazione.
Adesso aveva novant’anni.
Ormai i suoi folti capelli scuri erano diventati bianchi come la neve e la moglie, un tempo bellissima, era morta già da qualche anno.
I suoi deliziosi bambini erano cresciuti ed erano usciti di casa per vivere la loro vita.
Così, a un tratto, Peter si rese conto di non essersi mai fermato a godere di nulla.
Non era mai andato a pescare con suo figlio, non aveva mai fatto una passeggiata al chiaro di luna con sua moglie, non aveva mai piantato un albero… e non aveva mai nemmeno trovato il tempo di leggere quei bellissimi libri che tanto piacevano a sua madre.
Era sempre andato di corsa, senza fermarsi a guardare le bellezze che adornavano il suo cammino.

Questa scoperta rattristò molto Peter.

Allora, per riordinare le idee e rasserenarsi un po’, decise di andare a fare un giro nel bosco dove era solito giocare da bambino.
Entrò nel bosco, si accorse che gli alberelli della sua infanzia erano diventati querce gigantesche; era stupendo, sembrava di trovarsi in un Paradiso Terrestre.
Allora si distese sull’erba di una radura e si addormentò profondamente.
Dopo qualche minuto, qualcuno lo chiamò: “Peter, Peter!”
Aprì gli occhi e con suo grande stupore rivide la vecchia che gli aveva regalato la pallina molti anni prima.
“Ti è piaciuto il mio regalo?” chiesa la vecchia.
“All’inizio è stato divertente, ma ora lo odio a morte.” disse Peter, “Tutta la vita mi è passata davanti agli occhi senza che potessi goderne un solo istante.
Certo, ci saranno anche stati dei momenti molto belli e altri molto tristi, ma non ho avuto la possibilità di coglierli.

Ora mi sento vuoto, mi manca il dono della vita!”

“Sei davvero un ingrato!” disse la vecchietta, “Ma ti concederò di esprimere un ultimo desiderio.”
Peter ci pensò un istante e poi rispose fulmineamente:
“Vorrei ridiventare bambino e riprovare a vivere daccapo!”
Poi si riaddormentò.
A un tratto sentì di nuovo che qualcuno lo chiamava, e si risvegliò.
“Chi sarà questa volta?” si chiese.
Quando aprì gli occhi, scoprì con gioia che era sua madre che lo stava chiamando, e che era tornata giovane, sana e forte.
Allora Peter si rese conto che la vecchietta aveva mantenuto la promessa e che l’aveva riportato all’infanzia.
“Su, Peter, dormiglione!
Se non ti sbrighi ad alzarti farai tardi a scuola!” lo ammoniva sua madre.
Naturalmente Peter scattò su dal letto e da quel momento incominciò a vivere come aveva sperato: una vita piena, ricca di gioie, soddisfazioni e successi…
Ma tutto ebbe inizio quando smise di sacrificare il presente per il futuro e si rese conto di dovere vivere nell’oggi.

Brano tratto dal libro “Il monaco che vendette la sua Ferrari.” di Robin Sharma

Il principe senza fiaba

Il principe senza fiaba

C’era una volta un principe senza fiaba, che vagava disperato nel paese delle fiabe, alla ricerca di una storia dove poter fare la sua comparsa anche lui.
Non era facile, però: la Bella Addormentata aveva già il suo principe e così Biancaneve, Cenerentola, Pelle d’ Asino, la Sirenetta… c’ erano fin troppi principi nel paese delle fiabe.
Allora tentò il tutto per tutto:
salì sul suo cavallo magico e volò fino sulla terra, per ascoltare le fiabe che le mamme narravano ai loro bambini, sperando di trovarne una adatta per lui.
Tutto inutile!
Non solo erano sempre le stesse fiabe, ma erano sempre più piene di principi e re e magari si trattava di principi coraggiosissimi, capaci di combattere draghi spaventosi e tutto il resto!
Sconsolato, una sera si fermò vicino ad una stanzetta con la luce fioca, dove una mamma e il suo bambino stavano soli in silenzio.
La mamma veramente non era proprio in silenzio: piangeva piano e ogni tanto provava a dire qualche parola, ma non le riusciva di raccontare nessuna fiaba, perché il bambino era tanto malato e la mamma, sempre più triste, non poteva ricordare più nulla.

