La leggenda del canto “Astro del Ciel” (Stille Natch)

La leggenda del canto “Astro del Ciel” (Stille Natch)

Nel piccolo paese di Obendorf, in Austria, un giovane sacerdote, padre Mohr, stava dando le ultime istruzioni ai bimbi e ai piccoli pastori per provare il canto da eseguire nella notte di Natale.
Tra le navate silenziose si spandeva l’eco di un vocio allegro e di piccole risatine:
“Buoni, silenzio!
Incominciamo!”
Ma come padre Mohr appoggiò il dito sulla tastiera dall’interno dell’organo uscì uno strano rumore, poi un altro e un altro ancora.
“Strano!” pensò il giovane prete.
Aprì la porticina dietro l’organo e dieci, venti topi schizzarono fuori inseguiti da un gatto.
Povero padre Mohr.

Si voltò a guardare il mantice:

completamente rosicchiato e fuori uso.
“Pazienza,” pensò, “faremo a meno dell’organo.”
Ma anche i piccoli cantori all’apparire dei topi e del gatto si erano scatenati in una furibonda caccia.
Ed ora non c’era più nessuno.
Con l’organo in quelle condizioni e il coro dileguato dietro ai topi, addio canto di Natale.
Fu un momento di grande sconforto per padre Mohr.
Mentre, davanti all’altare maggiore si chinava nella genuflessione gli venne in mente l’amico Franz Gruber il maestro elementare che, oltre ad essere un discreto organista, se la cava bene nel pizzicare le corde della chitarra.
Quando padre Mohr giunse a casa sua, Gruber stava correggendo i compiti degli scolari al debole chiarore di una lucerna.
“Bisogna inventare qualche cosa di nuovo per la Messa di mezzanotte, un canto semplice che accompagnerai con la chitarra.

Qui ho scritto le parole:

sta a te vestirle di musica…
Ma in fretta mi raccomando!” disse il padre.
Uscito padre Mohr, Gruber prese subito in mano la chitarra e dopo aver scorso il testo lasciatogli dal prete cominciò a cercare tra le corde le note più semplici.
Nella notte silenziosa i fiocchi di neve rimanevano sospesi ad ascoltare la dolce melodia che vagava nell’aria fredda.
A mezzanotte in punto, del 24 dicembre 1818, la chiesa parrocchiale traboccava di fedeli.
L’altare maggiore era tutto sfolgorante di lumi e di candele accese.
Padre Mohr celebrava la quinta Messa.
Dopo aver proclamato con il vangelo di Luca la nascita del Salvatore si avvicinò con il maestro Gruber al presepio e con la voce tremante intonarono:

“Astro del Ciel…”

Dalle navate si persero nel silenzio le ultime parole del canto.
Un attimo dopo l’intero villaggio le ripeteva davanti a Gesù, come la schiera degli angeli del vangelo di Luca.
E da allora non si è più smesso di cantarlo, non solo ad Obendorf ma in tutto il mondo.
È diventata una delle musiche più care del Natale.
E di padre Josef Franz Mohr e di Franz Xaver Gruber che ne è stato?
Nessuno dei due ha avuto il tempo di rendersi conto di quanto ha donato al mondo senza aver avuto in cambio nulla.

Brano senza Autore

L’angelo e le preghiere della sera

L’angelo e le preghiere della sera

Nel cuore di una vallata di campi, prati e boschi, in una casetta a due piani, viveva una famigliola felice.
Erano in tre per il momento:
una mamma, un papà e un bambino biondo di sei anni.
Al centro della valle scorreva un torrente “allegro” e “tortuoso”.
La casetta sorgeva un po’ isolata dal paese e così, la domenica, la famigliola saliva in un’auto piccolina e andava a Messa nella Chiesa parrocchiale.
La sera, prima di addormentarsi, tutti insieme pregavano.
Un Angelo del Signore, tutte le sere, raccoglieva le preghiere e le portava in cielo.
Un inverno piovve per molti giorni.
Il torrente si gonfiò di acqua scura.
La valle cominciò ad essere sommersa dall’acqua.

Il papà svegliò la mamma e il bambino.

