L’imbuto multiuso

L’imbuto multiuso

Da una piccola vigna posta al sole, coltivata da generazioni, si otteneva un ottimo vino.
Abatino era molto orgoglioso della sua vigna e del vino, ma, nell’ultimo periodo aveva iniziato ad abusarne, con la scusante che fosse un’annata eccezionale.
In famiglia effettuavano la potatura verde (una tecnica che prevede di togliere i grappoli piccoli lasciando quelli più idonei ad una maturazione omogenea),

che dava come risultato un vino dolce, liquoroso e di alta gradazione.

Il medico di famiglia, chiamato dalla moglie di Abatino per sopraggiunti problemi di salute del marito, diagnosticò ad Abatino un principio di cirrosi epatica.
L’unica cura che gli consigliò fu la drastica riduzione del nettare di Bacco.
La soluzione proposta dal medico, però, risultò di difficile applicazione dato il carattere dell’uomo, che non voleva, in nessun modo, rinunciare al frutto tentacolare delle sue fatiche.

Il dottore, nel congedarsi, disse alla moglie:

“Prova a farlo eterno, cioè aggiungi gradatamente dell’acqua alla caraffa del vino durante i pasti e, inoltre, fai in modo che non si possa spillare dalla botte.
Siccome non potete chiudere la cantina, visto che la usate sia come magazzino che come dispensa, porta via sia i bicchieri che le scodelle.”
La donna seguì i consigli del medico,

ma ogni sera Abatino risultava lo stesso allegro e alticcio.

Tutto ciò risulto per lei un mistero, così decise di appostarsi dietro una tenda divisoria, per capire cosa stesse succedendo.
Ad un certo punto, durante la serata, vide entrare il marito, prendere l’imbuto e bere direttamente dalla botte.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’importanza del latino

L’importanza del latino

Un nipote chiese a suo nonno:
“Nonno, perché dovrei studiare il latino dato che è così ostico e tedioso?”

“Per tante ragioni!

E non solo per quelle scolastiche!” rispose il nonno, che poi proseguì, “Levada durante la prima guerra mondiale si ritrovò (involontariamente) in prima linea.
In tutte le case del paese vennero rimosse le travi portanti e, queste, furono portate via con le tavole, affinché potessero essere usate per costruire delle trincee.
Un contadino più curioso degli altri, negli anni, aveva imparato il latino con l’aiuto del parroco, per capire i classici e le sacre scritture e, inoltre, per poter fare con lui delle dissertazioni in un alone di mistero per gli altri,

che nulla capivano dei loro discorsi.

Erano in tanti a criticarlo, perché, in quel modo, aveva sottratto tempo ai lavori campestri, ma, con il senno di poi, dovettero ricredersi.
Questi, prima di partire per raggiungere il campo profughi approntato per l’occasione, scrisse sulla sua casa, con la carbonella, questa frase in latino:
“In hoc domo, licet abitare, nolite ean vastare!”

(Si può vivere in questa casa, ma senza devastarla!)

Finita la guerra, l’unica casa del borgo a non subire danni fu proprio quella di questo contadino, siccome gli ufficiali, avendo studiato il latino, diedero l’ordine di non toccarla, convinti che il proprietario fosse una nota personalità.
Aver studiato il latino si rivelò fondamentale per questo contadino!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La formica ed il chicco di grano

La formica ed il chicco di grano

Un chicco di grano, rimasto nel campo dopo la mietitura, aspettava la pioggia per tornare a nascondersi sotto le zolle.
Lo vide una formica, e, caricatoselo addosso, si avviò faticosamente verso la sua tana.
“Perché ti affatichi a portarmi?” disse il chicco di grano,

“Lasciami nel mio campo!”

“Se ciascuna di noi,” rispose la formica, “non porta un po’ di cibo nella dispensa, non avremo provviste bastanti per quest’inverno!”
“Ma io non sono fatto soltanto per essere mangiato!” replicò il chicco, “Io sono un seme pieno di vita, e il mio destino è quello di far nascere una pianta.
Facciamo un patto…”
Contenta di riposarsi un po’, la formica depose il chicco e gli chiese:

“Quale patto?”

“Se mi lasci qui nel mio campo, rinunciando a portarmi a casa tua, io fra un anno mi impegno a restituirti cento chicchi uguali a me!” propose il chicco di grano.
“Cento chicchi in cambio di uno solo!” pensò la formica, “Ma che buon affare!
E come farai?” chiese al chicco di grano.
“Questo è un mistero!” rispose il chicco,

“È il mistero della vita.

Scava una piccola fossa, seppelliscimi lì dentro, e poi torna qui tra un anno!”
La formica gli diede ascolto.
Prese il seme, lo depose fra le zolle, e l’anno dopo tornò a vedere se ci stava.
Si, il chicco di grano aveva mantenuto la promessa.

