Due sassolini azzurri

Due sassolini azzurri

Due sassolini, grossi sì e no come una castagna, giacevano sul greto di un torrente.
Stavano in mezzo a migliaia di altri sassi, grossi e piccoli, eppure si distinguevano da tutti gli altri.
Perché erano di un intenso colore azzurro.
Loro due sapevano benissimo di essere i più bei sassi del torrente e se ne vantavano dal mattino alla sera.
“Noi siamo i figli del cielo!” strillavano, quando qualche sasso plebeo si avvicinava troppo.
“State a debita distanza!
Noi abbiamo il sangue blu.
Non abbiamo niente a che fare con voi!”
Erano insomma due sassi boriosi e insopportabili.
Passavano le giornate a pensare che cosa sarebbero diventati, non appena qualcuno li avesse scoperti:
“Finiremo certamente incastonati in qualche collana insieme ad altre pietre preziose come noi!”

“Sul dito bianco e sottile di qualche gran dama!”

“Sulla corona della regina d’Olanda!”
Un bel mattino, mentre i raggi del sole giocavano con le trine di spuma dei sassi più grandi, una mano d’uomo entrò nell’acqua e raccolse i due sassolini azzurri.
“Evviva!” gridarono i due all’unisono, “Si parte!”
Finirono in una scatola di cartone insieme ad altri sassi colorati.
“Ci rimarremo ben poco!” dissero, sicuri della loro indiscussa bellezza.
Poi una mano li prese e li schiacciò di malagrazia contro il muro in mezzo ad altri sassolini, in un letto di cemento tremendamente appiccicoso.
Piansero, supplicarono, minacciarono.
Non ci fu niente da fare.
I due sassolini azzurri si ritrovarono inchiodati al muro.
Il tempo ricominciò a scorrere, lentamente.
I due sassolini azzurri erano sempre più arrabbiati e non pensavano che ad una cosa: fuggire.
Ma non era facile eludere la morsa del cemento, che era inflessibile e incorruttibile.

I due sassolini non si persero di coraggio.

Fecero amicizia con un filo d’acqua, che scorreva ogni tanto su di loro.
Quando furono sicuri della lealtà dell’acqua, le chiesero il favore che stava loro tanto a cuore. “Infiltrati sotto di noi, per piacere.
E staccaci da questo maledetto muro!”
Fece del suo meglio e dopo qualche mese i sassolini già ballavano un po’ nella loro nicchia di cemento.
Finalmente, una notte umida e fredda, Tac! Tac!:
i due sassolini caddero per terra.
“Siamo liberi!” esclamarono.
E mentre erano sul pavimento, lanciarono un’occhiata verso quella che era stata la loro prigione:
“Ooooh!”
La luce della luna che entrava da una grande finestra illuminava uno splendido mosaico.
Migliaia di sassolini colorati e dorati formavano la figura di Nostro Signore.
Era il più bel Gesù che i due sassolini avessero mai visto.
Ma il volto… il dolce volto del Signore, in effetti, aveva qualcosa di strano.

Sembrava quello di un cieco.

Ai suoi occhi mancavano le pupille!
“Oh, no!” I due sassolini azzurri compresero.
Loro erano le pupille di Gesù.
Chissà come stavano bene, come brillavano, come erano ammirati, lassù.
Rimpiansero amaramente la loro decisione.
Quanto erano stati insensati!
Al mattino, un sacrestano distratto inciampò nei due sassolini e, poiché nell’ombra e nella polvere tutti i sassi sono uguali, li raccolse e, brontolando, li buttò nel bidone della spazzatura.

Brano di Bruno Ferrero

Il re e la montagna di rose

Il re e la montagna di rose

C’era una volta un re che abitava una montagna dove migliaia di rose di tutti i colori crescevano rigogliose per tutto l’anno.
In quel regno uomini, donne e bambini vivevano in pace tra loro e con i paesi confinanti.

Un giorno arrivarono nel Regno delle rose dei messaggeri che portarono cattive notizie.

Il re di un paese lontano aveva cominciato un lungo e terrificante viaggio con i suoi eserciti, alla conquista di tutti i regni che incontravano sul loro cammino.
Gli uomini dell’imperatore conquistatore proposero al re delle rose di arrendersi.
“Mai,” rispose lui, “il mio regno dovrà restare libero da ogni schiavitù o imperialismo!”
Purtroppo dopo pochi giorni arrivarono i cavalieri stranieri che iniziarono a distruggere i roseti e le case che incontravano sulla via per la fortezza.
Il re che voleva difendere il suo regno, fu fatto prigioniero e portato in una terra lontana.

Riuscito a fuggire, tornò al suo regno.

Sulla strada del ritorno, da lontano, riusciva a vedere la montagna, ma niente altro.
Infatti l’imperatore aveva distrutto tutte le piante di rose.
Per vendicarsi, il re decise che avrebbe ricostruito tutto come era prima.
Ora che aveva sconfitto il potente imperatore e aveva scatenato contro di lui i popoli conquistati, non rimaneva che ricominciare.
Il re ripensò allo splendore del suo giardino di rose sotto il sole e comprese che cosa aveva attirato gli stranieri sulla sua montagna.

Erano state la serenità e la gioia di un paese bello e semplice come un fiore.

Ma invece di arrendersi al grigio di una natura nascosta, il re volle accrescere l’abbondanza di colori e di vita del suo giardino.
All’arrivo della bella stagione, la montagna era tornata la patria della felicità.
Ormai i roseti arrivavano fino ai piedi dell’altura, non si fermavano come prima della guerra, intorno al castello.
Da tutti i popoli confinanti, quella era conosciuta come la “Montagna di rose!”

Brano senza Autore, tratto dal Web