Si strinsero spaventati perché l’acqua aveva invaso il pian terreno della casetta.
E continuava a salire.
Sempre più scura, sempre più veloce.
“Saliamo sul tetto!” esclamò il papà.
Prese il bambino e salì in soffitta e di là sul tetto, mentre la mamma li seguiva.
Sul tetto si sentirono come naufraghi su un’isoletta che diventava sempre più piccola.
Perché l’acqua che continuava a salire arrivò implacabile fino alle ginocchia del papà.
Il papà si sistemò ben saldo sul tetto, abbracciò la mamma e le disse:
“Prendi il bambino in braccio e sali sulle mie spalle!”
Mamma e bambino salirono sulle spalle del papà, che continuò:
“Mettiti in piedi sulle mie spalle e alza il bambino sulle tue, non avere paura!
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”

La mamma baciò il bambino e disse:

“Sali sulle mie spalle e non avere paura.
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”
L’acqua continuava ad alzarsi.
Sommerse il papà e le sue braccia tese a tenere la mamma, poi inghiottì la mamma e le sue braccia tese a tenere il bambino.
Ma il papà non mollò la presa e neanche la mamma.
L’acqua continuò a salire.
Arrivò alla bocca del bambino, agli occhi ed infine alla fronte.
L’Angelo del Signore, che era venuto a prendere le preghiere della sera, vide solo un ciuffetto biondo spuntare dall’acqua torbida.
Con mossa leggera afferrò il ciuffo biondo e tirò.
Attaccato ai capelli biondi venne su il bambino e, attaccata al bambino, venne su la mamma e, attaccato alla mamma, venne su il papà.
Nessuno aveva mollato la presa!
L’Angelo spiccò il volo e posò con dolcezza l’originale “catena” sulla collina più alta dove l’acqua non sarebbe mai arrivata.

Papà, mamma e bambino “ruzzolarono” sull’erba:

poi si abbracciarono, piangendo e ridendo.
Invece delle preghiere, quella sera, l’Angelo portò in cielo il loro amore.
E tutte le “schiere celesti” scoppiarono in un fragoroso applauso!

Brano senza Autore

Il manager e Dio

Il manager e Dio

Era un manager di successo.
Orologio, telefono satellitare e computer scandivano la sua giornata.
Ogni secondo era importantissimo per lui.
Un giorno, aveva un appuntamento nella sede prestigiosa di uno studio legale.
Purtroppo il lussuoso edificio si trovava in pieno centro e il manager sempre più affannato si accorse con sgomento che non aveva tenuto conto del traffico.
E della corrispondente difficoltà di trovare un posto per parcheggiare l’auto.
Arrivato sul posto, fece un primo giro di ricognizione.

Niente.

Ogni centimetro quadrato era occupato da una vettura.
Provò a compiere un percorso più ampio.
Niente nel modo più assoluto.
Allora, preso dalla preoccupazione, cominciò a pregare:
“Signore, ti supplico, aiutami, ho bisogno di te, adesso.
Fammi trovare un posto per parcheggiare.
Se esaudisci la mia preghiera ti prometto che andrò a Messa tutte le domeniche!”
E fece un altro giro.

Niente.

Riprese a pregare con più intensità:
“Signore, non posso arrivare in ritardo a questo appuntamento.
Se mi liberi un posto per l’auto, mi confesserò anche tutte le settimane e non salterò mai le preghiere della sera!”
Sempre pregando, guidava lentamente, scrutando ogni possibile movimento nelle vie:
“Signore, ti prego, ne va della mia vita, se mi fai trovare un posto per l’auto, leggerò il Vangelo tutti i giorni e magari mi metterò in lista per fare catechismo!”
In quel momento, tre metri davanti a lui, un’auto se ne andò e si liberò un posto.

Con un sospiro di sollievo, il bravo manager disse:

“Signore, non ti disturbare.
Ho appena trovato un posto!”

Brano senza Autore

Il sogno (Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!)

Il sogno
(Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!)

Un uomo aveva l’abitudine di dire ogni domenica mattina a sua moglie:
“Vai in chiesa tu e prega per tutti e due!”

Agli amici diceva:

“Non c’è bisogno che io vada in chiesa:
c’è mia moglie che va per tutti e due!”
Una notte quell’uomo fece un sogno.
Si trovava con sua moglie davanti alla porta del Paradiso e

aspettava per entrare.

Lentamente la porta si aprì e udì una voce che diceva alla moglie:
“Tu puoi entrare per tutti e due!”
La donna entrò e la porta si richiuse.

L’uomo ci rimase così male che si svegliò.

La più sorpresa fu sua moglie, la domenica dopo, quando all’ora della Messa si trovò accanto il marito che le disse:
“Oggi vengo in chiesa con te.”