Brano tratto dal libro “Favole.” di Leonardo Da Vinci

L’elefante incatenato

L’elefante incatenato

Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.
Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Che cosa lo teneva legato?

Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia:
“Se è ammaestrato, perché lo incatenano?”
Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.

Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto.

Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza.

L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare:

sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!

A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai.”
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”

Brano tratto dal libro “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere.” di Jorge Bucay

Qual è …?


Qual è …?

il giorno più bello? … Oggi.
la cosa più facile? … Sbagliarsi.
 l’ostacolo più grande? … La paura.
lo sbaglio peggiore? … Arrendersi.
 la radice di tutti i mali? … L’egoismo.

… la distrazione più bella? … Il lavoro.

 la peggiore sconfitta? … Lo scoraggiamento.
Chi sono i migliori insegnanti? … I bambini.
 la prima necessità? … Parlare con gli altri.
 la cosa che più fa felici? … Essere di aiuto agli altri.
 il Mistero più grande? … La morte.

il peggiore difetto? … Il malumore.

 la persona più pericolosa? … Il bugiardo.
 il sentimento più dannoso? … Il rancore.
 il regalo più bello? … Il perdono.
 la cosa di cui non se ne può fare a meno? … La casa.

 la strada più rapida? … Il cammino giusto.

 la sensazione più gratificante? … La pace interiore.
 il gesto più efficace? … Il sorriso.
 il migliore rimedio? … L’ottimismo.
 la maggiore soddisfazione? … Il dovere compiuto.
 la forza più potente del mondo? … La fede.
Quali sono le persone più necessarie? … I genitori.
 la cosa più bella di tutte? … L’Amore!

Brano di Madre Teresa di Calcutta

La scatola di cioccolatini assortiti


La scatola di cioccolatini assortiti

Un rinomato pasticciere dopo aver prodotto tanti cioccolatini di gusti diversi, provò ad incartarli tutti nella stessa maniera, e ci riuscì.
Le confezioni erano belle, accattivanti.

All’apparenza, i cioccolatini sembravano tutti uguali; avevano lo stesso aspetto e la stessa dimensione.

Quelli che erano un po’ diversi venivano sistemati per apparire come e meglio degli altri.
Aprendo ogni scatola qualsiasi cioccolatino poteva sembrare esattamente uguale all’altro. Perfetti.

Ma solo assaggiandoli si comprendeva che all’interno, ognuno aveva conservato un sapore diverso, unico.

Certo, alcuni piacevano più di altri, ma ciascuno era davvero sorprendente nella sua unicità.
Il pasticciere era riuscito nel proprio intento, rendendoli uguali esteriormente, mantenendo però un velato mistero sul loro interno.

Brano senza Autore, tratto dal Web

“La vita è come una scatola di cioccolatini!
Non sai mai quello che ti capita.”

Citazione tratta dal film “Forrest Gump.”

Un invito ad un Matrimonio


Un invito ad un Matrimonio

Ore 10:00 di una domenica di Agosto, la città è deserta, le onde di calore distorcono la vista, l’asfalto fuma e ribolle.
Il rumore dei ventilatori, unico sollievo di chi è dovuto rimanere è un rombo basso e cupo e fa pensare a zanzare giganti pronte a succhiarti come un brik al gusto papaia ed rh negativo.
Solo un manipoli di eroi sfida la calura, solo pochi arditi escono a sfidare l’afa: gli invitati ai matrimoni.
Esseri rubizzi e sbuffanti, grondanti sudore come fontane, vestiti di tutto punto.
Tutto comincia mesi prima, quando la parente, l’amico o collega ti recapita la fatidica lettera infiocchettata con il sorriso di chi pensa di farti cosa gradita.

Tu guardi con gli occhi sbarrati la ricca busta perlata,

magari impreziosita con deliziosi fiocchetti e già sai che la sventura ha bussato alla tua porta.
Apri il plico con la diffidenza che useresti per una missiva all’Antrace e la condanna ti appare in tutto lo splendore dei caratteri d’oro:
“I genitori degli sposi Mary Jane Caciottari e Alberico Spartaco Borone sono lieti d’invitarvi alla cerimonia che si svolgerà il giorno 19 Agosto presso la chiesa Santa Maria dei Calori alle ore 10:00.”
Seguito dal non meno famigerato:
“Dopo la cerimonia, Mary Jane ed Alberico Spartaco saranno lieti di salutare parenti ed amici da Ciccio Le Bujaccarò.”
Comincia così un calvario che poco ha di religioso e gioioso e molto di bilioso.

La compagna:

Appena ricevuta la ferale notizia, comincerà a dare in escandescenze:
“Non ho nulla da mettermi!!!”
Il vestito del matrimonio di tua sorella???
Sei pazzo!
È fuori moda!
Vuoi che faccia la figura della stracciona?
E poi sono ingrassata di 350 grammi netti!
Non mi entrerà mai in ogni caso!”