“Quanto sono stupido, a preoccuparmi tanto per una fiaba!” pensò il principe.

“Questa mamma ha motivi di tristezza assai più seri dei miei… se posso, proverò ad aiutarla.”
Per tranquillizzarla un po’, prese un pizzico di polverina del sonno e gliela passò sugli occhi… non appena la mamma li ebbe chiusi, si avvicinò alla culla e prese in braccio il bimbo.
“Vuoi venire con me, e volare con il mio cavallo magico?” chiese gentilmente.
“Ehh, Guh!” rispose il bimbo contento e partirono insieme.
Volarono su, fin nel cielo più alto, fino dalle stelle e tutte le stelline che incontravano li salutavano allegre.
“Che bel bambino!” dicevano le stelle.
“E’ il bambino più bello che abbiamo mai visto!

Posso prenderlo in braccio?”

Il principe rise e lasciò che la stellina più giovane prendesse in braccio il bimbo e subito tutte le altre furono lì attorno a ridere e a scherzare, perché le stelle sono sempre molto allegre e trovavano il principe molto carino e simpatico e il suo cavallo doveva essere certo il più veloce del cielo.
“Cos’è tutto questo chiasso?” esclamò d’improvviso la Luna, illuminando la notte con il suo faccione tondo e vide il bimbo che giocava in mezzo alle stelline, ridendo come loro.
“Via tutte, sciocchine!” s’arrabbiò la Luna.
“I bambini così piccoli a quest’ ora devono dormire: ci penserò io.”
E tutto d’un tratto, da quella grassona che era, si fece bellissima e sottile come una modella e con la forma giusta per prendere in braccio il bimbo e cullarlo dolcemente, mentre le stelline in coro intonavano la ninna nanna.
Era un coro così dolce che il bambino s’addormentò subito e s’addormentarono anche il principe ed il suo cavallo magico; dormivano così profondamente che si accorsero appena del rumore che fece il sole, sbadigliando per alzarsi: se ne accorsero invece le stelline, che subito presero a strillare:

“Il sole, il sole!

Scappiamo, abbiamo fatto tardi!”
“Sempre così, queste monelle!” brontolò la Luna.
“Cantano e ballano e non pensano mai a niente.
Per fortuna ci sono qua io: presto, bel principe, il piccino deve tornare a casa prima che la mamma si svegli.”
“Sì, signora Luna.” rispose il principe, con un inchino, perché, essendo un principe, era molto educato.
Riprese il bimbo e, veloce più del vento, lo riportò sulla terra, dove lo mise nella culla un istante prima che la mamma aprisse gli occhi.
“Ehe ! Ahh, Ohh!” disse il bimbo, per raccontare alla mamma dov’era stata quella notte, ma la mamma non l’ascoltò neppure.

“Piccolo mio, stai bene!” gridò tutta contenta, “Sei guarito, finalmente!”

Lo prese in braccio, lo riempì di baci e cominciò a cantare.
Il principe strizzò l’occhio al suo cavallo:
“Qualche bacetto spetterebbe anche a noi.
Questa mamma è proprio carina.”
“Andiamo a riposare!” lo esortò il cavallo magico, “Ci siamo stancati anche troppo.”
“Va bene, va bene,” acconsentì il principe, “ma questa sera torniamo, per aiutare un’ altra mamma con un bambino malato:
c’è più soddisfazione che a cercare una fiaba vuota.”
Il cavallo magico nitrì energicamente, per far capire che era d’accordo; e quella sera trovarono un bambino ancora più malato, e lo portarono sul fondo del mare, dove i cavallucci marini si misero in cerchio a fare la giostra solo per lui, mentre le ostriche e i granchi suonavano la musica con i loro gusci.
Da quella volta, il principe senza fiaba continua a tornare sulla terra, per portare i bimbi malati nei posti più belli del mondo delle fiabe; ed i bambini sono così contenti che quando tornano sono guariti, e non si ammalano più.

Brano senza Autore