Brano di Bruno Ferrero

100 punti per il paradiso

100 (Cento) punti per il paradiso

Una buona cristiana si presentò alla porta del Cielo.
Era tutta intimorita.
San Pietro la ricevette cordialmente.
Cercò di rassicurarla, ma le disse serio:
“Per entrare in Paradiso, ci vogliono cento punti!”

La brava donna cominciò a elencare:

“Sono stata fedele a mio marito per tutta la vita.
Ho educato cristianamente i miei figli; non ci sono riuscita tanto, ma ho fatto tutto quel che ho potuto.
Sono stata catechista per ventidue anni.
Ho fatto volontariato per le Missioni e ho dato una mano alla Caritas.
Ho cercato sempre di sopportare le persone che mi stavano accanto, soprattutto il parroco e i miei vicini di casa…”
Quando si fermò a tirare il fiato, San Pietro le disse:
“Due punti e mezzo.”
Per la donna fu un pugno nello stomaco.

Allora riprovò:

“E… Ah sì!
Ho assistito i miei vecchi genitori.
Ho perdonato a mia sorella che mi faceva la guerra per via dell’eredità … e… Ecco!
Non ho mai saltato una Messa la domenica, eccetto che per la nascita dei miei figli.
Ho anche partecipato a dei ritiri e alle conferenze quaresimali…
Ho recitato sempre le preghiere…
E il rosario nel mese di maggio…”
San Pietro le disse:
“Siamo a tre punti.”
La donna si demoralizzò.
Come poteva arrivare a cento punti?
Aveva detto l’essenziale e le riusciva difficile trovare ancora qualcosa.

Con le lacrime agli occhi e la voce tremante, disse:

“Se è così, posso contare solo sulla misericordia di Dio!”
“Cento punti!
Prego, si accomodi, la stavamo aspettando!” esclamò San Pietro…
Anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, poiché so quanto egli ami il figliol prodigo che ritorna a lui.

Brano di Santa Teresa di Lisieux

Il sogno di Rodolfo

Il sogno di Rodolfo

Anticamente, quando i genitori volevano inculcare nei figli l’idea che l’uomo, fin dall’infanzia, deve battere le vie della santità, senza lasciare le questioni della religione per la vecchiaia, erano soliti raccontare loro delle storie, come questa.
Il giovane Rodolfo, uomo forte e sano, di bell’aspetto, non immaginava che sarebbe un giorno morto o, per lo meno, pensava questo gli sarebbe accaduto dopo molti e molti anni.
In un freddo pomeriggio di ottobre del 1321, egli si inoltrò in una folta foresta, durante una passeggiata.
Ormai all’imbrunire, avvistò tra gli alberi qualcosa che gli sembrava una parete.
Stanco, si avvicinò e vide che era un’antica cappella abbandonata.
Entrò.

Tutto era in rovina:

vetrate rotte, banchi capovolti, polvere accumulata, pipistrelli, ecc.
Per lo meno, pensò, ci sono le pareti ed un tetto, è meglio che niente.
Unendo alcuni banchi, improvvisò dunque un letto e, esausto com’era, si addormentò in un baleno.
A notte fonda fu svegliato da un suono di campane.
Estremamente sorpreso, si sfregò bene gli occhi, non riuscendo a credere a quello che vedeva:
la piccola cappella era illuminata e piena di fedeli.
Sull’altare, un sacerdote stava celebrando la Messa.
Vicino al presbiterio, c’era una bara.
Era dunque una Messa funebre, concluse.
“Mi scusi, signora, ma in memoria di chi è celebrata questa Messa?” chiese.
“Allora non sa chi è morto?
È uno che si è perso in questa foresta, mentre faceva una passeggiata ed è stato trovato morto oggi…

Rodolfo ebbe un sussulto.

Con uno strano presentimento, volle sapere chi fosse quel giovane.
Si avvicinò alla bara, sollevò il velo che copriva il volto del defunto e… sentì un terribile brivido lungo la schiena.
Il morto era lui!
Era ormai invecchiato, certamente, ma non c’era alcun dubbio che era proprio lui quello che si trovava nella bara.
Lanciò un grido di spavento e… si svegliò.
Comprese allora che quel terribile sogno era un avvertimento del cielo: egli sarebbe morto esattamente di lì a 50 anni.
Uscì dalla chiesa e ritornò nella bella casa della sua agiata famiglia, dove era in corso una magnifica festa.
In mezzo all’allegria e ai divertimenti, pensò:
“50 anni è molto tempo.
Vuoi sapere una cosa?