La lista di nozze:

La scelta del regalo è uno dei punti più dolenti, migliaia di coppie si sono, infatti, sciolte per colpa del matrimonio degli altri.
Gli sposi, per evitare di ricevere 102 copie della stessa cornice in Silver Plated, usano l’espediente della lista di nozze.
Si recano presso un negozio di casalinghi (solitamente il più costoso disponibile) e scelgono quello che gli piace.
Gli invitati, potranno quindi recarsi in tutta tranquillità e contribuire alla felicità degli sposi secondo le loro possibilità in forma anonima ovvero, nessuno dovrebbe sapere chi ha regalato cosa.
I parametri che gli invitati tengono in considerazione sono spendere il meno possibile e non fare la figura dei pulciari (cifrato Romano, dialettale, “avari”) e com’è del tutto evidente sono palesemente in antitesi.
Ovviamente chi prima arriva meglio alloggia perché sono disponibili più oggetti.
Se arrivi dopo un paio di giorni, trovi solamente la grolla d’oro tempestata di zaffiri oppure il servizio di piatti in fine porcellana Ming del XIII secolo dal costo di un pozziglione di euro cadauno.
Per questo gli invitati fanno seguire i futuri sposi da spie assoldate appositamente e non appena terminata la scelta, piantonano il negozio organizzando vere e proprie tendopoli per assicurarsi l’oggetto più appariscente ed a buon mercato.

Caccia al vestito:

Parte la ricerca spasmodica del vestito da indossare per la cerimonia e mentre gli uomini tendenzialmente riciclerebbero volentieri il vestito della prima comunione, per le donne indossare in pubblico lo stesso capo per due volte appare veramente insopportabile.
Così approfittando magari dei saldi parte la ricerca del Graal a forma di scarpa, cinta, borsa o vestito.
La donna in cerca di abito da cerimonia è un animale capace di tutto.
Costringerà il coniuge a viaggi di outlet in outlet fino a fargli spendere l’equivalente di un Armani in carburante ed, alla fine, riuscirà a convincerlo a comprare un nuovo vestito persino a lui che avrebbe preferito farsi amputare un arto piuttosto che spendere tutti quei soldi.

La vestizione:

Lui:  Cominci a vestirti a casa e già sudi copiosamente, dopo appena mezz’ora sei già al cambio della sesta camicia.
Cominci a lottare con la cravatta che s’imbizzarrisce e ti strangola con le sue spire di seta, fin quando non decidi di allungare 50 euro ad un cugino necroforo affinché te la faccia lui.
Ti senti un Frankenstein, una pentola a pressione umana sul punto di scoppiare.
Lei: Coiffer, manicure, pedicure, scrub, nails, lampada e trucco sono la base per la costruzione di un’invitata modello.
A leggerli così possono sembrare bizzarre torture medievali ed, infatti, lo sono.
La signora, dopo aver passato la notte dormendo in piedi per non rovinare la capigliatura, comincerà la fase di trucco che si conclude normalmente quando guardandosi allo specchio potrà cantare obiettivamente “ridi pagliaccio!”
Si passa quindi alla vestizione vera e propria che potrebbe sembrare banale visto che ha comprato un vestito appositamente grazie ai buoni uffici di Franchino er cravattaro (unica persona veramente felice per queste cerimonie), ma così non è.
Dopo aver sistemato il vestito, le scarpe, la cinta, borsa, il foulard, la collana ed il cappello sul letto noterà come poco bene s’intonino con il suo incarnato e quindi presa dal panico, svuoterà l’intero armadio provando combinazioni random del suo guardaroba e trasformando casa in un atelier, interdicendo l’uso dell’appartamento ad uomini ed animali per almeno cinque ore.
Alla fine indosserà poco convinta l’abito acquistato e quell’espressione che dice “non sono figa ma farò credere a tutti che lo sia.”

La chiesa:

Non a caso questo è anche il titolo di un noto horror del passato, una chiesa in città a mezzogiorno di Agosto, appare come un Golgota in scala.
Si arriva con discreto anticipo alla ricerca di un parcheggio all’ombra che esiste quanto un elfo dei boschi per poi abbandonare la vettura sotto il sole cocente per disperazione.
Si arriva davanti al sagrato sudando copiosamente per i 15 mt fatti e finalmente s’incontrano gli altri invitati.
Scatta il confronto delle mise che ovviamente ci farà sentire sciatti, e le urla disperate di donne vestite uguale.
Dopo essere stati lasciati ad essiccare per un’oretta, si accede alla chiesa, addobbata come una bomboniera con quelle deliziose decorazioni “girasole e gamberetti” che vanno tanto di moda quest’anno.