Farò una ripartizione intelligente:

nei primi 25 anni, mi godrò la vita e nei 25 seguenti mi preparerò seriamente alla morte.
Trascorse così 25 anni in divertimenti, viaggi, feste, gite e continua allegria.
Ma… passarono molto rapidamente!
Allora, il Conte decise:
“Guarda, guarda, 25 anni è troppo tempo per prepararsi alla morte, così, i prossimi 15 anni saranno un prolungamento dei 25 anni che sono già passati.
Quando ne mancheranno solo 10, allora sì, mi preparerò seriamente!”
E così accadde… furono altri 15 anni di piaceri, che trascorsero più rapidamente dei 25 anni precedenti.
Ad ogni scadenza, il Conte faceva una nuova “ripartizione intelligente” del tempo restante, giungendo in questo modo, al suo ultimo mese di vita.
Un mese soltanto!
Era, dunque, necessario congedarsi da parenti e amici.
Mandò una lettera a tutti gli amici, invitandoli ad una grande festa.
Dopo 25 giorni, erano tutti riuniti nella sua villa.
Furono tre giorni d’intensa commemorazione.

Gli restavano ora soltanto due giorni!

“Non posso lasciar partire i miei ospiti senza un banchetto di commiato!” pensò il Conte fissando un monumentale pranzo per il 25 ottobre, suo ultimo giorno di vita!
Dopo la festicciola, sentì la necessità di riposare un poco, per poter allora fare una buona confessione.
Mentre era a letto, sentì le prime avvisaglie della morte imminente, chiamò un domestico e, con voce da oltre tomba, lo mandò a chiamare in gran fretta un prete.
Il fedele servitore corse al villaggio vicino, alla ricerca del Parroco.
Nel frattempo Rodolfo, che aveva sprecato i 50 anni di tempo che aveva per prepararsi, cominciò a vedere figure che si muovevano intorno al suo letto, come fossero in attesa del momento di condurlo all’aldilà.
Ansimante, osservava l’ampollina del tempo che stava ormai esaurendosi.
Mancavano appena cinque minuti alla mezzanotte, ed egli udì il rumore del carro che si approssimava, con il prete.

Troppo tardi!

Prima che entrasse il sacerdote, scoccò il primo rintocco delle campane, che annunciavano il nuovo giorno!
Disperato, Rodolfo emise un terribile urlo e… si svegliò veramente.
Con grande sollievo, si rese conto di trovarsi davanti al crocifisso arrugginito della cappella in rovina nel mezzo della foresta, dov’era entrato a riposare poche ore prima.
Non si era trattato che di un sogno.
Ma non di un semplice sogno, no!
Perché il giovane Rodolfo prese sul serio il misericordioso avvertimento.
Da quel momento in poi, seguì con determinazione il cammino della virtù.
Facendo un esame di coscienza quotidiano e la confessione frequente, si mantenne sempre preparato per l’ultimo e più importante giorno della sua vita:
quello del suo incontro con Dio.

Brano senza Autore.

Domenica a Messa senza scuse

Domenica a Messa senza scuse

Una domenica, alla porta della chiesa, fu appeso questo cartello:

“Per consentire a tutti di venire in chiesa domenica prossima, abbiamo organizzato una speciale domenica “senza scuse!”

Saranno sistemati dei letti in sacrestia per tutti quelli che dicono:

“La domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire!”

Sarà allestita una speciale sezione di morbide poltrone per coloro che trovano troppo scomodi i banchi.

Un collirio sarà offerto a quelli che hanno gli occhi troppo affaticati dalla nottata alla tv.

Un elmetto d’acciaio temprato sarà regalato a tutti coloro che dicono:

“Se vado in chiesa potrebbe cadermi il tetto in testa!”

Morbide coperte saranno fornite a quelli che dicono che la chiesa è troppo fredda e ventilatori a quelli che dicono che è troppo calda.

Saranno disponibili cartelle segnapunti per coloro che vogliono fare la classifica delle persone “che vanno sempre in chiesa ma sono peggio degli altri.”

Parenti e amici saranno chiamati in soccorso delle signore che non possono, contemporaneamente, andare in chiesa e preparare il pranzo.

Verranno distribuiti dei distintivi con la scritta:

“Ho già dato!” a tutti coloro che sono preoccupati per la questua.

In una navata saranno piantati alberi e fiori per quelli che cercano Dio solo nella natura.

Dottori e infermieri si dedicheranno alle persone che si ammalano sempre e solo di domenica.

Forniremo apparecchi acustici a quelli che non riescono a sentire la predica e tappi per le orecchie per quelli che ci riescono.

La chiesa sarà addobbata contemporaneamente con le stelle di Natale e i gigli di Pasqua per quelli che l’hanno sempre e solo vista così.”

Sarà bellissimo la domenica, vivere la Messa tutti insieme, vi aspettiamo!

Brano senza Autore

Il vino del parroco

Il vino del parroco

Dei giovani coscritti classe 1942 sono stati protagonisti in terra Trevigiana di un singolare episodio.
Questo accadde durante la giornata in cui veniva fatta la visita medica, prima di partire per il militare.
La stessa sera andarono a far baldoria in diverse taverne e cantine,

facendo a gara a chi offrisse il miglior nettare di Bacco.

Brilli per il troppo bere fecero la loro ultima tappa in una cantina rinomata perché forniva vino alle parrocchie per celebrar messa.
In questa nacque un diverbio poiché pretendevano di bere da una damigiana su cui era poggiato un bigliettino con scritte queste parole:
“Riservata per il parroco di Treviso.”
Ed ovviamente il proprietario si opponeva perché prenotata.
Il più gagliardo prese una canna di gomma, che aveva visto fuori dalla porta, e travasò il vino nei calici per il brindisi, nonostante il disappunto del proprietario, ma portato alla bocca,

tutti lo sputarono con smorfie di disgusto e conati di vomito.

Il padrone della cantina intuì immediatamente il perché del disastro e con sarcasmo disse:
“Senza il mio consenso avete prelevato il vino, riservato per il parroco, con la canna con cui ieri mio zio Luigi ha fatto il clistere all’asino, ben vi sta!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La leggenda del tronchetto di Natale

La leggenda del tronchetto di Natale

Ogni sera, quando il padre di Nellina rientrava dal bosco, scuoteva la neve dagli stivali e brontolava:
“Oh, là là!
Che caldo fa, qui!
Sembra un forno!
Guarda, Nellina, i vetri delle finestre sono tutti appannati!
E poi, sempre questo odore di dolci e creme bruciacchiate!
Toh, guarda tua madre, coperta di farina dalla testa ai piedi!
Che idea che ho avuto di sposare una fornaia!”
Naturalmente la mamma di Nellina non era contenta.
I suoi occhi brillavano di collera.

Gridava:

“Che cosa?
Dolci bruciacchiati?
lo?
I miei panettoni farciti sono i migliori dei mondo!
E poi io faccio delle cose con le mie mani.
Tu, grand’uomo, non fai che demolire dei poveri alberi che non t’hanno fatto niente.
Guardalo, Nellina, tutto coperto di segatura dalla testa ai piedi!”
Nellina ne aveva abbastanza di questi litigi.
Si arrotolava le trecce bionde forte forte intorno alle orecchie e non sentiva più niente.
Ma il papà continuava a gridare:
“Questa sedia è tutta appiccicosa.
È ancora la tua crema!”

E la mamma urlava:

“Crema? ma quale crema:
è la resina dei tuoi maledetti alberi.
La spiaccichi dappertutto!”
Quella sera, Nellina piangeva nel suo lettino.
Amava tanto il papà e la mamma.
Ma ora stavano esagerando.
Due giorni dopo era Natale e loro non facevano nessuno sforzo per andare d’accordo e passare una bella festa insieme.
Il papà si era rifiutato di ridipingere l’insegna della pasticceria.
La mamma non aveva voluto rammendare il gilet dei marito.
I grossi lacrimoni di Nellina bagnavano la sua bambola preferita.
Il giorno dopo Nellina raccontò tutto al cugino Gianni.
“Non serve a niente piangere!” le disse Gianni., “Devi fare qualcosa.
I tuoi genitori ti vogliono bene.
Prepara tu la festa.
Fabbrica un regalino, addobba la casa e Natale sarà una festa fantastica!”

Nellina tornò a casa di corsa.