Arriva la sposa,

su un traino a 6 cavalli bianchi mesciati di biondo e carrozza Rococò color panna acida.
Scende dalla principesca vettura nel suo splendido abito bianco tempestato di Swarovski, l’effetto della rifrazione del sole attirerà in sito orme di discotecari convinti che abbiano organizzato un after-hours a sorpresa.
Il marito l’attende all’altare, inguainato nel vestito con l’espressione da travestito tipica di chi si è fatto convincere a ritoccare le sopracciglia da un barbiere pazzo, circondato da paggetti e damine uscite da un quadro di Ruben.
Finalmente i due convolano tra gli urrà della folla ed i flash dei telefonini che arricchiranno innumerevoli pagine Facebook ed Instagram.

Il rinfresco:

Finita la cerimonia, ci si dirige verso il ristorante scelto per il rinfresco.
Si prende la macchina che ormai ha raggiunto la temperatura di un altoforno, e si parte tutti in fila strombazzando a più non posso per annunciare il lieto evento.
Secondo il rispetto di antiche regole non scritte, esso non può essere più vicino di 150 km dal luogo della funzione e possibilmente non nella stessa provincia, in una località segreta protetta dalla CIA e non segnata sulle cartine.
Immancabilmente, si segue uno dei parenti che annuncia “So io dov’è!” che vi farà fare uno splendido tour della penisola, allietato dalla colonna sonora delle vostre bestemmie.
Si arriva nell’ampio parcheggio e si accede al buffet di benvenuto.
Gli sposi sono andati a scattare le foto ricordo in Papua Nuova Guinea, quindi il pasto vero e proprio non comincerà prima di cinque ore.
Gli ospiti si avventano su rustici e pizzette come piranha, a stento i camerieri riescono a salvare dita e stoviglie.

Il Prosecco è il Re incontrastato dei buffet,

in poco tempo gli accaldati ed assetati ospiti riescono a scolarsi mezza Valdobbiadene abitanti inclusi scatenando una serie di rutti percepibili fin da Marte.
Arrivano gli sposi dopo il tour de force delle foto, già distrutti dalle emozioni, il sorriso forzato di chi preferirebbe essere in prigione.
Si svolge così un banchetto degno di Apicio servito da camerieri dotati della stessa cortesia di Tremonti mentre discute di economia con Brunetta.
Anche se tenterete di spiegargli che non gli avete rigato voi l’automobile, continueranno a tirarvi i piatti sul tavolo ed a portare i rifornimenti di bibite dopo ore.
Il pranzo dei matrimoni è pura leggenda, si narra di interi parentadi entrati nei ristoranti durante il Rinascimento ed usciti durante il primo governo Andreotti.
I piatti arrivano con la stessa flemma e precisione di un interregionale, dopo l’antipasto e l’immancabile cocktail di gamberetti, arriva il primo primo, il secondo primo, il primo secondo, il secondo secondo, il terzo secondo, la frutta, la seconda frutta, la terza frutta che è di un’altra stagione perché nel frattempo è cambiata.
Il vino scorre a fiumi e con il caldo l’effetto è devastante.
Nonni che ballano sui tavoli, giovani che fanno altro a coppie miste sotto ai tavoli, canti sguaiati, cori di curva e karaoke, scontri fra ultras della sposa e dello sposo.
Il dolce normalmente è una torta tutta panna alta come il Monte Bianco, con le statue equestri degli sposi a grandezza naturale.
Ormai ridotti a due stracci i festeggiati tagliano la prima fetta di torta e subito dopo la corda, andando a dormire la loro prima notte di nozze.
Il resto della banda, continua a festeggiare tra amari, grappe e balli di gruppo le cui vergognose immagini funesteranno i social network nei secoli dei secoli.

Il rientro:

Spinti amorevolmente fuori dal locale dai camerieri del ristorante, i nostri eroi risalgono in macchina stanchi ed ubriachi.
Normalmente uno su cinque riesce a raggiungere il proprio domicilio mentre gli altri saranno ritrovati mesi dopo nelle campagne vicine.
Si sveglieranno con un mal di testa che non durerà meno di un anno e lo stomaco talmente imbarazzato da essere costretti a nutrirsi per flebo per almeno un mese.
Pochi arditi riescono a sopravvivere a più di un matrimonio l’anno, l’ONU stessa ha inserito i matrimoni tra le violazioni dei diritti umani.
Resta ancora un mistero il perché, coppie che abbiano vissuto tutto ciò, siano disposte a condannare a questo supplizio gli altri, decidendo di sposarsi se non per desiderio di vendetta…

Brano senza Autore, tratto dal Web

Vivi la vita


Vivi la vita

La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine.

La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.

La vita è una lotta, accettala.

La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.

Brano di Madre Teresa di Calcutta