Aprì le finestre, spazzò fuori farina e segatura.
Pulì e lucidò.
Decorò la casa con rametti di agrifoglio e carta crespa, aggiustò il gilet del papà e stirò il nastro che la mamma si annodava nei capelli.
Poi si disse:
“E adesso preparo una bella sorpresa!
Almeno a Natale non litigheranno!”
E mentre mamma e papà erano al lavoro, Nellina preparò la sua sorpresa, ridendo da sola.
Quando il padre rientrò, non riuscì a trattenere un fischio di sorpresa:
“Oh, là, là!
Che bella casa!
E il mio gilet riparato per Natale.”
La madre a sua volta:
“La casa addobbata e il mio nastro lavato e stirato.
Che meraviglia!”
Il giorno di Natale, andarono a Messa tutti insieme e poi tornarono per il pranzo.

Al momento del dolce, Nellina portò la sua sorpresa.

Mamma e papà aggrottarono le sopracciglia.
La mamma domandò:
“Che cos’è?
Sembra un tronco d’albero, con la corteccia scura e un po’ di neve.
È disgustoso!”
Il papà annusò e disse:
“Sa di biscotti, cioccolato e zucchero in polvere.
È disgustoso!”
Poi, tutto d’un colpo, la mamma scoppiò a ridere e disse:
“È un dolce, è per me.
Grazie Nellina!”
Il papà scoppiò a ridere anche lui:
“È un tronchetto d’albero, è per me.
Grazie Nellina!”
Nellina, felice, gridò:
“È per tutti e tre.
E lasciatene un po’ anche per me!”

Brano di Bruno Ferrero

Ora so perché dovevi farlo

Ora so perché dovevi farlo

C’era una volta un uomo che considerava il Natale una favola incomprensibile.
Era una persona gentile e discreta, amorevole con la sua famiglia, onesta in tutti i suoi rapporti con gli altri uomini.
Ma non riusciva a credere all’Incarnazione.
Ed era troppo onesto per fingere di crederci.
La vigilia di Natale la moglie e i figli andarono in chiesa per la Messa di mezzanotte.
“Mi dispiace, ma non vengo.” disse lui, “Non riesco a capire l’affermazione che Dio si fa uomo.

Preferisco stare a casa.

Vi aspetterò per prendere qualcosa di caldo insieme.”
La sua famiglia si allontanò in auto, la neve cominciò a cadere.
L’uomo andò alla finestra e guardò le folate sempre più fitte e pesanti.
“Un vero Natale con i fiocchi!” pensò.
Tornò alla sua poltrona vicino al fuoco e cominciò a leggere il suo libro.
Pochi minuti dopo fu sorpreso da un tonfo sordo, subito seguito da un altro, poi da un altro ancora.
Pensò che qualcuno si divertisse a tirare palle di neve alla finestra del suo soggiorno.
Quando andò alla porta d’ingresso per indagare vide uno stormo di uccelli che svolazzavano nella tempesta alla disperata ricerca di un riparo e attirati dalla luce della sua finestra andavano a sbattere contro i vetri.

Molti finivano a terra tramortiti.

“Non posso permettere che queste povere creature giacciano lì a congelare!” pensò, “Ma come posso aiutarli?”
Si ricordò della rimessa che non usava più:
avrebbe potuto fornire un riparo caldo.
Indossò il cappotto e gli scarponi e con passo pesante attraverso la neve si diresse alla rimessa.
Spalancò l’ampia porta e accese la luce.
Ma gli uccelli non entravano.
“Un po’ di cibo li attirerà!” pensò.
Così si affrettò a tornare a casa per le briciole di pane, che sparse sulla neve per fare un percorso verso la rimessa.
Ma gli uccelli ignoravano le briciole di pane e continuavano a svolazzare sempre più intorpiditi nella tormenta.
L’uomo si mise ad agitare le braccia, ma quelli, spaventati, si disperdevano in ogni direzione, invece di rifugiarsi nel deposito caldo e illuminato.
“Mi vedono come una creatura strana e terrificante.” si disse, “Li ho solo terrorizzati di più.
Come faccio a comunicare loro che possono fidarsi di me?”

Uno strano pensiero lo colpì:

“Se solo potessi essere un uccello io stesso per qualche minuto, forse potrei guidarli verso la salvezza!”
Proprio in quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare.
Rimase in silenzio per un po’, ascoltando le campane.
Poi cadde in ginocchio nella neve.
“Adesso capisco.” sussurrò, “Ora so perché dovevi farlo!”

Brano di Bruno Ferrero